giovedì 26 febbraio 2015

L’ANGOLO DEL BONELLIDE (XVIII): STORIA DELL'ISLAM DISEGNATO (II parte) - JIHAD E SAALAM, GUERRA E PACE!

di Andrea Cantucci

ULTIM'ORA: AMPI STRALCI DELLA PRIMA PARTE DEL NOSTRO INTERVENTO SU FUMETTI & ISLAM SONO STATI RIPRESI CON GRANDE EVIDENZA DAL QUOTIDIANO "LIBERO" DEL 28 FEBBRAIO 2015!

L'arcangelo Gabriele rivela il Corano a Maometto. Dipinto islamico del XIV secolo




“Sulla tua religione puoi dire liberamente quel che ti pare, ma evita di dare giudizi sull’Islam. (…)
Per gli Arabi la religione fa parte della natura, come il cibo e il sonno.”
Dal manuale Come Comportarsi con gli Arabi, di Thomas Edward Lawrence

“Nessuna imposizione in religione. La via diritta si distingue agevolmente da quella errata.”
Dal Corano

La tolleranza è rara di questi tempi.
da Templari di Jean-Luc Istin


La prima pagina del Corano in arabo

Proprio nei giorni in cui l’Isis avanza pericolosamente in Libia e un nuovo attentato colpisce Copenaghen (sempre con un vignettista preso di mira), proseguiamo - con qualche inquietudine in più, ma cercando sempre d’essere obiettivi - l’analisi di come sono stati raffigurati in passato il mondo e la religione musulmana nell’ambito del fumetto, prima che si giungesse alle note vignette su Maometto e alla recente sanguinaria reazione del fanatismo islamista più estremo. Questa seconda parte è dedicata in modo particolare a quei fumetti dedicati proprio agli aspetti storicamente più conflittuali dei difficili rapporti tra Islam e Occidente.
A lungo infatti, nel fumetto e negli altri media, gli antichi Musulmani del Medio Oriente sono stati visti dal mondo occidentale solo come nemici chiamati Mori, oppure Saraceni (dal nome di una tribù di predoni arabi poi usato per estensione a indicare tutti i guerrieri musulmani), per cui nelle storie d’avventura ambientate nel passato, così come nei poemi cavallereschi o negli spettacoli dei pupi siciliani, toccava loro regolarmente il ruolo dei cattivi. In genere erano rappresentati superficialmente come guerrieri aggressivi e spietati che sembravano non fare altro che lottare indiscriminatamente contro tutti i non musulmani in nome della Jihad.
Il termine Jihad, comunemente tradotto in Occidente come Guerra Santa contro gli infedeli, indicherebbe in realtà lo Sforzo per difendere l’Islam, uno sforzo che in base alla legge coranica se necessario può essere anche armato ma che in teoria, almeno secondo l’interpretazione islamica oggi più diffusa, dovrebbe esprimersi solo in termini di difesa dagli attacchi esterni. In effetti però, quella che la propaganda islamica successiva avrebbe definito guerra difensiva, all’inizio non sembra che fosse del tutto giustificata dai fatti.


Conversazione letteraria. Miniatura di Baghdad, 1237


Le cosiddette “persecuzioni” subite da Maometto e dai suoi primi seguaci nel primo periodo meccano, non risulterebbero essere state né feroci né sanguinarie, neppure secondo la tradizione islamica che cercò di esagerarne la gravità. Gli Arabi non islamici più che altro si sarebbero limitati inizialmente a deridere, disprezzare e insultare i primi Musulmani, che del resto a loro volta disprezzavano e offendevano di continuo le molte divinità e le tradizioni più antiche del loro stesso popolo (giuste o sbagliate che fossero). Per un po’ di tempo infatti Maometto godette della protezione di suo zio Abu Thalib, capo di un clan della Mecca.
Fu dopo la morte di Abu Thalib e la sua sostituzione con uno zio decisamente meno affezionato, che tutti i Musulmani migrarono in un’altra città, che da allora prese il nome di Medina (dall’arabo Medinat an-Nabi, La Città del Profeta), anche perché si dice che a quel punto Maometto fosse minacciato di morte, ma la storia della sua fuga dalla Mecca ha vari elementi leggendari ed è difficile dire come siano andate davvero le cose.
Ciò che pare storicamente certo è che furono i Musulmani, dopo essersi trasferiti a Medina, a dare inizio alle vere ostilità depredando le carovane dirette alla Mecca e già queste prime razzie furono da loro considerate Jihad, cioè parte dello sforzo per difendere la loro fede. Per soccorrere una carovana minacciata da trecento islamici, i Meccani armarono allora un esercito di mille uomini che si scontrò con loro a Badr nel 624 d.C. 

Carovana diretta alla Mecca. Da una pergamena persiana del XIII secolo


 
L’inattesa vittoria islamica che seguì alimentò la propaganda, le convinzioni e il fanatismo religioso dei Musulmani. Ne derivò l’uso delle armi per diffondere la loro fede e la fine della tolleranza verso i politeisti. Anche gli Arabi non musulmani di Medina, prima considerati alleati, furono forzati alla conversione e uccisi se si rifiutavano, un’imposizione vietata in certi versetti del Corano ma autorizzata in altri, pare scritti su misura in quell’occasione. Ironicamente fu proprio per indicare tali convertiti forzati che fu coniato il termine Muslimun (Musulmani) cioè sottomessi pacificamente, da saalam che in arabo significa appunto pace. Peccato che la pace data ai politeisti che non si convertivano fosse quella eterna. Lo stesso accadde più o meno a tutte le altre tribù arabe e ai vari popoli politeisti travolti poi dalle conquiste islamiche. Molta più tolleranza ci fu invece verso i monoteisti come Cristiani o Ebrei, cui in genere fu concesso di conservare la loro fede pur essendo sottomessi e obbligati a versare tributi. Infatti anche in questo caso, per molti capi beduini le guerre di religione finirono per essere soprattutto dei lucrosi affari e occasioni di bottino.


La battaglia di Badr. Miniatura turca del XVIII secolo


Anche Maometto, solitamente descritto come un uomo mite e molto meno fanatico di certi suoi seguaci, in qualche occasione fu spietato, come cogli Ebrei di Medina che essendo sospettati di fare il doppio gioco con i Meccani furono in parte scacciati e in parte massacrati, anche dopo che si erano arresi, mentre donne e bambini furono fatti schiavi. In pratica fu il primo atto della secolare inimicizia che ancora oggi oppone Ebrei e Musulmani. Già Maometto insomma spinse la sua cosiddetta guerra difensiva fino a conquistare beni, città e territori altrui e a unificare tutte le tribù arabe. Quella che si dice una difesa molto efficace.
I Califfi arabi che di Maometto furono i successori (è appunto questo il significato del termine Califfo) si “difesero” altrettanto bene, conquistando la Mesopotamia e la Persia, l’Egitto e parte dell’impero bizantino. I primi due califfi, Abu Bakr e Omar, erano rispettivamente il suocero e il consigliere di Maometto. 



Abu Bakr difende Maometto dagli infedeli. Miniatura turca del XVI secolo


 
Gli omicidi del terzo e del quarto califfo (rispettivamente Othman, che fece mettere il Corano per iscritto, e Ali, cugino e genero di Maometto) provocarono una guerra a oltranza tra i rispettivi seguaci, originando la divisione ancora esistente tra Sunniti e Sciiti, dai termini arabi Sunna (Condotta) e Shi’a (Via). I primi ebbero inizialmente la meglio dando origine alla dinastia dei califfi omayyadi, che estese i confini dell’impero dall’Oceano Indiano alla Spagna, e seguendo i precetti coranici non ammettono le conversioni forzate di Ebrei e Cristiani. I secondi sostennero la dinastia discendente direttamente dal Profeta dei califfi abbasidi (dal nome di Abbas, zio di Maometto e padre di Ali), che un secolo dopo prese il controllo della maggior parte dell’impero rovesciando e sterminando gli Omayyadi, e sono più propensi ad accettare il concetto di Jihad come guerra, se necessario anche armata, contro tutti i non islamici. Ai califfi abbasidi fu conferito il titolo di Emiro dei Credenti, a sottolineare il carattere religioso della carica in quanto discendenti del Profeta.
Comunque fra una lotta di potere e l’altra, l’impero islamico mise fine per lungo tempo ai conflitti interni tra le tribù arabe e tra le nazioni conquistate, con una relativa pace secolare che favorì lo sviluppo di una grande cultura filosofica e scientifica, in grado di conservare, tramandare e diffondere sia testi antichi che opere di scrittori arabi, grazie all’invenzione della carta. Furono inoltre i medici arabi a capire per primi che le malattie erano provocate da microrganismi e a creare i primi ospedali. La Cultura araba influenzò poi in modo determinante quella europea, contribuendo in qualche modo a dare inizio all’Umanesimo e al Rinascimento.


Maometto attacca un castello. Miniatura araba



Crociati e Saraceni

Gli Abbasidi furono in seguito detronizzati prima dagli emiri persiani, che dopo essere stati sottomessi ed essersi convertiti all’Islam presero il controllo del nucleo un impero che si andava sgretolando, mentre la carica di Califfo perdeva ogni potere politico e amministrativo e si riduceva a un titolo religioso puramente formale, e poi dai Turchi Selgiuchidi (dal nome del loro primo capo, Selgiuk) che convertiti all’Islam e diventati soldati al servizio dei califfi, si impossessarono del potere spazzando via gli emiri alla metà dell’XI secolo e, come molti convertiti dell’ultima ora, si dimostrarono più intransigenti degli Arabi stessi.
I Musulmani arabi erano stati per secoli molto tolleranti verso gli altri monoteisti. Invece il sultano Al-Akim, per motivi mai chiariti, diede inizio a persecuzioni contro Cristiani ed Ebrei, distruggendone i templi come la grande chiesa cristiana di Gerusalemme. Anche se il suo successore tentò di rimediare e la fece ricostruire, il fatto aveva ormai prodotto un grande sdegno nel mondo cristiano, che vedeva diventati improvvisamente pericolosi se non impossibili i pellegrinaggi verso la Palestina. Gli Europei si convinsero così, del tutto ingiustamente, dell’inciviltà e del presunto paganesimo dei Musulmani e, con la I Crociata indetta dalla Chiesa Cattolica, alla fine dell’XI secolo invasero la Palestina distruggendo e occupando Gerusalemme.


Ritratto "politicamente scorretto" del Saladino, in una miniatura medievale cocidentale


Con la scusa di “liberare” la città sacra, le Crociate, più che guerre sante, furono guerre di conquista condotte in modo spietato. Com’era loro abitudine, quando presero Gerusalemme i Crociati compirono un enorme massacro indiscriminato, non solo uccidendo anche vecchi, donne e bambini, ma per assurdo perfino i tanti Cristiani ortodossi della città, visto che gli invasori erano incapaci di distinguerli dai Musulmani.
In tutto il mondo islamico si produsse un comprensibile sentimento d’orrore per una tale strage, anche perché il Corano, pur autorizzando talvolta l’uso della forza, vieta esplicitamente l’omicidio di donne, bambini e persone inermi (per cui in pratica vieta anche qualunque atto terroristico). Ciò alimentò il risentimento contro i Crociati, che inermi non erano, così di massacro in massacro, eccezion fatta per qualche tentativo di riconciliazione, i rapporti tra Occidente cristiano e Medio Oriente islamico si incrinarono per lungo tempo e si può dire che fu nel reagire alle invasioni cristiane che la parola Jihad finì per assumere a tutti gli effetti il tradizionale significato difensivo datole dai Musulmani. Eppure quando il sultano d’Egitto Salāhal-Dīn (noto in Occidente come Saladino) riconquistò Gerusalemme nel 1188, risparmiò tutti i cristiani che si arresero e li lasciò liberi, conquistandosi anche presso gli Europei la fama di condottiero saggio e magnanimo.
Dopo varie crociate dagli esiti alterni, gli invasori cristiani furono infine respinti. La grande Cultura araba e l’impero controllato dai Selgiuchidi avevano resistito alle invasioni dell’Occidente europeo ma non resistettero alla successiva invasione da Oriente dei nomadi asiatici Turco-Mongoli, che nel XIV secolo distrussero città, moschee e biblioteche, disperdendo le grandi conoscenze raccolte dagli Arabi nel corso dei secoli.
Intanto i Turchi Osmanli fondavano l’Impero Ottomano. Anche i nuovi conquistatori diventarono a loro volta musulmani convinti quanto e più dei precedenti, ma nonostante ciò molte comunità cristiane locali, come quella della Chiesa Copta egiziana, in genere continuarono a essere rispettate, almeno fino a oggi…


Il romanzo Il Crociato Nero, di G.L. Bonelli. Disegno di Paparella



Gli Albi del Vittorioso n. 10. Il Crociato Nero di G.L. Bonelli & Caesar (1938)


Alcuni dei primi fumetti pubblicati in Italia sulle guerre storiche tra Cristiani e Saraceni furono sceneggiati da GianLuigi Bonelli a partire da Il Crociato Nero, adattato da un suo omonimo romanzo e disegnato da Kurt Caesar. Uscito a puntate nel 1938 su Il Vittorioso, Il Crociato Nero narra le imprese in Terra Santa del cavaliere Ugo d’Ivrea ai tempi di Goffredo di Buglione, cioè durante la Prima Crociata, alla fine dell’XI secolo.
Furono realizzati negli stessi anni e scritti dallo stesso autore anche Gli Sparvieri del Mare e La Rivincita di Santamaura, disegnati da Franco Chiletto e usciti su L’Audace tra il 1938 e il 1939. Dati i tempi autarchici il protagonista è sempre un italiano, Giorgio di Santamaura, che combatte i pirati saraceni del XVI secolo.
Seguì nel 1941, sempre a puntate su L’Audace e scritta da G.L. Bonelli, la storia I Crociati, in cui tocca ai cavalieri Rinaldo d’Este e Tancredi d’Altamura affrontare non solo guerrieri ma anche maghi musulmani.


El Guerrero del Antifaz


In Spagna, paese in cui la guerra e poi la reconquista contro gli Arabi era stata storicamente vissuta molto più da vicino che in altri paesi europei, nel 1944 apparve una serie a fumetti di un autore di nome Manuel Gago intitolata El Guerrero del Antifaz (Il Guerriero dalla Maschera). Il protagonista è un giovane spagnolo la cui madre, incinta di lui, era stata rapita dai Musulmani all’epoca in cui gli Arabi avevano invaso e occupato parte della Spagna. Così il nostro eroe si è creduto figlio di un principe islamico e ha combattuto dalla sua parte contro gli Spagnoli. Ma la madre in punto di morte gli svela la verità sulle sue origini, così l’eroe fugge e raggiunge il suo vero padre, un conte spagnolo. Da quel momento cambia schieramento e combattendo insieme agli Spagnoli contro gli Arabi nasconde il volto dietro una maschera per evitare d’essere riconosciuto dagli uni e dagli altri. La trama un po’ semplicistica, cogli Arabi malvagi e solo gli Spagnoli capaci di nobiltà d’animo, non ha impedito che la serie avesse successo in Spagna per ventidue anni, fino al 1966 e al numero 668, conclusosi con la conquista di Granada da parte degli Spagnoli. Comunque il fatto che l’eroe cambi bandiera a seconda di chi considera suo padre, evidenzia come stare dall’una o dall’altra parte sia dovuto alla casualità di dove si è nati, più che a ideali religiosi o politici spesso sbandierati come scuse.


Da Paperino il Paladino, II puntata, pag. 1 (1960)


Molto più spensierata è la facilità con cui Paperino affronta i pirati saraceni nella storia del 1960 Paperino il Paladino, di Carlo Chendi e Luciano Bottaro. Qui il motivo dell’invasione dei Saraceni è che il loro capo non sopporta di sentire continuamente le urla del menestrello Gastone mentre, al di là del mare, canta a squarciagola dei brani alla Celentano. Il solo accenno alla religione è il grido di morte agli infedeli con cui i Saraceni stanno per sbarcare, prima che il prode Paperino, rimasto da solo a difendere la città, ne mandi a picco quasi tutte le imbarcazioni e pesti di santa ragione i pochi sventurati che riescono a prendere terra.
Altri invasori simili, chiamati Mori e impersonati dai Bassotti, furono messi in fuga dal paladino Paperino con ancora maggior violenza nella successiva storia Paperin Furioso, realizzata da Luciano Bottaro nel 1966.


Da Paperino e il tesoro di Papero Magno. Ristampa del 1972


Nella terza parte della trilogia medievale bottariana uscita nel 1972, anch’essa realizzata dal solo Bottaro e intitolata Paperino e il Tesoro di Papero Magno, i Mori-Bassotti hanno un ruolo ancora più importante visto che fanno appunto prigioniero re Papero Magno (cioè Paperone), conquistando una versione europea della città di Paperopoli. D’altra parte su Topolino di riferimenti religiosi espliciti non se ne potevano fare (neppure i paperi sono mai dediti a riti cristiani e non portano croci, anche se qui c’è un accenno alla Terra Santa e i Mori sono chiamati infedeli), quindi in questi casi i motivi del conflitto coi Mori appaiono più misteriosi (o forse più chiari, visto che i Mori-Bassotti sono interessati esclusivamente ai tesori di Papero Magno…).
Comunque questi Mori disneyani venuti dall’Africa (dove poi tornano grazie a un filtro della nostalgia creato da Archimede) sono chiaramente identificabili coi Turchi, visto che Paperino chiama i loro soldati giannizzeri.
A giudicare da certe differenze nel lettering, alcune crudeltà e minacce nei dialoghi da parte di quei Mori sembrano esser state modificate, forse perché considerate eccessiva per i canoni Disney. Così un cavallo che si dice essere stato depilato (?) è probabile che nella prima stesura fosse stato decapitato, mentre un moro che minaccia Paperino di spennarlo e spiumarlo forse in origine lo minacciava di qualcosa di molto peggio.

Da Ramiro, I ep., pag. 5 (1974)


Un’altra serie su Cristiani e Saraceni è quella che il fumettista belga William Vance iniziò a disegnare dal 1974 su testi di Jacques Stoquart. Il titolo è Ramiro e tra il 1977 e il 1989 fu raccolta in nove album dall’editrice francese Dargaud. È ambientata tra il XII e il XIII secolo, negli anni della riconquista della Spagna in gran parte occupata dagli Arabi da parte dei Cristiani. L’impresa è però un po’ complicata dal fatto che questi ultimi sono divisi nei vari regni di Castiglia, di León e di Navarra, che sono nemici tra loro.
Il protagonista è un popolano castigliano, Ramiro appunto, che nel primo episodio partecipa alla battaglia di Alarcos del 1195, in cui l’esercito cristiano del re Alfonso VIII è sconfitto dall’armata musulmana del sultano Ya’Qub. Durante lo scontro Ramiro è fatto prigioniero dal nemico e condotto a Cordoba, nonostante una scorta di cavalieri avesse tentato di proteggerlo a ogni costo, cosa di cui è stato lui stesso il primo a stupirsi.
Gli autori incidentalmente fanno notare come la città di Cordoba, capitale della Spagna islamica, fosse probabilmente la più civile e raffinata dell’intera Europa dell’epoca. Perfino la prigione del sultano in cui è rinchiuso Ramiro è infatti decisamente lussuosa, soprattutto se confrontata con quelle dei re cristiani.


Ramiro n. 8. Dargaud, 1983


Il sultano ha capito di aver catturato un ostaggio importante ma non sa cosa lo renda tale e finisce per cedere il turbolento prigioniero al re di León in cambio di un’alleanza. Infatti in questi conflitti la questione era più politica che religiosa e, allora come oggi, governanti cristiani e musulmani non esitavano ad allearsi.
Ramiro comunque riesce ben presto a evadere e alla fine scopre di essere un figlio bastardo del re di Castiglia, il ché spiega sia la protezione ricevuta in battaglia che l’interesse del re nemico nei suoi confronti.
Per il momento ciò non gli conferisce comunque altri privilegi e, autonominatosi scherzosamente cavaliere bastardo difensore di folli, eretici e derelitti, Ramiro si imbarca in altre imprese, come fare da scorta a dei pellegrini lungo la strada per Santiago de Compostela, che di certo era allora molto più pericolosa di oggi.
Dal febbraio 2015, Ramiro è pubblicato in Italia in formato bonellide in bianco e nero dall’Editoriale Cosmo.


Da Carlo Martello, di Sergio Toppi (1976)



Questo tipo di fumetti storici sono stati saltuariamente ospitati anche sulle riviste cattoliche italiane, ma ovviamente con scene molto poco sanguinarie e spesso con più d’un pizzico di propaganda cristiana.
Sul n°18 del 1976 del Messaggero dei Ragazzi, supplemento a fumetti del Messaggero di Sant’Antonio, uscì per esempio una breve storia di Sergio Toppi intitolata a Carlo Martello, il re dei Franchi che nel 732 fermò l’avanzata degli arabi dell’emiro di Cordoba Abd-Ar-Rahman, nei pressi di Poitiers. Va detto che mentre i disegni di Toppi, sempre eccezionali, mostrano correttamente le truppe di un re molto rude e aggressivo, i dialoghi accennano di continuo alla fratellanza cristiana, con un effetto involontariamente un po’ ridicolo.
Se non si può negare a re Carlo il diritto di pregare in una pausa dei combattimenti, è raro infatti che un rude condottiero, nel bel mezzo di una battaglia decisiva o alla sua vigilia, apostrofi i suoi uomini con parole leziose da ecclesiastico. È probabile che la linea editoriale della testata abbia influenzato i testi dell’autore ed è in fondo più verosimile il re Carlo che tornava dalla guerra nella famosa canzone di De André (visto che sempre di lui si trattava). Degli Arabi è qui riconosciuto il valore in battaglia, ma sono visti soprattutto come una terribile minaccia per il Cristianesimo, il ché non è proprio storicamente preciso, visto che i Musulmani rispettano Gesù come profeta e a quei tempi non obbligavano i Cristiani sottomessi a convertirsi.
Del resto il re Carlo Magno, successore di Carlo Martello, stringerà poi senza troppi problemi un’alleanza coi califfi abbasidi nemici dei Saraceni di Spagna, che appartenevano invece alla dinastia omayyade.



Carlo Magno contro i Saraceni di Spagna. Miniatura francese del XII secolo

Nadir Quinto, Jacopo del Mare (1985)
 
Su Il Giornalino delle Edizioni Paoline, dal 1984 apparve invece la serie medievale Jacopo del Mare, scritta da Mino Milani e disegnata da Nadir Quinto, il cui giovane protagonista è una specie di cavaliere di ventura che comincia la sua carriera dopo aver liberato il padre prigioniero dei Musulmani e che, come ogni eroe che si rispetti, è più interessato a difendere una giusta causa che al proprio tornaconto. Ma Milani è uno scrittore serio e non fazioso, quindi il suo Jacopo affronta tanto pirati saraceni che predoni o nobili dittatori cristiani.



Ahmed Addid, da Federico II di Toppi, 2003


Sempre su Il Giornalino, nel 2003 uscì a puntate il racconto a fumetti Federico II, scritto da Roberto Genovesi, disegnato da Sergio Toppi, e raccolto in volume nel 2005 da Alessandro Editore. Vi si racconta la vita dell’imperatore cristiano Federico II di Svevia, mostrando come la sua particolare apertura mentale fosse probabilmente dovuta anche all’essere cresciuto in Sicilia, storico luogo d’incontro di culture diverse.
In quella storia la tolleranza dell’imperatore è rappresentata dalla sua giovanile amicizia col saraceno siciliano Ahmed Addid, che poi diventa capo delle sue guardie. In seguito vediamo anche come Federico II fu artefice della prima crociata che ottenne i luoghi sacri ai Cristiani senza spargimenti di sangue, grazie all’accordo del 1229 con l’altrettanto illuminato e tollerante sultano d’Egitto Al-Kamil. In cambio questi conservò l’accesso ai luoghi sacri ai Musulmani, per cui il controllo su Gerusalemme fu per la prima volta diviso tra due fedi. 



Federico II e Al-Kamil, da Federico II. Toppi, 2003

 
La ricostruzione del Giornalino è un po’ semplicistica. In effetti Al-Kamil fu forzato a accettare l’accordo dalla preoccupante avanzata dell’esercito di Federico, che usò tale esibizione di forza per ottenere la pace, ma il sultano non era ingenuo e tenne per sé tutte le cittadelle della Palestina, cioè i principali punti strategici.
Inoltre i patti stipulati tra Federico e Al-Kamil proibivano ai Cristiani di costruire fortificazioni, lasciandoli di fatto in completa balia della benevolenza islamica. A ogni modo l’accordo fu ugualmente storico, poiché dimostrò che era possibile una convivenza pacifica basata sulla fiducia reciproca anziché sulle armi.
Ma un tale incruento successo risultò sgradito sia ai nobili europei che non poterono arricchirsi con saccheggi e conquiste di terre, sia alla Chiesa che auspicava stragi di infedeli… Il colto imperatore Federico del resto era già stato scomunicato ancora prima di partire, poiché il Papa aveva notato i suoi indugi, ovvero la sua totale mancanza di entusiasmo nell’andare a massacrare altri esseri umani in nome di Dio.


Confessions d'un Templier n. 2. Soleil, 2010


Sempre a proposito delle Crociate, tra il 2009 e il 2011, l’editrice francese Soleil ha pubblicato i tre album della serie Confessions d’un Templier (Confessioni di un Templare), di Fabio Bono e Bruno Falba.
Il protagonista è l’ultimo Gran Maestro dei Templari, Jacques de Molay, che nel 1314, in procinto d’essere fatto giustiziare dal re di Francia, rievoca la sua vita confessando tutti i suoi segreti al Grande Inquisitore Humbert de Paris e parlando naturalmente degli eventi da lui vissuti durante le Crociate.
Il personaggio è reale e il contesto è storico ma, trattandosi di oscuri segreti, i fatti qui ricostruiti rimangono a dir poco incerti. Del resto nella realtà Jacques de Moley fu costretto con la tortura a rendere confessioni di vari delitti, che poi ritrattò del tutto prima di essere condannato, ma senza confessare altri segreti. È quindi difficile ricostruire, dai pochi dati a nostra disposizione, la vera storia dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio.
Nel racconto qui narrato da de Molay, l’Islam è rappresentato dal sultano Baîbars e dalla leggendaria setta degli Hashashin, una misteriosa organizzazione di sicari dediti all’uso dell’hashish da cui sarebbe poi derivata la parola assassini (ma di cui è difficile che facesse parte una donna, come qui mostrato un po’ arditamente). A essere assassinato alla fine sarà però proprio il sultano, il ché scatenerà una guerra civile tra i Saraceni per la successione, fatto di cui i Templari e non solo loro dovranno decidere se e come approfittare.


Confessions d'un Templier n. 3. Soleil, 2011

Templier n. 1. Soleil, 2012


Lo stesso editore ha pubblicato subito dopo, tra il 2012 e il 2014, anche i tre album della serie Templier (Templari) scritta da Jean-Luc Istin, disegnata all’inizio da Mirko Colak e proseguita coi disegni di Lucio Alberto Leoni (disegnatore tra l’altro di Martin Mystère e Julia) e della sua compagna Emanuela Negrin.
La trama, in cui la Storia cede presto il posto al Fantasy, si svolge nel XII secolo all’epoca della III Crociata indetta per tentare di riprendere Gerusalemme, che era stata riconquistata dalle truppe del Saladino, quindi dopo il finale del film Le Crociate di Ridley Scott (da cui è stato ripreso il volto del condottiero saraceno).
Ma qui il tema principale non sta tanto negli scontri tra Cristiani e Musulmani, quanto nella ricerca di una mitica arca da parte di un gruppo di avventurieri guidati da un cavaliere templare, in concorrenza con la spietata Compagnia Nera, una setta che è praticamente una controparte satanista degli stessi Templari.
L’arca in questione non è quella famosa fatta costruire da Mosè secondo la Bibbia, ma una sua versione malefica, contenente l’Oro di Lucifero che rende folli e spietati tutti coloro che, appena lo vedono, non possono fare a meno di desiderarlo, un po’ come succede con l’anello di Sauron ne Il Signore degli Anelli.
L’idea è interessante, poiché anche l’Arca dell’Alleanza nella Bibbia produce ogni sorta di stragi e pestilenze, stragi che qui gli uomini compiono massacrandosi a vicenda per il possesso dell’oro. È come se l’arca di Lucifero di questa storia rappresentasse quell’aspetto perverso di certe religioni che spinge alcuni al totale fanatismo e alla più sfrenata violenza… o a una sanguinaria ipocrisia religiosa che nasconde solo avidità.
In Italia Templari è stata pubblicata nel 2014, raccolta in un albo in formato bonellide dell’Editoriale Cosmo.


Templier n. 3. Soleil, 2014


Da Dracula di Wood & Salinas



Nemico per eccellenza dei Turchi, tanto nella Storia del Rinascimento che in quella del Fumetto, è stato poi il voivoda della Valacchia Vlad Dracula, detto Tepes (impalatore in rumeno). In italiano il titolo di questo sanguinario sovrano e condottiero rumeno è stato equiparato a quello di principe o di conte. Lasciando da parte tutte le versioni horror che, anche nei fumetti, lo hanno visto sotto forma di un vampiro immortale, il Dracula storico, come ricordato anche nella prima parte, è apparso nella serie Dago, scritta da Robin Wood e disegnata da Alberto Salinas. Gli stessi autori gli hanno poi dedicato una breve serie personale, di cui la prima parte è apparsa sulla rivista argentina Skorpio nel 1991. Vi si narra la vera vita di Dracula, di cui è mostrato il crescente odio per i Musulmani, fin da quando lui e suo fratello Radu , ancora ragazzini, sono presi in ostaggio dal sultano turco. Ma Dracula, pur prigioniero, a differenza del fratello non accetta mai di sottomettersi e anzi sfida più volte apertamente l’autorità del sultano e dei suoi giannizzeri.
Nel periodo in cui è prigioniero dei Turchi, Dracula ne apprende soprattutto le spietate torture. Poi trama per essere inviato dal sultano a riconquistare e governare in sua vece la nativa Valacchia, ma una volta riappropriatosi del trono che era di suo padre Vlad Dracul e aver eliminato spietatamente i suoi oppositori, fa trucidare anche gli ambasciatori turchi. Le truppe che a quel punto il sultano invia contro di lui, cadono vittime delle stesse feroci pratiche che Dracula ha appreso nella sua corte, come quella della decapitazione ma soprattutto dell’impalamento, che Vlad Tepes usa senza risparmio e gli vale il suo sinistro soprannome.
La serie Dracula di Wood e Salinas, conclusasi con la morte del protagonista, è stata pubblicata in Italia dall’Editoriale Eura e raccolta in due volumi della collana Euracomix, il n°40 del 1991 e il n°89 del 1996.


Un'armata turca, da Dracula di Wood & Salinas



Guerre e rivolte coloniali

Nel periodo del Colonialismo, tra ribellioni contro il dominio turco e sollevazioni contro l’occupazione delle potenze europee, la Jihad assunse sempre più il senso di guerra d’indipendenza e di riscatto dei popoli arabi dai conquistatori stranieri. Anche questi conflitti e ribellioni sono stati raccontati in varie storie a fumetti.
Per gli occidentali una delle figure storiche più famose ad aver guidato una rivolta araba, è quella del celebre colonnello inglese Thomas Edward Lawrence, detto Lawrence d’Arabia, che durante la I Guerra Mondiale riuscì a riunire sotto la sua guida molte tribù beduine rivali e a spingerle alla ribellione contro i Turchi, naturalmente finendo per fare in tal modo soprattutto gli interessi bellici e politici del proprio governo.
Nei fumetti hanno indossato in modo parodistico dei panni simili ai suoi, guidando provvisoriamente degli assalti di truppe beduine, anche un paio di personaggi dei fumetti umoristici altrettanto famosi.
Il primo è Zio Paperone, che nella storia di Carl Barks del 1965 dal titolo Uncle Scrooge Mc Duck of Arabia (Zio Paperone Lawrence d’Arabia) guida l’assalto dei discendenti del regno di Saba contro dei predoni. 


Da Zio Paperone Lawrence d'Arabia. Carl Barks, 1965



Da Carter d'Arabia di Bonvi (1973)

 
Il secondo è Nick Carter che nella storia di Bonvi del 1973 Carter d’Arabia, ambientata all’epoca di Lawrence, ne ripete le gesta agendo per conto di un petroliere americano e guidando un gruppo di beduini all’attacco dei suoi pozzi di petrolio controllati dall’esercito turco, ma non riuscirà a impedire che vengano incendiati. Entrambe le storie sono state ristampate più volte e se nella prima di riferimenti religiosi non ce ne sono, nella seconda i beduini fanno riferimento più volte al tipico fatalismo islamico che accetta la volontà di Allah.


L'Uomo del Nilo di Toppi, 1976 (copertina)



Da L'Uomo del Nilo. Toppi, 1976


L’Uomo del Nilo, scritto da Decio Canzio e disegnato da Sergio Toppi, nel 1976 inaugurò invece la collana di volumi cartonati della Cepim Un Uomo, Un’Avventura, composta da veri e propri graphic novel ante litteram. Vi apparvero molti fumetti d’ambientazione storica, di cui alcuni si svolgevano anche nel corso di rivolte islamiche più o meno legittime, trattandosi di guerre per rendersi indipendenti da domini stranieri.
Era una collana piuttosto originale, in cui ai protagonisti, per quanto eroici e coraggiosi potessero essere, poteva anche capitare di trovarsi a combattere dalla parte sbagliata, oppure da quella perdente.
Nel primo volume il protagonista è l’immaginario corrispondente di guerra Bob Wingate, che nel 1884 riesce a raggiungere e intervistare Gordon Pascià, governatore inglese del Sudan assediato nella città di Khartoum dalle truppe del Mahdi. Questo termine indica una sorta di messia guerriero, un condottiero che i Musulmani ritenevano inviato da Dio per guidarli alla riscossa e alla definitiva riconquista del mondo da parte dell’Islam.
Come si vede nella storia, anche tra i suoi seguaci, in modo analogo a quelli che siamo oggi tragicamente abituati a vedere nei telegiornali, c’erano reparti di suicidi che si lanciavano fanaticamente contro le armi e le difese moderne, per consentire la vittoria di chi li avrebbe seguiti. A Khartoum in effetti finirono per vincere.
Ristampato, come la maggior parte dei volumi della serie, anche dalla Hobby & Work, L’Uomo del Nilo nel 2013 è apparso sull’Almanacco dell’Avventura 2014 della Bonelli, omaggio agli autori scomparsi poco prima.


L'Uomo della Legione di Battaglia, ultima vignetta.


Sulla collana Un Uomo, un’Avventura seguì poi L’Uomo della Legione, in cui Dino Battaglia disegnò un episodio ambientato nel 1921 della lunga guerra di liberazione combattuta dagli algerini contro le truppe francesi della Legione Straniera, al grido di Algheveir Alhurà (Algeria Libera), a cui assistiamo però dallo scomodo punto di vista dei legionari. Questi infatti non riusciranno a tener testa ai ribelli arabi, anche se la completa e definitiva liberazione dell’Algeria dal dominio francese giungerà solo decenni dopo.
L’Uomo del Deserto, scritto da Gino D’Antonio e disegnato da Ferdinando Tacconi è invece ambientato in Arabia nel 1917, ovvero durante la I Guerra Mondiale. I due non troppo eroici protagonisti, il pilota inglese disertore Bertram Prott e la spia russa Tania Zarova al soldo dei tedeschi, ritrovandosi dispersi in Arabia dopo essere caduti col loro aereo, finiranno inevitabilmente per unirsi ai beduini di Lawrence d’Arabia, partecipando anche a qualche sua vittoria lungo la strada verso Damasco, prima di eclissarsi e scomparire.

L'Uomo del Deserto di Tacconi (copertina)

L'Uomo del Khiber di Micheluzzi (copertina, 1979)


Un’altra resistenza di una popolazione islamica contro degli invasori, in questo caso inglesi, è raccontata ne L’Uomo del Khiber, scritto e disegnato da Attilio Micheluzzi nel 1979 e ambientato cent’anni prima tra Punjab e Afghanistan, in una regione stretta tra l’impero britannico e quello russo. Il protagonista è Reginald Winkie, un inglese per metà indiano che, per una serie di circostanze, deve rifugiarsi presso una tribù afgana, ma sotto il suo travestimento agisce per agevolare la vittoria inglese contro i guerriglieri delle montagne.


Da Lester Cockney n. 1. Le Lombard, 1982


Il conflitto tra Inglesi e Afghani è anche al centro dei primi episodi della serie Lester Cockney, creata sulla rivista belga Tintin nel 1980 dal fumettista Franz Drappier e pubblicata in album dal 1982 dalle Editions du Lombard, per poi essere edita in Italia dalla Comic Art dal 1984 e in formato bonellide dalla Cosmo nel 2012.
Il protagonista è questa volta un irlandese che, arruolato a forza nell’esercito inglese comincia a viaggiare in giro per il mondo. Lester non sopporta però la disciplina militare e a volte fraternizza coi popoli indigeni con cui di volta in volta viene in contatto, come appunto i rudi guerrieri Afghani. Questi nel secondo episodio riescono a cacciare l’esercito inglese da Kabul e Lester, con un eterogeneo gruppo di amici, riesce a passare indenne attraverso gli eventi senza mai odiare né considerarsi veramente nemico di nessuno.

Da Qui la Legione, di Wood & Garçia Duran


Le guerre d’Algeria, combattute a più riprese dall’esercito francese anche con mezzi inumani come la tortura e conclusesi con l’ottenimento dell’indipendenza per lo stato africano, causarono milioni di morti algerini e possono costituire un altro elemento per capire il risentimento che può riemergere a distanza di generazioni. Oltre a L’Uomo della Legione di Battaglia, ci sono stati anche altri fumetti dedicati alla Legione Straniera.
Gli argentini Robin Wood e Luis Garçia Duran realizzarono negli anni ’80 la serie Qui La Legione, pubblicata in Italia sulle riviste dell’Eura e poi ristampata dal 1998 nei volumi della collana I Giganti dell’Avventura. Anche qui le storie sono incentrate sulla vita e i problemi dei legionari, che sono sempre diversi anche se le fisionomie a volte si assomigliano, visto che gli episodi si concludono spesso con la morte di molti di loro.
Invece i guerrieri del deserto sono visti più che altro come il nemico da combattere ma a volte accennano alla propria religione musulmana sottolineando, col tipico fatalismo arabo, come la certezza che i caduti per la causa andranno in Paradiso sia per loro un incentivo alla lotta a oltranza fino al sacrificio.
Ma ciò che più interessa rilevare a Robin Wood, qui come in altre sue serie, sono le conseguenze sull’animo umano del dover vivere uccidendo i propri simili, cosa che può portare all’indurimento o a crolli psicologici, oppure del vivere isolati in forti in mezzo al deserto, il ché può condurre alla diserzione o alla follia.


Da Il legionario, pag. 136. SBE, 2006



Nella produzione della Bonelli, si può invece segnalare il numero unico Il Legionario, scritto da Stefano Piani e disegnato da Renato Polese, che nel 2006 in un certo senso anticipò la successiva collana dei Romanzi a Fumetti Bonelli, con una storia autoconclusiva in cui i ribelli berberi danno filo da torcere ai legionari invadendo il Marocco Francese, anche se la trama principale riguarda dei crimini interni alla Legione stessa.


Volto Nascosto n. 5. SBE, febbraio 2008. Disegno di Rotundo


Un altro personaggio che comunica e solidarizza con le diverse culture con cui si trova in contatto nei suoi viaggi è l’italiano Ugo Pastore, originale figura di commerciante-avventuriero dal volto vagamente ispirato a quello del cantautore Fabrizio De André, creato dallo sceneggiatore Gianfranco Manfredi come protagonista della miniserie Volto Nascosto, pubblicata in quattordici numeri tra il 2007 e il 2008 dalla Bonelli.
La storia inizia in Etiopia nel 1889 e colui che le dà il titolo è un predone musulmano dal volto coperto da una maschera d’argento e considerato un capo religioso, benché i suoi seguaci appartengano a diverse fedi.
Volto Nascosto ha un ruolo importante nella guerra d’Etiopia in quanto simbolo di libertà e ribellione, ma il fatto che sia islamico non ha che un’importanza relativa. Si batte agli ordini del negus d’Etiopia Menelik II e della regina Taitù, che sono cristiani, contro l’esercito coloniale italiano soprattutto per motivi politici, in una trama complessa e ben costruita, anche se forse a tratti con qualche risvolto sentimentale di troppo.
Il destino di questo misterioso capo etiope, che dovrebbe odiare gli Italiani e di cui solo verso il decimo episodio si vedrà il vero volto e si saprà perché porti una maschera, si intreccia in un rapporto di reciproco rispetto e complicità sia col destino di Ugo Pastore che con quello di un ambizioso amico di quest’ultimo, il tenente Vittorio De Cesari, che era deciso a uccidere Volto Nascosto prima di essere fatto prigioniero da lui. 


Volto Nascosto n. 6. SBE, marzo 2008. Disegno di Rotundo
 



Più essenziale fu l’appartenenza religiosa musulmana nella rivolta dei Sepoy, i soldati indigeni delle truppe coloniali inglesi in India. Questi nel 1857 rifiutarono di usare cartucce che si diceva fossero state trattate con grasso suino, perché la loro religione vietava di toccarlo, mentre i soldati indù temevano a loro volta che il grasso usato per le cartucce fosse di bovino. Dalle punizioni loro inflitte dagli ufficiali inglesi per insubordinazione e dalla conseguente ribellione, ebbe origine una rivolta che infiammò l’intera India per un anno prima che gli Inglesi riprendessero il controllo del paese esercitando una repressione spietata sui ribelli.
Questo episodio storico è riportato fedelmente nell’albo auto-conclusivo La Rivolta dei Sepoy scritto da Giuseppe di Nardo, disegnato da Bruno Brindisi ed edito dalla Bonelli nel 2012 sul n°3 della collana Le Storie.
Qui ai fatti reali viene però aggiunta, per complicare un po’ l’intreccio, la difficile storia d’amore in stile Romeo e Giulietta tra una ragazza inglese di famiglia ricca e un giovane anglo-indiano povero, con il padre di quest’ultimo, il sergente inglese Donovan, che finisce per schierarsi dalla parte dei rivoltosi.


Da La rivolta dei Sepoy. Le Storie n. 3, pag. 88. SBE, 2012



Il Corano e i terroristi

Come si è visto, col tempo il fumetto ha cercato di avvicinarsi alla cultura islamica con meno pregiudizi. Nulla vieta per esempio di citare brani del Corano in un fumetto, anzi forse è un modo in cui una storia che tratti della loro religione possa essere gradita anche ai Musulmani, purché non si discosti dal testo sacro e dalla sua interpretazione ortodossa. Un ottimo scrittore come l’indiano Salman Rushdie, che ha dato con libertà e fantasia un’interpretazione appena diversa sulla leggendaria stesura e modifica di due soli versetti, deve ancora vivere sotto scorta per non fare la stessa fine dei vignettisti e redattori di Charlie Hebdo.


Salman Rushdie, I versi satanici. Mondadori, 1989


Del resto nel Corano, come in altri presunti libri sacri, si trova un po’ tutto e il contrario di tutto, versetti che invitano chiaramente alla tolleranza e alla convivenza pacifica e altri che possono essere usati per giustificare lotta armata e persecuzioni. Ciò perché alle origini dell’Islam già Maometto e i suoi primi seguaci, visto che la loro dottrina non attecchiva facilmente, finirono per ricorrere anche ad azioni abbastanza sanguinarie, sia per sopravvivere che per imporre e diffondere la loro fede, e dovettero quindi auto-assolversi da quelle violenze.
La principale giustificazione che si diedero, e che sopravvive in certi passi del Corano, fu che in quei casi fosse stato Dio stesso a comandare loro, per bocca del suo messaggero, di ricorrere all’uso delle armi. Insomma si tratta di un perfetto equivalente del Dio lo vuole! con cui anche Cristiani ed Ebrei giustificarono molto spesso le loro invasioni e stragi, a volte anche per bocca di alcuni cosiddetti santi e profeti.
Al di là dei contenuti, pare che uno dei motivi che contribuirono a diffondere il Corano tra i popoli arabi, tradizionalmente amanti della poesia, sia la grande bellezza stilistica della sua stesura originale, considerata anche per questo d’origine divina, un aspetto che va irrimediabilmente perso nelle traduzioni in altre lingue. 



Corto Maltese di Hugo Pratt
 

Cita diversi brani del Corano (sia veri che falsi) Hugo Pratt, in una storia di Corto Maltese degli anni ’70 ambientata in Arabia durante la I Guerra Mondiale e non a caso intitolata Nel Nome di Allah il Misericordioso e Compassionevole, frase da cui sono introdotti quasi tutti i capitoli, o sure, del libro sacro dell’Islam.
Naturalmente Corto Maltese, sempre schierato dalla parte di tutti i popoli in rivolta, qui combatte al fianco dei beduini arabi contro i Turchi ottomani, esattamente come fece Lawrence d’Arabia, ma come sua abitudine rimane alla fine indipendente da ogni fazione e fedele solo al suo spirito anarchico. 


Da Corto Maltese di Pratt


 
Tra le altre cose, in quella storia esordisce l’affascinante personaggio di Cush, giovane dancalo di religione islamica che ne segue i dettami un po’ a modo suo, pur dichiarando spesso la sua fedeltà alla legge coranica.
Il nome Cush nella Bibbia ebraica indica l’antica regione dell’Etiopia, che era ben più vasta dell’attuale, cioè proprio il paese da cui proviene e in cui poi ritorna l’omonimo personaggio di Pratt. Cush ha infatti un ruolo importante anche nelle due storie successive di Corto Maltese, di cui l’ultima in cui appare, ambientata appunto in Etiopia e intitolata Di Altri Romei e di Altre Giuliette, vede svolgersi tra le dune del deserto una trama vagamente simile a quella dei due famosi amanti di Verona. Al posto delle due famiglie nemiche ci sono i due popoli dancalo e abissino, l’uno di religione islamica e l’altro di fede cristiana. Rispetto alla tragedia shakespeariana, l’abituale leggerezza e ironia di Pratt assicurano però in questo caso un lieto fine. Le tre storie di Corto Maltese in cui appare Cush, andarono poi a costituire la trilogia intitolata Le Etiopiche.



Cush, in una copertina di Pratt

Gli Scorpioni del Deserto di Pratt. Milano Libri, 1991



Un Cush più maturo, visto che sono passati parecchi anni, riappare nel secondo episodio di un’altra famosa serie di Pratt, ambientata in Africa durante la II Guerra Mondiale e intitolata Gli Scorpioni del Deserto.
Qui il guerrigliero dancalo salva da morte certa il protagonista, il tenente polacco Koïnsky, e continua a recitare sure del Corano ma anche altre poesie arabe. Con gli anni però Cush dimostra di essere diventato un po’ meno osservante e molto più “rivoluzionario”. È infatti soprattutto in cerca di armi che servano alla lotta armata del suo popolo e per ottenerle non esita a uccidere a sangue freddo un ufficiale italiano fascista.
Tutte queste storie di Pratt, in origine pubblicate in formato rivista, sono state rimontante in formato simile al bonellide nella collana Hugo Pratt, allegata nel 2010 al Corriere della Sera e alla Gazzetta dello Sport.

Lo Sconosciuto di Magnus



Cita delle autentiche sure del Corano anche un altro famoso fumettista altrettanto dotto, Roberto Raviola, in arte Magnus, in alcune storie vissute o presentate dal suo antieroe spionistico Lo Sconosciuto.
Nel sesto numero de Lo Sconosciuto, uscito nel 1976, è un gruppo di guerriglieri libanesi che, mentre un loro compagno sta morendo, leggono un brano dal Corano scegliendone una pagina a caso. Prima del testo in italiano, l’autore riporta perfino le frasi originali scritte in alfabeto arabo, che pochi lettori dell’epoca avranno potuto leggere ma che potrebbero benissimo essere i primi testi arabi mai pubblicati in un fumetto italiano. Nel finale della storia, dopo il bombardamento di un campo profughi palestinese da parte di aerei israeliani, lo stesso guerrigliero che aveva letto il Corano compie un attentato a Beirut, gettando una bomba a mano contro delle famiglie di turisti occidentali, e viene infine linciato dalla folla infuriata.


Da Lo Sconosciuto n. 6. Magnus, 1976


Da Il volo del Lac Leman. Magnus, 1981


Il breve episodio Il Volo del Lac Leman uscì invece nel 1981 sul n°38 del supplemento Strisce e Musica allegato ai quotidiani La Nazione e Il Resto del Carlino. Il titolo si riferisce a un aereo dirottato da terroristi pakistani, i cui caratteri sono tratteggiati da Magnus con efficacia in poche vignette. C’è appunto il fedele islamico che ripete e medita tra sé le sure del Corano, c’è l’esaltato fanatico incapace di controllarsi e che abusa di stimolanti, c’è una donna più pragmatica e affidabile dei suoi complici. Nella stessa storia un saggio arabo dice che chi agisce con orgoglio ricorrendo alle armi, come i terroristi, non confida in Dio e quindi non è un vero musulmano, idea interessante ribadita da vari leader islamici per condannare la strage di Parigi.
Visto che anche Maometto unificò le tribù arabe guidando delle lotte armate, qualcuno potrebbe dedurne che neanche il Profeta fosse un perfetto musulmano, ma si sa che le regole valide per i sudditi non sono mai applicate a capi e monarchi, soprattutto se sostengono d’aver avuto l’autorizzazione direttamente da Dio…

Schizzi preparatori di Magnus per Il volo del Lac Leman



Da Full Moon in Dendera. Magnus, 1982



In uno degli episodi più lunghi de Lo Sconosciuto, intitolato Full Moon in Dendera e uscito a puntate sulla rivista Orient Express nel 1982, Magnus costruisce invece un intreccio politico e spionistico più complesso, ambientato in Egitto tra antichi reperti archeologici e sanguinari attentati con armi moderne.
Anche in questa storia c’è un terrorista che cita il Corano, ma ne dà una lettura rivoluzionaria, secondo cui i nemici dai quali difendersi e da combattere non sarebbero tanto gli infedeli, quanto quel 20% dell’umanità che sfrutta il rimanente 80% sottraendogli ogni ricchezza. Tale interpretazione potrebbe essere stata ispirata da quella analoga di Sayyid Qutb, storico ideologo del movimento radicale dei Fratelli Musulmani.
Entrambi i racconti citati sono stati anche ristampati nel 2003, nel volume in formato bonellide L’Arte di Magnus, corrispondente al n°41 della collana I Classici del Fumetto di Repubblica.


Le Décalogue n. 10, di Giroud & Franz. Glénat, 2003


Lo sceneggiatore francese Frank Giroud trattò il difficile tema della religiosità islamica in modo più organico e ambizioso nella serie in dieci album Le Décalogue (Il Decalogo), pubblicata da Glénat tra il 2001 e il 2003, uscita in Italia anche in formato bonellide tra il 2013 e il 2014 e citata anche ne L’Angolo del Bonellide XIII.
Al centro della storia, continuamente oscillante tra thriller e racconto storico, c’è un immaginario decalogo di comandamenti perduti attribuiti a Maometto, che inviterebbe alla tolleranza reciproca, al perdono dei propri nemici e a rinunciare del tutto all’uso della forza, insomma un decalogo islamico che condanna chiaramente ogni forma di violenza e che, se esistesse, forse oggi potrebbe anche contribuire a un po’ di distensione...
La serie racconta la ricerca del misterioso testo procedendo a ritroso, dal presente al passato. In anni recenti il rarissimo libro che lo contiene va perduto soprattutto a causa di un gruppo di terroristi islamisti, che lo considerano una minaccia per la diffusione del loro distorto concetto di guerra santa. Poi, di episodio in episodio (ognuno realizzato da un artista diverso), si risale indietro nel tempo attraverso i secoli fino a un’epoca vicina a quella in cui il Profeta avrebbe potuto scrivere tale Decalogo, su una scapola d’asino.
Ma chiaramente gli autori de Il Decalogo sono consci dell’effetto che potrebbe avrebbe su molti Musulmani raffigurare il volto dell’estensore del Corano in una storia come questa e quindi si regolano di conseguenza.
Anche nel decimo e ultimo capitolo, pubblicato nel 2003 e intitolato La Dernière Sourate (L’Ultima Sura), lo scrittore Giroud e il disegnatore Franz Drappier non corrono mai il rischio di mostrare l’aspetto di Maometto, ambientando la storia in anni successivi alla sua morte, dopo che qualcuno ha trovato tra le sue cose il decalogo in questione, la cui vera paternità resta dubbia fino alle ultime pagine della saga.


Da Le Décalogue n. 10, pag. 16. Glénat, 2003


Stati canaglia

La definizione di “stati canaglia” fu coniata dal governo USA per indicare quegli stati, in particolare arabi o islamici, che danno asilo e sostegno a gruppi terroristici. Di certo ce ne sono stati, ma a ben vedere tale definizione si può adattare anche agli stessi USA, che in vari casi hanno finanziato gruppi di guerriglieri, come in Nicaragua o in Liberia, e che in Afghanistan inizialmente sostennero i talebani contro i sovietici.
In ambito mediorientale, anche Israele in passato ha ospitato, tollerato o appoggiato atti di terrorismo ai danni dei Palestinesi. Si può citare il massacro dei profughi palestinesi di Sabra e Shatila compiuto in Libano nel 1982 da falangisti cristiani con la connivenza dell’esercito israeliano, o il tumulto della Montagna del Tempio a Gerusalemme nel 1990, in cui un gruppo sionista ultra-conservatore uccise ventuno Palestinesi e ne ferì gravemente più di cento, con la polizia israeliana che malmenò e arrestò solo i Palestinesi.
Se si estende il concetto di stato canaglia a eserciti, polizie o servizi segreti che si sono comportate esse stesse in modo terroristico, facendo uso di violenze o torture su civili innocenti, la lista si allunga a dismisura. Insieme a certi regimi arabi o islamici (anche amici dell’Occidente come l’Egitto di Mubarak o l’Arabia Saudita), dovrebbe includere anche quei governi che furono responsabili del carcere di Guantanamo o dei carceri israeliani in cui si sono ignorati i diritti umani dei prigionieri arabi, spesso arrestati anche senza prove.
In vari casi insomma, gli stessi Musulmani sono stati a loro volta vittime di diverse forme di terrorismo o ingiustizie e il fatto che vaste violenze gratuite contro civili arabi siano state compiute anche da eserciti in divisa o da bombardamenti aerei, non è una grande attenuante (forse piuttosto un’aggravante…).
Ogni volta che fatti simili si verificano, è abbastanza probabile che possano contribuire a far incrementare l’estremismo e il fanatismo, anche religioso, a far aumentare cioè il numero di coloro che per risentimento compiono attentati o accettano di aderire a organizzazioni terroristiche, come accadde in Irlanda quando in tanti si unirono all’IRA dopo che la polizia inglese aveva fatto una strage sparando su manifestanti pacifici.


Da Paulette, cap. 3, di Wolinski & Pichard


Dagli anni ’90 a oggi, varie opere a fumetti si sono occupate della difficile situazione in paesi del Medio Oriente o dell’Europa orientale, denunciando giustamente anche le persecuzioni o le stragi ai danni di Musulmani, o accennando al finanziamento del terrorismo anche islamico da parte di paesi occidentali. In questi casi contribuiscono ad alimentare conflitti e violenze anche degli intrecci politici, che non rendono le situazioni per niente semplici come una certa propaganda guerrafondaia o ingenua vorrebbe farle apparire.
Già Georges Wolinski e Georges Pichard, nel 3° capitolo della lunga saga di Paulette da loro pubblicata sulla rivista Charlie dal 1970, accennarono alla curiosa usanza dei governi occidentali di offrire le loro forniture di armamenti indifferentemente a stati islamici dittatoriali di vecchio tipo, a nuove fazioni islamiste fanatiche o a gruppi militari con a capo ufficiali arabi laici, che in nome di principi intransigenti hanno quasi sempre finito per creare nuove dittature. Ma in genere, per i rappresentanti delle potenze o delle ditte occidentali, ciò che più conta è che una volta al potere i loro clienti possano pagare le armi ricevute, magari in petrolio (gli affari sono affari, come si dice da noi, anche se intanto ci vanno di mezzo un mucchio di innocenti…).



Una pena islamica, in una vignetta di Naji al-Ali del 1985


Dal 1969 il disegnatore palestinese Naji al-Ali, vissuto lui stesso come rifugiato e esule tra Libano e Kuwait, realizzò un gran numero di vignette con un personaggio di nome Handala (termine che indica l’amarezza), un bambino arabo stilizzato quasi senza capelli e a piedi scalzi, che da metà anni ’70 il suo autore cominciò a raffigurare quasi sempre di spalle e finì per sostituire la sua firma. Handala rappresenta il testimone delle tante ingiustizie subite dai popoli arabi nel corso degli anni per vari motivi: per l’occupazione israeliana, per le faziose politiche statunitensi, per i bombardamenti in guerre come quella del Libano, per le stragi come quella di Sabra e Chatila, per lo sfruttamento occidentale del petrolio che arricchisce gli emiri e non le popolazioni, per le politiche dei leader arabi che fanno gli interessi propri e non dei loro popoli, per le leggi inumane di certi regimi islamici (anche alleati dell’Occidente) che infliggono punizioni corporali e mutilazioni.
Altri personaggi fissi delle vignette di Naji al-Ali sono una donna velata in abito tradizionale che rappresenta la Palestina (a volte tristissima e altre fieramente ribelle), un uomo magro e baffuto che rappresenta il popolo arabo (spesso mostrato come un carcerato, un perseguitato o un militante), un soldato israeliano con la Stella di David sull’elmetto, che rappresenta i governi sionisti ed è quasi sempre il cattivo della situazione, e poi un uomo grasso che rappresenta i leader arabi corrotti e che viene spesso ridicolizzato in vari modi. 

La strage di Sabra e Chatila, in un disegno di Naji al-Ali del 1982

 
Le vignette di al-Ali divennero famose in tutto il Medio Oriente e lo sono ancora oggi. Hanno un tono più doloroso e poetico che comico, distante da quello dell’umorismo occidentale, e sono decisamente di parte, con qualche disegno anche abbastanza discutibile, ma se l’autore si schiera di continuo contro gli Israeliani e contro l’invadenza dei governi occidentali nei paesi arabi, lo fa sempre per motivi politici, non religiosi. Infatti tra i Palestinesi spesso disegnava anche Gesù crocifisso, oppure la sua croce portata dai Palestinesi, in una sorta di identificazione ideale tra un messia e un popolo entrambi perseguitati.
Inoltre vari codici e simbolismi grafici che al-Ali usa sono spesso molto diversi dai nostri (per esempio le immagini in sequenza si leggono da destra a sinistra) e quindi non sono sempre per noi immediatamente comprensibili. Nonostante ciò, vedendo molte delle sue tragiche vignette, è difficile restare del tutto indifferenti davanti a raffigurazioni tanto sentite e dirette delle sofferenze di un popolo.
Per le sue vignette libere e che non risparmiavano nessuno, Naji al-Ali era inviso ai sionisti ma anche ai leader arabi di cui contestava le scelte. Cacciato dal Kuwait nel 1985 su pressione del leader palestinese Yasser Arafat e dopo aver capito, anche a seguito di minacce di morte, che non avrebbe potuto disegnare liberamente in nessun altro stato del Medio Oriente, si rifugiò a Londra, dove riprese a collaborare con la sede locale del giornale arabo Al-Qabas International, che poi faceva arrivare i suoi disegni nei paesi arabi. 

Una vignetta di Naji al-Ali sulla Palestina (1987)


Le Livre de Handala, di Naji al.Ali. Sacribest, 2011

 
Nel 1987 Naji al-Ali fu vittima di un attentato nella sede di quel giornale, in pieno centro di Londra, e morì cinque settimane dopo per le ferite riportate. Assassino e mandanti non furono mai identificati. Quattro anni dopo Arafat disse che era stato ucciso dal Mossad, il servizio segreto israeliano, ma la cosa naturalmente è impossibile da dimostrare e trattandosi di una dichiarazione di parte non è neanche così tanto affidabile.
La sola cosa sicura è che, allora come oggi, l’esercizio della libertà d’espressione può essere pericoloso, quando tocca certi temi scomodi e certi interessi politici ed economici. Al-Ali non era accusato di violazioni religiose ma di denunciare le ingiustizie subite dal popolo arabo, eppure la sua morte non è stata molto diversa da quella dei vignettisti di Charlie Hebdo. Anche loro denunciavano la violenza integralista.
In Occidente le vignette di Naji al-Ali sono apparse solo molti anni dopo la sua morte: in Inghilterra nel libro del 2009 A Child in Palestine (Un Bambino in Palestina), in Francia nel volume del 2011 Le Livre de Handala (Il Libro di Handala), col sottotitolo I disegni di resistenza di Naji al-Ali o L’altra storia della Palestina.


Da Afghanistan, di Attilio Micheluzzi (pag. 27)


L’invasione dell’Afghanistan da parte dei soldati dell’URSS in un ultimo guizzo di imperialismo sovietico e la resistenza dei guerriglieri locali, all’epoca finanziati dagli USA, è stato invece rievocato, in modo romanzato ma al tempo stesso estremamente realistico, nel breve romanzo a fumetti Afghanistan. Si tratta dell’ultima storia incompiuta di Attilio Micheluzzi, realizzata nel 1990 e uscita a puntate sulla rivista Comic Art all’inizio del 1991, poco dopo la morte dell’autore, per poi essere raccolta in volume sul n°49 dei Tascabili Lizard.
Il taglio dato alla storia da un raffinato fumettista fuori dagli schemi e politicamente super partes qual era Micheluzzi, è quello di un racconto dove non c’è spazio né per il buonismo superficiale né per le scontate retoriche militariste. Tanto la propaganda sovietica che quella islamista sono evidenziate nella loro pomposa assurdità, dallo sguardo critico dell’autore. Tutti i personaggi che disegna sono invischiati loro malgrado in una sporca guerra, in cui sono costretti a sporcarsi a loro volta le mani e in cui ancora una volta l’Islam diventa un incentivo alle violenze sugli invasori infedeli o sui traditori, anziché una ricerca di pace interiore.
Alla resistenza afgana partecipano infatti vari gruppi islamici, compresi quelli integralisti ed estremisti come il Jamiat-I-Islami. Così tra uno scontro e l’altro, è apparentemente ucciso dai fondamentalisti anche un medico della Charitas, le cui visite a pazienti femminili sarebbero stata viste dai fanatici come un infastidire le donne, ma poi si scopre che i colpevoli non sono quelli che sembrano e che la situazione è più ingarbugliata.
Anche qui, come ne L’Uomo del Khiber, anch’esso d’ambientazione afgana, l’autore evidenzia l’assurdità delle tragedie che descrive sottolineando il concetto di kismet (destino), tipico degli Afgani e in generale di tutti gli Islamici, poiché secondo la dottrina coranica neanche il male può avvenire senza il consenso divino. 

Da Palestisna, I parte, pag. 47
 

Tra il 1992 e il 1995, dopo un paio d’anni passati a raccogliere testimonianze nei territori occupati da Israele, il fumettista maltese e statunitense d’adozione Joe Sacco scrive e disegna la serie Palestina, prima pubblicata in nove albi, poi raccolta in due volumi e infine in un unico volume nel 2001. La lucida denuncia di questo libro riguarda soprattutto le difficili condizioni vita, i maltrattamenti e gli attentati subiti dai Palestinesi, sia nel periodo di cui l’autore può dare una diretta testimonianza che nei ricordi delle persone intervistate.
Si parla di Israeliani armati che si insediano come coloni nei territori senza permesso, cacciando con la forza dalle case i Palestinesi che vi abitavano prima. Si vedono vittime di formazioni israeliane paramilitari che sparano contro i Palestinesi per strada, provocando un gran numero di invalidi permanenti. Si descrivono le torture e i pestaggi subiti da Palestinesi arrestati senza prove per farli confessare di essere terroristi, con alcuni di loro trattenuti anche per lunghi periodi indeterminati senza capo d’imputazione né processo. Si mostrano i funerali di Palestinesi uccisi in interrogatori della polizia israeliana, evidentemente piuttosto rudi… 

Da Palestina, I parte, pag. 98

 
Non manca neanche la cronaca delle violenze compiute dai Palestinesi, come la prima Intifada (la Rivolta delle Pietre), che qui è vista come una comprensibile reazione a una dura occupazione militare della propria terra, un po’ come fecero nel Risorgimento italiano i ragazzi di Genova contro gli occupanti Austriaci. Per quanto ogni violenza sia deprecabile, in effetti è un po’ difficile considerare un vero e proprio atto terroristico il lancio di sassi da parte dei giovani palestinesi contro dei soldati equipaggiati con armi da fuoco e mezzi corazzati, soprattutto quando qualcuno di quei ragazzi paga il suo gesto di ribellione con la vita.
Il giorno in cui, come si vede qui, dei soldati ben armati fuggirono per la prima volta davanti ai sassi lanciati da dei ragazzi, questi dimostrarono che non era vero che i Palestinesi non esistevano, come sostenevano in passato i leader israeliani. D’altra parte, in Medio Oriente la lapidazione con grosse e pesanti pietre è una pratica molto violenta, prevista in certi casi addirittura come pena di morte dalla legge islamica. Comunque in vari punti, Sacco condanna anche gli atti terroristici compiuti dai Palestinesi, ma il suo libro dà soprattutto voce a chi non ha potuto quasi mai far sentire le sue ragioni e far conoscere i motivi della sua rabbia.



Da Palestina, I parte, pag. 138



Ma se l’opposizione e la lotta contro il governo sionista e l’esercito israeliano occupante sono comprensibili e anche legittimi, invece l’odio indiscriminato verso tutti gli Ebrei, espresso più volte dai Palestinesi anche nelle testimonianze riportate nel libro di Joe Sacco, come ogni generalizzazione non fa che alimentare conflitti senza fine, rischiando di colpire solo persone innocenti. Infatti ci sono anche Israeliani che condannano le violenze subite dai Palestinesi e se non saranno i più moderati dei due popoli a incontrarsi, parlarsi e trovare soluzioni, certo nessuno dei più integralisti riuscirà a risolvere la situazione con la violenza, a meno che non porti alla totale distruzione di una delle due nazioni come i più estremisti da entrambe le parti vorrebbero.
Altrettanto inquietanti sono i risvolti che fanno pensare a un ritorno ai precetti più retrivi della religione islamica da parte di un popolo come quello palestinese, i cui usi e costumi sono ampiamente moderni. Come si dice anche nel libro di Sacco, la vecchia OLP (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina) è infatti del tutto laica, visto tra l’altro che non tutti i Palestinesi sono musulmani ma ci sono tra loro anche cristiani.
La questione posta anche in questo libro, la restituzione dei territori occupati (che molti Palestinesi vorrebbero in modo irrealistico che coincidesse con quella dell’intero Israele) è soprattutto politica, non religiosa. Nel fumetto di Sacco vediamo l’OLP che vieta di imporre i precetti islamici, mentre le donne che ne fanno parte in genere non portano il velo, ma sono per lo più delle femministe che tentano di far prendere coscienza dei propri diritti alle tante donne sottomesse ai mariti (non solo musulmane, ma anche cristiane). 

Da Palestina, II parte, pag. 4

 
Con l’inasprirsi dell’occupazione e degli scontri, mentre i Palestinesi sembrano dover difendere sempre più la propria identità culturale, aumenta però l’influenza del gruppo islamista di Hamas, diventa sempre più raro vedere in giro donne palestinesi senza velo e si verificano casi di anacronistica intolleranza religiosa.
La lunga intervista finale dell’autore a un paio di ragazze israeliane mostra l’altro lato della medaglia, ovvero la paura che gli Israeliani hanno degli Arabi e la conseguente esitazione a restituire loro i territori occupati per timore che possano avere una buona posizione strategica per colpire Israele. Ciò conferma che all’origine di molte violenze e sopraffazioni, sia in natura che tra gli esseri umani, c’è molto spesso la paura dell’altro.
In Italia i primi albi di Palestina furono pubblicati dall’editrice Phoenix, mentre l’edizione in volume è stata pubblicata nel 2002 dalla Mondadori nella collana Strade Blu e poi ristampata più volte, nel 2006 dalla stessa Mondadori nella collana Piccola Biblioteca e anche sul n°4 della collana Graphic Novel allegata a La Repubblica e a L’Espresso, nel 2013 sul n°8 della collana Graphic Journalism allegata al Corriere della Sera.


Da Palestina, II parte, pag. 49



Da Gorazde area protetta, pag. 22

 
Ma una delle più sistematiche e sanguinarie stragi compiute da cristiani ai danni di musulmani, dai tempi delle Crociate, è quella riportata e documentata nel successivo libro a fumetti di Joe Sacco, Safe Area Goražde (Goražde Area Protetta), uscito nel 2000 dopo che l’autore aveva passato quattro anni a raccogliere informazioni sul posto. Il sottotitolo è La Guerra in Bosnia 1992-1995 e i terribili avvenimenti descritti sono stati ricostruiti subito dopo che si erano svolti, grazie alle testimonianze dirette di molti testimoni oculari.
L’enclave di Goražde, una zona a grande maggioranza musulmana, in quegli anni rimase isolato nella Bosnia occupata dalle truppe serbe di religione cristiano-ortodossa. Queste attuarono una terribile pulizia etnica in particolare proprio ai danni dei Musulmani, massacrando sistematicamente migliaia di persone, fucilandole o scannandole letteralmente, comprese donne e bambini, che a volte furono sgozzati e gettati nei fiumi. In questo caso, che indossassero o meno delle divise militari, i terroristi furono decisamente i Cristiani.


Da Gorazde area protetta, pag.187



I Musulmani della Bosnia, di etnia slava come i loro carnefici, sono discendenti di coloro che si erano convertiti all’Islam durante i secoli in cui quella regione era parte dell’Impero Turco e a parte la religione non sono in alcun modo distinguibili dagli altri Europei, né per l’aspetto né per l’abbigliamento o le usanze.
Tutto il libro è attraversato anche da storie di amicizia tra ex-vicini musulmani e serbi, che prima della guerra convivevano pacificamente e che a volte cercano di salvarsi a vicenda dal vortice della follia umana. Un testimone musulmano racconta invece di come un suo vicino serbo si dicesse convinto, senza nessun motivo concreto, che i Musulmani avrebbero massacrato tutti i Cristiani per creare uno stato islamico dittatoriale e che per questo i Serbi dovevano ucciderli per primi. È un altro esempio di come una paura più o meno irrazionale, fomentata da pregiudizi, possa condurre gli esseri umani a giustificare atroci violenze.
Nell’ultima parte del volume l’autore descrive la battaglia in cui i Musulmani bosniaci difesero disperatamente ciò che restava di Goražde dall’attacco martellante delle truppe serbe. Data l’assenza di fanatismo religioso nei Bosniaci nessuno di loro gridò Allah Akbar! né parlò di Jihad, ma in un certo senso, se la si definisce davvero come guerra difensiva, quello fu forse il caso di Jihad più giusta e giustificata nella storia dell’Islam.
In Italia, Goražde Area Protetta è stata pubblicata direttamente in volume dalla Mondadori nel 2006 e poi ristampata come n°13 della collana Graphic Journalism allegata al Corriere della Sera nel 2013.


Da Gorazde area protetta, pag. 203

Locandina in inglese di Valzer con Bashir



Ancora a proposito di massacri ai danni di musulmani, nel 2008 fu presentato al festival di Cannes il film a cartoni animati Waltz with Bashir (Valzer con Bashir) scritto e diretto dal regista israeliano Ari Folman. Tale lungometraggio è stato anche adattato sotto forma di un romanzo a fumetti, pubblicato nel 2009 dalla Metropolitan Books coi disegni dell’illustratore israeliano David Polonsky, principale animatore del film.
Vi si narra il tentativo dell’autore stesso di recuperare un ricordo completamente rimosso dalla sua memoria, ovvero l’indiretta partecipazione alla strage di Sabra e Shatila, all’epoca in cui era un giovane soldato dell’esercito israeliano in Libano. Come riportato nel film e nel fumetto, la strage avvenne nel 1982, ai danni dei rifugiati palestinesi che occupavano quei campi nei pressi di Beirut, tra cui anche vecchi, donne e bambini, e fu compiuta dai falangisti cristiani libanesi per vendicare l’omicidio del loro leader Bashir Gemayel. 

In parallelo, una scena di Valzer con Bashir e l'adattamento a fumetti

 
L’esercito israeliano, che nel conflitto sosteneva i falangisti e in quel momento si trovava disposto intorno ai campi, contribuì ad agevolare il lavoro degli assassini, illuminando il cielo notturno con dei razzi al fosforo. Ari Folman, anche se non ricorda molto bene dove si trovasse e che cosa facesse in quel momento, a distanza di parecchi anni continua a sentirsi in colpa per aver preso parte in qualche modo a un eccidio che ha fatto di tutto per dimenticare e di cui ha infine deciso di affrontare il ricordo, raccontandone la storia.
È questo un altro caso in cui la persecuzione religiosa è stata compiuta da cristiani verso i musulmani, con i falangisti che con le loro baionette incisero perfino delle croci sui petti dei Palestinesi prima di ucciderli.
La versione a fumetti di Valzer con Bashir, con un’interessante appendice che illustra difficoltà e differenze che il disegnatore ha riscontrato nell’adattare un film in tale forma, è stata pubblicata in Italia dalla Rizzoli-Lizard e nel 2013 è stata ristampata sul n°2 della collana Graphic Journalism allegata al Corriere della Sera. Il fumetto non è stato ottenuto né riproducendo dei fotogrammi, né ridisegnando le scene, ma con disegni preliminari realizzati durante la preparazione del film e a volte più dettagliati di quelli apparsi sullo schermo.

Valzer con Bashir a fumetti. Rizzoli Lizard, 2009



Empire USA n. 1. Mondadori Comics, 2014



Sono invece il terrorismo islamista e le teorie complottiste del mondo post-11 Settembre a essere al centro della prima parte della serie francese Empire USA, un thriller spionistico a fumetti che è stato pubblicato da Dargaud in due stagioni di sei album ciascuna, uscite rispettivamente nel 2008 e nel 2011. L’autore delle sceneggiature è Stephen Desberg, mentre alla realizzazione grafica dei volumi si sono alternati vari disegnatori, così da far uscire rapidamente i sei album di ogni stagione nel giro di un solo anno.
Desberg si ispira allo stile e al ritmo dei telefilm televisivi, per creare nella prima stagione una trama in cui si suggerisce che le famose armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, mai rinvenute in Iraq, gli fossero state vendute dallo stesso governo americano, ma non avessero mai lasciato gli Stati Uniti. Ora una di quelle armi, una micidiale bomba chimica, viene fornita a dei terroristi islamisti, i Fratelli Assassini, che progettano di usarla in un grande attentato a San Francisco, da dei politici americani che vogliono manipolarli. Questi poco noti ma influenti uomini politici intendono sfruttare l’effetto post-attentato, per instaurare a loro volta una dittatura religiosa cristiana negli Stati Uniti e costituire quello che diventerebbe a tutti gli effetti un vero e proprio impero neocoloniale globale. Per la gioia dei teorici dei complotti, l’inquietante storia, costruita con un discreto realismo, riesce a risultare molto più credibile di quanto potrebbe sembrare a prima vista.


Da Empire USA, ep. 1, pag. 6


Particolarmente inquietante è la descrizione dei Fratelli Assassini come un gruppo islamista rivale di Al-Qaeda e ancora più fondamentalista, che riesce anche a infiltrarsi molto meglio in Occidente. O Desberg possedeva particolari doti profetiche mentre scriveva la storia, o non era così difficile immaginare una simile escalation, visto che ci sono abbastanza affinità con l’attuale organizzazione dell’Isis o Daesh che dir si voglia.
Gli unici a scoprire e cercare di sventare il complotto sono tre agenti della CIA abbastanza fuori dagli schemi, ma che anche per questo appaiono a loro volta particolarmente credibili e umani nelle loro fissazioni e problemi familiari. Rovina un po’ la plausibilità del racconto solo il fatto che l’eroe principale, l’agente anticonformista Jared Gail, si convinca a un certo punto d’essere la reincarnazione di Giuda, il ché mescola a un tratto leggende cristiane e teorie poco scientifiche con una trama altrimenti molto concreta ed efficace.


Empire USA n. 4. Mondadori Comics, 2015


Nella seconda stagione della serie lo scenario degli avvenimenti, sempre incentrati sul terrorismo, si sposta dal conflitto col Medio Oriente a quella che è quasi una nuova versione della guerra fredda, in cui ancora una volta si contrappongono agenti statunitensi e russi, mentre l’impero americano è ora definito tale soprattutto per il suo potere finanziario e la sua influenza economica nel mondo. In Italia, Empire USA è pubblicato dall’Ottobre 2014 nell’omonima collana mensile a colori edita da Mondadori, al ritmo di due episodi per volta.
Ma oggi lo stato canaglia per eccellenza è un organismo il cui antiquato e violento fanatismo religioso, che fa vittime prima di tutto tra arabi e musulmani, sembra davvero uscito da un fumetto di quelli di una volta, quando i malvagi erano chiaramente e incontestabilmente tali, indossavano spesso abiti e cappucci neri, alla Fantômas o alla Diabolik, e si organizzavano in gruppi terroristici dai nomi altisonanti, tipo Spectre o Hydra.
Lo stato canaglia in questione è invece personificato da un gruppo denominato con una sigla più anonima, ISIS, un acronimo che in inglese sta per Stato Islamico Iraq-Siria e che, forse casualmente, richiama anche il nome originario di un’antica dea egizia, che si dilettava di arti magiche ma non compiva massacri.
La sigla che indica lo stesso gruppo terrorista in arabo è DAESH e, a detta dei testimoni arabi che sono fuggiti dalle zone della Siria che ha occupato, fa proseliti innanzitutto tra i criminali dei luoghi che invade.
Dedicato alla resistenza curda che si oppone coraggiosamente all’Isis sul confine turco è il reportage a fumetti intitolato Kobane Calling, del disegnatore romano Michele Rech, in arte Zerocalcare, una storia pubblicata col n°1085 del settimanale Internazionale nel gennaio 2015 e andata rapidamente esaurita (tanto da farla subito ristampare anche in allegato al numero della settimana seguente).


Internazionale n. 1085, gennaio 2015



C’è però da aspettarsi che arrivino prima o poi anche altri più ampi e completi resoconti a fumetti, a raccontarci le atrocità di un regime realmente folle che impone a chi vive nei territori che occupa di aderire ciecamente al Corano, pregare cinque volte al giorno, non bere alcool, non fumare, portare il velo se si è donne, non radersi mai la barba se si è uomini, non indossare i jeans, non suonare né ascoltare musica, non giocare a pallone e altre amenità simili che secondo loro sarebbero crimini condannati dalla legge islamica.
Le punizioni per i trasgressori consistono nella fustigazione o nella crocifissione per una decina di ore, ma si può giungere con relativa facilità alla decapitazione, regolarmente inflitta a nemici e infedeli catturati, le cui teste sono poi esposte per giorni (e a volte usate dai bambini per giocare, visto che i palloni sono proibiti…).
I cattivi Saraceni dell’immaginario europeo non sono mai sembrati così vicini, ma un capo saggio e giusto come il Saladino condannerebbe fermamente simili barbarie. La musica poi, in assenza di ampie arti figurative, è sempre stata una delle principali espressioni artistiche del mondo islamico. Come può qualcuno arrivare a pensare che il Corano la proibisca? Si dice però che, nelle loro case, i capi dell’Isis e le loro mogli facciano festa, fumino e bevano quanto vogliono. Davanti a tali assurdità e ipocrisie, forse qualche vero maestro di religione musulmana potrebbe mettersi a ridere, se non ci fosse soprattutto da piangere (e da chiedersi quali ditte, naturalmente occidentali, forniscano armi ed equipaggiamenti allo Stato Islamico).
Ora che la follia criminale dell’Isis, capace di trasformare bambini in carnefici, ci guarda dalla Libia e ha dichiarato l’Italia sua nemica, c’è sempre meno da scherzare, ma visto che tabacco e caucciù giunsero dall’America secoli dopo la morte del Profeta, dove sarà scritto nel Corano che non si deve giocare a pallone o fumare (i Turchi infatti hanno sempre fumato come Turchi), o che non si possono portare i jeans…?
Che bastino a giustificare tutto questo le sure cui è scritto che Dio non ama gli stravaganti, o che Dio non ama gli eccessi? Dovrebbero essere piuttosto interpretate nel senso di non commettere simili atrocità…


Albi e volumi in formato bonellide citati nell’articolo:



L'arte di Magnus. Classici del fumetto di Repubblica n. 41, 2003


L’ARTE DI MAGNUS
Testi: Magnus e Ennio Missaglia
Disegni: Magnus
Collana: I Classici del Fumetto di Repubblica n°41
Formato: 272 pag. in bianco e nero
Editore: Gruppo La Repubblica-L’Espresso
Anno di uscita: 2003
Prezzo di copertina: € 4,90


Il legionario, One Shot n. 1, novembre 2006. Copertina di Polese



IL LEGIONARIO
One Shot n. 1
Testi: Stefano Piani
Disegni: Renato Polese
Supplemento a Tex n°553
Formato: 232 pag. in bianco e nero
Editore: Bonelli
Data di uscita: Novembre 2006
Prezzo di copertina: € 6,00

Volto Nascosto n. 1, ottobre 2007. Disegno di Rotundo


VOLTO NASCOSTO
Miniserie di 14 albi
Testi: Gianfranco Manfredi
Disegni: Autori Vari
Copertine: Massimo Rotundo
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Bonelli
Date di uscita: Ottobre 2007 – Novembre 2008
Prezzo di copertina: € 2,70 l’uno

Corto Maltese: Le Etiopiche. Collana Hugo Pratt n. 6. RCS, 2010


CORTO MALTESE: LE ETIOPICHE
Testi e disegni: Hugo Pratt
Collana: Hugo Pratt n°6
Editore: RCS
Anno di uscita: 2010
Prezzo: € 6,99


Gli Scorpioni del Deserto, I parte. Collana Hugo Pratt n. 19. RCS, 2010


GLI SCORPIONI DEL DESERTO – parte prima
Testi e disegni: Hugo Pratt
Collana: Hugo Pratt n°19
Formato: 160 pag. in bianco e nero
Editore: RCS
Anno di uscita: 2010
Prezzo: € 6,99

Lester Cockney n. 1, Serie Gialla n. 1. Cosmo, 2012


LESTER COCKNEY n°1
Testi e disegni: Franz Drappier
Titolo: I Folli di Kabul
Collana: Cosmo Serie Gialla n°1
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Cosmo
Data di uscita: Ottobre 2012
Prezzo: € 2,90

Le Storie n. 3, dicembre 2012. Disegno di Di Gennaro


LA RIVOLTA DEI SEPOY
Testi: Giuseppe Di Nardo
Disegni: Bruno Brindisi
Copertina: Aldo Di Gennaro
Collana: Le Storie n°3
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Bonelli
Data di uscita: Dicembre 2012
Prezzo: € 3,50


Almanacco dell'Avventura 2014, ottobre 2013. Disegno di Toppi



ALMANACCO DELL’AVVENTURA 2014
Testi: Decio Canzio
Disegni: Sergio Toppi
Collana Almanacchi n°123
Formato: 240 pag. a colori
Editore: Bonelli
Data di uscita: Ottobre 2013
Prezzo: € 6,00

Il Decalogo n. 4, Serie Blu n. 16. Cosmo, 2014


IL DECALOGO n°4
Testi: Frank Giroud
Disegni: Autori Vari
Titolo: Nahik
Collana: Cosmo Serie Blu n°16
Formato: 224 pag. in bianco e nero
Editore: Cosmo
Data di uscita: Gennaio 2014
Prezzo: € 5,90

Templari, Serie Verde n. 16. Cosmo, 2014


TEMPLARI
Testi: Jean-Luc Istin
Disegni: Mirko Colak, Lucio Alberto Leoni e Emanuela Negrin
Titolo: Nella Tormenta
Collana: Cosmo Serie Verde n°16
Editore: Cosmo
Data di uscita: Dicembre 2014
Prezzo: € 5,00

Ramiro n. 1, Cosmo Paperback n.1. Cosmo, 2015


RAMIRO – La reconquista
Testi: Jacques Stoquart
Disegni: William Vance
Collana: Cosmo Paperback n°1/5
Editore: Cosmo
Periodicità: mensile
Data di uscita: Febbraio – Giugno 2015
Prezzo: € 3,00 ad albo


Andrea Cantucci


N.B. Trovate i link alle altre parti dell'Angolo del Bonellide su Cronologie & Index!

P.S. Riguardo la pubblicazione di ampli stralci della prima parte di questo intervento avvenuta sul giornale "Libero" del 28 febbraio 2015, l'autore Andrea Cantucci ha qualcosa da puntualizzare, a livelo personale - non tanto sul fatto della pubblicazione stessa (che è avvenuta col previo consenso di Dime Web), quanto piuttosto sul titolo, sul taglio e il posizionamento dell'articolo e sui passaggi eliminati dai redattori del quotidiano. Essendo questa esigenza del nostro carissimo Andrea cosa del tutto legittima, Dime Web riporta volentieri queste sue personali precisazioni, seguite da una risposta di Giuseppe Pollicelli, giornalista di "Libero", curatore di "LiberoVeleno", esperto in calcio e fumetto (oltre che amico e storico collaboratore di Dime Press):


Sabato 28 Febbraio 2015, ampi stralci della nostra rubrica L’Angolo del Bonellide XVII, prima parte di un articolo sull’Islam nei fumetti del sottoscritto, sono stati ripubblicati su ben due pagine del quotidiano Libero, giornale chiaramente di destra (o di centrodestra che dir si voglia). Va innanzitutto premesso e riconosciuto che la redazione di Libero è stata del tutto corretta, richiedendo preventivamente a DimeWeb il permesso di riprendere i brani in questione, permesso che a sua volta la redazione di DimeWeb ha regolarmente accordato, visto anche che il giornalista che lo aveva chiesto è persona conosciuta e fidata, in quanto ex-collaboratore della sua originaria versione cartacea, Dime Press.
Dobbiamo anzi ringraziare sentitamente Giuseppe Pollicelli per l’attenzione con cui ha evidentemente seguito e apprezzato i nostri scritti e per la correttezza con cui non ha modificato neanche una virgola dei brani che ha riportato, citandone con precisione autore e fonte di provenienza, valorizzando il nostro testo e riportando perfino i titoli dei vari capitoli, pur con ampi e inevitabili tagli tra un brano e l’altro, visto che lo spazio da noi usato su internet è spesso ben maggiore di quello a disposizione dei giornalisti della carta stampata.
Da questo punto di vista quindi, niente da eccepire. Avuto il permesso i redattori di Libero hanno scelto e utilizzato i brani dal loro punto di vista considerati più utili, nel modo che hanno ritenuto più opportuno in modo del tutto legittimo. A nostra volta, ora crediamo di poter altrettanto legittimamente esprimere qualche considerazione sul modo in cui il nostro articolo è stato riportato, poiché accanto a una certa innegabile soddisfazione per il fatto che per la prima volta un nostro testo (sia di DimeWeb che di Andrea Cantucci) è stato ripreso da un quotidiano nazionale, è anche chiaro che un articolo sul delicato argomento dell’Islam, sia pure nei fumetti, rischia di assumere abbastanza facilmente un significato politico che in origine non gli apparteneva per nulla, una volta che venga inserito all’interno di un contesto di parte.
L’evidente faziosità e le simpatie politiche del giornale Libero infatti si esprimono fin dal modo in cui le (poche) pagine dedicate solo al principale partito di centrosinistra sono intitolate quasi grottescamente “I Guai della Sinistra”, mentre le pagine dedicate ai partiti di destra (che per gli altrettanto grotteschi contenuti potrebbero benissimo chiamarsi “I Guai della Destra”) sono invece intitolate con enfasi un po’ ridicola “Le Sfide del Centrodestra”. Ovviamente solo alla destra è qui affibbiato il suffisso centro, che vorrebbe essere segno di moderazione nell’attuale magma informe della politica italiana, ma spesso indica solo l’indistinta e opportunistica uniformità di posizioni di quasi tutti i protagonisti della nostra vita politica. Tutto ciò in fondo ci toccherebbe poco, visto che il nostro articolo non ha a che fare con la politica interna del nostro paese, se non fosse per un’altra conseguente caratteristica del giornale Libero, cioè la sua posizione vagamente nazionalista che si accompagna a certi toni abbastanza carichi di pregiudizi verso gli immigrati.
Su quel giornale si può infatti riscontrare una certa strisciante xenofobia (paura degli stranieri, per chi non sapesse il greco), piuttosto evidente nell’insistenza con cui molte pagine, compreso l’inserto centrale in cui è stato inserito anche il nostro articolo, sono oggi dedicate a fomentare la paura dell’integralismo islamico. Certo, tale pericolo non è per niente campato in aria ed è più che giusto parlarne, visti i recenti sanguinari attentati anche nelle città europee. È contestabile però il modo in cui un giornale che si definisce Libero spesso generalizza la minaccia del fanatismo tendendo a estenderla a quasi tutti i Musulmani, cosa di per sé ingiusta visto che nel nostro paese è riconosciuta appunto a tutti la libertà di professare la propria religione. Finché la si professa in pace e senza imporla ad altri, si può restare attaccati a tutte le tradizioni a cui si è affezionati, compresi anche i condizionamenti più antiquati. Ma su Libero non tutti sembrano pensarla così. In alcuni suoi articoli si suggerisce che ogni velo portato da molte donne musulmane, non necessariamente fanatiche, possa nascondere chissà quali ordigni, ma seguendo tale logica maniacale ciò varrebbe di più per qualunque borsa o cappotto portato da ogni donna o uomo, anche dall’apparente aspetto occidentale…
Altri articoli di Libero cavalcano le proteste contro le cosiddette moschee abusive, ma leggendo il testo si può scoprire che quello verso cui si esprimono timori, non si capisce bene motivati da cosa, è un semplice centro culturale islamico. Come dire che ogni ente culturale cristiano di cui il nostro paese è pieno (e in cui a volte dei cristiani pregano) andrebbe considerata chiesa abusiva… Ma non è il fatto che a volte qualcuno vi si riunisca a pregare, che fa di un luogo una moschea o una chiesa. Nonostante l’ottusa opposizione dei nostri connazionali più intolleranti, o semplicemente più impauriti, non si può negare a persone residenti sul suolo italiano di esercitare il proprio diritto di culto in qualunque luogo privato vogliano, a meno di voler andare contro la Costituzione. In assenza di moschee è ovvio che chi è tenuto da una religione un po’ rigida a pregare ben cinque volte al giorno deve arrangiarsi come può… ma non è per questo un terrorista. È vero che una mentalità religiosa troppo rigida, non solo islamica, in certi casi estremi può finire per portare al fanatismo, ma i terroristi vanno individuati e fermati con indagini mirate e non con l’intolleranza religiosa.
Oltre agli articoli di Libero con questo fastidioso retrogusto xenofobo, ce n’è però qualcuno che coglie di più nel segno, in particolare quelli dell’inserto centrale sul vero e proprio integralismo islamico curato in questo periodo da Pollicelli e altri. Nell’inserto del 28 Febbraio, oltre alla versione condensata del nostro prolisso ma tutto sommato modesto articolo sui fumetti che, bontà sua, Pollicelli definisce saggio, sono stati inseriti anche brani giustamente ben più lunghi di un libro che denuncia persecuzioni di vario tipo subite in diversi paesi islamici da arabi atei, o non monoteisti, o omosessuali. Tali intolleranze religiose vanno senz’altro condannate e fa benissimo Libero a segnalarle. Tra l’altro fa piacere che un giornale di destra prenda le difese degli omosessuali almeno nei paesi islamici e va riconosciuto che forse altri giornali non affrontano il tema con altrettanta decisione per timore di offendere i Musulmani o d’essere etichettati come razzisti.
Riguardo al nostro articolo, senza voler sminuire l’opera dei redattori di Libero che hanno lavorato con molta cura sulla sua rielaborazione, impaginandolo in modo molto professionale anche dal punto di vista delle immagini e della grafica, si possono rilevare giusto un paio di dettagli un po’ discutibili nel modo in cui è stato presentato. Innanzitutto nel nuovo titolo dato all’articolo, l’uso dell’espressione “i fumetti che affrontano l’islam” è abbastanza improprio, a meno che non si intendesse dire “affrontare il tema” dell’Islam, ma è più probabile che si volesse dare dell’articolo una chiave di lettura di parte, con una contrapposizione netta rispetto a tutto il mondo islamico visto complessivamente come proprio avversario, il ché non era negli intenti del testo, incentrato semmai sulle varie interpretazioni, giuste o sbagliate, che il mondo del Fumetto ha dato dell’Islam, accompagnate da un netta condanna e ridicolizzazione di ogni fanatismo religioso.
Il titolo originale, “Quando il Fumetto Incontra Maometto”, pur non essendo forse molto incisivo o efficace in senso giornalistico, dà invece una chiave di lettura dell’articolo volutamente neutra, preannunciando il tono un po’ ironico dell’articolo stesso, che tenta di sdrammatizzare per quanto possibile la situazione di conflitto e stragi esplosa negli ultimi mesi sia in Medio Oriente che in Europa per colpa della troppa seriosità dei fanatici. È quindi un titolo che può risultare meno urtante per le tante brave persone che professano in pace quella religione, che hanno tutto il diritto di farlo e che, a differenza dei fanatici violenti o assassini, meritano un certo rispetto. Comunque a parte questo uso diciamo infelice dell’espressione “affrontare l’islam”, il modo in cui i contenuti dell’articolo sono riassunti sotto il titolo è del tutto corretto ed efficace.
Secondariamente la frase “Topolino ha ironizzato sulla facilità con cui gli arabi tagliavano le teste”, che è stata inserita in grande al di sopra del titolo come citazione, non si trova nell’articolo in quei termini precisi. È una sintesi un po’ troppo libera e brutale di un dettaglio descritto nel testo in modo molto più articolato e relativo a una singola storia del personaggio, per di più esplicitamente definita come politicamente scorretta. Da un punto di vista giornalistico l’espressione è stata anche ben estrapolata, è chiaro che è una frase forte che può attirare l’attenzione e invogliare a leggere, ma togliendola così dal contesto ed enfatizzandola dà anch’essa dell’articolo un’idea sbagliata, quasi sottintendendo tra l’altro che fino a poco tempo fa tutti gli arabi se ne andassero in giro a tagliare allegramente teste di continuo, cosa come minimo alquanto esagerata (e storicamente non è che anche in Occidente di teste non se ne siano tagliate…).
Probabilmente ha qualche responsabilità anche il sottoscritto, nell’essersi espresso con un po’ troppa leggerezza, senza immaginare che qualcuno avrebbe potuto riprendere e sintetizzare così un frammento del suo testo, testo riferito a una storia buffa ma che citato in questo modo diventa decisamente troppo serio. È il caso quindi di chiarire meglio in cosa consistesse veramente, quel piccolo dettaglio della storia del 1934 “Topolino nel Paese dei Califfi” che su Libero ha finito per essere così esageratamente enfatizzato.
Si trattava di un semplice tormentone comico, con due inviati di un califfo che, lamentando lo smarrimento di un gioiello sacro, minacciavano più volte con le scimitarre in pugno un amico di Topolino, il capitano Churchmouse (o Radimare in italiano), preso da loro in ostaggio con la precisa intenzione di tagliargli la testa se il loro padrone non avesse riavuto la gemma. Alla fine arrivano abbastanza vicini a tagliargliela davvero, ma naturalmente nel frattempo Topolino ha recuperato il gioiello e all’ultimo minuto il pericolo è scongiurato, perché è chiaro che di regola in nessuna storia Disney muore mai nessuno (con rarissime eccezioni).
Ovviamente tutto rientra in uno stereotipo del mondo arabo. Anche i costumi della storia sono approssimativi e antiquati ed è chiaro che l’Ombrellistan in cui è ambientata non esiste. Ma il fatto che, mentre stanno per decapitare a sangue freddo il povero Radimare, quei due buffi sicari per di più barbuti si giustifichino invocando un sacro dovere da compiere in nome della giustizia, crea oggi un grottesco parallelo, come detto nell’articolo, coi ben più sinistri carnefici dell’Isis che hanno purtroppo reso quello stereotipo fin troppo reale.
Per il resto, senza voler contestare troppo le scelte dei redattori di Libero, è abbastanza chiaro che erano interessati a riportare solo le parti dell’articolo più critiche verso i Musulmani, in conformità coi contenuti di un inserto che fa parte di una serie intitolata “I Libri Neri dell’Islam” in cui si rilevano gli aspetti più fanatici e quindi pericolosi di quella cultura. Ciò che manca alla linea editoriale di Libero, e che è invece presente negli articoli da noi dedicati a fumetti e Islam, è il bilanciare le giuste denunce dell’intolleranza religiosa con il riconoscimento di altri casi in cui invece l’Islam ha dimostrato e dimostra tolleranza, o è stato a sua volta vittima di intolleranza, o in cui altrettanta intolleranza è stata dimostrata anche dalla nostra cultura.
Forse per questo non sono stati ripresi dei brani dalla seconda parte del nostro articolo (L’Angolo del Bonellide XVIII), dedicata ai fumetti sui conflitti con gli Islamici e quindi per Libero teoricamente più appetibile, ma in cui è riconosciuta a volte una maggiore tolleranza e umanità dei Musulmani rispetto ai Cristiani, o si parla anche delle legittime ribellioni dei paesi islamici per ottenere l’indipendenza dalle potenze coloniali europee, o delle ingiustizie e stragi di cui anche i Musulmani sono più volte stati vittime.
Si può infatti notare che sulle pagine di Libero sono stati ripubblicati stralci con nostre riflessioni contro la mentalità integralista, su scontri tra vecchi eroi dei fumetti e predoni arabi, su storie che ironizzano sul mondo arabo o che denunciano la condizione femminile nei regimi islamici, ma non è stato incluso nessun passaggio di quelli, pure qua e là presenti nell’articolo originale, in cui si fanno dei paralleli con l’analogo fanatismo cristiano o in cui si riconosce anche valore e fascino alla cultura islamica. Questi guarda caso sono stati regolarmente saltati, naturalmente forse solo perché erano fuori tema o non abbastanza interessanti...
Certo, due intere pagine di un giornale a noi dedicate sono già tante e non si poteva proprio chiedere di più, è perfettamente comprensibile che si sia dovuto lasciar fuori molto e che sia stata del tutto omessa la parte relativa al mondo puramente fantastico delle Mille e una Notte, ma mentre la recensione del libro Persepolis dedicato al caso specifico del duro regime iraniano è stata riportata praticamente per intero, non è stato citato proprio nulla per esempio della parte dedicata a Dago, rinnegato passato al servizio dell’Islam, pur essendo questi presente in un’immagine, e neppure dei Musulmani che si oppongono alla dittatura religiosa iraniana nel romanzo a fumetti Zahra’s Paradise. È chiaro che non potevano ripubblicare tutto l’articolo, a meno di dedicarci l’intero inserto, e siamo già pienamente soddisfatti delle nostre due pagine, a cui tra l’altro è stata trovata una chiusura leggera e simpatica col brano su un fumetto comico di Pétillon, ma saranno stati proprio tutti dei tagli dovuti soltanto alla mancanza di spazio…? Saremmo lieti di verificare che i nostri sospetti di una certa faziosità nella selezione dei nostri testi sono sbagliati, non avendo nulla in contrario se anche qualche altro nostro brano meno allineato con la sua linea politica fosse citato in futuro dallo stesso giornale, magari in un inserto intitolato “I Libri Bianchi dell’Islam” (o di qualunque altra cultura)...

Andrea Cantucci  


Ed ecco cosa risponde Pollicelli:

Di recente il quotidiano Libero ha pubblicato, per sei giorni consecutivi, alcuni inserti che, debitamente commentati da Francesco Borgonovo e dal professor Marco Lombardi, hanno presentato al pubblico italiano, a mio avviso molto meritoriamente, alcuni brani tratti da pubblicazioni prodotte dall'Isis o comunque a esso riferibili. L'intera operazione è stata curata da Francesco Borgonovo, caporedattore centrale di "Libero", così come è stato Borgonovo, dopo che io gliene avevo segnalato l'esistenza, a decidere quali parti pubblicare (sull'inserto uscito il 28 febbraio 2015, l'ultimo della serie) del lungo scritto su islam e fumetti redatto per Dime Web da Andrea Cantucci. Personalmente, dunque, non sono intervenuto in alcun modo né nella selezione degli estratti del saggio di Cantucci né nella loro impaginazione né nella scelta delle immagini a corredo. Preciso questo non per prendere le distanze dal lavoro, secondo me assai valido, svolto dal collega Borgonovo, ma per puro e semplice amor di verità.

Giuseppe Pollicelli 
 

7 commenti:

  1. 1.“Con la scusa di “liberare” la città sacra, le Crociate, […]”
    Siamo sicuri che la liberazione del Santo Sepolcro fosse solo una scusa?
    Per i cristiani dell’epoca – tanto i latini quanto i bizantini – Gerusalemme era il corrispettivo de La Mecca per i musulmani, né più né meno. Gerusalemme era il primo dei luoghi santi del Cristianesimo, molto più importante di Roma, Costantinopoli e Santiago di Compostela.
    Si può capire, pertanto, lo sdegno suscitato in Europa dalle notizie delle angherie e delle violenze che i pellegrini, e anche i cristiani residenti nella città, subivano da parte dei Turchi Selgiuchidi.
    “Sul piano della giustificazione “morale” per l’epoca – ha affermato lo storico francese Jean Flori - la Crociata potrebbe essere dunque paragonata a un Jihad volto a recuperare La Mecca caduta in mano cristiana”.
    Tuttavia, bisogna dire che, a partire dalla Quarta Crociata – nella quale si ebbe l’infame saccheggio di Costantinopoli – lo spirito originario della Crociata andò affievolendosi e alla causa di Gerusalemme si affiancarono altri scopi. Ciononostante, non credo proprio che la liberazione del Santo Sepolcro fosse una mera scusa, tenuto conto pure del fervore religioso dei cristiani medievali.

    2. “più che guerre sante, […]”
    Come affermato – in un’intervista del 2007 – da Marco Meschini, medievalista dell’Università Cattolica di Milano, una guerra santa, per poter essere definita tale, ha bisogno dei seguenti requisiti: 1. per chi vi aderisce, è una guerra voluta da Dio e promossa dai suoi legittimi rappresentanti; 2. parteciparvi apre le porte del Paradiso.
    Le Crociate possedevano senza dubbio questi due requisiti, pertanto furono guerre sante. Lo stesso dicasi del Jihad, anch’esso provvisto dei suddetti requisiti. C’è però un’importante differenza tra Jihad e Crociata: mentre il primo è il sesto “pilastro” dell’Islam, ovvero un elemento fondamentale di questa religione; la Crociata, invece, non fa parte della Rivelazione, non fa parte del nocciolo della fede cristiana.

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  2. 3. “le Crociate […] furono guerre di conquista condotte in modo spietato.”
    Semmai, furono guerre di riconquista, visto che miravano a strappare ai musulmani terre che non solo erano cristiane già da prima che l’Islam nascesse, ma che – come ho già detto nel punto 1 – ricoprivano un’enorme importanza per la Cristianità. Ad ogni modo, è assai probabile che senza l’occupazione selgiuchide della Terra Santa, con tutto quello che di negativo ne seguì per i pellegrini e i cristiani del luogo, non ci sarebbe stata nessuna Crociata.
    Quanto alla spietatezza, bisogna dire che sì, i Crociati si comportarono spesso con brutale violenza con le popolazioni delle città conquistate (soprattutto se, come nel caso di Gerusalemme nel 1099, gli assediati avevano rifiutato la resa), ma va anche detto che, una volta insediatisi nella regione, dimostrarono, salvo qualche episodio isolato, una certa tolleranza religiosa nei confronti di musulmani e ebrei. Ad esempio, nel XII secolo, lo scrittore e poeta islamico Ibn Jubayr osservava addirittura che i musulmani preferivano vivere nelle terre amministrate dai Crociati piuttosto che nei vari califfati.


    4. “Com’era loro abitudine, quando presero Gerusalemme i Crociati compirono un enorme massacro indiscriminato, non solo uccidendo anche vecchi, donne e bambini, ma per assurdo perfino i tanti Cristiani ortodossi della città, visto che gli invasori erano incapaci di distinguerli dai Musulmani.”
    Se è vero che fu un orrendo massacro, non è affatto vero invece che i Crociati uccisero anche i cristiani ortodossi di Gerusalemme. All’avvicinarsi dell’esercito crociato, infatti, il governatore della città - Ifitkhar al-Dawla - espulse quasi tutta la popolazione cristiana, probabilmente perché temeva che, una volta iniziato l’assedio, essa – superiore di numero alla popolazione musulmana – gli si sarebbe rivoltata contro.

    5. “Eppure quando il sultano d’Egitto Salāhal-Dīn (noto in Occidente come Saladino) riconquistò Gerusalemme nel 1188, risparmiò tutti i cristiani che si arresero e li lasciò liberi, conquistandosi anche presso gli Europei la fama di condottiero saggio e magnanimo.”
    Fatta salva la saggezza e la magnanimità di Saladino, non è vero che tutti i cristiani di Gerusalemme vennero lasciati liberi. Circa 15000 di essi – per i quali non si riuscì a raccogliere il riscatto stabilito da Saladino – furono fatti schiavi.

    6. “il Corano, pur autorizzando talvolta l’uso della forza […]”
    In realtà, il Corano è un testo molto ambiguo, dove – come scrivi tu stesso in un’altra parte di questo articolo – c’è scritto tutto e il contrario di tutto. Una cosa però è certa: l’Islam si è affermato e si è diffuso tramite l’uso della forza, attraverso la guerra.

    Ciao,
    Max

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    1. Grazie per l'attenzione. Alcune mi sembrano interessanti note che aggiungono dettagli in più. Non pretendevo d'essere esauriente. Ho cercato solo di dare dei cenni storici e sfatare qualche pregiudizio.
      Sulla definizione di guerra santa applicabile alle Crociate non sono d'accordo. Sono tra quelli che negano che l'aggettivo santa possa applicarsi a una guerra, anche se in ogni conflitto ci sono fanatici e opportunisti.
      Riguardo al fatto che l'Islam sostenga l'obbligo della jihad come lotta armata, è stato vero fin dai tempi di Maometto, ma oggi in una consistente parte del mondo islamico sta prevalendo una distinzione, che risale a Maometto stesso, tra piccola jihad (armata) e grande jihad, cioè la lotta non armata ma interiore per migliorarsi e diventare buoni musulmani. Molti islamici considerano ora come obbligatoria solo quest'ultima e conviene a tutti che prevalga questa posizione.
      Altro dettaglio che contesto è che le Crociate non possano essere considerate guerre di conquista solo perché prima delle invasioni arabe parte di quei territori erano cristiani. Non mi sembra infatti che cavalieri e nobili europei che assunsero le cariche di re e faudatari con le Crociate, avessero a che fare coi popoli che vi dominavano nei secoli precedenti.
      Si può anche dire che se non ci fossero state le persecuzioni dei Selgiuchidi, gli Europei non avrebbero avuto una scusa religiosa valida per attaccare.
      Riguardo alla strage dei cristiani ortodossi di Gerusalemme da parte dei Crociati, è citata da documentari trasmessi dalla RAI. Mi pare strano che siano basati solo su illazioni. Mi chiedo se sia possibile che parte degli ortodossi fosse stata evacuata e parte fosse rimasta...
      Riguardo al discorso della tolleranza religiosa, se fosse maggiore da una parte o dall'altra, in entrambi i casi dipende anche dai periodi e dai singoli regnanti. Il Saladino ad esempio era pur sempre meno sanguinario di certi condottieri cristiani considerati eroici come Riccardo Cuor Di Leone.
      Se è vero che l'Islam è stato diffuso con le armi e le conversioni forzate dei politeisti, lo stesso vale per il Cristianesimo in Europa.
      E anche i pregiudizi e i fanatismi cristiani non ci hanno affatto abbandonati, esattamente come quelli islamici.

      Grazie dei commenti,
      Andrea Cantucci

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  3. Errata corrige:
    "mentre il Jihad è il sesto “pilastro” dell’Islam [...]"
    In realtà, il Jihad non fa parte dei pilastri dell'Islam (che sono solo cinque), ma è comunque un dovere prescritto da Allah attraverso Maometto.

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  4. "Sulla definizione di guerra santa applicabile alle Crociate non sono d'accordo. Sono tra quelli che negano che l'aggettivo santa possa applicarsi a una guerra, anche se in ogni conflitto ci sono fanatici e opportunisti."
    Stai confondendo, però, l'aggettivo santa con l'aggettivo giusta. Nel caso specifico delle Crociate, esse erano guerre sante non perché fossero oggettivamente giuste, ma per il semplice fatto che la Chiesa stessa - promuovendole - aveva stabilito che fossero sante. In altre parole: mentre la "giustezza" di una guerra è soggettiva, la sua santità – cioè il fatto che tale guerra: 1. è promossa dai legittimi rappresentanti di Dio (in questo caso la Chiesa); 2. apre le porte del Paradiso a chi vi partecipa (non nel senso che chi vi ha partecipato è davvero volato dritto in Paradiso [su questo non vi è certezza], ma nel senso che la Chiesa garantiva a chi partiva per le Crociate la remissione dei peccati e quindi l’accesso alla Salvezza) - è un dato oggettivo, un dato storico. Esempio: se, per assurdo, Papa Francesco dovesse un domani proclamare una guerra santa, io e te potremmo discutere se tale guerra sia giusta o meno, ma essa sempre santa rimarrebbe. Potrebbe essere anche la più brutale e insensata delle guerre, ma poiché l’ha proclamata il Papa, si tratterebbe appunto di una guerra santa. Lo stesso dicasi del (piccolo) Jihad, il cosiddetto Jihad al-Asgar(ph): poiché a promuoverlo sono le autorità religiose islamiche e poiché queste assicurano a coloro che vi partecipano l’accesso al Paradiso, esso è ipso facto una guerra santa.
    In conclusione: affermare che le Crociate erano guerre sante non significa esprimere su di esse un giudizio di valore, ma dire semplicemente che tipo di guerre esse furono.

    "Altro dettaglio che contesto è che le Crociate non possano essere considerate guerre di conquista solo perché prima delle invasioni arabe parte di quei territori erano cristiani. Non mi sembra infatti che cavalieri e nobili europei che assunsero le cariche di re e feudatari con le Crociate, avessero a che fare coi popoli che vi dominavano nei secoli precedenti."
    I succitati popoli (armeni, siriani, palestinesi, libanesi ecc.) e i succitati cavalieri e nobili avevano in comune qualcosa di assai importante per l’epoca: la fede cristiana. Nella richiesta di aiuto inviata nel 1091 a a Roberto I conte di Fiandra, l’imperatore bizantino Alessio Comneno faceva leva proprio sul comune sentimento di fede. Inoltre, nel 1096, Papa Urbano II paragonò esplicitamente la Crociata alla Reconquista iberica, il che sta a significare che la Terra Santa e i territori limitrofi erano considerati parte integrante della Cristianità, non quindi una regione straniera da invadere e colonizzare, bensì una regione cristiana da riconquistare, un territorio cristiano che in quel preciso momento storico andava liberato dagli invasori musulmani. Se trascuriamo questo dato e, soprattutto, trascuriamo il fatto che Gerusalemme era per i cristiani del tempo il luogo sacro per eccellenza, diventa difficile comprendere perché il comportamento intollerante dei Turchi Selgiuchidi portò alle Crociate.
    D’altronde, gli storici contemporanei (se non tutti, una buona parte) ritengono, per l’appunto, che le Crociate furono guerre mosse non dalla sete di conquista, ma dalla fede, e come risposta all’aggressività dei Selgiuchidi (che, ricordiamolo, minacciavano la stessa Costantinopoli). Pertanto, la liberazione di Gerusalemme e dintorni non può essere liquidata come un semplice pretesto.

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  5. "Riguardo al discorso della tolleranza religiosa, se fosse maggiore da una parte o dall'altra, in entrambi i casi dipende anche dai periodi e dai singoli regnanti."
    Un dato è certo: eccetto qualche episodio isolato, i Crociati non cercarono mai di convertire, forzatamente o meno, i musulmani. Solo nel XIII secolo, dopo la Quarta Crociata, vi furono, da parte dei francescani, alcuni tentativi – del tutto pacifici - di conversione, che però non ebbero successo, e non di rado i suddetti monaci finirono uccisi: è il caso, ad esempio, dei cinque missionari – i cinque Protomartiri - inviati da San Francesco in persona. A proposito di San Francesco, bisogna aggiungere che egli stesso – come dimostrano le fonti, a cominciare dalla sua biografia ufficiale: la “Legenda majior” di San Bonaventura - era un sostenitore delle Crociate, checché se ne pensi e checché ne dicano i film farlocchi di Liliana Cavani (che ha girato ben tre film sul santo di Assisi, tutt’e tre pieni di inesattezze storiche). San Francesco medesimo, nel 1219 (al tempo della Quinta Crociata), tentò invano di convertire il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil.

    "Il Saladino ad esempio era pur sempre meno sanguinario di certi condottieri cristiani considerati eroici come Riccardo Cuor Di Leone."
    E’ noto che Saladino e Riccardo si stimavano a vicenda. A parte ciò, entrambi non andavano troppo per il sottile con i prigionieri di guerra: Riccardo, nel 1191, ordinò l’uccisione di 3000 soldati musulmani (il famoso massacro di Ayyadieh); Saladino invece, dopo la celebre battaglia di Hattin (1187), ordinò l’esecuzione in massa dei prigionieri Crociati. Secondo il suo segretario, Imaded-Din, Saladino “ordinò che fossero decapitati, preferendo l'ucciderli al farli schiavi. C'era presso di lui tutta una schiera di dottori e sufi, e un certo numero di devoti e asceti: ognuno chiese di poterne ammazzare uno, e sguainò la spada, e si rimboccò la manica. Il Sultano era assiso con lieto viso, mentre i miscredenti eran neri”.

    "Riguardo alla strage dei cristiani ortodossi di Gerusalemme da parte dei Crociati, è citata da documentari trasmessi dalla RAI. Mi pare strano che siano basati solo su illazioni. Mi chiedo se sia possibile che parte degli ortodossi fosse stata evacuata e parte fosse rimasta..."
    Che si tratti di illazioni lo dimostrano sia le fonti antiche sia i principali studi pubblicati nel secolo scorso e in questi ultimi anni.
    Per quanto riguarda le prime, le principali fonti latine (che poi sono, in assoluto, le fonti più importanti per la storia delle Crociate) – la Historia Hierosolymitana di Fulcherio di Chartres, la Historia rerum di Guglielmo di Tiro e la Gesta Francorum – non fanno il minimo accenno a questa presunta strage. Non solo, ma nella Gesta Francorum si legge che, due settimane dopo la conquista di Gerusalemme, i sacerdoti ortodossi e latini fecero assieme una processione di ringraziamento che si concluse nella Chiesa del Santo Sepolcro. Nemmeno la principale fonte bizantina – l’ ”Alessiade” di Anna Comnena, figlia dell’imperatore Alessio I - parla di uccisioni di cristiani-ortodossi da parte dei Crociati; lo stesso dicasi della famosa Cronaca di Matteo di Edessa e delle fonti arabe, ad esempio quelle di Ibn al-Gawzi e Ibn al-Atir, entrambe scritte nell’XI secolo. In compenso, la Cronaca Siriaca Anonima afferma appunto che, prima dell’arrivo dei Crociati, quasi tutta la popolazione cristiana di Gerusalemme venne espulsa.
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  6. Per quanto riguarda gli studi dell’età moderna e contemporanea, nessun accenno a ortodossi ammazzati si trova nella “History of the Crusades” (1776-1778) del celebre storico inglese Edward Gibbon. Una smentita della strage in questione la troviamo poi in quella che probabilmente è la più nota opera del ‘900 sulle Crociate, ossia “Storia delle Crociate” dell’inglese Steven Runciman (Einaudi, 1966). A p. 241 della suddetta edizione, nel Capitolo Secondo: intitolato “Il trionfo della croce”, si legge infatti:
    “La difesa della città era affidata al governatore fatimita Iftikhar ad-Dawla. […] Alla notizia dell’avvicinarsi dei franchi […] ordinò a tutta la popolazione cristiana della città, sia ortodossi che eretici, di andarsene fuori dalle mura; agli ebrei, tuttavia, fu permesso di rimanere. Fu una decisione saggia: nel secolo X i cristiani erano a Gerusalemme più numerosi dei musulmani e, sebbene le persecuzioni del califfo Hakim avessero ridotto il loro numero, e molti altri compresa la maggior parte del clero ortodosso fossero partiti con il patriarca durante i difficili tempi che seguirono alla morte di Ortoq, ne erano rimaste ancora alcune migliaia, inutili come combattenti perché era loro proibito portare le armi e infidi in una battaglia contro correligionari cristiani. Inoltre il loro esilio significava che vi sarebbero state meno bocche da sfamare nella città assediata.”
    Per quanto riguarda infine gli studi più recenti, non troviamo nessun accenno alla presunta strage nelle importanti opere dei medievalisti inglesi Christopher Tyerman e Jonathan Riley-Smith – rispettivamente: “Fighting for Christendom. Holy War and the Crusades” (Oxford University Press, 2004); “The First Crusade and the idea of Crusading” (Athlone Press, 1993) -, e in quelle del medievalista americano Thomas F. Madden, come “Le Crociate. Una storia nuova” (Lindau, 2005).
    In definitiva, possiamo affermare che la strage dei cristiano-ortodossi di Gerusalemme è nient’altro che una bufala.

    "Se è vero che l'Islam è stato diffuso con le armi e le conversioni forzate dei politeisti, lo stesso vale per il Cristianesimo in Europa."
    Ti sbagli, Andrea. Le conversioni forzate dei politeisti costituirono l’eccezione, non certo la regola, nella secolare storia della cristianizzazione dell’Europa.
    Gli unici episodi davvero rilevanti in tal senso furono la sottomissione dei Sassoni, nell’attuale Germania settentrionale, a opera di Carlo Magno (fine VIII secolo), e quella dei popoli baltici nel XIII secolo tramite le Crociate del Nord (chiamate così per distinguerle appunto dalle Crociate propriamente dette).
    E’ un dato storico, invece, che in gran parte dell’Europa il Cristianesimo si diffuse in modo del tutto pacifico, grazie all'opera di evangelizzazione compiuta inizialmente da San Paolo e dalle prime comunità cristiane, poi dai monaci missionari.
    Limitandoci ai popoli pagani dell’Europa occidentale:
    1. I Greci furono evangelizzati nel I secolo d. C. dal già citato San Paolo. Tuttavia, la conversione riguardò i centri urbani, non le campagne, che rimasero pagane addirittura fino al X secolo.
    2. Anche in Italia, nella Francia meridionale e nella penisola iberica, a convertirsi per prime furono – nel corso dei primi secoli d. C. e in maniera volontaria - le popolazioni urbane, mentre la cristianizzazione delle aree rurali fu assai più lenta;
    3. Nella Francia settentrionale, la conversione dei Franchi (V secolo d. C.) fu resa possibile grazie all’influenza esercitata da San Remigio, vescovo di Reims, sul re Clodoveo, che si fece battezzare nel 496;
    4. La conversione dei Celti (degli attuali Galles, Irlanda e Scozia), avvenne, sempre nel V secolo, grazie all’opera missionaria di San Patrizio e San Niniano;
    5. Quella degli Anglo-Sassoni, tra il V e il VII secolo, avvenne grazie all’opera evangelizzatrice di Agostino di Canterbury e dei monaci irlandesi e scozzesi;
    6. Quella degli Alemanni dell'attuale Germania meridionale avvenne, nell'VIII secolo, grazie a San Colombano e a San Gallo.


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