domenica 21 agosto 2022

VITA E OPERE DI HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT - NONA PARTE (1926)

di Sergio Climinti


Cthulhu nell'interpretazione dell'illustratore digitale Jorge Jacinto (2017)


1926


Marzo. Lovecraft trova un piccolo lavoro grazie al suo amico Samuel Loveman - come lui stesso riporta in questa lettera indirizzata alla zia Lillian, datata 4 marzo - ma, ormai stanco di New York, si appresta a tornare definitivamente nella sua città natale.

Cara zia Lillian, questo è una specie di addio al mondo per un periodo di alcune settimane, a seguito di una modesta ma concreta e ben accetta prospettiva di lavoro pagato. Sembra che la ditta di Loveman abbia bisogno dei servigi temporanei di un compilatore di indirizzi per spedire certi cataloghi; e poiché ho già fatto un lavoro simile con i cataloghi di Kirk, mostrandomi rapido ed efficiente, sono deciso a tentare anche quest’impresa. Sarà un impegno piuttosto limitante, visto che dovrò andare in ditta ogni giorno e fare orario completo a partire dalle nove, ma non mi affaticherò mentalmente: si tratterà di applicarsi in modo puramente meccanico e le mie facoltà rimarranno libere di dedicarsi a eventuali lavori creativi. Bisogna spedire circa 10.000 cataloghi, sicché il lavoro potrebbe durare parecchie settimane a diciassette dollari e cinquanta la settimana (stime di Loveman). Il fatto mi servirà come scusa per sospendere la maggior parte della corrispondenza, perché se sarò costretto a sacrificare molte ore del giorno nel modo che ti ho detto, voglio che il resto sia a mia completa disposizione, per leggere e scrivere cose mie. […]”


Copertina regolare del n. 1 della serie a fumetti 'Providence', a opera di Jacen Burrows (Maggio 2015)


ARIA FREDDA

(COOL AIR, marzo)


Volete che vi spieghi perché ho paura di un soffio d’aria fredda; perché mi senta più a disagio degli altri quando entro in una stanza gelida, e provi nausea, o addirittura ribrezzo, se il fresco della sera s’insinua nel tepore di un mite giorno d’autunno. C’è chi sostiene che la mia reazione al freddo è paragonabile a quella di altri ai cattivi odori, e non sarò io a negarlo. Però voglio raccontarvi l’avvenimento più spaventoso che mi sia mai capitato, lascerò poi voi giudicare se ciò che ho vissuto possa costituire una spiegazione a questa mia peculiarità.

È sbagliato immaginare che l’orrore si manifesti inevitabilmente al buio, nel silenzio o in solitudine. Io l’ho provato nello splendore del pomeriggio, tra i suoni assordanti di una metropoli e nell’affollatissimo ambiente di una modesta pensione, con al mio fianco una prosaica padrona di casa e due uomini robusti.

Nella primavera del 1923 avevo trovato un lavoro noioso e poco redditizio per alcune riviste che si pubblicavano a New York, e poiché non potevo pagare un affitto proporzionato cominciai ad andare alla deriva da una pensione a buon mercato all’altra. Cercavo una stanza che offrisse, tutte insieme, virtù di pulizia, mobilia integra e un prezzo ragionevole. Ben presto fu chiaro che dovevo scegliere il minore fra una serie di mali, ma dopo qualche tempo trovai una casa nella Quattordicesima Strada Ovest che mi aveva disgustato meno di altre.”


Tavola di apertura della riduzione a fumetti a opera di Berni Wrightson pubblicata su 'Eerie' (Gennaio 1975)


L’edificio in cui il protagonista trova una sistemazione è fatto di arenaria, ha quattro piani e risale alla metà dell’ottocento. Le opere in legno e marmo presenti all’interno testimoniano un passato di splendore definitivamente tramontato. La padrona di casa è una grassa spagnola barbuta di nome Herrera, mentre gli altri pensionanti, la maggior parte dei quali conterranei della donna, sono per lo più tranquilli e taciturni.

In breve, mi sembrò un posto sopportabile in cui ibernarsi prima di tornare a vivere sul serio.”

Eppure, dopo appena tre settimane, una sera si verifica uno sgradevole episodio. Sul soffitto appare una chiazza umida e gocciolante, anticipata nei giorni precedenti da un curioso odore di ammoniaca. Viene interpellata la padrona, la quale spiega al nuovo pensionante che nell’appartamento abita un certo dottor Muñoz, personalità un tempo eminente che, ammalato da tempo, usa curarsi autonomamente perché non vuole medici tra i piedi e talvolta rovescia prodotti chimici sul pavimento. Deve essere una strana malattia, poiché la maggior parte del tempo la trascorre nella vasca da bagno, immerso in un liquido dallo strano odore, ma che non pare sortisca effetti benefici. Ha inoltre una serie di macchinari e bottiglie e non si allontana mai dalla stanza, se non per andare sul tetto, dove Esteban, il figlio della padrona, gli porta cibo, biancheria, medicine e strani prodotti chimici, tra cui una grande quantità di ammoniaca, evidentemente per tenere la stanza al fresco.

La signora Herrero sparì in cima alla scala che portava al quarto piano e io tornai nella mia stanza. L’ammoniaca non gocciolava più, e mentre pulivo quella che era caduta sul pavimento e aprivo la finestra per arieggiare, sentii i passi pesanti della padrona nella camera di sopra. Il dottore non l’avevo mai sentito muoversi: doveva avere un passo tranquillo e felpato, e l’unico rumore che a volte mi giungeva era quello di un motore a benzina, o qualcosa di simile. Per un attimo mi chiesi di quale strana malattia soffrisse, e se il rifiuto ostinato di un aiuto esterno non fosse dovuto a un carattere particolarmente eccentrico; del resto, per quanto banale sia l’osservazione, c’è sempre una grande tristezza pensare a qualcuno un tempo famoso e poi caduto così in basso.”


"Tales of Magic and Mystery" del marzo 1928, rivista "pulp" dove venne pubblicato per la prima volta il racconto

Variant Cover serie 'Portrait', sempre di Jacen Burrows (Maggio 2015)


Probabilmente il protagonista non incontrerebbe mai l’inquilino del piano di sopra, se non fosse per un attacco di angina dal quale viene colpito. Decide infatti di bussare alla porta del dottor Muñoz, sperando che possa aiutarlo. Non appena il dottore apre la porta del suo appartamento, una corrente d’aria fredda investe lo scrittore, nonostante sia una calda giornata di giugno.

La sagoma che mi trovai davanti era quella di un individuo basso ma ben proporzionato, vestito con abiti impeccabili di ottimo taglio. Il volto aristocratico aveva un’espressione sicura ma non arrogante ed era ornato da una corta barba grigia, mentre un pince-nez un po’ antiquato proteggeva i grandi occhi scuri e stava a cavallo d’un naso aquilino che conferiva un tocco moresco a una fisionomia che per il resto era celto-iberica. I capelli folti e tagliati con cura da un barbiere esperto erano divisi sulla fronte ampia, e il quadro complessivo era di straordinaria intelligenza, cultura e raffinata educazione.

Nondimeno, alla vista del dottor Muñoz, in quella folata d’aria fredda provai una ripugnanza che nulla nel suo aspetto poteva giustificare. Il colore livido della carnagione e la freddezza del tocco avrebbero potuto costituire la base fisica di questa sensazione, ma erano comprensibili in un invalido come lui. Forse fu il freddo a respingermi, perché in una giornata così torrida era anormale sentirsi rabbrividire, e le anomalie suscitano sempre avversione, sfiducia e paura.

Ma la ripugnanza cedette il posto all’ammirazione, perché subito divenne chiaro che lo strano dottore era bravissimo e che in nulla lo ostacolavano le mani ghiacciate, fragili e a quanto pareva esangui. Capì il mio problema con un’occhiata e si impegnò con la competenza di un maestro a risolverlo. Nel frattempo mi rassicurò con voce fine, anche se un po’ cava e senza timbro, di essere un nemico giurato della morte e di aver devoluto una fortuna, rinunciando a tutti gli amici, per dedicarsi esclusivamente agli straordinari esperimenti che dovevano condurre alla sua definitiva sconfitta e abolizione.


Illustrazione di Harry Ferman per la ristampa del racconto sul numero di Weird Tales del Settembre 1939


C’era in lui qualcosa del fanatico, ma in senso benevolo, e divenne loquace mentre mi auscultava il petto e preparava i medicinali necessari con i prodotti presi nel laboratorio. Evidentemente gli faceva piacere constatare che in un ambiente squallido come il nostro si potesse avere la compagnia di un uomo di buona famiglia, e quando i ricordi dei giorni migliori presero il sopravvento mi raccontò la sua storia.”

Dopo questo primo incontro, lo scrittore torna più volte a visitare il dottore per continuare a farsi curare, ma anche per ascoltare con interesse il racconto delle sue ricerche.

Quando esaminavo i volumi antichi e straordinari che ricoprivano gli scaffali, tremavo: ma devo aggiungere che grazie alle attenzioni di quel genio recluso fui definitivamente curato del mio male. A quanto pare Muñoz non rideva dei rimedi magici medievali, ma credeva che le formule mistiche contenessero rari segreti di stimolazione psicologica che, come tali, agivano sul sistema nervoso anche dopo la cessazione delle funzioni vitali. Fui impressionato dal racconto di quel che aveva fatto un certo dottor Torres di Valencia, il quale aveva condiviso i primi esperimenti di Muñoz e lo aveva aiutato a superare la grave malattia di diciotto anni prima, la stessa da cui dipendevano i disturbi attuali. Il venerabile collega lo aveva sottratto alle grinfie della morte, ma purtroppo aveva dovuto soccombere alla stessa malattia dell’amico, forse perché la grandezza dell’impresa lo aveva sfinito. Questo perché - Muñoz chiarì a bassa voce - il metodo usato per salvarlo aveva dello straordinario, e richiedeva attività e sistemi non ammessi fra i discepoli più conservatori di Galeno.”

Lo scrittore si ferma sempre più spesso e volentieri dal dottore, aiutandolo perfino in alcuni lavori domestici, ma sempre munito di cappotto, perché la temperatura dell’appartamento è rigorosamente mantenuta tra i 4 e i 6 gradi centigradi, grazie a un sistema di raffreddamento dell’ammoniaca reso possibile da un motore a benzina.


Il dottor Muñoz visto da Ricardo Garijo (2019)

Purtroppo però, col passare delle settimane, la sua salute comincia a peggiorare: il colorito livido aumenta, la voce si fa più rauca e indistinta, i movimenti sono scoordinati e la sua volontà si affievolisce.

Muñoz fa fronte a questo cambiamento facendo alcune modifiche all’apparecchio refrigerante per poter aumentare la quantità di aria fredda, portando la temperatura a zero gradi. Contemporaneamente, però, è come posseduto da un sentimento morboso e stravagante: parla continuamente della morte.

Intorno all’appartamento cresceva un’atmosfera di panico inspiegabile. Come ho detto, in casa aleggiava un sentore di umidità, ma nelle stanze di Muñoz l’odore era peggiore, e questo nonostante gli aromi, l’incenso e i prodotti chimici che servivano ai bagni in cui il dottore insisteva per immergersi da solo. Pensai che la sua riservatezza fosse dovuta alle malattie di cui soffriva, e con un brivido mi chiesi di cosa potesse trattarsi. La signora Herrera si faceva il segno della croce quando lo vedeva e me lo affidò senza riserve; ormai non permetteva nemmeno a suo figlio Esteban di fare commissioni per lui. Ogni volta che proponevo di chiamare altri medici, il malato cadeva in preda a crisi di rabbia che si sforzava di contenere solo per timore degli effetti fisici di queste violente emozioni. Le sue forze e la sua volontà sembravano sul punto di estinguersi, piuttosto che declinare ma rifiutava di essere confinato a letto. La stanchezza dei primi giorni di malattia fece posto a un ritorno del suo fiero proposito, quello di sconfiggere la morte nel momento stesso in cui lo teneva in pugno. Aveva virtualmente abbandonato la pretesa di mangiare, che per lui era stata quasi sempre una formalità, e solo il potere della mente gli impediva di andare in pezzi.”


Copertina del numero di Weird Tales dove venne ristampato il racconto (Settembre 1939)

Locandina di una riduzione cinematografica del regista Bryan Moore (1999)


L’aspetto del dottore peggiora notevolmente. A settembre, quando un operaio viene chiamato per riparare una lampada dell’appartamento, viene colto da una crisi epilettica non appena lo scorge involontariamente. È lo stesso dottore a dare le istruzioni affinché venga rianimato.

Ma il culmine dell’orrore avviene intorno alla metà di ottobre. Una sera, verso le undici, il dottore chiama il suo amico battendo sul pavimento. La pompa della macchina refrigerante ha smesso di funzionare. Lo scrittore prova a ripararla, ma senza risultato. Allora quest’ultimo chiama un’officina che lavora anche di notte, ma gli viene detto che fino al mattino dopo non si può fare niente, perché bisogna procurarsi un nuovo pistone. Il freddo nell’appartamento diminuisce, così, alle cinque del mattino, il dottore si ritira in bagno e si infila nella vasca, ordinando al suo amico di procurargli più ghiaccio possibile. Lo scrittore fa diversi viaggi in cui lascia secchi colmi di ghiaccio davanti alla porta del bagno, col dottore che ogni volta gli domanda di averne ancora, sempre di più.

Quando il sole si alza, incarica uno sfaccendato che trova per la strada di continuare a portare ghiaccio all’appartamento, mentre lui si occupa di procurarsi il pistone di ricambio. Riesce a trovare il pezzo solo a mezzogiorno, e all’una e mezza si presenta in albergo con due validi e robusti operai.


Variant Cover serie 'Women of HPL', firmata Jacen Burrows (Maggio 2015)


FINALE: Non appena mette piede nella pensione la trova in subbuglio. Lo sfaccendato che aveva incaricato di portare il ghiaccio è fuggito urlando dopo la seconda consegna. Alcuni inquilini sono intenti a recitare il rosario. La porta è chiusa a chiave dall’interno e l’unico suono proveniente dall’appartamento è quello di un lento gocciolio. In poco tempo riescono ad aprire la porta dall’esterno, grazie a un pezzo di fil di ferro.

Tamponandosi il naso con dei fazzoletti, il piccolo gruppo entra nell’appartamento, reso ormai ardente dal sole del pomeriggio.

Una traccia umida, simile a fango, conduce dalla porta aperta del bagno, attraverso il corridoio, fino alla scrivania. Qui sopra trovano un biglietto scritto a matita, con la carta macchiata dello stesso fango trovato a terra. La macchia poi si dirige verso il divano, finendo in una chiazza indescrivibile.

Che cosa ci fosse sul divano, o meglio cosa ci fosse stato, non posso e non oso riferirlo. Questo mi domandavo, mentre la padrona di casa e i due operai fuggivano urlando per andare alla più vicina stazione di polizia, a raccontare la loro versione incoerente. Alla luce del sole le parole nauseanti che avevamo letto sembravano incredibili, e ancora più incredibili nel frastuono delle auto e dei camioncini a motore che saliva dalla Quattordicesima Strada: ma confesso che almeno sul momento non le misi in dubbio. Che io ci creda ora è un fatto che onestamente non so decidere. Ci sono cose su cui è meglio non speculare, e tutto quello che posso dire è che detesto l’odore dell’ammoniaca e mi sento male se c’è uno spiffero d’aria fredda.

«La fine» diceva l’orrendo messaggio «è ormai arrivata. Niente più ghiaccio… l’uomo ha guardato ed è fuggito. Ogni minuto fa più caldo, i tessuti non possono reggere. Lei ha capito, immagino… ciò che ho detto a proposito della volontà, dei nervi, del corpo ben conservato anche dopo che gli organi hanno smesso di funzionare. L’idea è buona, ma non può durare in eterno. C’è un deterioramento graduale che non ho saputo prevedere. Il dottor Torres aveva capito e lo shock l’ha ucciso. Non poteva sopportare ciò che stava per farmi, e cioè lasciarmi nel buio e nell’ignoto da cui potevo essere riportato indietro solo artificialmente. Perché gli organi non avrebbero funzionato più. Bisognava fare a modo mio, conservarmi grazie al freddo. Perché vede, diciotto anni fa io sono morto.»”


Tavola finale di Berni Wrightson ('Eerie' - Gennaio 1975)


Giuseppe Lippi scrive nella sua introduzione al racconto: Cool Air riflette un’autentica fobia di Lovecraft, quella per le basse temperature, e la volge in chiave macabra. Il dottor Muñoz è un uomo anziano: in HPL gli uomini anziani si rivelano a volte figure protettive e a volte fonte di orrore e c’è chi ha visto in questo atteggiamento ambivalente una traccia del suo conflitto con la figura paterna, forse di tutti il più sottovalutato trauma originario di Lovecraft. Degno di nota è anche il quadro che il narratore dà di sé nella città di New York, percepita a malapena come una fonte di rumore molesto oltre la finestra. Indubbiamente a New York Lovecraft non si sentiva vivere: di qui la trovata agghiacciante di questo piccolo racconto che fu scritto immediatamente dopo il ritorno dell’autore a Providence, ormai definitivamente conclusa l’esperienza matrimoniale.”

A onor del vero, la novella viene scritta durante il mese di marzo, mentre il ritorno di Lovecraft a Providence avviene il 17 aprile, ma sicuramente lo scrittore aveva già previsto di abbandonare la Grande Mela.

Il racconto apparve la prima volta sulla rivista Tales of Magic and Mystery, durata appena cinque mesi, dal dicembre del 1927 all’aprile 1928. Curata da Walter B. Gibson, pubblicava articoli e racconti sulla magia. Quello di Lovecraft comparve sul quarto numero, nel marzo del 1928. Gibson, che era sia un autore che un mago professionista, è noto soprattutto per aver dato vita, a partire dal 1931 e per i venti anni successivi, alla versione letteraria di The Shadow, un personaggio nato inizialmente per una serie radiofonica, appena un anno prima, per poi dilagare in quasi tutti i media, dal fumetto alla televisione, dal cinema ai videogiochi. A lui si devono ben 283 romanzi (su 336 totali) dedicati a questo protagonista della letteratura pulp dell’epoca.

Questo racconto ricorda molto “La verità sul caso di Mr. Valdemar” di E. A. Poe, scritto nel 1845, del quale potrebbe essere considerato una sorta di remake aggiornato ai suoi tempi, con macchinari e prodotti chimici in sostituzione del processo di mesmerizzazione. Lovecraft però dichiarò di essersi ispirato a “La polvere bianca” (1895), di Arthur Machen, racconto nel quale viene descritta la lenta e orribile decomposizione del protagonista.

L’edificio dove è ambientata la storia corrisponderebbe al civico n. 317 della 14° strada ovest. Qui abitava infatti uno degli amici newyorkesi di Lovecraft, George Kirk.


Copertina di uno dei tanti romanzi pulp dedicati all'Uomo Ombra (1932)

L'edificio ospita attualmente un albergo


Luoghi: New York, 14° strada ovest.

Personaggi: il protagonista, uno scrittore senza nome; il dottor Muñoz, inquilino che occupa l’appartamento sopra a quello del personaggio principale (deceduto); signora Herrero, proprietaria della pensione; dottor Torres di Valencia, ex collega di Muñoz (deceduto); Esteban Herrero, figlio della proprietaria.



17 aprile. Lovecraft torna a Providence e prende in affitto un monolocale con servizi e una piccola camera da letto in Barnes Street, al n. 10, nel quale abiterà fino al 1933. La zia materna Lillian D. Phillips, vedova Clark, affitterà un appartamento nello stesso edificio, occupandosi così anche delle sue esigenze.

In una lettera a lei indirizzata, datata 8 aprile, risponde così alla sua domanda se gli mancherà la metropoli: “[…] No, non credo che mi mancheranno le attività sociali di New York, fatta eccezione per i Long. E anche con il mio figliolo potrò discutere per posta, andrà bene lo stesso. Ciò che desidero soprattutto sono il riposo e l’oblio, o almeno la reclusione in mezzo ad antichi panorami che mi permetteranno di dimenticare il mondo moderno e reale per dedicarmi tranquillamente alla lettura, alla scrittura e ai miei pellegrinaggi in luoghi storici e remoti. Voglio sognare nell’atmosfera della mia infanzia: sedermi in Prospect Terrace con un vecchio quaderno o un taccuino, e la matita in mano…”


Una foto dell'edificio di Barnes Street 10, a Providence (2015)


Maggio. L’entusiasmo per il ritorno a Providence si evince anche da alcuni stralci di una lettera spedita a Frank Belknap Long, datata 1° maggio: “[…] Se sono contento? Ma signori miei, io sono a casa! Fin da quando ho imparato a camminare non faccio che percorrere in su e in giù questa collina coloniale: su di me ha sempre esercitato un gran fascino, anche se la mia nativa Angell Street si trova un po’ più a est, in una zona decisamente più moderna (epoca vittoriana). E nessuno venga a dirmi che Providence non è la più bella città del mondo! Ogni tratto, ogni suggestione lo proclama: lo è! Colori, sfumature, varietà, forme, antichi edifici, colpi d’occhio; c’è tutto; a meno di essere affetti da cecità estetica, nulla al mondo può impedire a un osservatore colto che ami il passato dell’America di riconoscere e affermare immediatamente questa superiorità. […] Mia zia, la signora Clark, probabilmente si trasferirà qui fra un mese, occupando una grande stanza soleggiata al piano di sopra; quanto a mia moglie, o verrà a stabilirsi qui per sempre o saltuariamente, secondo il lavoro che riuscirà a trovare e per cui sta trattando. Il mese prossimo molte gite mi terranno occupato: passeggiate a piedi oppure spostamenti in treno e in autobus verso luoghi come Boston, Salem, Marblehead, Plymouth (che non ho mai visto!), New Bedford (che non visito dal 1912), Newport e simili. Visite da parte vostra, signori, saranno estremamente gradite: a tutti prometto la più entusiastica, se non la più dotta, guida antiquaria della regione […]”

Il suo senso di appartenenza alla città trapela anche dal passo finale di una lettera del 16 maggio spedita a James F. Morton: “Io sono Providence e Providence è me: insieme, indissolubili come un tutt’uno, resistiamo ai secoli, simili a un monumento eretto per sempre all’ombra della vetta incappucciata del monte Durfee!” Una frase che rivela il pieno sentimento di adesione dello scrittore all’amata città natale, così rappresentativa che le sue prime tre parole verranno scolpite sulla pietra della sua lapide: I am Providence.

In questo mese scrive The Materialist Today, un saggio composto di 1.200 parole destinato alla diffusione privata, pubblicato in sole 15 copie dalla Driftwind Press di Walter J. Coates. Il testo viene ripreso sulla rivista “Driftwind” dell’ottobre dello stesso anno.


Una panchina in Prospect Terrace, uno dei luoghi preferiti dallo scrittore

Lapide della tomba di Lovecraft


IL DISCENDENTE

(THE DESCENDANT, 1926 o 1927)


A Londra c’è un uomo che urla quando suonano le campane della chiesa. Vive da solo, con un gatto striato, nella locanda di Gray e la gente lo considera un pazzo innocuo. Ha una stanza piena di libri banali e del tipo più puerile: ora dopo ora cerca di perdersi in quelle deboli pagine. Tutto quel che chiede dalla vita è di non pensare.”

L’uomo in questione è l’anziano Lord Northam, “diciannovesimo barone di un casato la cui antichità si perdeva in inquietanti lontananze, se bisognava dar retta ai racconti di famiglia per cui le origini risalivano a epoca pre-sassone, quando un certo Luneo Gabinio Capito, tribuno militare della terza legione di Augusto di stanza a Lindium, nella Britannia romana, era stato esonerato dal suo ufficio con procedimento d’urgenza. L’accusa era di aver partecipato a riti che non appartenevano a nessuna religione conosciuta.”

L’uomo ha abbandonato da anni il castello di famiglia, sulla costa dello Yorkshire, riguardo al quale si raccontano strane leggende, per vivere in una locanda. Qui fa amicizia con Williams, un giovane sognatore che alloggia nella medesima pensione, il quale si intrattiene spesso con lui. Quando però quest’ultimo mostra un’eccessiva curiosità per le origini lontane della famiglia del suo interlocutore, questo si chiude in un misterioso silenzio.


"Il Discendente": prima pagina del manoscritto


Le discussioni continuarono per molte sere, fino a quando Williams portò a casa l’infame Necronomicon dell’arabo pazzo Abdul Alhazred. Aveva sentito parlare del temuto grimorio fin dall’età di sedici anni, quando il suo nascente amore dell’insolito l’aveva spinto a interrogare un vecchio libraio di Chandos Street: e da allora si era sempre chiesto perché gli uomini impallidissero solo a sentirlo nominare. Il libraio gli aveva detto che, a quanto era dato sapere, solo cinque copie erano sopravvissute alle purghe della chiesa e dei legislatori, e che erano tenute sotto chiave da custodi che avevano tentato di decifrare i suoi mostruosi caratteri. Ora, Williams aveva trovato una copia accessibile ed era riuscito a comprarla per un prezzo incredibilmente basso nel negozio di un ebreo a Clare Market, in quello squallido quartiere in passato vi aveva trovato altre cose interessanti.

Gli era sembrato che, al momento della grande scoperta, il vecchio levita sorridesse in mezzo alla barba intricata: la voluminosa copertina di cuoio con fermagli di ottone era visibilissima, il prezzo ridicolmente basso.

Gli era bastata un’occhiata al titolo per sentirsi il cuore in gola, e i diagrammi che illustravano l’antico testo latino avevano eccitato le più assurde e inquietanti associazioni nella sua mente. Sentiva che era assolutamente necessario impadronirsi del vecchio tomo e cominciare a decifrarlo, e l’aveva portato via dal negozio con tanta fretta che l’ebreo ricurvo gli aveva riso dietro in modo inquietante. Una volta al sicuro nella sua stanza si accorse che la combinazione di caratteri gotici e latino decadente era troppo per le sue scarse facoltà di linguista, e con una certa riluttanza chiese l’aiuto del suo amico spaventato.”

Alla vista del volume, Lord Northam consiglia al suo giovane amico di bruciarlo e di spargerne le ceneri. Poi comincia a raccontargli delle sue ricerche sulle scienze occulte fatte in gioventù…


Clare Market in una illustrazione del 1891


Non sapremo mai perché The Descendant si intitolasse così: è uno dei frammenti lasciati incompiuti dall’autore. Probabilmente Lovecraft se ne stancò per l’eccessiva rassomiglianza con The Rats in the Walls, anche se è divertente immaginare il ruolo che in tutta l’avventura avrebbe giocato il Necronomicon. L’andamento, sia pure più controllato, ricorda quello dell’altro frammento Azathoth e prelude forse alla Chiave d’argento.” (G. Lippi, a cura di, H. P. Lovecraft. Tutti i racconti 1923-1926, Oscar Mondadori, Milano, 1990).

In effetti, questo brano si caratterizza soprattutto per la descrizione del famigerato Necronomicon, il quale è apparso finora solo in altri due racconti. Ne Il Segugio (1922), dove i due protagonisti citano il grimorio quando vedono al collo di un profanatore di tombe del 1500 uno strano amuleto con il simbolo del culto dei divoratori di cadaveri. Culto praticato in Asia centrale, sull’altopiano di Leng, come risulta dal libro del demonologo arabo pazzo Abdul Alhazred. E ne La Ricorrenza (1923), dove il protagonista lo trova nella libreria di una casa privata di Kingsport nella sua versione latina, a opera di Olaus Wormius, e del quale ne legge un passo.

Qui l’autore ci dà ulteriori informazioni sul grimorio maledetto.

Nella raccolta di tutta la narrativa di Lovecraft curata da Pilo e Fusco, in una nota al racconto i due scrivono: “Il titolo originario di questo breve frammento, che costituisce l’inizio di un racconto mai portato a termine, non è di Lovecraft ma del suo esecutore letterario R. H. Barlow, che trovò lo scritto su alcuni fogli slegati tra le carte di Lovecraft. Lo stesso Barlow propose come data di stesura il 1926, ma non esiste alcun riscontro al riguardo nella corrispondenza dell’autore.” (G. Pilo, S. Fusco, a cura di, Lovecraft. Tutti i romanzi e i racconti, 4ª edizione, Newton Compton Editori, 2011).


Pagine interne del famigerato Necronomicon


Per S. T. Joshi e David E. Schultz, invece, il brano risalirebbe al 1927 (An H. P. Lovecraft Encyclopedia, Hippocampus Press, 2004).

Una curiosità. In questo frammento viene citata, oltre che Atlantide, la Città senza Nome, protagonista dell’omonimo racconto scritto dall’autore nel 1921. Nelle righe finali di questa novella incompiuta, all’interno delle esperienze giovanili del barone nel campo dell’occulto, troviamo scritto: “Era stato disposto a fare chilometri per raggiungere un villaggio dove si raccontava una leggenda eccitante e una volta era stato nel deserto d’Arabia per cercare la leggendaria Città senza Nome che nessun uomo ha mai visto. Era sorta in lui la speranza tentatrice di una porta che si aprisse sull’Altrove, e che, una volta trovata, immettesse il viaggiatore nelle profondità dell’ignoto, i cui echi risuonavano tuttora nel fondo della sua memoria.”

Che sia proprio Lord Northam il misterioso protagonista di quel racconto?


Luoghi: Inghilterra, Londra.

Personaggi: Williams, giovane sognatore di 23 anni, appassionato di cose arcane; Lord Northam, anziano barone.



IL RICHIAMO DI CTHULHU

(THE CALL OF CTHULHU, estate)


(Manoscritto trovato fra le carte dello scomparso Francis Wayland Thurston, di Boston)


Di queste potenze o entità immani si può immaginare una forma di sopravvivenza come residuo di un’età remota in cui... la coscienza si manifestava con aspetti e forme da lungo tempo ritrattesi davanti all’avanzante marea dell’uomo… Forme di cui solo la poesia e la leggenda hanno conservato memoria, battezzandole col nome di dei, mostri ed esseri mitici di ogni specie…

Algernon Blackwood


Frontespizio del racconto apparso su Weird Tales. Illustrazione di Hugh Rankin (febbraio 1928)

Copertina del numero di Weird Tales dove venne pubblicato per la prima volta il racconto (1928)


I


L’orrore d’argilla


Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti. Viviamo su una placida isola d’ignoranza in mezzo a neri mari d’infinito e non era previsto che ce ne spingessimo troppo lontano. Le scienze, che finora hanno proseguito ognuna per la sua strada, non ci hanno arrecato troppo danno: ma la ricomposizione del quadro d’insieme ci aprirà, un giorno, visioni così terrificanti della realtà e del posto che noi occupiamo in essa, che o impazziremo per la rivelazione o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di una nuova età oscura.

I teosofi hanno speculato sulla terrificante durata del ciclo cosmico, di cui il nostro mondo e la razza a cui apparteniamo non sono che un triviale incidente, e hanno alluso alla sopravvivenza di misteriose entità del passato in termini tali da gelarci il sangue nelle vene, se non fossero mascherati da una forma di blando ottimismo. Ma non è alle loro teorie che devo la visione agghiacciante delle età proibite, quella singola occhiata rivelatrice che mi fa rabbrividire quando ci penso e impazzire quando ne sogno. Come tutti gli squarci che si aprono sulla verità, essa scaturì dalla ricostruzione accidentale di una serie di fatti separati: in questo caso un vecchio articolo di giornale e gli appunti di uno studioso scomparso. Spero che nessun altro proverà a ricomporre il quadro, e per quanto mi riguarda, se vivrò, non farò nulla per fornire l’anello mancante di una così orribile catena. Credo che lo studioso scomparso avrebbe fatto lo stesso, e che se la morte non l’avesse colto all’improvviso avrebbe distrutto i suoi appunti.”


Disegno di Cthulhu eseguito da Lovecraft (1934)


Il primo approccio al misterioso caso, da parte dell’estensore di questo manoscritto, risale all’inverno 1926-27, quando il suo vecchio prozio muore all’età di novantadue anni. Costui era un valente professore di lingue semitiche all’università di Providence, esperto di iscrizioni antiche, tanto da essere stato interpellato più volte da importanti musei. Il professore è stato colpito da un collasso, ma alcuni testimoni affermano che sia caduto all’improvviso dopo che un nero lo ha urtato.

Come unico erede, Francis ha il compito di esaminare tutte le carte del defunto, perciò trasferisce tutta la documentazione a Boston, dove vive, per poterla controllare minuziosamente. Tra queste, un oggetto attira la sua attenzione.

Gran parte del materiale che ho curato verrà pubblicato dall’American Archaeological Society, ma c’era uno scrigno che m’incuriosì e che decisi di non mostrare ad altri. Era chiuso e non trovai la chiave finché non ebbi l’idea di esaminare l’anello personale che il professore portava sempre in tasca. Finalmente riuscii ad aprire la scatola e mi trovai di fronte a un nuovo enigma, questa volta senza possibilità di accesso. Quale poteva essere, infatti, il significato dello strano bassorilievo d’argilla che trovai all’interno e degli appunti, ritagli e note che lo accompagnavano? Che negli ultimi anni mio zio fosse diventato un credulone e avesse ceduto a una volgare impostura? Decisi che avrei cercato il bizzarro scultore responsabile dell’inganno perpetrato ai danni del vecchio e della sua pace mentale.

Il bassorilievo era un rettangolo spesso meno di due centimetri e mezzo, piuttosto rozzo e con una superficie di tredici o quattordici centimetri. La fattura era palesemente moderna, ma ciò che raffigurava non era moderno per nulla: infatti, sebbene le stravaganze del cubismo e del futurismo siano molte, non capita spesso che riproducano quella sorta di misteriosa regolarità che troviamo negli ideogrammi preistorici. Perché di ideogrammi si trattava, anche se la mia memoria non riusciva a individuarne la specie o ad avvicinarli a qualche famiglia più nota: eppure avevo una certa familiarità con le carte e le collezioni dello zio.


L'edificio Fleur-de-Lys, dove vive il giovane Wilcox, in una foto recente


Sui geroglifici troneggiava una figura realizzata con palese intento pittorico, anche se l’esecuzione impressionista impediva di farsi una chiara idea della sua natura. Sembrava una specie di mostro, o un simbolo che rappresentasse un mostro, e l’aspetto era quello che solo una fantasia malata potrebbe concepire. Non sarò infedele allo spirito dell’icona se dico che la mia immaginazione, a volte un po’ bizzarra, se la raffigurava contemporaneamente come una piovra, un drago e una caricatura umana. Una testa molle e tentacolata sormontava un corpo grottesco, scaglioso, con ali rudimentali; ma era l’aspetto complessivo che lo rendeva orribile. Alle spalle della figura s’intravedeva una struttura ciclopica.”

Ad accompagnare l’oggetto una serie di appunti, note e ritagli di giornale, dei quali il documento principale si intitola “Culto di Cthulhu”, diviso in due sezioni. Nella prima parte del manoscritto il prof. Angell riporta un suo curioso incontro, avvenuto il primo marzo del 1925, con un giovanotto magro dall’aria nevrotica, passato a visitarlo per mostrargli lo strano bassorilievo. Il ragazzo si chiama Henry Anthony Wilcox, studia scultura alla Rhode Island School of Design e alloggia in un edificio lì vicino, il Fleur-de-Lys, ed è noto sia per il suo talento che per la sua notevole sensibilità, che lo porta fin da piccolo a fare degli strani sogni. Dal professore spera di essere aiutato a decifrare i misteriosi geroglifici, ma quest’ultimo lo tratta duramente quando si accorge che la tavoletta è fresca, non un reperto archeologico.

La risposta del giovane Wilcox, che aveva impressionato il professor Angell al punto da indurlo a trascriverla per intero, era del genere fantastico e poetico che ci si poteva aspettare da lui, e che da allora anch’io ho imparato a riconoscere come una sua caratteristica. Eccola: «È certo che è nuova, io stesso l’ho fabbricata questa notte mentre sognavo di strane città; ma i sogni sono più vecchi dell’antica Tiro, della Sfinge misteriosa o di Babilonia ornata da giardini.»”


Edificio d'epoca in Waterman Street

R'Lyeh in una illustrazione di Richard Benning (2013)


Dopo di che, Wilcox comincia a raccontare della sera precedente, quando una leggera scossa di terremoto ha colpito la sua fantasia.

Appena andato a letto aveva avuto una visione di metropoli ciclopiche fatte di blocchi giganteschi e obelischi che sfidavano il cielo, viscidi di umori verdastri e pervasi da un’atmosfera di orrore indefinibile. Mura e colonne erano coperte di geroglifici, e da un punto imprecisato nelle profondità era giunta una voce che non era una voce, una sensazione caotica che solo la fantasia poteva mutare in suoni e che lo scultore aveva tentato di rendere con quest’impronunciabile accozzaglia di lettere: Cthulhu fhtagn.”

Al sentire queste ultime parole, il prof. Angell esamina più attentamente il bassorilievo, ancora fresco perché realizzato da Wilcox subito dopo il suo risveglio, poi gli chiede se fa parte di qualche culto o società segreta, promettendogli di essere discreto qualora la risposta fosse affermativa. Dopo che il giovane manifesta un sincero stupore per l’insolita domanda, il professore lo invita cordialmente a riferirgli tutti i suoi sogni futuri. Cosa che puntualmente avviene, con una serie di visite che confermano come elemento centrale delle visioni notturne dell’artista un panorama di megaliti neri, una voce sotterranea e due suoni ripetuti più degli altri: Cthulhu e R’lyeh.

Il 23 marzo Wilcox non si presenta all’appuntamento, così il professore va a cercarlo nella sua abitazione dove, interrogando gli altri inquilini, viene a sapere che a causa di una misteriosa forma di febbre i suoi genitori lo hanno riportato alla casa paterna di Waterman Street. Contattando la famiglia, e in seguito anche il suo medico curante, scopre che il ragazzo alterna fasi di coscienza a quelle di delirio in cui descrive, oltre le solite visioni, una creatura gigantesca “alta chilometri” che cammina e torreggia su tutto. Il prof. Angell non fatica a capire che si tratta della stessa creatura che il giovane ha cercato di riprodurre nel bassorilievo.


Strada di St. Louis (Washington Avenue) in una foto del 1906


Poi il 2 aprile, nel pomeriggio, la strana malattia di Wilcox cessa all’improvviso e il ragazzo si stupisce nel trovarsi in casa dei suoi genitori. Non ricorda nulla del periodo in cui è stato male e, guarito completamente, non ha più gli inquietanti sogni di prima, tanto che dopo appena tre giorni torna al suo alloggio.

Il professore però, incuriosito dalla strana vicenda, comincia a interrogare quante più persone possibili sui loro sogni nel periodo che va dal 22 marzo al 2 aprile, e scopre una cosa sorprendente. Gli uomini d’affari e socialmente più in vista non hanno avuto sogni particolari, mentre fra le persone di scienza se ne contano quattro. Sono invece gli artisti e i poeti coloro che rispondono affermativamente alle domande del prof. Angell, tanto che se i rispettivi sogni fossero stati messi a confronto sarebbe scoppiato il panico.

Fra i ritagli di giornale conservati dallo zio, il protagonista trova casi analoghi di eccentricità e follia sparsi in tutto il mondo: Londra, Sudamerica, California, India, Haiti, Africa, Filippine e Parigi. Senza contare i numerosi casi di irrequietezza negli ospedali psichiatrici.


II


Il racconto dell’ispettore Legrasse


Francis Wayland Thurston, nipote del prof. Angell, studiando la seconda parte del manoscritto, scopre il motivo alla base dell’ossessione di suo zio per questa singolare e misteriosa vicenda. Una ragione che risale a diciassette anni prima, quando il professore aveva visto per la prima volta la sagoma del mostro. Per questo aveva riempito di domande il giovane Wilcox. Nel 1908 si trovava infatti a Saint Louis per un convegno, dove figurava tra i relatori, quando venne avvicinato da un ispettore di New Orleans. Si chiamava John Raymond Legrasse e gli mostrò una statuetta di pietra, di cui non sapeva spiegarsi l’origine, trovata fra le paludi a sud della città durante una retata che aveva interrotto una cerimonia vudù, o quella che lui riteneva tale. I riti praticati dai fedeli di questo idolo erano così orrendi che la polizia capì di trovarsi di fronte a qualcosa di completamente nuovo. Dai fermati, però, non si riuscì a tirare fuori alcuna informazione. Per questo l’ispettore si era recato al convegno: sperava che risalendo all’origine del manufatto, grazie alle informazioni degli esperti lì presenti, sarebbe riuscito a scoprire il contesto per comprendere quell’inquietante fenomeno cultuale.


Statuetta di Cthulhu a opera di Samize Samize (2017)


L’ispettore Legrasse non era preparato alla sensazione che la statuetta aveva provocato tra gli studiosi. Era bastato il vederla perché l’assemblea piombasse in uno stato di anormale eccitazione e il poliziotto si trovasse letteralmente circondato da chi voleva osservarla meglio. Era così bizzarra, così abissalmente antica che suggeriva visioni arcaiche e portentose; non era frutto di nessuna scuola di scultura conosciuta, ma rimaneva la terribile testimonianza dei secoli, dei millenni trascorsi sulla superficie verdastra di pietra misteriosa.

Gli scienziati si erano passata la statuetta di mano in mano: alta fra i quindici e i venti centimetri, era realizzata con una tecnica squisita e rappresentava un mostro dalla forma vagamente antropomorfa, ma con una testa di piovra il cui volto era costituito da una massa di tentacoli. Il corpo era scaglioso e flaccido, le zampe anteriori e posteriori culminavano in artigli sorprendenti, dalla schiena spuntavano due ali lunghe e strette. La creatura, che sembrava imbevuta di una malvagità innaturale, era gonfia e corpulenta, e stava sinistramente acquattata su un blocco o piedistallo rettangolare coperto di caratteri indecifrabili. L’estremità delle ali toccava l’orlo posteriore del piedistallo, la schiena occupava il centro mentre gli artigli lunghi e curvi delle zampe anteriori si tenevano aggrappate al bordo del piedistallo, sporgendo per un quarto dalla base. La testa cefalopode era piegata in avanti, in modo che le estremità dei tentacoli facciali sfiorassero il retro delle zampe, quasi all’altezza delle ginocchia. L’aspetto complessivo era anormalmente vivo e tanto più spaventoso in quanto non si sapeva nulla della sua origine. L’età della statuetta era incalcolabile, ma certo enorme e tale da incutere un senso di timore reverenziale. Non c’era un solo indizio che permettesse di accostarla a una qualsiasi forma d’arte degli albori della civiltà o di altre epoche. Separata da tutto e diversa da tutto, era lavorata in un materiale che a sua volta costituiva un mistero: pietra verde quasi nera, lucida e scivolosa, con venature d’oro; un’enigma per la mineralogia.”


Un suggestivo scorcio del Bayou

La polizia, guidata da Legrasse, si inoltra nelle paludi. Illustrazione di François Baranger (2017)


Anche i caratteri incisi alla base della statuetta facevano pensare a un’epoca lontanissima, tanto che nessuno fra gli studiosi presenti aveva un’idea sulla famiglia linguistica degli ideogrammi.

Proprio come la statua e il materiale di cui era fatta, i simboli appartenevano a un’epoca incredibilmente remota e che non aveva nulla a che fare con la storia dell’umanità. Un’era che faceva pensare a esecrabili forme di vita, a esseri con cui il nostro mondo e le nostre idee non hanno nulla in comune.”

Fra gli studiosi, qualcuno si fece avanti perché aveva riconosciuto, nella statuetta e nei geroglifici, qualcosa di familiare. Si trattava del professore di antropologia, nonché noto esploratore, William Channing Webb. Quasi cinquant’anni prima costui aveva compiuto una spedizione in Groenlandia e Islanda, imbattendosi in una strana setta di eschimesi che praticava una religione sanguinaria e disgustosa, fatta di riti mostruosi e sacrifici umani. I seguaci di questa setta gli rivelarono che il loro culto era nato prima che questo mondo fosse creato e adoravano il feticcio di una creatura che, sebbene in maniera rudimentale, assomigliava molto alla statuetta incriminata.

Legrasse cominciò a interrogare l’esploratore sui rituali a cui aveva assistito, poi tirò fuori dalla tasca la trascrizione di una cantilena recitata dalla setta di New Orleans e, confrontata con quelle di cui era stato testimone a suo tempo il professore, i due convennero su una comune cantilena centrale. Quello che le due sette avevano cantato ai rispettivi idoli era qualcosa di simile a questo:

Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn.


La setta in Louisiana, illustrazione di Gwabryel (2008)


Legrasse però aveva un’informazione in più che Webb non conosceva, perché alcuni dei prigionieri gli avevano rivelato il significato della frase: ‘Nella sua dimora a R’lyeh il morto Cthulhu attende sognando’. Incalzato dai presenti, l’ispettore raccontò la sua esperienza con la setta.

All’inizio del novembre 1907 la polizia di New Orleans, dopo aver ricevuto numerose chiamate dagli abitanti del bayou, i quali denunciavano la scomparsa di alcune donne e bambini, fu spinta ad addentrarsi nelle paludi. Legrasse guidò i suoi uomini, in tutto una ventina, fino a quando non riuscì a scoprire, nell’intrico della vegetazione, i cultori della setta impegnati in uno dei loro riti.

Poi gli uomini, che avevano raggiunto un punto in cui gli alberi erano più radi, si erano trovati davanti allo spettacolo vero e proprio… Quattro agenti si erano sentiti mancare, uno era svenuto e due non erano riusciti a trattenere un urlo di terrore che fortunatamente la folle cacofonia dell’orgia attenuò. Legrasse aveva buttato dell’acqua di palude sulla faccia dell’uomo svenuto e tutti avevano cominciato a tremare, come ipnotizzati dall’orrore. In un tratto relativamente più ampio della palude sorgeva un isolotto erboso del diametro di un acro, senz’alberi e piuttosto asciutto. Sull’isolotto danzava e si dimenava freneticamente un’orda indescrivibile di anormali che solo un Sime o un Angarola avrebbero potuto dipingere. Questi ibridi nudi urlavano, rantolavano, si torcevano intorno a un grande fuoco circolare al centro del quale, svelato da occasionali aperture nella cortina di fiamme, sorgeva un monolito granitico alto almeno tre metri. In cima al monolito, e bizzarra nella sua piccolezza, troneggiava la statuetta del mostro. Da un circolo di dieci forche distanziate a intervalli regolari pendevano, a testa in giù, i corpi martoriati delle persone scomparse. I celebranti danzavano e gridavano all’interno di questo cerchio, e la direzione generale del movimento era da sinistra a destra in un interminabile baccanale che andava svolgendosi fra il circolo dei cadaveri e quello del fuoco.”

Sebbene la folla dei celebranti fosse costituita da un centinaio di persone, i poliziotti intervennero e riuscirono ad arrestarne circa la metà, la maggior parte della quale costituita da marinai neri e mulatti. Interrogati alla centrale, rivelarono il loro credo, per nulla riconducibile al vudù.


Cthulhu e la sua R'lyeh immaginati da Pascal Blanché (2021)

Adoravano, stando alle loro parole, i Grandi Antichi che vivevano da molto tempo prima della comparsa dell’uomo, e che erano giunti su questo giovane pianeta dal di là della volta celeste. Ora i Grandi Antichi erano scomparsi nel profondo della terra e sotto i mari, ma i loro corpi morti avevano rivelato in sogno ai primi uomini i loro segreti e da allora si era formato un culto che non era mai morto. I prigionieri avevano ammesso di far parte di questo culto, aggiungendo che esso era sempre esistito e avrebbe continuato a esistere nei deserti e nelle zone oscure del mondo, fino al giorno in cui il gran sacerdote Cthulhu, dalla sua cupa dimora nell’immensa città di R’lyeh celata nelle profondità marine, sarebbe sorto e avrebbe riportato la terra sotto il suo dominio. E quel giorno, quando le stelle fossero state pronte, egli avrebbe chiamato e i suoi adoratori lo avrebbero liberato.

Nell’attesa, niente altro doveva essere detto. C’era un segreto che nemmeno la tortura sarebbe riuscita a estorcere. Una cosa era certa, l’umanità non era la sola forma di vita dotata di coscienza su questa terra. Dalle tenebre sorgevano forme che visitavano i fedeli, e che tuttavia non erano quelle dei Grandi Antichi, perché nessun uomo li aveva mai visti. L’idolo scolpito rappresentava il grande Cthulhu, ma non era possibile dire se gli altri gli assomigliassero. Nessuno era più in grado di leggere l’antica scrittura, ma le informazioni passavano di bocca in bocca. Il rituale che i celebranti cantavano non era segreto, il vero segreto non veniva mai detto ad alta voce, solo sussurrato. La cantilena che i poliziotti avevano sentito significava solo questo: ‘Nella sua casa a R’lyeh il morto Cthulhu attende sognando’.”

Solo un paio di prigionieri erano stati giudicati sani di mente, e per questo impiccati, mentre tutti gli altri erano stati avviati a varie istituzioni. Ritenevano che gli assassini delle sfortunate vittime che loro avevano catturato fossero Quelli dalle Ali Nere, misteriose creature arrivate sul luogo della cerimonia. Su questi fantomatici alleati non si riuscirono a ottenere informazioni coerenti e tutto quello che la polizia era riuscita a riscostruire si doveva alla testimonianza di un vecchio meticcio di nome Castro, che sosteneva di aver visitato strani porti e di aver parlato con i capi immortali della setta fra le montagne della Cina.


Cthulhu by Juan Pablo Corredor (2016)

Gibson Hall, edificio facente parte del complesso della Tulane University (New Orleans)


Il vecchio Castro ricordava frammenti di una tradizione a confronto della quale le speculazioni dei teosofi impallidivano, e nel cui ambito l’uomo e il suo mondo sembravano cose effimere e apparse sulla scena solo di recente. Per interminabili ere altri esseri avevano dominato la Terra edificando possenti città. I loro segni, avevano detto i cinesi immortali al vecchio Castro, si potevano ancora trovare nei megaliti che sorgevano sulle isole del Pacifico. Gli Antichi erano morti milioni d’anni prima che nascesse l’uomo, ma c’erano arti che li avrebbero resuscitati quando le stelle fossero tornate nella giusta posizione lungo il ciclo dell’eternità. Essi erano venuti dalle stelle, portando le Proprie immagini con Sé.”

Queste creature immortali, aveva proseguito il meticcio, non erano fatte di carne e sangue. Avevano sì una forma corporea - come dimostrava la rappresentazione della statuetta forgiata di un materiale sconosciuto proveniente da altri mondi – ma non materiale. Quando le stelle raggiungevano un preciso allineamento, Essi potevano trasferirsi da un mondo all’altro attraverso lo spazio, ma quando la configurazione non era propizia non potevano prendere vita. E sebbene non fossero più vivi, non erano neanche realmente morti. Giacevano tutti nelle case di pietra della loro vasta R’lyeh e gli incantesimi del grande Cthulhu li conservavano per il giorno della resurrezione. Quando però sarebbe arrivato il giorno in cui le stelle avrebbero avuto la giusta posizione ci sarebbe voluta una forza esterna per liberare i loro corpi. Questo perché quegli stessi incantesimi che conservavano le loro spoglie intatte gli impedivano di fare la prima mossa, dunque dovevano limitarsi a restare svegli mentre trascorrevano milioni di anni. Erano però al corrente di tutto ciò che accadeva nell’universo, perché comunicavano attraverso la telepatia, anche ora che riposavano nei loro giganteschi sepolcri. Proprio grazie a questa, dopo innumerevoli ere, riuscirono a comunicare con i primi uomini, quelli più sensibili, influenzandone i sogni. Costoro furono i primi adepti del culto e quando, al momento opportuno, i loro sacerdoti avrebbero risvegliato il grande Cthulhu, Egli avrebbe risvegliato i Suoi sudditi e ripreso il dominio sulla terra.


Divertente ricostruzione della prima pagina del Sydney Bulletin del 18 aprile 1925 (2014)


Sarebbe stato facile riconoscere quel tempo, poiché per allora l’umanità si sarebbe comportata come i Grandi Antichi, libera e senza freni, al di là del bene e del male, con leggi e morale gettate via, avrebbe passato il suo tempo a urlare, uccidere e ad abbandonarsi al piacere. I Grandi Antichi, liberati, avrebbero insegnato all’uomo nuovi modi di gridare, di uccidere e di provare piacere, e tutta la terra sarebbe divampata in un olocausto di estasi e di licenza. In attesa dei tempi propizi, mediante una serie di riti, la setta doveva mantenere vivo il ricordo di quelle antiche usanze e profetizzare il loro ritorno.

Nei tempi dei tempi individui scelti avevano parlato, in sogno, con i Grandi Antichi nelle loro tombe, poi la grande città di R’lyeh si era inabissata con i suoi monoliti e i suoi sepolcri di pietra, e le acque, dense del mistero primordiale attraverso cui nemmeno il pensiero può filtrare, avevano impedito quella forma di lugubre comunicazione.”

Ma il ricordo non era scomparso e i sacerdoti dicevano che la grande città, un giorno, sarebbe riemersa. Nel frattempo, dal profondo della terra dilagarono spiriti oscuri che portavano notizie raccolte nelle cavità nascoste dai fondali marini, ma di ciò il vecchio meticcio non volle parlare.

Come non volle parlare delle dimensioni dei Grandi Antichi, mentre ammise che il centro del culto era probabilmente il deserto d’Arabia, dove sogna la segreta Irem, Città delle Colonne. Nonostante l’antichità del culto, nessun testo vi aveva mai fatto riferimento, “anche se i maestri cinesi avevano spiegato a Castro che nel Necronomicon dell’arabo pazzo Abdul Alhazred vi erano certi doppi sensi che l’iniziato poteva interpretare come credeva. In particolare, gli avevano ricordato il discusso distico che recita:


Non è morto ciò che giace in eterno ad aspettare,

E col trascorrer delle ere anche la morte può morire.”


Altra ricostruzione dell'idolo di pietra, ideata da Juna Handmade (2018)


Legrasse aveva provato a chiedere informazioni sulla setta alle autorità della Tulane University di New Orleans, ma visto che nessuna di loro era riuscita a far luce né sull’antico culto né sulla statuetta, si era rivolto alle personalità più prestigiose del paese.

Francis W. Thurston, uomo dal forte razionalismo, terminata la lettura del secondo manoscritto redatto dal defunto zio, si convince che Wilcox, venuto a conoscenza del misterioso culto, abbia ingannato il suo anziano parente. Per questo decide di recarsi a Providence alla ricerca dello scultore e affrontarlo per il deplorevole raggiro. Una volta giunto nel suo studio e dopo averci scambiato qualche parola però, capisce che il giovane è in buona fede e che non sa nulla del culto segreto. Decide allora di andare a New Orleans per parlare con Legrasse e con i pochi prigionieri ancora vivi, ma non scopre nulla di più di quanto già sappia dal dossier redatto dallo zio.

Ero sulle tracce di una religione autentica, segreta e molto antica la cui scoperta avrebbe fatto di me un antropologo famoso. Il mio atteggiamento era quello di un materialista convinto – come vorrei essere ancora – e ignorai con un’incredulità che aveva del perverso la coincidenza fra gli appunti che riguardavano i sogni e i bizzarri articoli di giornale raccolti dal professor Angell.

Una cosa che cominciavo a sospettare, e che adesso temo, è che la morte di mio zio non fosse avvenuta per cause naturali. Era caduto sul fianco della collina, nel tratto che sale dal quartiere del porto brulicante di stranieri e farabutti, dopo che un marinaio di colore gli aveva dato uno spintone. Non potevo dimenticare che sanguemisto e marinai costituivano buona parte del gruppo arrestato in Louisiana, e non mi sarei meravigliato di apprendere che esistevano oscuri metodi d’assassinio (ad esempio aghi avvelenati) antichi e misteriosi quanto la setta stessa.”


Museo Hyde Park Barracks, a Sydney

R'lyeh vista da François Baranger (2017)


III


La follia che viene dal mare


Se il cielo vuole farmi una grazia, mi permetterà di dimenticare le conclusioni a cui sono arrivato dopo aver dato un’occhiata a un vecchio articolo scovato per caso, e pubblicato su un giornale che copriva uno scaffale qualunque. Se l’avessi cercato di proposito non sarei riuscito a trovarlo, perché era uscito sull’australiano Sydney Bulletin il 18 aprile 1925 ed era sfuggito persino all’agenzia di stampa che si era data da fare per soddisfare le richieste di mio zio.”

Francis ha quasi abbandonato le ricerche sul “Culto di Cthulhu” quando si trova a passare da un suo amico che vive a Paterson, nel New Jersey, erudito e mineralogista che cura il museo locale. Uno stralcio di giornale, posto sotto una delle numerose pietre che si trovano nel deposito, attira la sua attenzione.


MISTERIOSO RELITTO AL LARGO

La Vigilant arriva in porto con un relitto al traino, quello di uno yacht neozelandese.

A bordo solo un superstite e un morto: si parla di una lotta disperata e di morti in mare.

Il marinaio salvato rifiuta di dare particolari sulla strana esperienza.

Strano idolo trovato in suo possesso. Presto l’inchiesta.”


Il tempio sommerso di Cthulhu nell'interpretazione di Andy Walsh (2021)


L’articolo riporta la notizia della nave Vigilant la quale, proveniente da Valparaiso, è arrivata al porto di Darling con al traino il battello a vapore Alert, in condizioni tali da non poter navigare. A bordo un marinaio norvegese, tale Gustaf Johansen che, in preda al delirio, stringeva uno strano idolo di pietra di origine sconosciuta che ha trovato nella cabina dello yacht, vicino a un piccolo altare scolpito alla stessa maniera. Dopo essersi ripreso, l’uomo ha raccontato un episodio di pirateria. Si trovava sull’imbarcazione Emma, uno schooner a due alberi, assieme ad altri dieci uomini di equipaggio, quando ha incrociato la rotta dell’Alert, composta da una ciurma di Kanaka e sanguemisto, che gli ha intimato di invertire la rotta. Il comandante Collins della Emma ha rifiutato, allora l’altra imbarcazione ha aperto il fuoco, danneggiando irrimediabilmente lo shooner, ma non tanto da impedire all’equipaggio di affiancarsi alla nave nemica e di salire a bordo, dove ha ingaggiato una lotta all’ultimo sangue ed è stato costretto a uccidere tutti i componenti della ciurma avversaria. Restati in otto, si sono impossessati dell’imbarcazione e hanno proseguito nella direzione impeditagli dai pirati. Il giorno dopo sono approdati su un’isola non segnata sulle carte. Sei uomini sono morti non appena toccato la riva, ma il marinaio superstite si è limitato a dire che sono tutti sprofondati in un crepaccio. Così, gli ultimi due marinai dell’equipaggio sono risaliti a bordo dello yacht, ma poco dopo sono incappati in una tempesta. Questi sono gli ultimi ricordi di Johansen, che non rammenta neanche come è morto il suo compagno. Tutta la vicenda si è svolta tra il 22 marzo e il 2 aprile.

Il protagonista non può fare a meno di notare la coincidenza temporale con la testimonianza diretta e i fatti raccolti da suo zio nel dossier, avvenuti nello stesso arco di tempo.

Che cosa pensare? Che cosa dire delle allusioni fatte da Castro a proposito dei Grandi Antichi, nati fra le stelle e ora sprofondati negli abissi, ma destinati a fondare un nuovo regno? Che dire del loro culto e della loro capacità di influenzare i sogni? Mi trovavo sull’orlo di orrori cosmici che l’uomo non può assolutamente sopportare: ma se era così doveva trattarsi di orrori della mente e null’altro, perché il 2 aprile aveva messo fine all’incomprensibile minaccia che, qualunque fosse la sua natura, aveva cinto d’assedio l’anima degli uomini.”


Il risveglio di Cthulhu, di François Baranger (2017)

Francis decide così di partire per raggiungere la Nuova Zelanda e l’Australia. Il mese dopo visita Dunedin, alla ricerca di indizi sui misteriosi cultisti, ma invano. Ad Auckland viene a sapere che Johansen era tornato con i capelli completamente sbiancati, che era rincasato con la moglie ad Oslo e che non aveva parlato con nessuno della sua straordinaria esperienza. A Sydney ha infruttuosi colloqui con i marinai della capitaneria di porto, poi visita il museo dove si trova l’idolo.

Quanto all’idolo di pietra trovato in mano a Johansen, era conservato nel museo di Hyde Park: aveva la testa da piovra che ben conoscevo, il corpo di drago, le ali squamose e stava accovacciato come l’altro su un piedistallo ornato da misteriosi geroglifici. Lo esaminai a lungo e con attenzione, scoprendo che era il frutto di una lavorazione squisita – per quanto sinistra – e che era pervaso dalla stessa aura di mistero, di terribile antichità e provenienza ultraterrena che caratterizzavano l’esemplare più piccolo trovato da Legrasse. I geologi, mi disse il curatore del museo, avevano tentato invano di risolvere il mistero del materiale di cui era fatto, e giuravano che al mondo non c’era niente di simile. Poi ripensai con un brivido a ciò che il vecchio Castro aveva detto a Legrasse a proposito dei Grandi Antichi: «Erano venuti dalle stelle e avevano portato le Loro immagini con Sé».”

L’uomo vuole andare fino in fondo a questa storia e dall’emisfero australe si sposta fino all’altra parte del globo: ha intenzione di parlare col marinaio superstite Johansen, raggiunge così la Norvegia. Purtroppo però, alla porta viene ad aprirgli la moglie vestita a lutto. Suo marito, infatti, è morto poco dopo il suo ritorno in patria in una curiosa circostanza. Mentre passeggiava in un vicolo era stato colpito da un voluminoso fascio di carte, precipitato chissà come da una finestra e, dopo essere stato aiutato a rialzarsi da un paio di marinai neri, è morto improvvisamente prima che arrivasse l’ambulanza.

Inoltre, la moglie gli conferma che non si è mai voluto aprire neanche con la famiglia, ma che ha lasciato un lungo manoscritto “di argomento tecnico” scritto in lingua inglese. Probabilmente per evitare che sua moglie lo leggesse inavvertitamente, immagina l’antropologo. Dopo aver celato alla donna il terrore che lo coglie per aver appreso l’episodio inquietante della morte del marinaio, la convince a farsi dare il suo carteggio. Sul viaggio che lo porta via mare verso Londra, Francis legge febbrilmente il diario di Johansen, dalla partenza dell’Emma all’incontro con l’Alert, seguito dallo scontro con la ciurma degenerata fino allo sbarco sull’isola misteriosa.


Cthulhu si scatena! Illustrazione di François Baranger (2017)

Cthulhu visto da Bram Sels (2019)


Una volta impadronitisi dello yacht sotto il comando di Johansen, gli uomini, spinti dalla curiosità, avevano avvistato una grande colonna di pietra che sembrava conficcata in mare, e a 47° 9’ latitudine sud, 126° 43’ longitudine ovest, si erano imbattuti in quella che sembrava una sponda di fango e limo, su cui si ergevano palazzi ciclopici di pietra incrostati dalle alghe. Non potevano essere che la parte tangibile del massimo orrore del nostro mondo: la necropoli d’incubo di R’lyeh, edificata interminabili ere prima che iniziasse la storia, da quelle enormi e mostruose entità filtrate da stelle oscure. È lì che giacciono il grande Cthulhu e le sue orde, nascosti in immense tombe che gocciolano fango verdastro e che finalmente, dopo cicli incalcolabili, diffondono i loro pensieri, il loro terrore nei sogni dei sensibili e rivolgono ai fedeli il richiamo imperioso che condurrà alla loro liberazione e restaurazione. Di tutto ciò Johansen non sospettava niente, ma Dio sa se non avrebbe visto tutto e molto presto!

Immagino che dall’acqua fosse affiorata solo la cima di una montagna, quella su cui sorgeva la cittadella circondata da monoliti in cui era sepolto il grande Cthulhu. Quando penso all’estensione di ciò che forse sta in agguato laggiù vorrei porre fine a tutto e uccidermi. Johansen e i suoi uomini, invece, furono impressionati dalla cosmica maestà di quella Babilonia stillante edificata da antichissimi demoni, ma devono aver intuito senza bisogno di spiegazioni che non apparteneva né a questo né ad alcun mondo sano. Nell’atterrita descrizione che Johansen ci ha lasciato, traspaiono a ogni riga il timore e l’ammirazione per l’incredibile somiglianza fra le statue colossali, i bassorilievi e l’idolo trovato nel tempietto dell’Alert. Senza sapere nulla del futurismo, Johansen si avvicinò notevolmente a quel tipo di prosa quando tentò di descrivere la città: invece di definire questo o quell’edificio, questa o quella struttura, egli si limita a dare espressioni generali di angoli enormi e superfici di pietra, superfici troppo grandi per appartenere a qualunque oggetto terrestre e detestabili per le immagini e i geroglifici orrendi da cui sono coperte. Insisto sugli angoli perché in questo Johansen dice qualcosa che ricorda certe affermazioni di Wilcox a proposito dei suoi incubi. Secondo lo scultore la geometria del luogo che vedeva in sogno era anormale, non-euclidea, orrendamente affine a sfere e dimensioni che non sono le nostre. Ora un marinaio non particolarmente istruito aveva la stessa impressione mentre osservava la tremenda realtà.”


Cthulhu by Eren Arik (2021)


Sbarcati sulla riva fangosa, i marinai si arrampicano su alcuni blocchi titanici e scivolosi simili a enormi gradini ed è Rodriguez, il portoghese, a raggiungere per primo la base del monolito e gridando agli altri la sua scoperta.

Gli altri lo seguirono e guardarono con curiosità l’immensa porta scolpita con l’ormai familiare motivo della piovra-drago. Sembrava, dice Johansen, l’uscio di un immenso granaio; la sensazione che fosse proprio una porta era dovuta allo stipite ornato, alla soglia, persino ai cardini, ma non era possibile decidere se si aprisse verso il basso come una botola o diagonalmente come la porta esterna di una cantina. Come avrebbe detto Wilcox, la geometria del posto era sbagliata. Non si poteva nemmeno essere sicuri che il mare e la terra fossero in orizzontale, e per questo la posizione relativa di tutte le cose sembrava grottescamente variabile.”

I marinai provano ad aprire l’immensa porta di pietra senza apparenti risultati. Poi all’improvviso, lentamente, la sua parte superiore comincia a cedere verso l’interno, fino a coinvolgere man mano l’intero portale dalle mostruose incisioni, che comincia così a retrocedere, svelando un buio anomalo capace di oscurare le pareti interne che avrebbero dovuto essere illuminate.

Sembrava che la notte dovesse traboccare all’esterno come fumo dopo milioni di anni di prigionia, e il sole fu in effetti oscurato da una tenebra simile ad ali membranose che salì verso il cielo, rimpicciolito e incurvato. L’odore che usciva dalla catacomba era intollerabile, e dopo un po’ il marinaio Hawkins, famoso per il suo udito fino, sentì un orrendo sciabordio lontano nelle profondità. Tutti tesero le orecchie ed erano intenti ad ascoltare quando l’essere apparve alla vista, viscido e torreggiante compresse la Sua verde, gelatinosa vastità nell’uscio nero per emergere nell’aria appestata di quella città di follia.”

A questo punto del diario la grafia di Johansen si fa quasi indecifrabile. Dei sei marinai che non riuscirono a tornare alla nave, il norvegese ritiene che due siano morti di paura, mentre altri tre sono stati falciati dalle flaccide zampe della gigantesca creatura e l’ultimo è scivolato dalle pietre megalitiche. Alla fine però, solo Johansen e Briden sono stati in grado di raggiungere l’imbarcazione, mentre il mostro grande come una montagna avanzava mollemente sulle pietre viscide ed esitava, barcollante, sul bordo dell’acqua.

I due superstiti riescono a far partire il battello a vapore fra quelle acque letali, mentre l’Essere venuto dalle stelle si agita e urla come Polifemo che maledice le navi in fuga di Ulisse.


L'arrivo di Cthulhu by Andy Walsh (2019)


FINALE: “Poi, più ardito del ciclope, il grande Cthulhu scivolò nell’acqua come una massa melmosa e si dette all’inseguimento con potenti colpi che sollevavano onde altissime. Briden guardò indietro e impazzì con una risata acutissima, e continuò a ridere, a intervalli, fino al giorno della sua morte, che lo colse una notte nella sua cabina mentre Johansen vagava per mare in preda al delirio.

Ma il norvegese non aveva ancora ceduto. Rendendosi conto che l’Essere avrebbe potuto raggiungere l’Alert facilmente, almeno fino a quando il vapore non fosse andato a pieno regime, fece una scelta disperata e, azionate le macchine sull’avanti tutta, corse come un fulmine sul ponte e invertì il timone. Ci furono violenti spruzzi d’acqua e si creò un gorgo, ma mentre i motori acquistavano potenza il coraggioso norvegese puntò l’imbarcazione sul gigantesco inseguitore che sorgeva dalla spuma impura del mare come la polena di un demoniaco galeone. La spaventosa testa di piovra con i tentacoli che si contorcevano era ormai vicinissima alla prua, ma Johansen avanzò implacabile. Ci fu come lo scoppio di una gigantesca vescica, il risucchio viscoso come un pesce luna squarciato in due, il fetore di mille tombe scoperchiate e un suono che il narratore non ha potuto assolutamente trascrivere.

Per un attimo la nave fu insudiciata da un’acre, accecante pioggia verdastra, poi non rimase che il ribollire delle acque a poppa. Ma lì – Dio mio! – la materia sparsa dell’innominabile creatura astrale si stava nebulosamente ricombinando nella forma originaria, mentre la sua distanza dalla nave aumentava a ogni secondo di più perché i motori marciavano a pieno regime.”

E questo è tutto. La nave si trascinò nell’Oceano fino a quando non venne intercettata dalla Vigilant. Il marinaio non volle parlare con nessuno e affidò la sua disavventura alle pagine del diario.

Questo era il contenuto del documento che lessi, e ora l’ho sistemato in una scatola di latta insieme al bassorilievo e alle carte del professor Angell. Per completezza, unirò al tutto il presente resoconto, è la prova della mia sanità mentale, l’unico testo in cui siano stati riannodati i fili di un intreccio che spero nessun altro vorrà ricomporre. Ho contemplato l’orrore che l’universo normalmente ci nasconde, e persino il cielo di primavera e i fiori d’estate saranno d’ora in poi un veleno. Non credo, del resto, che la mia vita sarà lunga. Anch’io finirò come sono finiti mio zio e il povero Johansen. So troppo e il culto esiste ancora.

Anche Cthulhu esiste, lo so, nell’abisso di pietra che lo ha coperto fin da quando il sole era giovane. La città maledetta è sprofondata negli abissi un’altra volta, perché la Vigilant è passata per quel punto dopo la tempesta di aprile e non ha trovato nulla, ma i suoi sacerdoti sulla terra urlano ancora e danzano, e uccidono intorno a monoliti che sorgono in luoghi remoti, sormontati da idoli mostruosi. Cthulhu deve essere rimasto intrappolato nella città nera al momento in cui si è inabissata, perché se così non fosse il mondo urlerebbe ormai di terrore e d’angoscia. Chi può sapere come andrà a finire? Ciò che è risorto può sprofondare, ciò che è sommerso può riemergere. L’incubo aspetta e sogna nel profondo, la corruzione si diffonde nelle vacillanti città degli uomini. Verrà un tempo… ma non devo e non posso pensarci! Prego che, se non dovessi sopravvivere a questo manoscritto, i miei eredi antepongano la cautela all’audacia e non permettano a nessun altro occhio di vederlo.”


William Hope Hodgson (1877-1918)

Algernon Blackwood (1869-1951)


Giuseppe Lippi commenta il racconto con una lunga introduzione in uno dei volumi che raccolgono l’intera narrativa dello scrittore di Providence, da lui curato: The Call of Cthulhu è il manifesto del nuovo tipo di racconto dell’orrore che Lovecraft ha messo a punto dopo dieci anni di tentativi, e che d’ora in poi diventerà il suo più tipico prodotto letterario. Quando si usa l’aggettivo lovecraftiano, infatti, non ci si riferisce a storie pur eccellenti come The Rats in the Walls, The Music of Erich Zann o Herbert West, ma a questo nuovo tipo di avventure che, prendendo l’avvio in una plaga più o meno tranquilla del New England, finiscono col rivelare un disegno mostruoso di portata cosmica. Gli scrittori che hanno influenzato Lovecraft in questo senso sono Lord Dunsany col suo concetto di un pantheon immaginario; Arthur Machen con la sua idea che terribili segreti si celassero nel passato ancestrale (e che le divinità celtiche sarebbero un giorno tornate su questa terra, come poeticamente pensava Yeats e tutto il movimento del Celtic Revival); William Hope Hodgson con il presentimento che il racconto dell’orrore dovesse cercare nuova linfa oltre la terra, nei misteri dello spazio e del tempo. Naturalmente questa idea si trova già in alcune pagine di Poe.

Ma esistono altre influenze: H. G. Wells con i suoi mostri tentacolati che calano dai pianeti, H. Rider Haggard con le sue storie di civiltà perdute e divinità che vivono da millenni, A. Merritt (che fu il volgarizzatore di Haggard sui pulp magazines americani) e così via. Lovecraft non ne fu il fondatore, ma si incanalò in un filone di narrativa fantastica che potremmo definire ‘antropologica’, nel senso che i miti e le credenze dell’uomo vi rivestono più importanza che l’uomo stesso (e quindi, in definitiva, un punto di vista ‘scientifico’ viene privilegiato rispetto a quello tradizionalmente psicologico della narrativa). Qualcosa del genere, ma senza le angosce di Lovecraft, si troverà poi nella fantascienza.

The Call of Cthulhu espone per bene i lineamenti fondamentali della ‘mitologia’ cui Lovecraft si atterrà nei dieci anni avvenire, quanti gliene restano da vivere e da scrivere; egli era consapevole che una parte dei suoi amici la considerava una mera concoction, cioè un guazzabuglio implausibile (il termine fu ripreso anche da Alfred Galpin, amico personale di HPL ma insensibile ai suoi racconti dell’orrore), eppure era convinto che fosse questa la linea su cui doveva muoversi. Presto il suo entusiasmo avrebbe contagiato altri colleghi, disposti ad arricchire il mito di Cthulhu con invenzioni proprie: Clark Ashton Smith, Robert E. Howard, Robert Bloch, Henry Kuttner, Donald Wandrei, August Derleth, eccetera; né il movimento si è spento ai giorni nostri, perché importanti contributi alla materia lovecraftiana sono venuti da scrittori moderni e personali quali Fritz Leiber, Ramsey Campbell e T. E. D. Klein.


Joseph Sheridan Le Fanu (1814-1873) in una foto del 1870 ca.


Molti racconti di Lovecraft possono considerarsi antenati del Richiamo di Cthulhu, e precisamente:

Dagon (1917), che prefigura le pagine finali di The Call of Cthulhu e ne contiene, in nuce, non solo l’ideologia ma le immagini catastrofiche;

Beyond the Wall of Sleep (1919), con la rivelazione di un mistero cosmico a un povero squatter dei monti Catskill;

The Other Gods (1921), con l’intuizione che esistono divinità ulteriori e completamente estranee a quelle contemplate nelle religioni e mitologie terrestri;

From Beyond (1920), con la presa di coscienza del lato mostruoso della realtà;

The Temple (1920), escursione in una città megalitica sommersa dall’oceano che è forse la stessa R’lyeh;

The Shunned House (1924), con la sua creatura vasta ed enorme.

Il pregio fondamentale del racconto (uno di quelli che, pur essendo costruiti faticosamente dal punto di vista stilistico, contengono un sicuro nucleo visionario) ci sembra il suo approccio intellettuale. Ne è conferma un passo centrale: «Mi trovavo sull’orlo di orrori cosmici che l’uomo non può reggere assolutamente; ma se era così, doveva trattarsi di orrori della mente e null’altro…» Orrori della mente: è questa la qualità che sorregge sempre i mostri di Lovecraft, che ne fa dei fantasmi e non delle semplici concoctions, insomma delle creature d’incubo originali. E tutto il problema che si agita nel racconto – ma anche nelle altre storie di Lovecraft – è, in definitiva, mentale. Forse non corriamo un pericolo così immediato, forse i suoi dei piovuti dallo spazio non ci distruggeranno fisicamente; ma certamente insidieranno la nostra solitudine e costituiranno una minaccia per la nostra sanità spirituale. The Call of Cthulhu è, in questo senso, la storia di un uomo solo che si confronta con i propri terrori e li sviscera come un entomologo. Un uomo che non smette di avere paura e che ce la comunica dall’abisso della propria solitudine.

Da notare alcuni inserti autobiografici: lo scultore Wilcox, benché bruno, è una sorta di autoparodia dello stesso Lovecraft, che qui cerca di vedersi come a volte lo dipingono i suoi detrattori. L’anziano prozio, professor Angell, porta il nome di un eroe del Rhode Island ma anche della strada in cui Lovecraft nacque e abitò per diversi anni. Infine il curatore del museo cui si allude verso la fine adombra la figura di un caro amico di H. P. Lovecraft, James Ferdinand Morton.”

(H. P. Lovecraft. Tutti i racconti 1923-1926, a cura di G. Lippi, Oscar Mondadori, Milano, 1990).


Carmilla, illustrazione di David Henry Friston apparsa sulla rivista 'TheDark Blue'  (1872)


Così, tra le fonti dalle quali discendono le tipiche caratteristiche che hanno contribuito a formare la narrativa lovecraftiana - intesa col significato dell’aggettivo usato da Lippi - possiamo annoverare per primo Lord Dunsany, nel 1919, seguito da Arthur Machen, che lesse nel 1923, e subito dopo da Algernon Blackwood, che scoprì l’anno dopo, nel 1924. Non invece William Hope Hodgson, al contrario di ciò che afferma Lippi, poiché Lovecraft conobbe la sua opera soltanto nel 1934, grazie all’amico H. C. Koenig, il quale gli prestò quattro romanzi e un’antologia di racconti. Koenig fu uno dei membri del circolo letterario di Lovecraft quando era a New York, il Kalem Club. Appassionato e collezionista di narrativa del fantastico, fu il primo a promuovere negli Stati Uniti l’opera dell’autore britannico, cominciando a farla circolare proprio fra i membri del club cui apparteneva.

Il Richiamo di Cthulhu viene introdotto da una frase di Algernon Blackwood, uno degli autori citati da Lippi da cui Lovecraft ha evidentemente attinto.

Scrive Mariano D’anza: Blackwood condivide con Machen la stessa concezione delle forze naturali, ma mentre Machen rimane sempre all’interno di una normativa plotiniana che ammonisce a non superare mai quel limite imposto dalla legge fra il Caos e l’Ordine, Blackwood ammette candidamente che il nostro Universo è per metà coperto da un velo di ignoranza e che oltre quel velo si cela “L’altro Mondo”, con le sue Entità spesso ostili. (Algernon Blackwood, fra genere gotico e occultismo, articolo del 2 febbraio 2011 apparso sul sito weirdletter.blogspot.com).

Ora, pur essendo Blackwood e Machen contemporanei, è il primo a essersi ispirato al secondo, per il semplice fatto che Machen ha iniziato precedentemente la sua carriera letteraria: ben venti anni prima.


Uno Cthulhu spiaggiato, by Doug Williams (2020)

August Derleth (1909-1971)


Andando più a ritroso, alla ricerca della tematica del velo di ignoranza oltre il quale si celano le pericolose entità - tematica ricorrente in Lovecraft, che in questo caso usa come efficace incipit - si arriva a un altro autore conosciuto, soprattutto per Carmilla, il suo romanzo più noto: l’irlandese Joseph Sheridan Le Fanu (1814-1873).

Le Fanu fu un giornalista di successo, che ricoprì incarichi prestigiosi per le più importanti testate di Dublino. A questa attività affiancò quella di scrittore di romanzi storici, sfornandone diversi fra il 1845 e il 1871. Nel tempo libero amava scrivere racconti brevi di carattere fantastico - attingendo al folklore della sua Irlanda, con i suoi fantasmi e le sue creature appartenenti al piccolo popolo: gnomi, fate, ecc. - che usava per riempire qualche pagina dei suoi giornali. In seguito ne ripubblicò molti, riunendoli in quattro raccolte, ma dopo la sua morte caddero nel dimenticatoio.

Scrive Riccardo Reim: “L’odierna fortuna di Le Fanu si deve soprattutto all’autorevole – e in fatto di fantasmi inappellabile – giudizio di Montague Rhodes James. Il provost di Eton, autore anche lui di elegantissime storie del soprannaturale, pubblicò infatti nel 1923 un’antologia di racconti «ritrovati» dello scrittore irlandese, Madam Crowl’s Ghost and Other Tales of Mystery, corredata di una breve ma entusiastica prefazione nella quale si riconosceva a Le Fanu «un posto assolutamente in prima fila tra gli scrittori di storie di fantasmi» al pari, se non più, di Scott e Dickens: «Nessuno sa allestire il palcoscenico meglio di lui; e nessuno meglio di lui sa aggiungere poi il dettaglio efficace».” (dall’introduzione a Carmilla, Tascabili Economici Newton, 1993).

Negli Stati Uniti fu invece August Derleth a farlo conoscere al popolo di appassionati di storie fantastiche, grazie alla sua Arkham House.


Cthulhu: illustrazione di Carlos Villas (2017)


Scrivono Gianni Pilo e Sebastiano Fusco: “Nata nel 1939, La Arkham House è tuttora in piena attività e ha assolto egregiamente il suo compito. Non soltanto ha salvato la memoria dello stesso Lovecraft, ma ha attuato un’analoga operazione di recupero nei confronti di una serie di altri autori che, ingiustamente, sarebbero caduti nell’oblio: citiamo William Hope Hodgson [che Derleth conobbe grazie a Koenig, al quale infatti chiese di scrivere l’introduzione al volume “The House of the Borderland and Other Novels”, che stampò nel 1946, NdR], Henry S. Whitehead, Clark Ashton Smith, Carl Jacobi. […] Fra i recuperi di autori dimenticati da riproporre al pubblico americano, Derleth effettuò anche quello di Sheridan Le Fanu. E nel presentare ai lettori l’omnibus che raccoglieva le sue opere fantastiche, espresse un’opinione che ne rivela l’acume critico. Le Fanu – affermò – rappresenta l’equivalente britannico di Poe, in quanto ha avuto un influsso determinante sugli autori successivi. Quando scrisse una cosa di questo genere, Derleth non aveva nessun fondamento critico su cui basarsi. Le storie della letteratura, quando si occupavano dell’autore irlandese, lo facevano soltanto per la sua produzione non fantastica. Anche le opere specializzate erano carenti. Hellen Birkhead, che nel 1923 pubblicò in Inghilterra il primo saggio esaustivo sulla Narrativa del Soprannaturale, The Tale of Terror, non nomina Le Fanu neppure una volta. M. R. James, che nello stesso anno curò un’antologia di suoi racconti soprannaturali, recuperandone una dozzina rimasti ignoti, non accenna ai suoi influssi sugli autori dello stesso genere. Fu solo in seguito all’affermazione di Derleth che si aprirono le indagini critiche al riguardo. Si scoprì allora che, come Poe poteva essere considerato il «padre» della narrativa d’indagine, dell’horror psicologico e della fantascienza, così Le Fanu aveva dato ispirazione ad almeno tre importanti sottogeneri della Narrativa Fantastica, praticati soprattutto nelle Isole Britanniche.” (dall’introduzione a Tre casi del dr. Hesselius, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Tascabili Economici Newton, 1994).

Uno, e forse il più importante, è appunto Carmilla, storia di una vampira, lungo appena cinquanta pagine. “Prima di lui c’erano state, certo, famose storie vampiriche, a partire da quella che diede inizio alla voga del genere, The Vampyre di John William Polidori. Le Fanu, tuttavia, fu il primo a riportare la tradizione del «risurgente» nel suo territorio d’origine. Il suo racconto rivela una scrupolosa disamina delle fonti, un’attenzione precisa ai particolari, un’analisi approfondita delle tradizioni centro-europee che diedero spessore al personaggio del morto-vivo bevitore di sangue. Bram Stoker fu spinto dalla lettura di questa novella a scrivere Dracula. E non è certo il caso di citare tutto quello che, dopo, ne è venuto.”


Lo Cthulhu di Sergio Diaz (2018)


Il secondo è quello degli Investigatori dell’occulto. “Le cinque storie riunite da Le Fanu nell’antologia In a Glass, Darkly hanno come filo conduttore le indagini di un medico-esoterista, il Dottor Hesselius, che affronta i casi, li esamina con spirito analitico, e ne divide le implicazioni sovrannaturali da quelle semplicemente ordinarie. La figura di Hesselius diede origine ad un vero e proprio tòpos nell’ambito della Narrativa Fantastica, e servì da modello, in Inghilterra, per il Carnacki di Hodgson, l’«antiquario» di M. R. James e, soprattutto, per il John Silence di Algernon Blackwood. In America, diede origine a figure popolarissime come Jules de Grandin di Seabury Quinn, John Thurston di M. W. Wellman, e infinite altre.”

Il terzo, last but not least, quello che ci interessa di più per le sue implicazioni “lovecraftiane” è quello della «Sopravvivenza degli antichi Dei». “Nell’Irlanda magica da lui descritta, il fantastico si intreccia direttamente con il reale, perché – egli immagina – i personaggi delle antiche fole - le fate dei boschi, gli gnomi che vivono sottoterra, le bestie incantate – non sono scomparsi col volgere dei secoli, ma vivono ancora, e ancora si intromettono nella vita degli uomini. Gran parte di queste storie sono presentate come resoconti di vicende insolite raccolti da un ecclesiastico, Padre Purcell: e questo espediente dona alle narrazioni un tono di serietà documentaria che conferisce loro un singolare fascino. Il gallese Arthur Machen si ispirò a questi racconti per le sue storie di un Galles rimasto a metà fra paganesimo sopravvivente e consapevolezza cristiana, interpretazione razionalistica della natura e ansia verso il Soprannaturale. Lovecraft, in seguito, dilatò questo senso di incertezza fra immanente e trascendente nell’analisi delle manifestazioni del Soprannaturale, fino a portare a proporzioni cosmiche il senso di dispossessamento che ne deriva.” (dall’introduzione a Tre casi del dr. Hesselius, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Tascabili Economici Newton, 1994).

Eccoci al punto che ci interessa. L’ho presa un po’ "alla larga", ma mi sembrava doveroso dare il giusto spazio a un autore così importante per tutta la successiva narrativa di genere. Soprattutto, siamo arrivati alla fonte principale dalla quale scaturisce l’idea di quel famoso velo posto di fronte agli occhi dell’umanità che cela antiche divinità aliene.


Cthulhu: illustrazione di Guillem H. Pongiluppi (2018)

Cthulhu nell'interpretazione di Felix Ortiz (2021)


Curiosamente, Lovecraft inizia a scrivere un saggio sulla narrativa soprannaturale a partire dal novembre 1925 che terminerà nel maggio del 1927, Supernatural Horror in Literature, di cui ci occuperemo. Ebbene, dopo la sua prima pubblicazione ne seguiranno altre (nel 1933, poi nel 1936), alle quali l’autore apporrà diverse integrazioni, man mano che verrà a conoscenza di altri autori del fantastico.

Nel saggio ogni autore viene analizzato in maniera approfondita, vengono elencati i titoli dei loro lavori e spesso Lovecraft ne riassume le trame. Invece il nome di Le Fanu è soltanto citato e nessuna sua opera viene menzionata. Segno evidente che lo scrittore di Providence non ebbe mai l’occasione di leggere i suoi scritti, le cui peculiarità si sono riflesse indirettamente sulla sua opera.

Il Richiamo di Cthulhu è l’elemento cardine attorno al quale ruota quasi tutta la futura narrativa di Lovecraft, tanto che questi racconti verranno classificati come appartenenti al ciclo dei “Miti di Cthuhlu”, definizione coniata da August Derleth, che trae origine proprio da questa novella.

Derleth, lo ripetiamo, ha avuto il grande merito di essersi speso per far conoscere HPL al grande pubblico. Questo però non lo ha esentato dalle critiche, perché ha rieditato ideologicamente l’intero “Ciclo di Arkham” - così pare lo avesse definito Lovecraft. Al contrario dello scrittore di Providence, Derleth era molto credente e ciò lo ha portato a modificare le intenzioni originarie dell’autore.

Scrive Daniele Barone in un saggio apparso su Studi Lovecraftiani 14 dal titolo “Grandpa & Son. Editing the Death: Derleth desta i Grandi Antichi di Lovecraft”: “[…] Più in particolare, Derleth avrebbe, di sua spontanea volontà e arbitrio, associato i Grandi Antichi lovecraftiani ai quattro elementi e addirittura inventato di sana pianta gli Dèi Primordiali, per rendere la mitologia dell’amico più realistica e pseudo biblica. Decisione che Clark Ashton Smith, uno tra i migliori amici/adepti di Lovecraft e scrittore a sua volta, ha aspramente criticato, ricordando che non ci sarebbe potuta essere alcuna somiglianza tra i Miti di Cthulhu e i miti cristiani dato il totale ateismo e materialismo di Lovecraft. […] Secondo Derleth, per quanto riguarda gli Dèi Primordiali e i Grandi Antichi, i primi rappresenterebbero le forze del Bene mentre i secondi le forze del Male. Egli inventò gli Dèi Primordiali in modo da contrapporli al Grandi Antichi lovecraftiani, avvicinando così la mitologia dell’amico al racconto biblico degli angeli caduti (infatti Derleth fa cacciare dalla Terra i Grandi Antichi per mano degli Dèi Primordiali). I Grandi Antichi, inoltre, vengono fatti attendere in una dimensione onirica fino a quando non sarà giunto il momento del loro ritorno; in questo modo l’associazione con l’attesa del giudizio universale cristiano è presto fatta.” (Studi Lovecraftiani 14, AA.VV., Dagon Press, Estate 2016).


Sidney H. Sime (1865-1941) in una foto del 1911


Sui “Miti” (e su Cthulhu in particolare) che divennero fin da subito molto popolari presso i lettori di Weird Tales – soprattutto perché altri colleghi scrittori e ammiratori di HPL li usarono per i loro racconti – si sono versati i proverbiali fiumi d’inchiostro. C’è chi ha tentato di classificarli, chi di comprenderne la vera natura (esseri alieni o divinità aliene?), chi ne ha dato un’interpretazione simbolica, chi ha provato a ipotizzare la materia di cui sono composti, chi li ha associati alle inquietudini espresse dalla società del tempo, e perfino chi - come il matematico canadese Benjamin K. Tippett - partendo dalla descrizione dei fenomeni segnati sul diario di Johansen, si è spinto a interpretarli come conseguenze osservabili di una bolla localizzata di curvatura spaziotemporale e ne ha proposto un modello matematico adatto.

Per quanto riguarda invece l’esatta pronuncia del nome dell’entità aliena, Lovecraft ne dà un’ampia spiegazione qualche anno dopo a un suo amico e collega, Duane W. Rimel, in una lettera datata 23 luglio 1934: “[…] la parola rappresenta l’imperfetto tentativo di rendere un suono assolutamente inumano. Il nome dell’infernale creatura fu escogitato da esseri i cui organi vocali non erano affatto simili ai nostri, e quindi non può adattarsi ad essi. Le sillabe che lo compongono rappresentano il prodotto di un apparato fisiologico diversissimo, per cui non potrebbero mai essere pronunciate agevolmente da gola umana. Nel racconto alcuni uomini si servono del termine «Cthulhu» come meglio possono, ma nel pronunciarlo si limitano ad avvicinarsi al suono originario. Per farlo devono esercitare la laringe nell’imitazione dei loro antenati, i quali avevano sentito la versione originale da esseri che non erano di questo mondo. Questo sforzo da parte dell’uomo si avvicina alla versione autentica, ma in definitiva essa è diversa da qualsiasi parola o forma linguistica che potremmo aspettarci di sentire normalmente. È un’espressione aliena, tutt’altro che familiare, riproducibile solo a fatica e che ai membri della setta non sarebbe mai venuta in mente: infatti, è l’imitazione di qualcosa d’inumano. Lo sforzo che ne deriva non produce un suono articolato come nel linguaggio, ma anzi un verso simile a quello che l’uomo può fare quando cerca di imitare il sibilo di un vapore, il canto del gallo, l’ululato del vento o il nitrito di un cavallo. Fino all’epoca in cui si svolge il racconto, quando il professor Angell comincia a interessarsi all’argomento, non c’era stato alcun tentativo di traslitterare nel nostro alfabeto il nome del tremendo mostro di R’lyeh, anche se Abdul Alhazred ci aveva provato con i caratteri arabi e il traduttore bizantino con quelli greci. Quanto al traduttore latino, si era limitato a copiare dal greco. Le lettere CTHULHU altro non sono che la frettolosa rappresentazione grafica (approssimativa e imperfetta, si capisce) ideata dal professor Angell per rendere il nome sussurratogli in sogno dal giovane artista Wilcox. Il suono vero e proprio – per quanto la voce umana possa imitarlo, o le lettere del nostro alfabeto esprimerlo – si avvicina più o meno a Khlul’hlu, con la prima sillaba pronunciata in modo molto rauco e gutturale. La «u» è come quella della parola inglese full e la prima sillaba ha un suono non dissimile da klul, perché la «h» serve solo a rappresentare il tono spesso, di gola. La seconda sillaba non funziona altrettanto bene: il suono della «l» non è reso a dovere.


Un'illustrazione di S. H. Sime (1865-1941)


Mi sono dato tanta pena nell’ideare questo nome per una sorta di protesta contro la sciocca e infantile abitudine degli scrittori del fantastico e di fantascienza di attribuire a esseri totalmente inumani una nomenclatura di natura assolutamente umana: come se creature dotate di altri organi potessero avere una lingua che si conforma ai nostri. In effetti, ogni nome che si suppone originato da creature diverse dall’uomo deve essere laboriosamente plasmato in modo da non conformarsi ai principi del linguaggio e della vocalità che conosciamo.” (H. P. Lovecraft. Lettere dall’altrove. Epistolario 1915-1937, a cura di G. Lippi, Oscar Mondadori, Milano, 1993).

Divertente la nota di Lippi sulla pronuncia ideata da Lovecraft: “A un lettore italiano l’elaborata spiegazione del modo in cui si pronuncia «Cthulhu» può dare l’idea che il verso da modulare con la gola sia quello di chi si accinge a sputare.”

Un’ultima curiosità. Quando lo scrittore descrive la folla dei cultisti intenta a dimenarsi durante la celebrazione del rito sull’isolotto nelle paludi, cita due pittori contemporanei che hanno spesso fatto ricorso al grottesco: Sidney H. Sime e Anthony Angarola. Il primo era un artista inglese e il suo nome è strettamente legato allo scrittore irlandese Lord Dunsany, poiché nel corso della sua vita ha illustrato tutte le opere del famoso romanziere, dal 1904 al 1922. Il secondo era il settimo figlio (su undici) di una coppia di emigranti italiani. Non ebbe alcun sostegno, da parte della famiglia, per le sue aspirazioni artistiche e passò da un lavoro all’altro per pagarsi gli studi alla School of the Art Institute di Chicago. Tema ricorrente dei suoi lavori sono gli emigranti e la loro difficoltà a inserirsi nella società dell’epoca. Era molto apprezzato da Lovecraft, tanto da averlo citato anche in un altro racconto, Il Modello di Pickman.


Luoghi.

Providence: Williams Street, dove risiede il prof. Gammell Angell; Rhode Island School of Design, istituto dove Wilcox studia scultura; Fleur-de-Lys, in Thomas Street, è l’edificio nel quale alloggia Wilcox ed è nelle vicinanze dell’istituto di design; Waterman Street, qui è situata la casa paterna di Wilcox; Thayer Street, dove si trova lo studio del dottor Tobey.

Saint Louis: American Archaelogical Society.

Boston, città dove risiede il protagonista del racconto.

New Orleans: Tulane University.

New Jersey: città di Paterson.

Oceano Pacifico.

Australia: Sydney, il porto Circular Quay e il Museo di Hyde Park.

Nuova Zelanda: Auckland; Dunedin.

Norvegia: Oslo.

Il Deserto d’Arabia e Irem, la Città delle Colonne, soltanto citati.


Anthony Angarola (1893-1929) in un ritratto fotografico del 1922

Un'illustrazione di Anthony Angarola per 'The Kingdom of Evil', di Ben Hecht (1924)


Personaggi.

Francis Wayland Thurston, antropologo di Boston, è lo scomparso estensore del manoscritto; George Gammell Angell, professore di lingue semitiche alla Brown University di Providence (deceduto); Henry Anthony Wilcox, giovane scultore; dottor Tobey, medico curante del giovane Wilcox; John Raymond Legrasse, ispettore della polizia di New Orleans; William Channing Webb, esploratore e professore di antropologia all’università di Princeton; Joseph D. Galvez, poliziotto che ha partecipato alla retata dei cultisti nel Bayou; Castro, un vecchio meticcio appartenente all’antica setta segreta (deceduto); Gustaf Johansen, marinaio norvegese imbarcato sul battello a vapore Alert; William Briden, unico altro momentaneo superstite, insieme a Johansen (deceduto); Comandante Collins, capitano della Alert (deceduto); Rodrigurz, marinaio portoghese (deceduto); Donovan, Hawkins, Guerrera, Angstrom, Parker e gli altri marinai del battello a vapore, tutti deceduti.



Luglio. Lo scrittore avvia la corrispondenza con il diciassettenne August W. Derleth (1909-1971) di Sauk City, Wisconsin, un giovane aspirante scrittore che nonostante la giovane età comincia a pubblicare, proprio nel 1926, alcuni racconti su Weird Tales. Ammira molto Lovecraft, al quale chiede anche consigli per migliorare la sua scrittura. Dal loro epistolario traspare una sincera amicizia e Lovecraft lo definirà il più dotato fra i suoi discepoli. I due non si incontreranno mai, ma in seguito Derleth fonderà (nel 1939, assieme a Donald Wandrei) la “Arkham House” allo scopo di pubblicare l’intera opera di HPL.


August Derleth mostra con un certo orgoglio alcuni fumetti. In verticale si può notare il Little Nemo di McCay



DUE BOTTIGLIE NERE

(TWO BLACK BOTTLES, Luglio-Ottobre)

in collaborazione con Wilfred Blanch Talman (r. s.)


Fra i pochi abitanti rimasti a Daalbergen, tetro villaggio sui monti Ramapo, non tutti sono convinti che mio zio, il vecchio pastore Vanderhoof, sia veramente morto. Alcuni di essi credono che sia sospeso da qualche parte, fra cielo e inferno, a causa della maledizione del sagrestano. Non fosse stato per quel vecchio stregone, forse egli predicherebbe ancora nella piccola chiesa umida nella brughiera.

Dopo quel che mi è successo a Daalbergen, sono propenso a condividere l’opinione degli abitanti del villaggio. Il fatto è che non sono sicuro che mio zio sia morto, mentre sono certo che non dimori più su questa terra. Non c’è ombra di dubbio che il vecchio sagrestano lo abbia sepolto, ma adesso non è più nella sua tomba. Mentre scrivo, mi sembra quasi di sentirlo alle mie spalle, che mi esorta a dire la verità sugli strani avvenimenti di Daalbergen accaduti molti anni fa.”

Il protagonista giunge nel villaggio il 4 ottobre di alcuni anni prima, chiamato dalla lettera di un ex membro della congregazione dello zio, il quale gli scrive che il suo parente è morto e che dunque è l’erede di una piccola proprietà. L’uomo si chiama Mark Haines, è il droghiere del villaggio e accoglie il nipote del reverendo nel retrobottega del suo esercizio commerciale, dove gli comincia a raccontare la singolare storia della morte dello zio. Inizia mettendolo in guardia dal vecchio sagrestano, che lui ritiene in combutta con il demonio. Pare infatti che qualcuno del villaggio lo abbia visto parlare con i morti che riposano nel cimitero, e Sam Pryor ha perfino udito la loro voce cavernosa e smorzata provenire da sottoterra.


I Monti Ramapo, una catena montuosa dei facente parte degli Appalachi


Il vecchio Abel Foster, questo il suo nome, arrivò in paese dieci anni prima, assunto dal reverendo, il quale era l’unico che se lo faceva piacere, perché il resto della comunità mal sopportava le sue stranezze. Si curava soprattutto del cimitero, principalmente della tomba del vecchio reverendo Guilliam Slott, primo pastore della chiesa, nel 1701.

Qualche tempo dopo l’arrivo di Foster, una serie di calamità cominciarono a colpire il villaggio. Prima fallì la miniera, che dava lavoro a quasi tutti gli uomini, poi il reverendo iniziò a fare sermoni inquietanti e misteriosi, permeati di elementi sinistri che spaventavano la comunità, tanto che la gente cominciò a non andare più in chiesa e cadde in preda alle antiche superstizioni: si vociferava che Vanderhoof avesse fatto un patto col diavolo e che se la intendesse con i ghoul notturni che vagavano quando calavano le tenebre. Qualche parrocchiano più anziano fece notare il suo cambiamento al reverendo, ma lui continuò con i suoi strani sermoni, fino a quando più nessuno osò andare in chiesa.

Tutti erano convinti che la causa di tutto fosse il decrepito Abel Foster, il quale continuava a occuparsi del cimitero con la stessa solerzia, ma nessuno osava affrontarlo.

Una mattina, continuò a raccontare Mark Haines, Foster era stato visto scavare una fossa nel punto in cui il campanile gettava la sua ombra serale, prima che il sole tramontasse dietro i monti e lasciasse il villaggio immerso nella luce del crepuscolo. Più tardi la campana della chiesa, silenziosa ormai da mesi, aveva scandito mezz’ora di rintocchi solenni. Al tramonto, i curiosi che guardavano da lontano avevano visto Foster trascinare fuori dalla canonica una bara su una carriola; poi l’aveva calata nella tomba senza tante cerimonie, e aveva riempito la fossa.”

Il giorno dopo il diabolico sagrestano dette l’annuncio agli abitanti del villaggio della dipartita del reverendo, ma dal suo atteggiamento si capiva che la notizia lo riempiva di una insolita soddisfazione.




In seguito a questi fatti, il droghiere ha ritenuto di dover avvertire il nipote del reverendo perché faccia luce sulla misteriosa vicenda. Il protagonista afferma di non conoscere suo zio, sa solo che la madre gliene aveva parlato come di un uomo di una gigantesca statura ma privo di coraggio e forza di volontà. Il giovane nipote è intenzionato a recarsi immediatamente dal sagrestano, poiché vuole chiarire quanto prima la faccenda, convinto cha tutta la storia sia il frutto della superstizione popolare, ma Haines gli fa notare che è quasi il tramonto, quindi lo sconsiglia caldamente di recarsi alla chiesa. Il giovane non vuole sentire ragioni, si fa indicare la strada e si dirige verso la sua meta.

Camminavo da poco meno di due minuti quando vidi la brughiera di cui aveva parlato Haines. La strada, fiancheggiata da uno steccato dipinto di bianco, oltrepassava la grande palude, ricoperta di grossi arbusti intrecciati che affondavano le radici in una melma malsana e vischiosa. Un lezzo di cose morte e marcite riempiva l’aria, e perfino nella luce del pomeriggio piccole volute di vapore esalavano da quella distesa insalubre.”

Arrivato dall’altra parte della brughiera, il giovane svolta a sinistra e imbocca un viottolo che si allontana dalla strada principale. Le case nei paraggi sono poco più che misere capanne che denotano l’estrema miseria di chi le abita. Poi il viottolo passa sotto ai rami di enormi salici piangenti che nascondono quasi del tutto la luce del sole ormai al tramonto. Uscito da quella galleria vegetale, appare in lontananza la chiesa solitaria.

La tozza struttura di pietra della chiesa, con il campanile senza cuspide, sembrava un idolo a cui le lapidi tutt’intorno s’inchinavano in adorazione, ciascuna con la sommità arcuata come le spalle di una persona in ginocchio e sovrastata dalla canonica squallida e grigia che incombeva come uno spettro.”


Copertina del numero di Weird Tales che pubblicò il racconto nell'agosto del 1927


Avvicinandosi, il giovane Hoffman nota nel cimitero una croce di legno bianca, dall’aspetto recente, probabilmente la tomba dello zio. Si trova accanto a quella di Guilliam Slott, il primo reverendo della comunità. Bussa alla porta della canonica, ma nessuno viene ad aprirgli. Fa il giro dell’edificio cercando di sbirciare dalle finestre, ma l’interno sembra disabitato. Intanto cala l’oscurità e si accorge che due finestre del campanile sono illuminate. Nonostante il buio, avanzando a tentoni riesce a trovare una porta laterale della chiesa socchiusa.

All’interno c’era un forte odore di muffa. Qualsiasi cosa toccassi era coperta da una patina viscida e fredda di umidità. Accesi un fiammifero e mi guardai intorno, per trovare il modo di entrare nel campanile. Improvvisamente mi fermai. Brani di una cantilena rumorosa e oscena provenivano dall’alto, modulati dalla voce gutturale e impastata di un ubriaco. Il fiammifero mi scottò le dita e lo lasciai cadere. Due guizzi luminosi brillarono nell’oscurità della parete in fondo alla chiesa e sotto di essi, da un lato, la luce che filtrava da contorni e fessure disegnava il profilo di una porta. La cantilena si interruppe bruscamente come era cominciata, e sulla chiesa scese di nuovo un silenzio assoluto.”

Hoffman si avvicina alla porta del campanile e sale le scale. Quando si affaccia nel vano illuminato, gli sembra di essere entrato nell’antro di uno stregone: la piccola stanza è colma di vecchi volumi polverosi e contenitori in vetro con all’interno serpenti e pipistrelli. Al centro, dietro un tavolo con una bottiglia di whisky semivuota, la figura del sagrestano in preda al terrore. Il giovane cerca di calmarlo, spiegandogli chi è e per quale motivo è venuto a cercarlo. Il vecchio si tranquillizza e gli spiega che lo aveva scambiato per Vanderhoof, che secondo lui cerca ogni notte di uscire dal suo sepolcro, perché la mattina dopo trova sempre la croce bianca a terra.

Il protagonista apre le finestre per far uscire i fumi dell’alcool e nota, alla luce pallida della luna, che nel cimitero dabbasso la croce sulla tomba dello zio è inclinata. Foster sembra aver ritrovato la padronanza di sé, e appare quasi rassegnato quando comincia a raccontare la sua versione dei fatti.


Prima pagina del racconto pubblicato da Weird Tales (1927)


I libri e le numerose carte che riempiono la stanzetta appartenevano al vecchio Slott, il quale praticava la magia nera. Lui ha imparato le arti magiche consultando questi vecchi volumi nel tempo libero e ha scagliato le sue maledizioni sul villaggio, confermando così l’intero resoconto di Mark Haines. Quando il giovane gli domanda cosa ha fatto allo zio, “Lui esplose in un formidabile cachinno e rovesciò la testa all’indietro, in preda a un’allegria da ubriaco. «Ho preso la sua anima!» gridò continuando a ridere. «Ho preso la sua anima e l’ho messa in una bottiglia… in una piccola bottiglia nera! E l’ho seppellito! Ma non ha più l’anima e non può andare in paradiso e nemmeno all’inferno! Posso sentirlo mentre lotta per aprirsi un varco nella terra, è tanto forte!»

FINALE: Il protagonista propone al vecchio di restituire l’anima allo zio dissotterrandolo, ma Foster si oppone dicendo che ha dimenticato la formula e che Vanderhoof lo ucciderebbe. Hoffman si guarda intorno e nota due bottiglie nere su un panchetto alle spalle del sagrestano, ingaggia una lotta con lui per entrarne in possesso ma durante la colluttazione una delle due si rompe.

Si sprigionò un lampo di fiamma azzurra e un odore sulfureo riempì la stanza. Dal mucchietto di vetri infranti salì un vapore bianco che seguì la corrente d’aria fuori della finestra. «Maledetto idiota!» disse una voce che sembrava fioca e lontana. Foster, che avevo lasciato andare quando la bottiglia si era rotta, s’era rannicchiato contro una parete, e pareva più piccolo e raggrinzito di prima. Lentamente il suo volto stava diventando nero-verdastro. «Dannato!» ripeté la voce, risonando in modo tale che non sembrava neanche provenire dalle sue labbra. «Sono perduto! In quella bottiglia c’era la mia anima! Il reverendo Slott me l’ha presa duecento anni fa!»

Scivolò sul pavimento fissandomi con occhi colmi d’odio che andavano velandosi rapidamente. La carne da bianca divenne brunastra, poi gialla. Vidi con orrore che il corpo si stava riducendo in polvere e gli abiti ricadevano in pieghe vuote.”


Un'antica chiesa medievale irlandese


L’altra bottiglia comincia a brillare di una strana fosforescenza, mentre fuori, nel cimitero, la croce è definitivamente caduta a terra. Il giovane scende a precipizio le scale ed esce dalla chiesa poi, una volta all’esterno, fugge in preda al panico. Quando giunge all’ingresso della galleria formata dai rami dei salici si volta a guardare per un’ultima volta.

Il muro rifletteva la luce della luna, e stagliata su di esso un’ombra gigantesca e abominevole, che saliva dalla tomba di mio zio e avanzava barcollando in direzione della chiesa.”

Il mattino seguente racconta tutto agli abitanti del villaggio, che un po’ lo scherniscono, ma quando propone loro di tornare assieme a lui sul luogo dell’accaduto, accampano scuse di varia natura. Solo un vecchio dalla lunga barba bianca ha il coraggio di accompagnarlo.

Quando arrivammo sul posto, vedemmo che la tomba del reverendo Vanderhoof era aperta e vuota. Naturalmente poteva essere colpa di saccheggiatori di tombe, lo immaginammo tutti e due. Eppure… la bottiglia che avevo lasciato sul tavolo nella stanza del campanile era sparita, sebbene i cocci dell’altra fossero ancora sul pavimento. E sul mucchietto di polvere giallastra e di abiti gualciti che una volta era stato Abel Foster, c’erano gigantesche impronte di piedi.

Dopo aver dato un’occhiata ai libri e alle carte sparsi tutt’intorno li portammo di sotto e li bruciammo, perché erano sacrileghi e immondi. Con un badile trovato nella cripta della chiesa riempimmo la fossa di Johannes Vanderhoof e, in un ripensamento, gettammo fra le fiamme la croce caduta.

Adesso le vecchie del paese, quando c’è la luna piena, dicono che nel cimitero vaga una gigantesca figura confusa che stringe una bottiglia alla ricerca di uno scopo ormai dimenticato.”




Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, nella nota introduttiva al racconto per l’edizione di tutte le opere da loro curata, scrivono: “Two Black Bottles è il risultato di una revisione compiuta da Lovecraft su di un racconto inviatogli, perché lo correggesse e ne desse un parere, dal suo corrispondente W. B. Talman. Come accadeva spesso, Lovecraft non si limitò a pochi ritocchi, ma riscrisse la storia, aggiungendovi episodi di sua mano. A Talman l’intervento parve eccessivo, tanto che Lovecraft gli scrisse una lettera per giustificarsi: Comprendo i suoi sentimenti di fronte alla mia opera di revisione di Two Black Bottles. Capisco in pieno che cosa si prova nei riguardi di un lavoro che si considera propria originale e personale espressione artistica. In futuro, apporterò ai suoi manoscritti alterazioni meno drastiche. Il fatto è che questo racconto, come ho visto subito non appena lei me ne ha fatto leggere il sunto, l’estate scorsa, poteva essere considerato come una splendida occasione accademica. Cioè, un esercizio tipico, una lezione pratica per illustrare certi principi della composizione che non potrebbero essere dimostrati in altro modo se non alterando in misura effettiva, concreta e visibile il testo sottopostomi. Con tutto ciò, non ritengo che quanto ho fatto sia sufficiente per farmi guadagnare, come lei sostiene, il titolo di co-autore. Spedisca quindi senz’altro il racconto a Weird Tales firmandolo con il suo nome. Se la rivista lo accetterà, potrà essere un buon biglietto da visita per altre sue opere (26 ottobre 1926).

Il racconto apparve su Weird Tales nell’agosto del 1927, a firma del solo Wilfred Blanch Talman. Nato nel 1901 da una famiglia di origine olandese, questi era all’epoca un giovane giornalista. Faceva parte del gruppo di conoscenti che si incontravano in casa di Lovecraft a New York, e fu suo corrispondente per molti anni. Nel 1973 scrisse un saggio in memoria dell’amico. The Normal Lovecraft, edito in America dall’appassionato Gerry de la Ree […]” (Lovecraft. Tutti i romanzi e i racconti, a cura di G. Pilo e S. Fusco, 4ª edizione, Newton Compton Editori, 2011).

A dispetto della previsione di Lovecraft, questo rimane un caso isolato, perché i due non avranno più modo di lavorare a un altro racconto del fantastico.


Talman sulla rivista di storia locale della contea di Rockland, pubblicata a partire dal 1957 (1986)

Copertina del saggio su Lovecraft scritto da Talman. Pubblicato in sole 600 copie (1973)


Anche Giuseppe Lippi, nella sua introduzione, ci illumina su alcuni retroscena di questa collaborazione: “Wilfred Blanch Talman, un giornalista che Lovecraft conobbe a New York e che in seguito studiò a Providence, alla Brown University, scrisse Two Black Bottles e chiese a HPL di rivederlo marginalmente. Lovecraft, invece, intervenne in modo esteso e la cosa angustiò l’autore a tal punto che S. T. Joshi si sente in dovere di precisare: Non è possibile stabilire se, nella stesura definitiva, Talman non abbia abolito una parte degli interventi dovuti al revisore. Noi, tuttavia, possediamo un saggio dedicato alla figura di Lovecraft che Talman pubblicò nel 1973 e che in Italia è stato tradotto nell’antologia Sfida dall’infinito (Fanucci), nel quale l’autore di Two Black Bottles precisa che gli interventi di HPL riguardavano soprattutto il linguaggio dei personaggi, e questo nella versione americana è rimasto. In nessuna delle due traduzioni italiane (quella di Fanucci e la presente), è sembrato opportuno riprodurre in italiano il dialetto usato da Lovecraft, che lo stesso Talman definisce inesatto e poco plausibile nell’originale.

Lovecraft amava far parlare personaggi incolti e poco padroni della lingua moderna, ma mentre in alcuni casi vi riesce molto bene (e il traduttore è tenuto a tentare una soluzione analoga nell’italiano), in altri sfiora il grottesco e una versione moderna deve rinunciare a questa sfumatura.” (H. P. Lovecraft. Tutti i racconti 1923-1926, a cura di G. Lippi, Oscar Mondadori, Milano, 1990).


Luoghi: Daalbergen, tetro villaggio sui monti Ramapo.

Personaggi: Hoffman, nipote del reverendo; Johannes Vanderhoof, reverendo, nonché zio del protagonista; Mark Haines, droghiere; Abel Foster, vecchio sagrestano; Sam Pryor, un villico; Guilliam Slott, primo reverendo del villaggio nel 1701.


Prima edizione del libro della Fanucci (1976) nel quale è pubblicato lo scritto di Talman

(fine 9° parte)


Sergio Climinti



Note.

Per stilare la seguente biobibliografia ho fatto riferimento ai quattro volumi editati dalla Mondadori tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, Tutti i racconti (più volte ristampati) e il volume Lettere dall’altrove (1993), una selezione di lettere estratte dal vasto epistolario dell’autore, tutti curati da Giuseppe Lippi. Più il poderoso mammut dedicato a Lovecraft dalla Newton Compton, Lovecraft Tutti i romanzi e i racconti (2011, quarta edizione) a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco. Oltre naturalmente a una serie di siti sul web, su tutti The H. P. Lovecraft Archive, consultato per una più precisa cronologia delle sue opere.

- La sottolineatura che appare nei titoli dei racconti originali (tra parentesi), sta ad indicare il filo comune che li lega al famoso “Ciclo di Arkham”, o “Miti di Cthulhu”.

- I titoli dei racconti non in grassetto sono quelli giovanili, quelli scritti in collaborazione e quelli che destinava ai suoi corrispondenti, che non era interessato a pubblicare.

- La data che compare, a volte, dopo il titolo in lingua originale (che si trova tra parentesi) si riferisce a quella di stesura.

- I racconti scritti in collaborazione sono divisi fra “revisioni primarie” (r. p.) per quei lavori scritti per la maggior parte dall’autore, e “revisioni secondarie” (r. s.) fatte di interventi tesi per lo più a migliorarli. Tali sigle sono riportate tra parentesi, dopo il nome dell’autore che ha lavorato con Lovecraft.

- Il corsivo usato all’interno dei racconti ne individua il testo originale, nella traduzione offerta dai quattro volumi della Mondadori sopra indicati, nella maggior parte dei casi di Giuseppe Lippi.

- Al termine di alcuni racconti la parola FINALE avverte il lettore che nelle prossime righe viene svelato il finale della storia.


N.B. Trovate i link alle altre parti della biografia lovecraftiana nella pagina dedicata e nella Biblioteca di Altrove!

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