di Andrea Cantucci
Mi siano concesse due parole introduttive - e in solitario - semplicemente per sottolineare che pubblico con particolare entusiasmo (e penso di parlare anche a nome di Saverio Ceri) questa prima parte del doppio intervento di Andrea "Kant" Cantucci sul fumetto giallo franco-belga, parte dedicata alla genesi storico-letteraria e al periodo "classico" dell'affascinante ramo thriller della BD. Per il sottoscritto (che ne ha parlato qui su Dime Web e anche altrove in Rete) le avventure di Blake & Mortimer, i romanzi a fumetti di Tintin, etc., sono il Grande Fumetto per antonomasia - fumetto perfetto (dal punto di vista del soggetto, della sceneggiatura, del linguaggio codificato, del disegno e della veste editoriale), sofisticato, senza tempo, definitivo, per tanti ma non per tutti. Senza nulla voler togliere alla scuola italiana in generale e bonelliana in particolare... ça va sans dire! (f.m.)
Ric Roland nel supplemento settimanale della Gazzetta dello Sport, 2014. |
Dai
feuilleton a puntate ai fumetti del mistero
“…
uomini
uniti tutti da un pensiero comune, tutti abbastanza energici per
sapersi mantener fedeli ad un comune sentimento, abbastanza onesti
nei rapporti reciproci per non tradirsi neppure in caso di contrasto
d’interessi, abbastanza forti per porsi al di sopra di ogni legge,
abbastanza arditi per osare ogni atto e abbastanza fortunati per
riuscire quasi sempre nei propri intenti…”
dalla
prefazione al romanzo I Tredici
di Honoré de Balzac, 1831-1835
Tra giugno e luglio 2014, sono apparsi nelle edicole italiane ben tre fumetti francofoni di genere thriller.
Il
12 giugno ha esordito come supplemento settimanale alla Gazzetta
dello Sport la serie di Ric Roland,
una collana di trenta albi che riproduce in grande formato e a colori
le prime avventure del giornalista-detective belga il cui nome
originale è Ric Hochet, qui alla prima testata personale italiana.
Lo ha seguito pochi giorni dopo la miniserie mensile formato
bonellide Frank Lincoln,
i cui sei episodi sono stati raccolti dall’Editoriale Cosmo in tre
albi in bianco e nero. A luglio si è aggiunto Milan
K., un singolo bonellide in bianco e
nero della Cosmo coi tre episodi finora apparsi dell’omonimo
personaggio. A settembre è invece prevista l’uscita di un albo
cogli ultimi tre episodi di Gil Saint
André, sempre in formato bonellide
e sempre pubblicato dalla Cosmo.
Tutte
e quattro le serie sono tipici polar, nome con cui i francesi
indicano i loro polizieschi, gialli o noir che siano. La prima, che
risale agli anni ’50, ha un’impostazione generale piuttosto
classica (Ric Hochet è un eroe senza macchia che collabora con le
autorità e le storie vertono sulla scoperta finale di un colpevole),
ma come suspense deve molto ai thriller cinematografici alla
Hitchcock, mentre le altre tre serie sono riconducibili ai più
moderni thriller d’azione francesi. In questi polar i personaggi
agiscono in modo spesso ambiguo, sul filo del rasoio tra crimine ed
eroismo, si dibattono in complicati intrecci tra delitti e complotti,
che affondano le loro radici nella tradizione dei romanzi noir
franco-belgi, che risale alle efferatezze e ai segreti
dell’eterogenea malavita descritta nei feuilleton, i romanzi
d’appendice francesi dell’Ottocento.
Vidocq ritratto da Achille Devéria |
1800-1910:
Precursori francesi del Giallo letterario
I
polizieschi letterari francesi hanno caratteristiche distinte sia dal
tipico giallo all’inglese, in cui l’investigatore è una specie
di genio che risolve i delitti che si trova di fronte come puri
rompicapi intellettuali, sia dal poliziesco hard boiled americano, in
cui la situazione è risolta dall’azione muscolare di un detective
che, pur atteggiandosi a cinico duro senza scrupoli e usando metodi
poco ortodossi, è comunque un eroe tutto d’un pezzo sempre sicuro
d’essere nel giusto. I protagonisti dei polizieschi francesi sono
personaggi più complessi e realistici, in genere meno presuntuosi e
infallibili, che a volte si fanno giustizia da soli e non è detto
stiano sempre dalla parte della legge. La plausibilità e ambiguità
del giallo francese, potrebbe derivare dal fatto che il suo primo
“eroe” sia stato un personaggio reale e non del tutto
integerrimo, Eugène-François Vidocq.
Vissuto
dal 1775 al 1857, dedito a piccoli furti fin da giovanissimo e
fuggito definitivamente di casa dopo aver ucciso il maestro di
scherma, Vidocq si arruolò a sedici anni nell’esercito
rivoluzionario, per poi disertare e divenire un avventuriero, ladro e
truffatore. Arrestato, incarcerato ed evaso più volte,
conquistandosi così grande notorietà e rispetto tra i criminali, si
riabilitò nel 1806 diventando prima informatore e poi poliziotto,
grazie alla sua conoscenza della malavita. Dal 1811 fu addirittura a
capo del primo vero e proprio servizio di polizia moderno, la Sûreté
di Parigi, in cui arruolò inizialmente altri ex-delinquenti e da cui
si dimise nel 1827.
Le Memorie di Vidocq |
I
fatti che portarono Vidocq a lasciare la carica sono controversi.
Molti arrestati sostennero fosse lui stesso a organizzare le rapine
che poi sventava, per cui i suoi successi come investigatore
sarebbero stati imbrogli orchestrati ai danni dei complici. Altri
dicono, al contrario, che il ladro redento era diventato integerrimo
e incorruttibile e dava fastidio a personaggi potenti, che lo misero
in cattiva luce col nuovo regime nato dalla Restaurazione. I dubbi
nascono anche dal fatto che le imprese e la carriera di Vidocq furono
narrate in modo romanzato da lui stesso nelle sue Memorie, uscite nel
1828, che non potevano essere del tutto obiettive.
Nel
1833, dopo il grande successo del suo libro, aprì infine la prima
agenzia di detective privati del mondo, denominata Ufficio
Informazioni per il Commercio perché rivolta in particolare ai
commercianti.
Vidocq di Hans Kress, nell'edizione Casterman. |
Nel
discusso personaggio di Vidocq praticamente ci sono già, in
embrione, tutti i futuri protagonisti del Giallo e del Thriller: il
genio del crimine, l’artista dell’evasione, il tutore della
legge, l’investigatore privato. La sua storia fu rielaborata nel
1922 nel romanzo Vidocq
di Arthur Bernède e, oltre a vari film e sceneggiati, ispirò anche
una serie a fumetti del disegnatore Hans Kresse, uscita nel 1965 sul
settimanale olandese Pep.
Il
passato criminale e la rapida ascesa sociale di Vidocq furono anche
rievocati in romanzi come Papà
Goriot,
scritto nel 1834 da Honoré de
Balzac. Pare che l’autore si fosse ispirato a lui per la figura del
cinico ex-forzato Vautrin, che fa l’apologia dell’opportunismo e
dell’affermazione personale contro ogni tipo di legge, morale o
istituzione, influenzando il giovane Eugène de Rastignac nella sua
carriera di arrampicatore sociale.
Honoré De Balzac |
Balzac,
col romanzo in tre parti I Tredici
concluso nel 1835, fu anche tra i primi scrittori a ideare una
potente organizzazione segreta, che agisce fuori dalle leggi
nell’interesse degli affiliati, probabilmente ricalcata sulle
confraternite di tipo massonico o carbonaro, all’epoca costrette
alla clandestinità per le loro idee liberali.
Lo
stesso autore arrivò inoltre abbastanza vicino a confezionare una
storia poliziesca, col romanzo breve del 1841 ma ambientato nel 1803
Una Tenebrosa Vicenda,
in cui il Consigliere di Stato Fouché, coadiuvato dalla spia
Corentin, sventa una congiura contro Napoleone. Qui gli elementi
“gialli” dell’inchiesta sono secondari rispetto al contesto
storico e sociale, che si riferisce a fatti reali, ma l’andamento
del racconto, tra complotti politici e intrighi spionistici, è più
affine ai polar moderni che alla maggior parte dei polizieschi
tradizionali.
Sempre
nel 1841 le memorie di Vidocq furono poi citate direttamente, sia
pure in modo critico, dallo scrittore americano Edgar Allan Poe, in
quello che è considerato il primo vero e proprio racconto poliziesco
di fantasia, Gli Assassinii della Rue
Morgue, che non a caso è ambientato
a Parigi e ha per protagonista un investigatore francese,
l’orgoglioso e infallibile cavaliere Auguste Dupin. Questi, pur
disprezzando i metodi di Vidocq, ha comunque in lui una delle sue
principali fonti di ispirazione e in seguito ispirerà a sua volta
infiniti epigoni.
I misteri di Parigi di Nerbini, con copertina di Tancredi Scarpelli |
Invece
nel lungo feuilleton filo-socialista I
Misteri di Parigi,
scritto da Eugène Sue dal 1842 e
ambientato tra i vicoli più miserabili della città, il protagonista
Rodolphe non è un investigatore a caccia di colpevoli, ma un
filantropo che agisce fuori dalla legge per alleviare le miserie dei
più deboli. C’è chi ritiene anche lui ispirato all’ambiguo
personaggio Vidocq, la cui influenza continuò a farsi sentire anche
ne Il Conte di Montecristo,
scritto da Alexandre Dumas nel 1844, in cui Edmond Dantès, evaso dal
carcere ed entrato in possesso di un’enorme ricchezza, per
vendicarsi dei suoi nemici si fa giustizia da solo ponendosi al di
sopra della legge.
Un'antica edizione dei Misteri di Parigi di Sue |
Les Habits Noir n. 2 |
I Misteri di Parigi e Il Conte di Montecristo, insieme a Papà Goriot e a I Tredici di Balzac, contribuirono alla formazione dell’archetipo del superuomo letterario audace e privo di scrupoli, attraverso cui si giunse poi agli eroi negativi in lotta contro la società per il proprio esclusivo interesse, attraverso dei passaggi graduali ma inesorabili. Già dal 1844 molti tentarono di emulare il successo de I Misteri di Parigi, come lo stesso Vidocq che pubblicò un romanzo intitolato I Veri Misteri di Parigi. In quell’anno lo scrittore Paul Féval iniziò invece I Misteri di Londra, che a distanza di vent’anni proseguì col titolo Gli Abiti Neri, uno smisurato ciclo in cui l’autore introdusse un malvagio impero del crimine internazionale, con a capo il misterioso Colonnello Bozzo-Corona, anticipando di molti decenni le organizzazioni di Fantômas e del dottor Mabuse, la Spectre di James Bond, gli Uomini in Nero dei miti ufologici e ogni altra idea di vasta organizzazione criminale globale.
Nel
frattempo, fu di nuovo Alexandre Dumas a creare, nel suo romanzo I
Mohicani di Parigi iniziato nel
1854, un altrettanto misterioso capo della Sûreté, Monsieur Jackal,
il cui nome in un misto di francese e inglese significa Signor
Sciacallo e che chiaramente non era
altro che un ennesimo personaggio ispirato a Vidocq. Gli archetipi
del re del Crimine e del suo nemico poliziotto iniziavano così
lentamente a prendere forma.
Rocambole in un'edizione Garzanti del 1966 |
Il
primo ad agire in prima persona come vero e proprio “eroe” fisso
seriale fu però Rocambole, un avventuriero che porta il nome di un
aglio piccante e che, da personaggio secondario, col tempo divenne il
protagonista di una serie di feuilleton scritti dal 1857 dal visconte
Pierre Alexis de Ponson du Terrail, sotto il titolo I
Drammi di Parigi, usciti nell’arco
di dieci anni e raccolti in nove volumi, poi proseguiti da altri
autori.
Nato
come braccio destro del cattivo di turno che poi tradisce, il giovane
Rocambole è considerato allo stesso tempo anche il primo eroe
negativo della letteratura d’evasione, ma come Vidocq finì per
redimersi e votarsi alla causa della giustizia. Il suo successo fu
tale che "rocambolesco" divenne sinonimo di impresa audace e
strabiliante compiuta con astuzia e destrezza. Oltre a essere stato
adattato in film e telefilm, negli anni ’60 del ‘900 Rocambole fu
protagonista di una serie di albi a fumetti di autori anonimi delle
Éditions Aventures & Voyages, mentre un album a fumetti più
raffinato, intitolato Rocambole de
Ponson du Terrail è stato
pubblicato da Delcourt nel 2009, con i testi di Frédéric Brémaud e
i disegni di Federico Bertolucci.
Les drames de Paris, illustrazione di Louis Charles Bombled |
Nel
1862, il grande romanziere Victor Hugo prese spunto a sua volta dal
malvivente redento Vidocq per creare un antieroe di ben maggiore
spessore e complessità, l’ex-galeotto Jean Valjean dei
Miserabili. Anch’esso è un
personaggio a suo modo epico ma più umano e plausibile, che commette
errori e paga per i suoi sbagli, la cui vicenda personale di segreti
e sotterfugi si inserisce negli eventi storici e politici del suo
tempo, mentre l’ispettore Javert che tenta di arrestarlo è tra le
figure più negative e antipatiche della storia.
Monsieur Lecoq |
Anche
il primo scrittore a seguire Poe sulla strada del puro e semplice
poliziesco fu un francese, Emile Gaboriau, che con L’Affare
Lerouge, uscito a puntate nel 1863
sul quotidiano Pays
e in volume nel 1866, scrisse il primo vero romanzo giallo. Per la
prima volta l’indagine per risolvere un delitto è posta al centro
di un intero libro, con cinque anni di anticipo rispetto al primo
romanzo poliziesco inglese, La Pietra
di Luna di Wilkie Collins. Ne
L’Affare Lerouge,
Gaboriau creò l’investigatore dilettante Tabaret detto Père
Tireauclair (Papà Mettinchiaro),
ispirato a un ex-ispettore della Sûreté, e il giovane poliziotto
Monsieur Lecoq, poi protagonista di altri suoi romanzi. I personaggi
di Gaboriau non sono infallibili, procedono per tentativi e si basano
sull’esperienza, cosa che continuerà a distinguere a lungo i
detective francesi da quelli inglesi.
Anche
Lecoq è stato un delinquente e la sua “mentalità criminale” gli
permette di risolvere i casi mettendosi nei panni dei colpevoli. Si
ispira quindi più al reale fuorilegge passato alla polizia Vidocq,
che all’immaginario investigatore deduttivo Dupin. Lecoq è inoltre
un maestro del travestimento che nei bassifondi usa un’altra
identità, capacità che ritroveremo poi anche in molti personaggi
successivi, sia investigatori che criminali.
Durante
il ‘900 su Lecoq furono realizzate, oltre ad alcuni film e
sceneggiati e a vari radiodrammi, anche un paio di serie a fumetti
francesi, opera rispettivamente di Marc Cardus dal 1956 e di Guy
Marcireau dal 1960.
È
unendo elementi di Dupin e di Lecoq, che nel 1887 il medico inglese
Arthur Conan Doyle creò il più famoso (e presuntuoso) degli
investigatori, Sherlock Holmes, con cui il Giallo anglosassone si
avviò sulla strada dell’indagine soprattutto cerebrale. Come Dupin
criticava le procedure di Vidocq, così Holmes nel suo primo racconto
cita tanto Dupin che Lecoq ma solo per disprezzarne le (secondo lui)
limitate capacità d’indagine.
Arsène Lupin, vol. II, 1908 |
Per contrastare il successo dell’impassibile e arrogante re dei detective inglese, lo scrittore Maurice Leblanc pubblicò dal 1905 sul giornale Je Sais Tout le avventure di un antieroe che divenne altrettanto famoso, Arsène Lupin, scassinatore gentiluomo dallo charme tipicamente francese, che in alcuni casi beffava il quasi omonimo investigatore Herlock Sholmes (nella primissima versione il detective sconfitto era proprio Holmes, ma ovviamente Conan Doyle protestò). Tra le figure a cui Leblanc attinse per il suo personaggio, oltre a fuorilegge letterari come il già citato Rocambole, il raffinato ladro inglese Raffles o certi criminali protagonisti delle opere di Octave Mirbeau, c’era anche il politico locale Arsène Lopin, da cui prese ironicamente il nome, e soprattutto il geniale ladro anarchico Marius Jacob, il cui processo si era svolto pochi mesi prima. Il fatto che l’autore narrò per prima cosa l’arresto e la successiva evasione di Lupin, come altri dettagli dei suoi racconti, poteva quindi avere anche significati politici, per quanto espressi in tono leggero e satirico.
La
serie originale di Leblanc si protrasse per circa venti volumi, ma
anche di Arsène Lupin come di Holmes sono apparse continuazioni
letterarie (in particolare in cinque romanzi di Pierre Boileau e
Thomas Narcejac), innumerevoli trasposizioni cinematografiche,
teatrali, televisive e naturalmente fumettistiche. Tra queste ultime
(a parte il famoso Lupin III del giapponese Monkey Punch che ne
sarebbe un discendente) si contano ovviamente varie versioni
francesi, dalla prima serie a strisce di Cheylard e Bourdin
pubblicata nel 1948 ai cinque album scritti tra gli anni ’80 e ’90
dal giallista André-Paul Duchâteau con i disegni di Géron. Tra le
parodie a fumetti si possono invece citare Arsenico Lupon, creato
dagli italiani Magnus e Bunker su Alan Ford, e Arpin Lusène, creato
dall’italo-americano Don Rosa nelle storie di Donald Duck e
compagni.
Joseph Rouletabille su L'Illustration, ottobre 1907 |
Anche
Gaston Leroux, che come molti giallisti francesi era un
ex-giornalista, si propose di fare concorrenza a Conan Doyle, non
contrapponendo al suo Sherlock Holmes un possibile nemico, ma
mettendo idealmente in competizione con lui un investigatore
dall’acume simile. Ideò un personaggio altrettanto capace di
risolvere i vari casi basandosi su puri ragionamenti deduttivi e con
indosso un analogo vestito a quadretti, ma ironicamente molto più
giovane e inesperto di Holmes e anche per questo più simpatico. Nel
suo romanzo Il Mistero della Camera
Gialla, del 1907, Leroux creò così
il primo prototipo del giornalista-detective, il diciottenne Joseph
Josephin detto Rouletabille (Fai
Girar la tua Biglia),
con riferimento alla sua testa
piccola e tonda che deve mettersi in moto per risolvere gli enigmi su
cui indaga. L’autore riutilizzò il personaggio in altri sei
romanzi e anche su Rouletabille furono realizzati molti film,
telefilm e radiodrammi.
Rouletabille vol. II, Collection Detective 10, Lefrancq, 1990 |
Questo
giovane reporter avrebbe poi fornito lo spunto per alcuni dei primi
eroi dei fumetti belgi a sfondo poliziesco e, ovviamente, furono
tratte delle versioni a fumetti anche dal personaggio originale. Le
Éditions Aventures & Voyages dal 1965 pubblicarono una serie di
albi popolari intitolata a Rouletabille, che dopo una dozzina di
numeri si fuse con quella di Rocambole. Due serie di album di maggior
pregio furono realizzate tra gli anni ’80 e ’90 del ‘900. Della
prima, pubblicata dalla Dargaud coi testi di Claude Moliterni e i
disegni di Eugenio Sicomoro, un paio di episodi uscirono anche in
Italia sulla rivista L’Eternauta.
Nella
seconda, pubblicata dalle edizioni Lefrancq con le sceneggiature di
André-Paul Duchâteau e i disegni di Bernard
Swysen, il personaggio di Rouletabille viene inserito anche in altre
storie scritte dal suo creatore Gaston Leroux, come Il
Fantasma dell’Opera, romanzo
ascrivibile più che al Giallo al genere gotico o Nero.
Il Fantasma dell'Opera, con Lon Chaney. Locandina del 1925. |
1910-1955:
Dal Giallo al Nero
Nei polizieschi moderni ogni personaggio è giustamente un impasto di vari sentimenti contraddittori e non lo si può etichettare semplicisticamente come buono o cattivo tout court. Nei feuilleton invece l’ambiguità di un personaggio come il delinquente-poliziotto alla Vidocq finiva spesso per essere risolta scindendola in due parenti dai caratteri diametralmente opposti. Per esempio, nel primo romanzo della serie di Rocambole, L’Eredità Misteriosa, il filantropo Armand de Kergaz è il fratellastro del perfido criminale Sir Williams.
La
controparte malvagia di Rouletabille è invece suo padre, Ballmeyer,
un feroce bandito internazionale dalle molte identità contro cui
l’eroe lotta per salvare la madre, in un archetipo edipico
ricorrente nella narrativa d’evasione e nei mass media fino a
Guerre Stellari e Dylan Dog. Quando però alcuni autori passano dal
Giallo al Nero, il protagonista della storia smette di essere il
fratello o il parente “buono” e diventa quello “cattivo”.
È
il caso di colui che si scoprirà essere il fratello del commissario
Juve. Questi sembra aver ereditato tutta la parte buona, ma poco
brillante, di un’ipotetica personalità comune e dà la caccia alla
sua controparte come farebbe l’eroe di turno, ma il vero
protagonista è il suo geniale gemello malvagio, ovvero Fantômas.
Fantômas, poster terza serie, 1913. |
Quando
quest’ultimo nacque, l’idea di un simile “eroe” negativo non
era del tutto originale. A parte i criminali già citati come Vidocq,
Rocambole e Lupin, che finivano tutti per avere dei lati buoni, il
prototipo del genio fuorilegge che con potenti invenzioni sfida da
solo il Mondo intero risaliva in Francia ai libri di Jules Verne. È
ciò che fa, già nel 1869, un pur romantico avventuriero come il suo
capitano Nemo in Ventimila Leghe
Sotto i Mari e, soprattutto, il
protagonista del suo romanzo del 1886 Robur
il Conquistatore, ma in questi casi
le azioni violente nascono da nobili ideali. Nemo vuole vendicare i
suoi cari e difendere gli oppressi, mentre Robur intende porre fine a
guerre e ingiustizie, obbligando tutti alla pace sotto il ricatto
delle sue armi (tipica giustificazione retorica che nella realtà ha
sempre finito per mascherare ogni sorta di dittature). Invece i geni
criminali nati intorno al 1910 rinunciano a tali alibi idealisti, per
diventare delle pure personificazioni del Male.
Zà-La-Mort, Emilio Ghione |
Nel
1909 lo scrittore Léon Sazi creò sul quotidiano Le
Matin, come protagonista di una
serie di racconti, un inquietante re del crimine incappucciato
chiamato Zigomar, capo della millenaria setta assassina segreta dei
Ramogiz (il suo nome al contrario). Questo totale antieroe portava
alle estreme conseguenze i tratti più egoistici e ambiziosi, anche a
livello politico, già presenti nei geni del Crimine suoi precursori,
Rocambole e Lupin, ed ebbe un tale successo che approdò al cinema
due anni dopo. Il nome di Zigomar riecheggiò poi in quelli simili di
altri due criminali cinematografici. Il primo è Zà-La-Mort,
delinquente-giustiziere degli apaches parigini interpretato in una
serie di film francesi degli anni ‘10 dal cineasta Emilio Ghione.
L’altro è Zagomar, fantomatico criminale apparso in un film
italiano con Macario del 1944. Ha senz’altro origine da qui il nome
di Zagar, il cattivo trasformista dei fumetti di Jacovitti nato in
quel periodo, ma anche quello di Zagor, che, pur essendo un eroe
positivo, affronta spesso situazioni tenebrose e inquietanti e
perciò, come ricordato dal suo creatore grafico Gallieno Ferri,
aveva bisogno di un nome che potesse evocare subito simili atmosfere.
Zigomar su Le Petit Journal |
Nello
stesso periodo di Zigomar, tra il 1909 e il 1910, Gaston Leroux
pubblicò a puntate su Le Gaulois il
romanzo Il Fantasma dell’Opera,
il cui protagonista Erik porta mantello e maschera neri per celare le
sue orribili fattezze e si nasconde tra i sotterranei e i passaggi
segreti del Teatro dell’Opéra di Parigi, apparendo e scomparendo a
piacimento e compiendo attentati omicidi quasi per capriccio (ma
anche per amore).
La
tragica e tormentata figura di Erik, alla fine, suscita più
compassione che paura. La deformità del suo volto rappresenta in
effetti le profonde e incancellabili ferite dell’anima che
potrebbero spingere a isolarsi e comportarsi in modo perverso e
spietato, proprio come i geni del Male dei romanzi neri. All’inizio,
quello che oggi è il più celebre romanzo di Leroux, ebbe vendite
basse e la successiva fama del suo personaggio si deve al fatto che
sia stato rievocato e celebrato in molte versioni musicali per il
teatro e film per il cinema e la TV.
Nel
1911, probabilmente ispirandosi all’allora famoso Zigomar e
all’altrettanto tenebroso e nerovestito “fantasma” Erik (il cui
soprannome in francese era Le
Fantôme), i giornalisti Marcel
Allain e Pierre Souvestre crearono l’ancor più violento e crudele
Fantômas, un geniale assassino protagonista di una serie di romanzi
mensili il cui successo fu enorme (ben sei milioni di lettori nella
sola Francia). Mentre Rocambole o Lupin, nei romanzi originali,
potevano anche essere sconfitti o colti dalla paura, un epico
criminale come Fantômas era più eccezionale e inverosimile, immune
tanto da comuni errori e debolezze umane quanto dalla pietà. A
differenza di Erik, che coltivava vari talenti artistici ed era
capace di amare, Fantômas appariva del tutto privo di sensibilità e
sentimenti. Si trattava, in pratica, di una incarnazione del Male
priva di compromessi.
Fantomas n. 35, Mondadori. Copertina di Karel Thole. |
Anche
Fantômas ha conosciuto molti adattamenti cinematografici e teatrali,
a partire dai cinque serial diretti da Louis Feuillade e prodotti
dalla Gaumont già dal 1913. Tra le versioni a fumetti invece se ne
possono citare varie edite in Messico, a cominciare da quella uscita
tra il 1936 e il 1937 sulla rivista Paquìn.
Un’altra
serie disegnata da Alfredo Valdés nel 1940 introdusse un Fantômas
“quasi buono”, influenzando forse anche la successiva iniziata
nel 1966 sulla collana Tesoro de
Cuentos Clásicos, con la
supervisione ai testi di Alfredo Cardona Peña e i disegni dei
fratelli Rubén e Jorge Lara Romero. Questa versione a fumetti fu la
più longeva e di maggior successo, portando Fantômas a essere
protagonista dal 1969 di un proprio albo quindicinale, realizzato da
un’intera equipe di autori messicani, che però finirono per
stravolgere del tutto il personaggio, giungendo addirittura ad
attribuire ai suoi crimini delle intenzioni altruistiche.
Inoltre,
a differenza del costume nero col cappuccio che Fantômas indossava
nei romanzi originali, i fumetti messicani lo mostravano con una
maschera chiara che gli copriva il volto, come quella che aveva nei
film degli anni ’60, e con un abito da sera analogo a quello della
copertina originale del primo romanzo, per la quale l’illustratore
doveva essersi ispirato al tipico abbigliamento di Lupin e di
Rocambole.
In
Francia apparve invece nel 1941, sul settimanale Gavroche,
una più effimera serie a fumetti su testi dello stesso Allain, in
cui il costume di Fantômas era quasi una versione nera di quello
viola dell’eroe americano Phantom. Del resto quest’ultimo,
insieme a altri eroici fuorilegge mascherati come Shadow e Batman, si
può considerare a sua volta come una versione “buona” di
Fantômas o del Fantasma dell’Opera. Di fatto la fama di Fantômas
fu tale che per decenni ispirò altre figure incappucciate e vestite
di nero, per lo più criminali come The Phantom Blot (Macchia Nera) e
Diabolik, ma anche giustizieri più o meno violenti come Fantax.
Fantomas nella serie Tesoro de Cuentos Clàsicos, editorial Novaro, 1966 |
Come
si è visto, ancora ai primi del ‘900, i feuilleton spesso univano
alle trame poliziesche degli elementi inquietanti e fantasiosi,
tipici dei romanzi gotici ottocenteschi. In questi casi, spesso si
trattava di risolvere dei misteri più che dei delitti, anche se
l’una cosa non escludeva l’altra. Tale impostazione, incentrata
su casi misteriosi, ricorrerà poi abbastanza spesso anche in alcune
delle più importanti serie a fumetti francofone.
In
ambito letterario e cinematografico, diciotto anni dopo il mistero
del Fantasma dell’Opera fu
la volta di un altro personaggio multimediale intabarrato in un
mantello nero, il Fantasma del Louvre.
Lo
scrittore Arthur Bernède nel 1927 pubblicò sulle pagine del
quotidiano Petit Parisien
il più famoso dei suoi romanzi con protagonista il “Re dei
Detective” Chantecoq. Il titolo è Belphégor
(Belfagor)
e la trama è la stessa dell’omonimo film prodotto in contemporanea
dallo scrittore stesso. Il mistero da risolvere consiste nelle
apparizioni di un’oscura figura mascherata in una sala del Louvre,
presso una statua che raffigura il demone Belfagor (da cui il nome
dato al “fantasma”). Si scopre alla fine che non c’è nulla di
soprannaturale, ma la vicenda risulta ugualmente così affascinante
(la prima edizione in volume vendette settecentomila copie) da
originare poi uno sceneggiato di successo negli anni ’60, seguito
da una prosecuzione a fumetti sui giornali e altre incarnazioni della
misteriosa figura di Belfagor nei più diversi mass media, fino ai
giorni nostri.
Uno
dei motivi del successo di personaggi come Fantômas e Belfagor
sembra essere proprio il fatto che non se ne conosce né il volto né
l’identità. A questo proposito si può notare come il Fantasma
dell’Opera, dopo che è stato smascherato, da affascinante e
inquietante diventi patetico, forse perché a quel punto smette di
incarnare un archetipo (il Male, o il Mistero) per ridursi ai limiti
e ai difetti, fisici e psicologici, dell’umano.
Belfagor, edizione francese |
A
spazzar via da un momento all’altro tutti le fantasticherie da
feuilleton, giunse nel 1931 lo scrittore belga Georges Simenon,
creando l’umanissimo, del tutto plausibile e celeberrimo
commissario Maigret. Questi fu poi trasposto anche a fumetti, alla
fine degli anni ’50, dai disegnatori Jacques Blundeau e Pierre
Degournay, le cui storie, tratte direttamente dai racconti, furono
pubblicate in Italia dall’editrice La Freccia nel 1959.
Forse
la più importante caratteristica di Maigret è la sua capacità di
identificarsi cogli autori dei delitti su cui indaga, visti come
persone da compatire che hanno vissuto una crisi più che come
irrecuperabili criminali incalliti. Al centro dei suoi racconti, c’è
la comprensione umana verso coloro che per qualche motivo hanno
commesso errori che li pongono al di fuori della legge. Di fatto, le
tantissime storie di Simenon con questo personaggio costituirono un
passo essenziale verso il sempre maggior realismo del poliziesco in
francese.
Georges Simenon, nell'interpretazione di Aldo Di Gennaro, Alamancco del Giallo 1997 |
Nello
stesso anno in cui Simenon creò Maigret, esordì nel poliziesco
anche un altro importante scrittore belga, Stanislas-André Steeman,
autore di ventisette romanzi con protagonista il commissario Wens.
Subito dopo anche un altro romanziere “serio”, il francese Claude
Aveline, si dedicò al Giallo, sia pure in misura più limitata, a
partire dal volume del 1932 La Doppia
Morte di Frédéric Belot, in cui
l’ispettore che dà il titolo alla storia per l’appunto muore,
una soluzione più tipica del Nero che del Giallo. Nonostante ciò,
Aveline riutilizzò l’ispettore Belot in altri quattro romanzi,
ovviamente ambientati prima della sua morte. Nel 1940, seguendo le
orme di Steeman, esordì invece a quindici anni un giallista belga
che si dedicherà poi con successo anche ai fumetti, André-Paul
Duchâteau, autore di trenta avventure dell’ispettore Leclerc,
adattate anche per la TV.
Ben
presto gli scrittori più spregiudicati iniziarono a esplorare le
possibilità del realismo sul fronte del noir.
Nel
1945 esordì la collana della Serie Noir curata da Marcel Duhamel,
che fin dall’inizio si propose di presentare storie con molta
“azione, angoscia, violenza e
massacri”, in cui i poliziotti
possono anche essere “più corrotti
dei delinquenti che braccano” e
mistero e detective possono addirittura mancare.
Léo Malet visto da Carlo Ambrosini, da Napoleone n. 7, 1998 |
È
ciò che troviamo nei gialli di uno scrittore anarchico libertario
venuto dal giornalismo come Léo Malet, autore dagli anni ’40 di
romanzi noir ambientati in modo crudo e realistico nell’ambiente
della mala parigina. Quelli con protagonista il detective Nestor
Burma, come Nebbia sul Ponte di
Tolbiac e
120 Rue de La Gare, più tardi
furono adattati a fumetti dallo stesso Malet con i disegni di Jacques
Tardi, in storie apparse a puntate sul mensile belga A
Suivre e subito dopo uscite in
Italia sulla rivista Comic Art
dal 1990.
In
altri romanzi di Malet dai titoli espliciti e pittoreschi come La
Vita è uno Schifo, Il
Sole non è per Noi, Nodo alle Budella,
forse ispirati anche dai libri scritti dal 1946 dall’ex-detenuto
Auguste Le Breton, i protagonisti sono direttamente degli esponenti
della malavita: rapinatori sanguinari, giovani scapestrati e rozze
canaglie.
Nestor Burma di Tardi, da Nebbia sul Ponte di Tolbiac, pag. 3 |
Anche
un altro giornalista francese, Frédéric Dard, sotto lo pseudonimo
di San-Antonio ha scritto dal 1949 una lunghissima serie di romanzi
noir dallo stile aggressivo, ma che si fanno via via sempre più
satirici e strampalati, con protagonista il commissario buontempone e
donnaiolo Antoine San-Antonio, di cui narra le vicende in prima
persona, come fossero storie autobiografiche. È buffo anche come
l’autore scelse il nome del personaggio, puntando a caso il dito su
una carta degli Stati Uniti alla ricerca di un vocabolo inglese e
trovando invece un nome da popoli latini (San Antònio è una città
del Texas fondata dagli Spagnoli).
I
primi libri della serie non ebbero successo ma col tempo questo
crebbe sempre più, finché tra gli anni ’60 e ’80 le tirature
minime dei romanzi di San-Antonio, in cui ebbe sempre più spazio il
pantagruelico personaggio dell’ispettore Bérurier, in Francia
passarono da 200.000 a 700.000 copie circa per ogni titolo. Anche in
Italia sono stati pubblicati molti suoi romanzi, ma col nome dalla
grafia modificata in Sanantonio, forse per evitare equivoci
religiosi. Nel nostro paese però il personaggio non poteva avere lo
stesso successo, poiché gran parte della sua attrattiva è dovuta a
uno stile di scrittura alla Rabelais, con termini gergali,
neologismi, giochi di parole e digressioni deliranti ed esagerate, di
cui molto va inevitabilmente perduto nelle traduzioni.
La
serie di San-Antonio proseguì fino al 2001, superando i 170 libri, e
fu poi ripresa dal figlio dell’autore.
Dal
1968, San-Antonio fu adattato a strisce sul quotidiano France-Soir
con i disegni di Henry Blanc e, dal 1972, in sette album a fumetti di
Henri Desclez, di cui solo due furono pubblicati in Italia dalla
Mondadori.
Sanantonio n. 7, Mondadori, 1971 |
La
coppia di scrittori Pierre Boileau e Thomas Narcejac, dal 1952 si
specializzò invece in più seri romanzi di suspense, di cui il terzo
fu adattato da Hitchcock nel 1958 nel film Vertigo
(La
Donna che Visse due Volte).
Tra
gli scrittori francesi che contribuirono di più a rinnovare il
romanzo a tema criminale, riportandolo entro una maggiore
verosimiglianza rispetto ai vecchi schemi del feuilleton, ci furono
anche degli autori che non erano letterati o giornalisti ma che,
analogamente al capostipite Vidocq, nella loro vita avevano avuto una
diretta esperienza della malavita e del carcere, come Albert Simonin
e Auguste Le Breton.
Molti
termini in argot, la parlata dei bassifondi di Parigi, erano già
apparsi nelle Memorie di
Vidocq, nei Misteri di Parigi di
Sue e nei romanzi di San-Antonio, ma Albert Simonin, che quel
linguaggio lo conosceva bene, nel 1953 fu il primo a scrivere un
intero romanzo nel gergo della mala parigina, Touchez
pas au Grisbi! (ovvero Non
Toccate il Malloppo!),
da cui l’anno seguente fu tratto
il celebre film Grisbì
con Jean Gabin.
Lo
stesso fece nello stesso anno anche Auguste Monfort, detto dai
compari Auguste le Breton perché nativo della Bretagna, che mantenne
il nomignolo come pseudonimo letterario quando cominciò a raccontare
le sue dure esperienze di vita in una serie di romanzi più o meno
autobiografici. Il suo primo romanzo in gergo fu trasposto in uno dei
più famosi film polizieschi francesi, Rififi
(che significa guerra
tra gang), diretto da Jules Dassin
nel 1955, a cui seguirono altre quindici pellicole tratte dalle sue
storie. Nella seconda stagione dei suoi romanzi, iniziata nel 1977,
Le Breton raccontò storie ancora più violente delle precedenti,
ispirandosi a fatti di cronaca, sequestri e attentati, anche a sfondo
politico, caratteristiche oggi tipiche degli attuali polar.
Rififi, 1955. Poster spagnolo. |
1940-1960:
I misteri del fumetto belga
Tra i primi personaggi dei fumetti francofoni, all’inizio esclusivamente umoristici, a vivere vicende a sfondo poliziesco ci furono due giovanissimi avventurieri: Bibì Fricotin, creato nel 1924 dal francese Louis Forton, e Tintin, creato nel 1929 dal maestro del fumetto belga Georges Rémi, in arte Hergé. È dagli anni ’40 però che cominciarono a essere sviluppate e rielaborate delle serie thriller sempre più realistiche, soprattutto in Belgio, all’epoca assoluto paese leader del fumetto in lingua francese. Forse il merito fu anche della concorrenza creativa iniziata nel dopoguerra tra i due principali settimanali del settore, Spirou dell’editrice Dupuis e Tintin delle Editions du Lombard, che, pubblicando fumetti a puntate come i vecchi feuilleton, facevano a gara nel contrapporre di volta in volta personaggi di genere analogo per tentare di rubarsi i lettori a vicenda.
Il
reporter giramondo Tintin, titolare del suo settimanale dal 1946, ha
una testa piccola e tonda come quella di Rouletabille e, data anche
la giovane età di entrambi, si potrebbe pensare che sia stato almeno
in parte ispirato dal giornalista-detective creato da Leroux, oltre
che dal mondo dello scoutismo.
Tintin, Les 7 boules de cristal, Lombard, 1948 |
Spesso
in concorrenza o in collaborazione con i due poliziotti pasticcioni
Dupont e Dupont, nella sua lunga carriera Tintin è stato
protagonista di storie esotiche ma con elementi di thriller come I
Sigari del Faraone o Il
Granchio d’Oro, in cui lotta
contro dei trafficanti di oppio, di misteri archeologici come Le
Sette Sfere di Cristallo, in cui
indaga sulla maledizione di una mummia inca, e anche di un’avventura
scherzosamente poliziesca come I
Gioielli della Castafiore, dove
Hergé sovverte e sconvolge tutte le classiche regole del giallo e
della suspense, con Tintin che alla fine scopre che il presunto furto
non aveva nessun vero colpevole.
Gli
album di Tintin, editi in Belgio da Casterman, sono stati pubblicati
in Italia dall’Editrice Gandus, dalla Comic Art e, intorno al 2000,
dalla Lizard. I Gioielli della
Castafiore è stato raccolto,
insieme ad altri episodi, anche nel volume 25 dei
Classici del Fumetto di Repubblica,
allegato all’omonimo quotidiano nel 2003.
Jean Valhardi, vol. 3, di Eddy Paape. Dupuis, 1953 |
Intanto,
sul settimanale concorrente Spirou,
dal 1941 veniva pubblicato a puntate uno dei primi polizieschi
realistici del fumetto francofono, la serie del detective Jean
Valhardi, scritta da Jean Doisy e disegnata da Joseph Gillain, in
arte Jijé. Il protagonista è un biondo e aitante investigatore
assicurativo, che gira per il mondo andando là dove lo portano le
sue inchieste e che costituì il primo prototipo di molti successivi
eroi avventurosi del fumetto belga. Provvisoriamente proseguito nei
primi anni ’50 da Eddy Paape per i disegni e da Jean-Michel
Charlier per i testi, Valhardi venne poi ripreso nuovamente da Jijé
fino al 1965 e, dopo una lunga pausa, riapparve nel 1984 coi testi
dell’instancabile André-Paul Duchâteau e i disegni di René
Follet.
Totalmente
incentrata su casi misteriosi, è invece la fondamentale serie Le
Avventure di Blake e Mortimer,
uscita su Tintin
dal 1946 e realizzata dall’altro grande maestro del fumetto belga e
collaboratore di Hergé, Edgar Pierre Jacobs, che fu tra l’altro
l’ideatore di molti dettagli delle
Sette Sfere di Cristallo. Se molte
delle sue storie con protagonisti l’inventore e studioso Philip
Mortimer e il capitano del servizio segreto britannico Francis Blake
sono decisamente fantascientifiche, altre rientrano a pieno diritto
anche nel poliziesco.
Blake & Mortimer: Il marchio Giallo. Grandi eroi n. 23, Comic Art, 1988 |
Ciò
è vero innanzitutto per Il Marchio
Giallo, una storia ambientata a
Londra in cui il misterioso colpevole di una serie di rapimenti, che
è dotato di strani poteri, non è evidentemente un essere umano.
All’epoca l’episodio attirò su Jacobs critiche per una ”violenza
eccessiva” che oggi non preoccuperebbe nessuno. Un’altra sua
storia gialla, questa volta del tutto priva di elementi fantastici, è
Il Caso della Collana.
Qui, in una Parigi perfettamente ricostruita, il criminale Orlik (che
poi ispirerà il Sergej Orloff di Martin
Mystère) ruba la famosa collana di
Maria Antonietta che prima della Rivoluzione era stata al centro di
uno scandalo dai risvolti politici, che ispirò anche Alexandre Dumas
per una parte della trama de I Tre
Moschettieri.
In
Italia, Blake e Mortimer apparvero negli anni ’60 sulla collana dei
Classici Audacia
di Mondadori. In seguito furono pubblicati dall’editrice Gandus,
dalla Comic Art e, in anni più recenti, dall’Alessandro Editore.
Alla
fine degli anni ‘40 la rivista Tintin
ospitò anche l’attore-detective Monsieur Barelli, protagonista di
una serie semi-umoristica realizzata da Bob de Moor. Questa ebbe
comunque vita breve, perché l’autore passò ben presto a
collaborare stabilmente con Hergé, che reclutava i migliori
disegnatori per il suo Tintin.
Lefranc, di Jacques Martin |
Seguirono
nel 1952, di nuovo su Tintin,
le avventure del giornalista Guy
Lefranc, di Jacques Martin, in cui misteriosi intrighi dagli scenari
apocalittici, molto simili anche nella grafica a quelli di Jacobs,
vedono inizialmente il protagonista, assistito dal giovane boyscout
Jeanjean, lottare contro l’elegante Axel Borg, spia internazionale
e ladro gentiluomo alla Lupin. Le storie di Lefranc ebbero un
successo immediato fin dal primo episodio uscito a puntate, La
Grande Minaccia, e ottennero un
grande riscontro di vendite fin dalla sua prima riedizione in album
nel 1954, non solo in Belgio e Francia, ma anche in Sud-America. Ciò
fece entrare anche Martin tra i collaboratori dello studio di Hergé,
ma provocò dissidi con Jacobs, che, viste le evidenti affinità di
Lefranc coi suoi Blake e Mortimer, si ritenne defraudato del suo
stile e da quel momento cominciò a nascondere appunti e schizzi
preparatori delle sue storie, per paura che le sue idee fossero
copiate da altri.
Martin
intanto, dal secondo episodio di Lefranc rese il proprio stile
maggiormente realistico ma, dopo averne realizzati da solo i primi
tre episodi, fu assorbito sempre più dalla serie del guerriero
gallico Alix, oltre che dalla collaborazione alle storie di Tintin.
Pur continuando a lungo a scriverne i testi, dovette quindi affidare
la parte grafica di Lefranc a vari altri disegnatori, tra cui spicca
per continuità Gilles Chaillet.
Anche
se con lunghe pause e l’alternanza di vari autori, le storie di
Lefranc sono continuate fino a oggi, arrivando a venticinque episodi
che spaziano dallo spionaggio alla fantascienza e dal thriller
all’avventura esotica, tradotti in oltre dieci lingue ma a lungo
inediti in Italia. Solo ora ha iniziato a pubblicarli da noi
l’editrice Nova Express nella serie Lefranc
l’Integrale,
che dovrebbe raccoglierli in sette
volumi cronologici.
Ric Hochet n. 1. Le Lombard, 1961 |
Sempre
su Tintin,
esordì nel 1955 un altro giornalista-detective, Ric Hochet, noto in
Italia come Ric Roland da quando uscì sui Classici
Audacia di Mondadori, a partire dal
n°27 del 1966 intitolato Sfida a Ric
Roland.
I
suoi autori, il disegnatore Gilbert Gascard, alias Tibet, e
l’affermato scrittore di romanzi gialli André-Paul Duchâteau, si
rifecero ad alcuni dei locali capostipiti del genere (Rouletabille,
Tintin e soprattutto Valhardi), mentre fisicamente Tibet ne riprese
le fattezze dal suo precedente personaggio comico-western Chick Bill
e dall’attore Gérard Blain. Il personaggio nacque proprio per
iniziativa di Tibet che, per avere successo, dopo le opere di Jijé,
Jacobs e Martin, si era convinto di dover realizzare anche lui una
serie avventurosa realistica.
Il
nome Ric Hochet è un gioco di parole, poiché in francese ricochet
significa rimbalzo e indica in particolare quel gioco che consiste
nel far rimbalzare dei sassi piatti sull’acqua. In senso
metaforico, la parola ricochet indica quindi anche una serie di
eventi strettamente e inesorabilmente concatenati in rapida
successione, che è esattamente ciò che si verifica nelle
appassionanti storie thriller di questo personaggio.
All’inizio
Ric Hochet era un giovanissimo strillone del giornale La
Rafale, protagonista di due brevi
episodi che non facevano presagire il successo che ebbe in seguito.
Questo arrivò nel 1958, non con le storie a fumetti, ma con una
rubrica di enigmi polizieschi scritta e illustrata dai suoi autori,
intitolata Raccogliete la Sfida!, che
invitava il lettore di Tintin
a risolvere i vari casi in gara con un Ric ormai adulto e affermato
reporter. Da quel momento collaborerà quasi sempre nelle sue
indagini col commissario Bourdoun, che per aspetto e carattere
ricorda Maigret (la parola bourdon in francese ha vari significati,
come bastone da pellegrino, calabrone
e grossa campana, che possono
alludere tutti a una persona anziana e brontolona ma ancora attiva).
Ric Hochet n. 19. Le Lombard, 1974 |
L’anno
seguente ripresero anche le sue storie a fumetti e, dal 1961, Ric
Hochet fu protagonista di episodi più lunghi che lo resero
rapidamente il personaggio di maggior successo del settimanale Tintin
e il principale eroe poliziesco del
fumetto belga, grazie all’originalità delle sempre ben congegnate
trame di Duchâteau e al crescente realismo e meticolosità dei
disegni di Tibet, che conservano comunque anche dei tratti
caricaturali.
I
punti di forza della serie furono che lo sceneggiatore fosse un
giallista di professione e che il disegnatore fosse così rapido da
produrne due volumi all’anno (a differenza di serie più elaborate
e raffinate, come Blake e Mortimer
o Lefranc,
che avevano tempi di realizzazione lunghissimi), tanto da arrivare
nel 2010 ad aver realizzato insieme un totale di 78 album di Ric
Hochet, un numero molto alto per la produzione francofona.
Col
tempo gli autori aggiunsero alla serie anche altri comprimari. I più
importanti sono la bella Nadine, nipote del commissario Bourdon, come
eterna fidanzata e l’ex-rapinatore Richard senior, il padre di Ric
che, riapparso dopo anni, gareggia con lui in alcune indagini, un
personaggio che rientra nella tradizione dei criminali redenti alla
Vidocq ispirato al fatto che il disegnatore Tibet era cresciuto senza
conoscere il padre. Un altro saltuario comprimario è il professor
Hermelin, un burbero scienziato coinvolto in casi stravaganti.
La Porche 911 di Ric Hochet nel modellino di Jean-Michel Aroutcheff |
Il
rapporto di amicizia quasi filiale tra Ric e Bourdon richiama quello
tra analoghi personaggi polizieschi come lo scrittore-detective
Ellery Queen e l’ispettore Richard Queen suo padre, o la coppia
fumettistica costituita da Topolino e Basettoni. Come Ellery, Ric
Hochet sembra passare quasi tutto il suo tempo a risolvere casi
misteriosi anziché svolgere la sua attività principale, che sarebbe
il giornalista. D’altronde Bourdon, come l’ispettore Queen e
Basettoni, sembra in genere incapace di cavare un ragno dal buco
senza l’aiuto del suo giovane amico, salvo reagire e riscattarsi
ampiamente quando Ric si trova in pesanti difficoltà, o addirittura
in pericolo di vita. In questi casi, spesso è proprio Bourdon che
accorre a salvarlo risolvendo la situazione.
A
parte queste forzature, che fanno parte del gioco, le storie di Ric
Hochet, pur piene di azione, suspense e misteri, nelle soluzioni sono
sempre estremamente plausibili. Dal 1969, a partire da uno dei
migliori episodi, Gli Spettri della
Notte, Duchâteau introduce però
nelle trame degli apparenti elementi fantastici e horror.
Tali
enigmi finiscono sempre per essere spiegati in modo verosimile come
imbrogli e trucchi di vario tipo, costituendo solo un aumento di
complessità nel gioco tra autori e lettori. Il conseguente
incremento di suspense dovuto all’aggiunta del dubbio, che resiste
fino alla fine, su cosa ci sia o meno di vero negli eventi
apparentemente impossibili che si verificano, può aver fatto scuola
per molti autori successivi, compreso forse anche il Tiziano Sclavi
di Dylan Dog, benché lì i mostri nella maggior parte dei casi
risultino reali. Tra tali incubi fittizi, sfilano poi attori e
celebrità alle cui fattezze Tibet si ispira per caratterizzare i
personaggi, da Jack Palance a Philippe Noiret, da Stanlio e Ollio a
Salvador Dalì, da Jean Gabin a Bernard Blier.
A
conferma del suo successo, nonché dell’attenzione con cui i
fumetti sono seguiti nel suo paese dal grande pubblico, Ric Hochet è
stato anche protagonista di una serie di telefilm prodotti dalla TV
belga.
In
Italia, sempre col nome di Ric Roland, fu pubblicato negli anni ’70
anche sugli Albi Ardimento,
sul Corriere dei Piccoli e
sul Corriere dei Ragazzi,
mentre successivamente è apparso su Il
Messaggero dei Ragazzi.
Tout Gil Jourdan n. 1, Dupuis. |
Tra
gli altri fumetti polizieschi belgi nati nello stesso periodo, va
citato innanzitutto il giovane detective privato semi-umoristico Gil
Jourdan, creato su Spirou nel
1956 da Maurice Tillieux riprendendo le fattezze di un suo precedente
personaggio (l’investigatore occhialuto Félix da lui disegnato per
un altro editore), ma dotandolo di un look più elegante. L’abito
blu di Jourdan ricorda l’abbigliamento iniziale di Valhardi e
Lefranc (o dello Spirit di Will Eisner), ma con un papillon al posto
della cravatta che lo fa apparire ancor più raffinato.
I
suoi abiti sono quindi adulti e plausibili, rispetto a quelli di
altri giovani eroi francofoni stilizzati come Tintin, così come sono
concreti i suoi problemi, che comprendono la necessità pratica di
guadagnarsi di che vivere, un bisogno che perfino molti personaggi
realistici dei fumetti di ogni paese spesso non sembrano avere.
I
principali comprimari, anch’essi ispirati a quelli di Félix, sono
il grosso ex-scassinatore Libellule (Libellula),
ora aiutante di Jourdan che lo ha aiutato a evadere, l’esile e
baffuto ispettore Croûton (che in francese significa crostino
ma anche sciocco),
talmente ridicolizzato nei primi episodi che in Francia furono a
lungo censurati per offese alla polizia, e la giovane assistente
Queue-de-Cerise (letteralmente Coda
di Ciliegia).
Ma
i disegni in stile cartoon, le gag e i giochi di parole non
impediscono che le storie di Jourdan siano veri e propri gialli,
nella tradizione del fumetto belga che associa a personaggi
umoristici anche trame avventurose. Va notato infatti che anche
Tillieux, come Dûchateau, è stato uno scrittore di romanzi
polizieschi fin dal 1943. Del resto, secondo alcuni, le ispirazioni
delle atmosfere di Gil Jourdan non andrebbero cercate tanto in altri
fumetti, quanto nelle opere di romanzieri noir come Léo Malet,
Georges Simenon e Frédéric Dard.
Gil Jourdan di Maurice Tillieux |
Grazie
alla qualità delle sceneggiature, Jourdan ebbe subito successo tra i
lettori di Spirou,
come Ric Hochet l’avrà due anni dopo tra quelli di Tintin,
tanto che da noi qualcuno ha creduto erroneamente che i due eroi,
essendo nati nello stesso periodo, fossero la parodia l’uno
dell’altro. In realtà lo stile grafico umoristico non ha impedito
a Tillieux di trattare temi forti come il traffico di droga, così
come ha fatto anche Hergé con Tintin, benché l’autore di Jourdan
per evitare censure abbia preferito inventare una droga immaginaria,
la popaïne (popaina,
si direbbe forse in italiano). Per i fumetti belgi dell’epoca
inoltre, sfondi e dettagli delle storie di Jourdan erano considerati
abbastanza accurati e realistici, soprattutto le automobili di cui
Tillieux era un appassionato, a cominciare da quelle del
protagonista, che guida prima una Peugeot e poi due diversi modelli
di Renault, tutte riconoscibili con precisione a differenza delle
generiche auto “comiche” stile Disney.
Per
la carenza di buone sceneggiature all’interno del giornale Spirou,
Tillieux fu poi impegnato nella scrittura di altre serie, per cui dal
1969 la parte grafica di Gil Jourdan fu portata avanti dal
disegnatore Gos. Nove anni dopo, la serie si interruppe per la morte
dell’autore in un incidente e l’ultimo episodio fu interamente
realizzato dal suo collaboratore. Paradossalmente, gli incidenti
stradali erano tra gli eventi che Tillieux aveva più rappresentato
nelle sue storie. Nessuno ha proseguito Gil Jourdan in seguito perché
i familiari dell’autore, divenuti proprietari del personaggio,
hanno rifiutato tutti i disegnatori proposti a tale scopo
dall’editore.
Famosissimo
e apprezzato in patria e in Francia, dove ne sono usciti sedici
album, poi più volte ristampati e raccolti in volumi, Gil Jourdan è
meno noto a livello mondiale e molto poco in Italia, dove è stato
pubblicato di rado. Da noi si può ricordare la sua apparizione nella
Collana Grandi Albi de
l’Avventuroso negli anni ’70.
Bob Morane di William Vance |
Visti
poi i tanti eroici giornalisti che apparivano su Tintin,
anche Spirou
non poté evitare di ospitarne uno e nel 1958, mentre esplodeva il
successo di Ric Hochet in versione “enigmistica”, Jean-Michel
Charlier e Eddy Paape crearono a loro volta il giornalista-detective
Marc Dacier, che però non ebbe altrettanta fortuna.
Tra
gli ultimi polizieschi a fumetti belgi degli anni ’50 troviamo
inoltre Clifton,
una serie umoristica creata da Raymond Macherot nel 1959 e poi
proseguita da altri, incentrata su un colonnello inglese in pensione
che per hobby fa il detective, aiuta Scotland Yard e ottiene dei
buoni risultati più per fortuna che altro.
Appartiene
almeno in parte al thriller anche l’avventuriero Bob Morane, nato
nel 1953 come eroe di una popolare serie di oltre duecento romanzi
d’azione dello scrittore belga Charles-Henri Dewisme,
in arte Henri Vernes, e dal 1959 al 1967 trasposto da questi con
altrettanto successo in un primo ciclo di fumetti disegnati da Dino
Attanasio prima e da Gérald Forton poi, sulle pagine delle riviste
Femmes d’Aujourd’hui e
Pilote.
Con
un passato di pilota della RAF e di esploratore a tempo pieno, Morane
si differenzia da Ric Hochet per essere solo un ex-giornalista, il
ché almeno giustifica il fatto che non lo vediamo mai svolgere quel
mestiere, ma anche perché, a differenza di quanto accade a Ric, i
fenomeni incredibili su cui Bob indaga in giro per il mondo spesso
risultano essere davvero soprannaturali, o dovuti a cause decisamente
fantascientifiche. L’eroe di Vernes ovunque si reca collabora coi
rappresentanti dei locali servizi segreti e di polizia, che sia la
CIA, Scotland Yard o la Polizia Canadese a Cavallo, ma non si sa mai
quali eventi l’indagine potrà scatenare.
Bob Morane vol. 13. Dargaud, 1971 |
Insieme
all’amico scozzese Bill Ballatine, Bob Morane affronta criminali
realistici ma anche terribili nemici che sembrano usciti dai
feuilleton, come il malefico orientale Mister Ming, alias L’Ombra
Gialla, che, come il Fu Manchu dei romanzi dell’inglese Sax Rohmer,
vorrebbe spazzare via l’intera civiltà occidentale e che, molto
prima che si parlasse di clonazione, inventa un metodo per rigenerare
il proprio corpo ogni volta che rimane ucciso, comoda spiegazione
fantascientifica per giustificare una volta per tutte l’eterno
ritorno del cattivo.
La
caratterizzazione grafica di quest’ultimo personaggio e dell’intera
serie, si fece più azzeccata e inquietante quando, dal 1969, venne
ripresa su Tintin e
subentrò come nuovo disegnatore William Van Cutsen, in arte William
Vance, che con uno stile più moderno e dinamico rispetto agli
artisti precedenti ne tratteggiò gli episodi più interessanti, tra
situazioni spionistiche alla James Bond e viaggi extra-temporali.
Già
nella prima storia disegnata da Vance, Operazione
Cavaliere Nero, le pur fantasiose
avventure esotiche precedenti lasciarono il posto a un episodio di
vera e propria fantascienza. Nel 1979 i disegni passarono poi
all’assistente di Vance, Felicísimo Coria, che ha
realizzato più della metà dei circa settanta album della serie.
Nel
nostro paese, dopo essere stato pubblicato sugli Albi
Ardimento e sulla Collana
Grandi Albi negli anni ’70 e sul
settimanale Skorpio
negli anni ‘80, Bob Morane ha visto infine alcuni dei suoi episodi
migliori (tre degli ultimi di Forton e i primi sette di Vance)
apparire a due a due su una propria testata mensile in bianco e nero,
pubblicata dall’Editoriale Aurea tra il 2012 e il 2013, ma
purtroppo durata appena cinque numeri.
Bon Morane. Le Lombard, 2012 |
Dal
Bob Morane di Vernes, eroe inossidabile e riciclabile che resiste al
tempo e alle mode, negli anni ’60 sono stati tratti un film andato
perduto e una serie di ventisei telefilm divisi in due stagioni,
riproposti in DVD nel 2001, mentre nel 1998 ne è stata prodotta una
serie animata che, a giudicare dalla stilizzazione dei disegni, forse
intendeva essere una risposta francese ai cartoni animati di Batman
di quegli anni.
Mentre
l’umoristico Clifton anticipava le ben più graffianti parodie del
genere che nasceranno in Francia dagli anni ’60, Bob Morane è
l’ideale collegamento tra i classici misteri archeologici alla
Jacobs e i moderni intrighi spionistici che domineranno i thriller
francofoni a fumetti nei decenni successivi. Tanto è vero che nel
2012 ne è stata realizzata ex-novo una nuova versione a fumetti più
realistica e attuale, firmata da Luc Brunschwig e Aurélien Ducoudray
per i testi e da Dimitri Armand per i disegni.
Andrea Cantucci
(fine 1a parte)
N.B. Trovate i link alle altre puntate sui "bonellidi" andando su Cronologie & Index! Nella stessa pagina trovate anche i link agli altri articoli che Dime Web ha dedicato al fumetto franco-belga.
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Fino al 4 gennaio 2017 tutti i commenti, anche i più critici e anche quelli anonimi, venivano pubblicati AUTOMATICAMENTE: quelli non consoni venivano rimossi solo a posteriori. Speravamo e contavamo, infatti, nella civiltà dei cultori di fumetti, libri, cinema, cartooning, etc.
Poi è arrivato un tale che, facendosi scudo dell'anonimato, ha inviato svariati sfoghi pieni di gravi offese ai due redattori di Dime Web, alla loro integrità morale e alle loro madri...
Abbiamo dunque deciso di moderare in anticipo i vostri commenti e pertanto verranno cestinati:
1) quelli offensivi verso chiunque
2) quelli anonimi
Gli altri verranno pubblicati TUTTI.
Le critiche, anzi, sono ben accette e a ogni segnalazione di errori verrà dato il giusto risalto, procedendo a correzioni e rettifiche.
Grazie!
Saverio Ceri & Francesco Manetti