mercoledì 17 ottobre 2018

LA FORESTA DEGLI ULULATI

di Francesco Manetti

UN'AVVENTURA DEL COMANDANTE MARK REMINGTON

Premessa

Tanti anni fa, in un'epoca lontana, lontana, avevo scritto una storia con protagonista Il Comandante Mark, pensata per essere pubblicata su una ristampa non bonelliana della storica collana. Poi non se ne fece più nulla e il racconto rimase nel mio "cassetto digitale" fino a quando, nel 2007, entrai nella comunità di Facebook e lo misi nelle note del mio profilo; lì credo che l'abbiano scorso in tredici (più lettori di quelli del Manzoni, comunque)... Nel 2012 l'ho postato sul mio blog personale "Ultimo Istante", sito dedicato a cose varie, soprattutto non fumettistiche, cambiando i nomi del protagonista e degli altri personaggi. Adesso lo propongo alla severa platea di "Dime Web", con ulteriori varianti rispetto alle prime due "edizioni digitali": quasi un inedito! (f.m.)






1. Risveglio

“Grande Scott! Dove diavolo sono?”, gridò con un accenno di paura il Comandante Remington, risvegliandosi confuso e dolorante nel folto di una foresta, a tre iarde dalla riva di un tumultuoso torrente. Per un attimo rimase a fissare le acque veloci e la bianca spuma che si levava leggera dalle rapide. Le chiome multicolori degli alberi rendevano il luogo un mondo incantato.
“Uhm… A quanto pare non mi trovo molto lontano dal Quartier Generale…”, rifletté a voce alta Remington, toccandosi la fronte contusa e storcendo il naso. “La Foresta degli Aceri… al massimo venti miglia a nord di Fort Maple! Quello, infatti, non può essere che il Kingsboro River – anzi, il Rebel’s Creek, come preferiscono chiamarlo i miei Falchi! Il rombo delle sue acque gonfie di pioggia nella stagione autunnale è inconfondibile!”
Poco più in là, con la schiena appoggiata a un tronco secolare, un omaccione pesto e lacero giaceva ancora svenuto. Di sicuro era messo peggio del Comandante: doveva aver passato un gran brutto quarto d'ora!
“E questo?”, si chiese il combattente, con le idee ancora non chiare. Gli sembrava di avere nel capo uno di quei giochi a incastro con cui si trastullano i bambini, solo che non tutti i pezzi volevano ancora andare al loro posto. “Forse è un bravo Patriota, reduce da uno scontro con cento Giubbe Rosse… o un tagliaborse con il quale sono venuto alle mani… Ma no, per tutte le pantofole di Re Giorgio! Si chiama… Ah, se la testa non mi facesse così male, Grande Scott! Forse ci sono, dannazione! È... sì, è Daniel Buster, uno dei boscaioli scomparsi!”.
E così, pian piano, la memoria di Remington riemerse, come un tesoro ripescato dal fondo fangoso di un lago, tornando col ricordo ad alcuni giorni prima, quando, a Fort Maple, il Comandante aveva convocato nel suo ufficio i suoi due più fidi collaboratori...







2. L’inquietante messaggio

“Oggi mi sembri più funereo del solito, Sad Lynx… Non mi dirai che ti sei di nuovo messo a litigare con Black?”, azzardò Remington, sorridendo all'indirizzo dell'indiano, la cui caratteristica principale era un perenne triste aspetto. L'altro attributo di Sad Lynx era quello della logorrea.
“Per tutte le medicine del mio trisnonno stregone! Pensi che io potrei sacrificare il mio onore di capo indiano, la fama della mia immortale schiatta, immischiandomi in misere scaramucce con quel vile sacco di pulci ossuto?! Ugh! Mi meravigli, anzi, mi lasci con un palmo di naso, mio caro Remington! Vuol dire che dopo anni di comuni avventure ancora non mi conosci se…”
In quel mentre, spalancando d'un botto la porta e interrompendo la concione, irruppe come un ciclone Mister Riff.
“È proprio vero, per tutte le barbacce del Nuovo Mondo! Remington non ti conosce! Glielo hai detto per cosa stavate accapigliandovi tu e Black? È bene che tu lo sappia, Comandante, per capire in quali abissi possa sprofondare la cattiveria umana!”
“Dunque?”, chiese Remington, sorridendo.
Mister Riff non si fece certo pregare. “Quando Sad Lynx aveva finito di spolpare il secondo dei galletti ruspanti che si era fatti arrostire dalla cucina, Sally aveva pensato di gettare a Black la pelle avanzata dei due volatili. Orbene, sotto la rude scorza da selvaggio delle Americhe batte nel petto di Sad Lynx il cuore di un Milord del Vecchio Continente: mai e poi mai ho visto questo indiano di nobili e vantate ascendenze mangiare la pelle di quello che aveva avuto la sfortuna di capitare fra le sue voraci ganasce. La pelle del pollo è troppo grassa e unta… la pelle del tacchino è troppo dura e stopposa… e così via. Una lamentela infinita! Ebbene… Sally toglie dal tavolo per svuotarla la scodella di Sad Lynx e quando i saporiti bocconi sono già a portata di zanne del contentissimo Black, questa sottospecie di pellerossa arraffa di nuovo il piatto e divora in quattro e quattr’otto quei resti freddi e appiccicosi, pontificando che le sostanze essenziali degli uccelli da cortile, come sosteneva un qualche suo illustre bisavolo sedicente sciamano, erano tutte contenute nella pelle e che sarebbero andate sprecate nello stomaco di un mangiaossi pidocchioso! Altro che Falco dell’Ontario! Un Affamatore di Cuccioli, ecco quel che sei!”
“Per Manitù! Come ti permetti, brutto pancione barbuto…? Io e i miei antenati gridiamo all'unisono vendetta e dunque preparati a...!”




Trattenendo a stento una risata, Remington si alzò e intervenne per ristabilire l'ordine, separando i due con ampi cenni delle mani, come Mosè separò le acque del Mar Rosso.
“Ora basta, amici miei, altrimenti è inutile avervi fatto convocare qui con tanta urgenza!”
“Per mille barbacce infuocate! Stavo quasi per scordarmene! Dove dobbiamo andare?”
“Stavolta, cari amici, mi aspetta una missione in solitario... Affido a voi, finché dura la mia assenza, il comando di Fort Maple”.
“Ugh! La Corona ha forse deciso di mandare altre truppe fresche per mantenere in allenamento le nostre nocche?”
“Mmm… Anche se i sospetti sono forti non è ancora certo che ci sia lo zampino delle Giubbe Rosse in questa faccenda… Le domande sono più numerose delle risposte... A cinquanta miglia da qui, oltre la grande Foresta degli Aceri, c’è Timberton, un operoso villaggio di Patrioti, tirato su a mani nude da onesti e forzuti taglialegna che vedono i gamberoni di Re Giorgio come fumo negli occhi! Finora il paese ha vissuto una vita abbastanza tranquilla, tanto che gli Inglesi, dopo un paio di scaramucce senza conseguenze, non hanno messo nemmeno un presidio da quelle parti. Purtroppo mi è appena giunta notizia che da un paio di mesi si stanno verificando misteriose sparizioni di boscaioli e occorre che qualcuno vada a indagare sul posto. Ho pensato di spacciarmi per uno straniero giunto lì in cerca di lavoro…”
“Ma… non temi che qualcuno possa riconoscerti, Comandante? Non sei certo ignoto, nelle Colonie!”, domandò un preoccupato Mister Riff.
“Certo…”, continuò Remington, “quegli uomini sanno bene chi sono e conoscono a memoria le gesta dei Falchi, ma il mio volto lo hanno visto in pochi, a Timberton… laggiù ho fatto solo un paio di ricognizioni e mi è sembrato il luogo più pacifico della Terra: niente Inglesi, niente guai! Mi sono confidato solo con l’oste dell’Oca Nera, la locanda del paese, un tipo quadrato, che nessuno batte nel tenere a freno la lingua. Il suo nome è Pat Remick, ma tutti lo chiamano 'Big Bear', per la sua corporatura tutt'altro che minuta. È stato proprio lui a farmi giungere questo allarmante messaggio…”




Da una borsa di pelle che penzolava dallo schienale della sedia Remington estrasse un plico e iniziò a leggerne il contenuto.

“Carissimo amico, affido queste mie parole a un fidato mercante di passaggio – uno dei nostri, non temere – con la precisa richiesta di fartele avere al più presto. Timberton è sempre stato un villaggio pacato e sicuro per i suoi abitanti. Sapendo che il più gracile di noi è largo come un armadio e abbatte con tre colpi d’ascia una quercia, le Giubbe Rosse si sono sempre fatte vedere malvolentieri dalle nostre parti e non abbiamo più avuto contatti con gli Inglesi da quando il capitano Oswald Earl Broomingham, oltre un anno fa, fece capolino con i suoi sgherri. I gamberoni presero così tante legnate che l’eco si sente ancora oggi nei nostri boschi. Broomingham ci giurò che avrebbe avuto la sua rivalsa, ma tutti pensarono alla solita fanfaronata dei pavidi gallonati di Re Giorgio, e infatti da allora la Union Flag non si è più rivista… Due mesi fa, però, è svanito uno dei nostri boscaioli: inutili sono state le ricerche, per quanto messe in campo a pettine fitto. Ed era solo l’inizio… Oggi mancano all’appello ben sette cittadini di Timberton… Le sparizioni si sono fatte più frequenti e quelli che hanno famiglia stanno già preparando i bagagli per abbandonare questa contrada. Di notte si sono viste vagare fra le case ombre inquietanti, e nella foresta si odono grida belluine che sembrano generate dal profondo degli inferi! Ormai anche nei più coraggiosi comincia a insinuarsi il dubbio. Abbiamo bisogno di aiuto… di qualcuno che ci infonda nuovamente speranza e coraggio… di uno che abbia la tenacia del Falco Solitario… Firmato, Big Bear!”

“Per tutte le barbacce di Belzebù! Anche se non ti nomina mai – immagino per motivi di sicurezza - è chiaramente un invito rivolto a te, Remington, e a te solo!”, urlò Riff, sottolineando il tutto con il pugno sul tavolo.
“Ugh! Lo credo anch'io! Ma potrebbe rivelarsi una trappola studiata fin nei minimi particolari... Magari la lettera è fasulla, un inganno vergato da sordida mano inglese, e per il nostro povero Remington si prospetterebbe la più funesta delle conclusioni se si recasse a…”
“Non dare retta a questo spennacchiato menagramo, Remington!”, intervenne Mister Riff. “Non possiamo certo correre il rischio che un paese di Patrioti diventi una città fantasma!”





3. Arrivo a Timberton

Remington congedò i due amici, montò in groppa al cavallo più fresco del Forte e quella sera stessa arrivò a Timberton.
Il clima di paura che opprimeva il paese era tangibile… dopo il tramonto, con l'oscurità, nessuno ormai osava più aggirarsi per gli stretti vicoli del villaggio e solo le finestre della locanda dell’Oca Nera, dalle quali traspariva una fievole luce, avevano gli scuri aperti. All’interno dell’osteria un unico avventore dormiva poggiando la testa su un tavolaccio di legno.
“Remington! Finalmente!”, gridò “Big Bear”, uscendo dalla cucina. Il cliente si destò dal suo torpore e sollevò il capo, sbirciando attraverso le nebbie del sonno etilico il nuovo arrivato.
“Shhh!”, fece il Comandante circospetto, portandosi un dito indice davanti al naso. E appena fu a portata d’orecchio di Remick aggiunse sottovoce: “Niente nomi, Pat… sono qua in incognito. Per tutti sono semplicemente uno straniero in cerca di lavoro. Solo tu conosci la mia vera identità!”.
“Ero talmente felice di vederti che mi sono fatto prendere dall’entusiasmo… e come devo chiamarti?”
“Sonner… Simon Sonner, ed è con questo nome che domattina mi presenterò alla Compagnia del Legno per essere assunto”.
“Ti stenderanno il tappeto rosso, visto che da qualche tempo solo pochi temerari – e i più bisognosi di soldi - se la sentono di andare a lavorare nei boschi”, gli confidò Pat, “ma dovrai comunque guardarti da Sly Cornell, il caposquadra. È un osso duro, un tipaccio… un attaccabrighe di professione…”
“Beh… me la sono sempre cavata, caro Pat, come possono testimoniare tanti brutti ceffi presenti sul suolo americano... Quelli vivi, perlomeno!”
“Non ne dubito, Coman… Simon! Ma ora… sarai stanco! Ti preparo subito la stanza più comoda dell’Oca Nera… ti troverai di certo a tuo agio!”




4. Che fine ha fatto Frank Carter?

I giorni seguenti, nonostante l’aria triste e cupa che incombeva su Timberton e sulla foresta circostante come una cappa di piombo, scivolarono via tranquilli.
Come aveva predetto "Big Bear", Remington fu assunto senza troppe domande alla Compagnia e fece ben presto amicizia con Daniel Buster, un taglialegna stagionale, simpatico e gioviale, che alloggiava come lui alla locanda di Remick; il Comandante ebbe modo di conoscere anche Sly Cornell, l’insopportabile e arrogante caposquadra, un bruto tutto muscoli che non esitava a sfoggiarne la potenza alla minima occasione. Il tipaccio, che esercitava la sua autorità con cattiveria, aveva subito inquadrato Remington come un gran lavoratore, ma non lo sopportava, perché "Simon Sonner" era l’unico capace di tenergli testa anche nelle più animate discussioni, dove volavano senza tanti complimenti manici d'ascia, ciocchi di acero, boccali di birra e soprattutto ceffoni. Ma Cornell, di quei tempi, non era certo il problema principale della gente del luogo.
Durante la pausa per il pranzo Buster – un omone ben piazzato capace di divorarsi un mezzo capretto arrosto alla volta – aveva preso l’abitudine di confidarsi con Remington, e discorrendo gli spiegò, senza nascondere una certa angoscia, che il momento più pericoloso era quello prossimo all'imbrunire, quando risuonavano gli ultimi colpi d'ascia e i boscaioli si preparavano per tornare in paese: tutti quelli che non si trovavano più erano scomparsi infatti poco prima della fine della giornata lavorativa e l'intervallo di tempo fra una sparizione e l'altra si stava sempre più assottigliando.



Il congedo da Fort Maple era avvenuto sei giorni prima, ma niente era ancora accaduto. Possibile che si trattasse solo di chiacchiere? Di discorsi ingigantiti davanti dalle pinte di birra e dai bicchieri di acquavite? Forse, quelle dei boscaioli, non erano sparizioni, ma allontanamenti volontari... Forse erano stati attratti dalla concorrenza, o da una prospettiva di migliori guadagni, altrove... Mentre Remington pensava a questo e stava quasi finendo di abbattere un albero nella zona a lui assegnata, poco distante Daniel, un urlo raccapricciante lo gelò e gli seccò la saliva in bocca. Proveniva dal terreno affidato a Frank Carter, un uomo tutto d'un pezzo, il più anziano del gruppo, ma ancora forte come una roccia. Anche Daniel aveva udito il terribile grido e, correndo a perdifiato, aveva raggiunto in un attimo Remington. I due si precipitarono dunque come fulmini verso il punto da dove pareva essersi levato quel disumano lamento. Insieme a loro arrivò anche Sly, che non sembrava il ritratto della sorpresa e dello spavento, ma non trovarono nessuno; in terra c'era solo la pesante ascia di Frank... con l’impugnatura macchiata di sangue!
Uno sconforto ancor più nero si abbatté sui lavoranti superstiti della Compagnia del Legno e solo Remington – con parole dense di coraggio e di speranza – e Sly – con la veniale promessa di un aumento della paga giornaliera – riuscirono a riportare la calma nella comunità e a evitare il fuggi fuggi generale.
Il Comandante, però, cominciò a sentire puzza di bruciato: mentre tutti erano affranti per la scomparsa del bravo Frank, gli parve di scorgere sul volto di Cornell l’ombra di un diabolico ghigno…
Quando il sole era diventato un rossa palla di fuoco in bilico sull’orizzonte i boscaioli si incamminarono silenziosi sul sentiero che riportava in paese e solo Sly restò nella foresta, chiuso nello spartano capanno che fungeva da ufficio, per sbrigare, come tutte le sere, conti e altre scartoffie.





5. Un bizzarro tessuto

La mattina seguente, prima di iniziare il taglio del bosco, Remington tornò di soppiatto a indagare laddove lavorava Frank.
“Che manufatto è mai questo?”, si chiese il Comandante dei Falchi dell’Ontario, staccando un ampio pezzo di uno strano materiale che svolazzava al vento, impigliato in un ramo. Il giorno prima, quando era stato attirato lì dall'urlo raggelante, quel brandello strappato gli era sfuggito. Eppure ci era passato vicino più volte! C'era una spiegazione: era un lembo stracciato di una stoffa, all'apparenza normale al tatto, ma tinta con un così bizzarro accostamento di colori che di primo acchito la confondevano con le naturali tonalità del bosco. Remington, in vita sua, non aveva mai visto niente di simile. “Certi animali usano o mutano il loro manto per nascondersi meglio nell’ambiente in cui vivono”, rifletté Remington, “ma non avevo mai sentito di abiti confezionati in tale maniera… A meno che qualcuno non voglia giocare un brutto tiro al prossimo, sorprendendolo di colpo senza essere visto prima di essere già addosso alla vittima! Sarei pronto a scommettere che i rapitori indossano speciali indumenti confezionati con questo pazzesco tessuto!”




6. Il turno di Daniel

Più tardi, verso la conclusione della giornata, anche Daniel scomparve nel nulla. Dopo aver rinvenuto quello straccio colorato, Remington sospettava già quale potesse essere il modo in cui avvenivano le sparizioni e – dopo aver finto di tornare in paese insieme agli altri - si appostò non visto nei pressi della zona di foresta in cui lavorava l’amico Buster.
Dopo che i boscaioli se ne erano andati passò del tempo senza che niente succedesse. Con il calare della notte il freddo cominciava a mordere il volto e le mani del Comandante. Preannunciato da un bagliore, sbucò da dietro gli alberi il truce Sly che illuminava i suoi passi reggendo una lanterna in mano. Tenuto d’occhio da un attento Remington, il caposquadra si diresse a colpo sicuro verso un punto ben preciso del terreno e alzò un telo cucito con la stoffa tinta con i colori del bosco scuotendone via le foglie, i pezzi di corteccia e gli arbusti che lo ricoprivano. Sotto il tessuto era stato nascosto un uomo, apparentemente senza vita, che Sly trascinò via come un sacco di patate, tirandolo per i piedi e portandolo del tutto allo scoperto.




“Grande Scott! È Daniel, dannazione!”, pensò Remington. “Voglia il Cielo che non sia stato ucciso altrimenti quell'infame di Sly maledirà il giorno in cui è nato!” Ma proprio quando Remington stava per schizzar fuori dal suo nascondiglio, Daniel gemette. Il fido boscaiolo, che aveva la pelle dura come quella di un orso, respirava ancora, qualunque cosa gli fosse successa!
Sly sembrò non far caso al lamento di Daniel e, come se non pesasse niente, si caricò in spalla l’omaccione e si incamminò verso il magazzino, tallonato a debita distanza da Remington. Arrivato nel capanno, che fungeva da deposito attrezzi e da segheria, Sly si liberò bruscamente del suo fardello umano. Daniel, scosso dalla botta, cominciò a riaversi. Ma Sly non perse tempo: estrasse da un panno una fialetta di vetro piena di liquido rosso e la versò nella bocca di Daniel. Il boscaiolo tossì e sputacchiò un po’ di quell'intruglio… e in un attimo si accasciò di nuovo, inanimato.
“Quella robaccia dev'essere un potentissimo sonnifero”, commentò Remington fra sé e sé. “Il povero Daniel è tornato nel mondo dei sogni nel giro di un secondo!”
Assicuratosi che la vittima avesse perso del tutto i sensi, Sly sollevò Daniel per infilarlo in un lungo tronco cavo.
“Sarà con questo che arriverai a destinazione, caro Daniel! E poi… ah ah ah!” La diabolica risata rimbombò nella segheria.
Quando il caposquadra si allontanò per un attimo dal fusto, Remington non perse tempo e si infilò dentro anche lui. Per un pelo! Sly tornò dopo un minuto portando due pesantissime e nodose sezioni circolari di tronco. Con pochi, rapidi ed esperti gesti, il vile caposquadra inchiodò ai due estremi dell'albero - a mo' di tappi – i dischi di legno: nessuno, a prima vista, avrebbe mai detto che si trattava di un tronco cavo e che al suo interno c’erano due uomini!
Con un coltellaccio Sly liberò un settore del fusto dalla corteccia e, preso un ferro appuntito, incise sul bianco del legno una "X" e la località d'arrivo, "Wendover / Fort King George". Poi non ci fu altro che silenzio e Remington si rassegnò a dover passare un bel po' di ore in quella scomoda posizione.






7. Uno scomodo viaggio

La mattina dopo il tronco cavo con Remington e Daniel ben nascosti al suo interno venne issato su un carro insieme ad altri ceppi: grazie ad alcune fessure e nodi saltati Remington riusciva a intravedere qualcosa di quello che stava succedendo all'esterno. E vide anche i suoi colleghi taglialegna. Dovette combattere contro la forte tentazione di gridare per avvertirli, ma per risolvere il mistero delle persone scomparse occorreva andare fino in fondo! Dopo un breve tragitto (il Comandante calcolò che non potevano essere passate più di tre ore), il carico venne depositato presso un magazzino di smistamento a Wendover, in un territorio ancora sotto il totale controllo della Corona britannica. Nemmeno le scosse e gli sballottamenti del viaggio, che ammaccarono dolorosamente Remington, bastarono a svegliare Buster, ancora sotto gli effetti della potente pozione soporifera.
I fusti sui quali era stata incisa la destinazione di Fort King George vennero messi su un carro più piccolo. Ascoltando con attenzione attraverso le crepe del legno, un Remington con la schiena e gli arti sempre più a pezzi venne così a sapere che a venti miglia da Wendover le Giubbe Rosse stavano costruendo un nuovo fortino e avevano bisogno di parecchio legname. Il carro arrivò a destinazione in tarda serata.


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8. Alla locanda dell’Oca Nera

Intanto a Timberton era giunta la fine di un'altra dura e triste giornata di lavoro. Sly si era insospettito: "Simon Sonner" non si era presentato al lavoro e nessuno sapeva che fine avesse fatto! Cornell era al corrente che "Sonner" alloggiava all’Oca Nera, nella stanza sul retro, e non esitò nottetempo a intrufolarsi furtivamente nella camera di quello che per lui era solo un presuntuoso e insopportabile novellino. Ma nella sua posizione Sly non poteva permettersi il minimo errore. “Altrimenti”, pensò, “il piano finirebbe in men che non si dica a gambe all’aria!”
Una rapida perquisizione della camera permise a Sly di mettere le mani sulla lettera che l’oste della locanda aveva inviato a Remington.
“Per l’inferno!”, esclamò un furibondo Cornell. “Sonner è venuto qua per ficcare il naso nei nostri affari! Mi chiedo chi diavolo possa essere quel maledetto… certo non un taglialegna, anche se ha la forza di un bue… Sicuramente è una spia dei dannati ribelli!”
Sly non aveva la certezza di dove fosse andato a cacciarsi "Sonner", ma decise comunque che all’alba sarebbe partito per Fort King George, galoppando ventre a terra. Il pericolo era troppo grande. Per un giorno i boscaioli di Timberton avrebbero fatto a meno del loro caposquadra.




9. Mostri!

Non sentendo più nessuna voce e non sbirciando più alcun movimento da qualche minuto Remington decise di uscire da quella galera cilindrica e sferrò un doppio calcio al tappo di legno più vicino ai suoi piedi facendolo saltar via. Scivolato fuori, dopo un momento dedicato a sciogliere le articolazioni torturate da tante ore di prigionia, si accorse di essere in un magazzino non dissimile da quello dei boschi di Timberton. Mentre il Comandate stava per togliere da quella scomodissima situazione anche il povero Daniel, una porta si aprì ed entrarono due figure con un lume. Remington fece appena in tempo a nascondersi dietro una fascina di rami tagliati.
I due individui – che erano vestiti da capo a piedi con una divisa fatta della stessa stoffa che Remington aveva trovato dove era scomparso Frank - avvicinatisi ai tronchi, si accorsero subito che uno dei tappi era caduto ma si rassicurarono quando scoprirono che il rapito era ancora dentro. Da un altro albero segnato con una "X" tirarono fuori proprio lo sfortunato Frank, ormai cadavere. Dai commenti dei due loschi figuri Remington capì che il disgraziato taglialegna era morto perché gli era stata fatta trangugiare una dose troppo forte di sonnifero: era stato rapito il giorno prima di Daniel e perciò doveva dormire più a lungo, ma i rapitori avevano fatto male i loro calcoli e quell'intruglio, fattogli ingurgitare in quantità eccessiva aveva agito come un veleno. Frank era passato direttamente dal sonno alla morte! Remington, pensando alle malefatte di quegli assassini, rischiò di esplodere dalla rabbia.



I due, seguiti da Remington come un’ombra implacabile, portarono Daniel in un sotterraneo. Ad attenderli c'era un uomo piuttosto anziano, che vestiva un camice e che  venne salutato come Dottor Nathaniel Broomingham. Remington si ricordò subito di quel tristo personaggio: era un medico inquadrato nell'esercito di Re Giorgio ed era nientemeno che il fratello maggiore del Capitano Oswald Earl Broomingham, che tante legnate aveva beccato dagli abitanti di Timberton; circolava la voce che il dottore avesse combinato qualcosa di orrendo con una tribù d'indiani; i pellerossa, sconvolti dall'ira, avevano assalito e bruciato il forte dove Broomingham esercitava. Numerose Giubbe Rosse erano morte e la tribù era stata in seguito sterminata, seppur a caro prezzo e con gran spreco di giovane sangue d'Inghilterra. Tutto era stato messo a tacere con l’espulsione di Nathaniel dai ranghi militari.
Daniel, che cominciava a riprendersi dagli effetti della potente mistura rossa, venne velocemente adagiato su un tavolaccio di legno e legato strettamente polsi e caviglie con spessi lacci di cuoio.

“Bene, bene, bene!”, disse Il Dottor Broomingham fregandosi le mani. “Il soggetto è ben forte, come tutti i patriottici boscaioli di Timberton del resto, e reagirà ottimamente all'ultima versione del mio siero modificatore!”.
Poco dopo il medico e i suoi sgherri se ne andarono col proposito di riprendere le loro macchinazioni la mattina seguente. Il portone del laboratorio, pesantissimo e semi-blindato, venne chiuso con molte mandate di chiave.
Remington era rimasto chiuso dentro, celato nel suo nascondiglio di fortuna.
“Forza Daniel! Non c’è un momento un da perdere! Ho una gran paura che questi pazzi stiano per combinare qualcosa davanti al quale lo stesso Belzebù fuggirebbe a zoccoli levati!” E così dicendo Remington si apprestò a slegare l’amico taglialegna, che ormai si era ripreso del tutto dagli effetti della mistura rossa. I due iniziarono a elaborare un piano per evadere da quel luogo e si misero a cercare qualcosa per forzare il portone.
“Vorrei dirti una cosa, amico mio… e questo mi sembra il momento giusto, perché credo che ormai siamo vicini alla soluzione del caso”, disse Remington, mentre frugava dietro un sacco di trucioli di tronco. “Il mio vero nome non è Simon Sonner. Mi chiamo Remington e qualcuno ha voluto affibbiarmi il titolo di Comandante…”



“Per tutti gli aceri del Canada!”, esclamò allibito Daniel. “Il Comandante Remington dei Falchi dell’Ontario! Non mi dirai che il più grande Patriota d’America ha deciso di cambiar mestiere? Non vorrai per caso metterti a spaccar legna invece che teste inglesi?”
“Niente di tutto questo”, fece Remington accennando un sorriso, che gli sfuggì nonostante la drammaticità della situazione. “Sono venuto a Timberton per indagare sulle sparizioni dei tuoi colleghi… e come al solito c’è lo zampino dei sudditi in divisa di Re Giorgio!”
Nel laboratorio Remington e Daniel non riuscirono a trovare nulla di adatto per forzare il portone – un piede di porco, una mazza di ferro… Dentro a un pesante armadio in massello i due scovarono numerosi alambicchi usati per distillare strani liquidi. E all’interno del mobile, dal quale filtrava una sottilissima lama di luce, un pannello scorrevole si aprì su un nuovo ambiente, angusto e fiocamente rischiarato da una torcia alloggiata in un supporto metallico del muro. A Remington sembrò di scorgere a poca distanza qualcosa che si muoveva, emettendo un rumore strascicato.
“Grande Scott! Se questo non è l’Inferno poco ci manca!”, esclamò il Comandante. “Vediamo di fare più luce”!
Quando Daniel trovò e accese una seconda torcia l’orrore più nero si rivelò agli occhi dei due in tutta la sua tragedia: lungo una parete erano allineate tre strette gabbie formate da massicce sbarre di ferro incrociate e in ognuna di quelle celle c'era un mostro tremendo, dall'aspetto deforme e vagamente umano. Nei tratti di una di queste tristi creature Daniel credette di scorgere Josh, uno dei primi boscaioli rapiti. Infastiditi dalla luce i tremendi esseri, chiaramente sofferenti, cominciarono a ululare e a emettere lamenti sempre più forti.

Insospettiti dai versi delle creature il Dottor Broomingham e alcuni dei suoi più fedeli sgherri scesero di corsa a due scalini alla volta nel sotterraneo dove si trovava il laboratorio vero e proprio e l’anticamera con il tavolaccio di costrizione. Remington e Daniel furono sorpresi inermi e allo scoperto.
“Prendete quei due”, ordinò il bieco Dottor Broomingham ai suoi tirapiedi, armati fino ai denti con pistole e sciabole.
“Dannati Inglesi! Questi poveri esseri ingabbiati… un tempo erano i miei amici boscaioli, vero?”, intervenne Daniel. “Ma perché, in nome di Dio?”
La domanda del taglialegna rimase inevasa: Remington e Daniel vennero afferrati sotto la minaccia della polvere da sparo e legati come salami. In quel preciso istante il Comandante si pentì di aver lasciato Fort Maple disarmato, avendo pensato che, per dare un aspetto più innocuo al personaggio di "Simon Sonner", era meglio non portare pistole infilate nel cinturone.






10. La storia del Dottor Broomingham

“Mi hai chiesto perché, stupido boscaiolo?”, urlò in faccia a Daniel il perfido Broomingham. “Beh, visto che tra poche ore il tuo unico scopo di vita e interesse sarà quello di combattere per l’Impero Britannico ai miei ordini, non vedo come mai non dovrei soddisfare questa ultima tua curiosità di spregevole rivoltoso… Quand'ero dottore dell'esercito, grazie alla mia laurea in scienze mediche e chimiche ottenuta nell’immortale ateneo di Oxford, avevo deciso – senza avvertire i miei ottusi superiori – di condurre certi esperimenti su alcuni di quei primitivi selvaggi che infestano le nostre Colonie Americane. Con un siero di mia invenzione miravo a trasformare un essere umano in un super-soldato, rispettoso della disciplina militare, invincibile in guerra, resistente alle ferite di arma da fuoco e da taglio e capace di braccare il nemico per giorni interi in qualsiasi luogo, senza mai fermarsi per mangiare o dormire."

“Follia pura!”, esclamò Remington, rimediando un pesante sganassone sferrato da uno dei guardaspalle dello scienziato pazzo.
“Spero che non ci siano più interruzioni da parte… del Comandante Remington!”, riprese il Dottor Broomingham, sorprendendo i due amici. “Già! Credevi che non ti avessi conosciuto, arrogante Falco dell’Ontario? Mio fratello Oswald mi ha descritto in così tante occasioni il tuo aspetto e le tue bravate che il tuo ritratto mi si è scolpito in testa come un volto nel marmo!”
“Sapere chi sono, non ti salverà, dannato cervello bacato”, rispose Remington, buscandosi un altro ceffone.
Ma il dottore, sopprimendo la furia, stavolta finse di ignorarlo e continuò la sua storia: “Ero sicuro che una volta ottenuto un buon risultato i miei meriti sarebbero stati riconosciuti dalle alte gerarchie militari e aristocratiche, e che non avrei più dovuto lavorare di nascosto. Ma poi scoppiò… l’incidente con la tribù di Corvo Tonante… alcuni giovani pellerossa si intrufolarono nel mio laboratorio segreto, che era celato nel forte dove esercitavo come ufficiale medico, e scoprirono alcuni loro compagni in fase avanzata di trasformazione. Quei selvaggi, mossi da pietà, uccisero le mie preziose cavie per non farle più soffrire e diedero fuoco a tutto. Fui espulso… e solo un insperato aiuto del Destino mi permise di scampare la forca… Non esistevano prove materiali di quelle che potevano essere colpe gravi agli occhi di una corte marziale in quanto l’incendio appiccato dagli Indiani, alimentato dai prodotti chimici, aveva incenerito tutto. E inoltre era interesse dell'esercito mettere tutto a tacere. I Coloni, all’epoca, non erano scalmanati come adesso e gli alti gradi preferirono non far trapelare notizie che potessero creare – dissero – degli scontenti. Fu data la colpa dell’incendio agli Indiani e la tribù di Corvo Tonante fu sterminata.
Tornai in Inghilterra a riprendere i miei studi… Poi, inaspettatamente, mio fratello mi mandò a chiamare, dicendomi che i tempi erano cambiati e che l’esercito non avrebbe più ostacolato – ma anzi agevolato – i miei esperimenti, al fine di poter soffocare una volta per tutte la scandalosa ribellione contro la Corona! Oswald mi suggerì di usare Timberton come allevamento di cavie… servendomi di Sly Cornell come contatto, un brutto ceffo, capace di uccidere sua madre per un pugno di monete, ma utilissimo per la Corona! Timberton, un paese infestato come pochi dai sedicenti patrioti! Gente rude e forte, adattissima a far parte del futuro super-esercito di speciali Giubbe Rosse! I primi boscaioli rapiti hanno avuto la loro dose sul posto – un siero ancora instabile che ha trasformato solo in parte quegli uomini. Ci sono sfuggiti e ancora adesso staranno vagando dalle parti di Timberton, innocui e completamente senza cervello, incapaci di ricordarsi chi siano. Forse un giorno daranno vita a leggende di strani esseri dei boschi… Ma adesso sono molto vicino al risultato finale, e sarete proprio voi due ficcanaso a provare gli effetti della definitiva versione del mio straordinario siero!”

Concludendo il suo discorso con un diabolico e prolungato cachinno, Broomingham spense le torce e se ne andò con i suoi sgherri, lasciando Remington e Daniel impotenti e soli con i loro pensieri.



11. Sly Cornell

All’alba il perfido Sly lasciò Timberton e si lanciò al galoppo verso Fort King George, contando di arrivarvi in mattinata ed è proprio quando il caposquadra dei taglialegna – traditore dei suoi stessi colleghi – giunse a destinazione che il Dottor Broomingham, accompagnato da due guardie del corpo, scese di nuovo nel suo tetro laboratorio.
Il folle scienziato estrasse lentamente da un rigido astuccio di pelle foderato di velluto rosso una siringa piena di siero.
“Come ha potuto un uomo così colto commettere simili crimini?”, chiede il Comandante Remington, “mettendosi oltretutto in combutta con un tipo losco come Sly, vero avanzo di patibolo?”
“In nome della Scienza tutto è permesso”, ribatte Broomingham. “Quanto a quell’idiota di Sly… egli è solo una pedina sacrificabile: lo farò massacrare da uno dei miei super-soldati al termine delle ricerche… in questo modo proverò la forza reale delle mie creature e non dovrò dividere la gloria con nessuno! Ah ah ah!”
Sly, che aveva sentito tutto dall’anticamera, irruppe nel laboratorio sparando come una furia e lanciando terribili invettive contro Broomingham. I due tirapiedi del dottore caddero subito sotto i colpi di Sly, mentre lo scienziato correva verso i suoi mostri. Tirando una leva aprì le gabbie e le creature si precipitarono fuori, urlando come dannati e puntando rapide e aggressive verso Sly. L’orrore disumano che una volta era stato Josh si diresse invece verso Daniel e Remington.

“Da… niel!”, disse a fatica il tragico essere con voce incerta.
“Amico mio!”, fece Daniel. “Allora… quella maledetta poltiglia non ce l'ha fatta ad annullare del tutto i tuoi ricordi!”
Sly era intanto riuscito a mettere le mani sulle armi dei due guardiani che aveva freddato qualche istante prima. Tre preziose pistole ancora cariche e una sciabola! Anche i due mostri che lo minacciavano furibondi caddero sotto il piombo di Cornell. Rimaneva un solo proiettile e con quello Sly centrò il Dottor Broomingham in pieno petto. Lo scienziato stramazzò a terra.
Daniel, dopo numerosi tentativi, perché era quasi come dialogare con una belva, fece capire a Josh che doveva sciogliere i legacci che lo imprigionavano, e una volta liberato il boscaiolo si alzò e slegò Remington. I due fecero appena a tempo a gettarsi al riparo che Sly, con una fumante torcia in mano, cominciò ad appiccare il fuoco al laboratorio. Poi, con la spada, trafisse mortalmente il povero Josh, trapassandogli un polmone.
“Ah! Questi straordinari e tanto decantati super-soldati del Dottor Broomingham!”, ironizzò Sly. “Non erano poi tanto super, visto che cadono come mosche al primo colpo! Ah ah ah!”




12. Broomingham si trasforma

Il Dottor Broomingham, ormai morente, sentì come in un incubo le sprezzanti risate di Sly riguardo ai suoi esperimenti, al lavoro di una vita. Con le ultime forze, animato da uno spirito di rivalsa, si iniettò nel braccio sinistro il siero con la siringa che non aveva mai smesso di stringere nel pugno. Con immenso dolore lo scienziato cominciò a trasformarsi; gli arti e il petto gli si coprirono di peli e i muscoli gli stracciarono i vestiti e il camice; la grave ferita al petto che gli aveva procurato l'infame caposquadra gli guarì come per incanto.
Mentre il fuoco stava divampando Sly – ignaro di quello che lo aspettava - si mise a cercare Remington e Daniel. Un momento prima di scovarli il Dottor Broomingham gli fu alle spalle, trasformato in una specie di gigantesco fenomeno, che aveva qualcosa dell'orso, del lupo e dell'uomo... Un blasfemo e disumano incrocio! Un essere che sembrava uscito dalle più antiche leggende indiane e dai racconti del focolare più orrorifici. Quello che un tempo era stato il Dottor Broomingham artigliò un terrorizzato Sly e con un'unica mossa lo strappò in due all'altezza del bacino.
Remington e Daniel guadagnarono la fuga attraverso il pannello nascosto nell’armadio e si chiusero dietro il pesante portone dell’anticamera.
Mentre i due stavano salendo le scale a tre gradini alla volta il mostro iniziò a sfondare a mani nude il legno rinforzato dal ferro: quel cervello regredito a uno stadio primordiale conservava nei suoi meandri la parte più feroce della mente di Broomingham, ed era deciso a trovarli, anche a costo di battere palmo a palmo l’intero Nuovo Continente.
Remington e Daniel schizzarono fuori dal lugubre sotterraneo e si allontanarono di soppiatto dal forte in costruzione, protetti dall’incendio che si stava rapidamente sviluppando. Fra gli uomini del Dottor Broomingham regnava il panico.




13. L'ultima battaglia di Broomingham

Il rombo delle acque tumultuose del Rebel’s Creek riportò Remington al presente.
“Ora ricordo!”, pensò il Comandate guardando dai piedi di una ripida scarpata pietrosa che saliva dalla riva del torrente. “Fuggendo da Fort King George ci eravamo presto accorti che, scartato il covo inglese di Wendover, il nostro Fort Maple era più vicino di Timberton, tagliando per la foresta. Tempo dopo, quando da ore eravamo già nel folto della boscaglia, abbiamo sentito il mostro ululare da lontano i nostri nomi! Abbiamo accelerato l’andatura e poi siamo precipitati da lassù… Dev’essere stato un bel ruzzolone e battendo la testa in quelle pietre siamo partiti per il mondo dei sogni!”
Remington svegliò Daniel, dicendogli che occorreva continuare la marcia mentre lo stordito boscaiolo si riprendeva. Non mancava molto a Fort Maple!
Passarono le ore e quando il Quartier generale era già a portata di mano, alla fine di un sentiero battuto mille volte dai Falchi dell’Ontario, dall'alto di una roccia arrivò stentorea una voce cavernosa.
“Congratulazioni, Comandante Remington! Eri quasi riuscito a metterti in salvo con il tuo protetto! Ma non avevi fatto i conti con i miei nuovi sensi, sviluppati come quelli del falco e del lupo!”
I due alzarono la testa sconcertati e scoprirono che era stato il Dottor Broomingham a parlare, imponente nel suo nuovo, spaventoso aspetto. Con un poderoso balzo l’essere piombò giù, bloccando ai due il sentiero che portava alla salvezza. Daniel, che ormai pensava di essere al sicuro, impazzì dalla rabbia e si scagliò contro il mostro. La creatura gli afferrò fulmineo la gola con mano ferina e lo tenne sospeso mezzo metro da terra, ridendo come un ossesso. Poi, quando il boscaiolo esalò l'ultimo respiro, Broomingham ne scagliò via il corpo. Il mostro si voltò allora verso Remington, ma il Comandante era sparito.





“Per Daniel e per l’America, dannato demone dell’Inferno!”
Le terribili parole gridate a squarciagola fecero trasalire la titanica creatura: Remington, stringendo fra le mani una pietra acuminata gli si era lanciato addosso dalla stessa roccia sulla quale Broomingham era apparso ai due amici in fuga. Grazie al peso del proprio corpo Remington colpì a fondo il mostro, spaccandogli la testa. Un grido disumano risuonò nella foresta. 
A Fort Maple il cane Black ululò e abbaiò e i suoi guaiti non sembravano smettere mai.

FINE


Personaggi principali

Il Comandante Remington, che agisce sotto le mentite spoglie di Simon Sonner
Pat “Big Bear” Remick, l’oste dell’Oca Nera
Daniel Buster, un boscaiolo che viene rapito
Sly Cornell, caposquadra dei boscaioli e "contatto" dei rapitori
Il Dottor Nathaniel Broomingham, lo scienziato folle creatore dei mostri, fratello del capitano delle Giubbe Rosse Oswald Earl, al servizio di Re Giorgio


Francesco Manetti

N.B. Trovate i link alle altre incursioni non bonelliane in Cronologie & Index!

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