sabato 18 maggio 2024

VITA E OPERE DI HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT - UNDICESIMA PARTE (1927 - I)

di Sergio Climinti


Copertina di un adattamento a fumetti a opera di Culbard (2012)


                                        1927 - I


IL CASO DI CHARLES DEXTER WARD

(THE CASE OF CHARLES DEXTER WARD, gennaio – 1° marzo)



I. Un risultato e un Prologo


Da una clinica privata per malattie nervose nei dintorni di Providence, Rhode Island, è scomparso di recente un paziente piuttosto singolare. Si chiama Charles Dexter Ward ed era stato ricoverato, con riluttanza, dal suo stesso padre, che aveva seguito con dolore il procedere dell’aberrazione dallo stadio di semplice eccentricità a quello di pericolosa mania tinta di tendenze omicide e accompagnata da un profondo quanto straordinario cambiamento nei pensieri dell’ammalato. Gli specialisti si dichiarano perplessi sulla natura del caso, che presenta diversi punti oscuri sia a livello psicologico che fisiologico. Innanzitutto, il paziente sembrava più vecchio dei suoi ventisei anni. I disordini mentali, è vero, contribuiscono a invecchiare rapidamente, ma il volto del giovane aveva assunto quell’aspetto decrepito che si riscontra solo nelle persone molto anziane. In secondo luogo, i processi mentali seguivano vie così abnormi che nella letteratura clinica non c’era riscontro. Respirazione e battito cardiaco presentavano un’inspiegabile asimmetria; la voce se n’era andata, sicché il paziente non riusciva a emettere alcun suono al di sopra di un sussurro; la digestione era incredibilmente lenta e ridotta, le reazioni nervose agli stimoli abituali non avevano alcun rapporto con quelle note, sia normali che patologiche. La pelle era secca e spiacevolmente fredda, la struttura cellulare dei tessuti grossolana e smagliata. Una voglia a forma di oliva sull'anca destra era scomparsa, mentre sul petto si era formato uno stranissimo neo, o chiazza nera, di cui non esisteva traccia in precedenza. Nel complesso, i medici si trovano d’accordo nel dichiarare che in Ward i processi metabolici si erano rallentati a un livello senza precedenti.

Ma Charles Ward era unico anche dal punto di vista psicologico. La forma di follia da cui era affetto non trova riscontro nemmeno nei più recenti e complessi trattati, ed era unita a una forza intellettuale che ne avrebbe fatto un genio o un capo, se non fosse stata distorta in modo tanto bizzarro e grottesco. Il dottor Willet, medico di famiglia dei Ward, sostiene che le capacità intellettive del paziente – valutate in base a una serie di discussioni su argomenti che andavano oltre la sua ossessione – fossero aumentate dopo l’attacco di follia. È vero che Ward era sempre stato un uomo di studio e un appassionato di antichità, ma nemmeno i suoi lavori più brillanti mostravano le prodigiose capacità di intuizione e penetrazione che gli alienisti avevano riscontrato durante gli ultimi esami. Era stato tutt’altro che semplice ottenere l’ordine legale di internamento, perché il giovane sembrava estremamente lucido e padrone di sé: solo in base alle testimonianze di terzi e alle straordinarie lacune che Ward mostrava in certi campi (ma che non avevano niente a che fare con l’intelligenza), finalmente l’avevano rinchiuso. Fino al momento della scomparsa era stato un lettore onnivoro e un conversatore accanito, per quanto la sua voce permettesse; e gli osservatori più acuti, che non erano riusciti a prevederne l’evasione, ora pronosticavano che non avrebbe faticato a ottenere un’ordinanza ufficiale di dimissioni.


Uno scorcio di Prospect Street, dove si trova la casa degli Ward, nell'antico quartiere di College Hill (1906)


Solo il dottor Willett, che aveva fatto nascere Charles Ward e l’aveva visto crescere sia fisicamente che intellettualmente, sembrava atterrito dal pensiero che il suo paziente fosse in libertà. Aveva avuto una terribile esperienza e fatto una scoperta che non osava rivelare ai colleghi più scettici: si può ben dire che Wilett stesso rappresenti un piccolo mistero all’interno della vicenda. Era stato l’ultimo a vedere il paziente prima della fuga, e da quell’ennesima conversazione era uscito in uno stato di orrore misto a sollievo di cui molti s’erano ricordati quando la fuga di Ward era stata scoperta, circa tre ore dopo. L’evasione in sé resta un mistero insoluto nella clinica del dottor Waite. Una finestra aperta su un precipizio di oltre venti metri non sembra affatto la spiegazione più semplice, ma dopo la conversazione con Willett il giovane era effettivamente scomparso. Il dottore non ha risposte da offrire al pubblico, ma dopo la scomparsa del paziente si è mostrato molto più tranquillo. Alcuni hanno la sensazione che gli piacerebbe dire di più, se pensasse di essere creduto. Il dottor Willett aveva trovato Ward in camera sua, ma poco dopo che se n’era andato gli inservienti avevano bussato senza ottenere risposta. Aperta la porta, avevano constatato che il paziente non c’era: tutto quello che avevano trovato era la finestra aperta da cui la brezza fredda di aprile soffiava una nube di polvere grigio-azzurra che li aveva quasi soffocati.”

Fin da ragazzo il giovane Charles ha una passione per le antichità, stimolata probabilmente dalla casa paterna, piena di testimonianze del passato. Storia, architettura e genealogia del periodo coloniale della città di Providence monopolizzano i suoi interessi, escludendo tutto il resto. Nel 1918 il giovane si iscrive alla Moses Brown School, una scuola preparatoria per l’università, e contemporaneamente si dedica alla ricerca di fonti storico-genealogiche nelle maggiori biblioteche cittadine. Ama passeggiare per le antiche vie ad ammirare gli edifici dell’architettura coloniale, con i suoi abbaini e i tetti a doppio spiovente, qualche vecchia costruzione in legno e le grandi dimore georgiane.

Il dottor Lyman ritiene che la follia abbia avuto inizio intorno al 1919-1920, quando abbandona la scuola senza neanche affrontare gli esami di ammissione all’università, per dedicarsi allo studio dell’occultismo. Le sue ricerche lo portano anche all’estero, ma il suo obiettivo principale è quello di trovare la vecchia tomba di un suo antenato, tale Joseph Curwen. Il dottor Willet, però, dissente dal collega, e sostiene che la follia si sia insinuata nel suo paziente solo dopo la scoperta di un ritratto del suo avo assieme ad alcune carte che gli appartenevano.


Robinson Hall, edificio all'interno della Brown University (1906)


II. Un Antefatto e un Orrore


Secondo alcune leggende che Ward aveva letto e ascoltato, il suo antenato Curwen era fuggito da Salem durante la caccia alle streghe e si era rifugiato a Providence. Qui aveva organizzato proficue attività mercantili, ma gli strani bagliori che provenivano dalle sue finestre a notte fonda contribuirono ad alimentare strane dicerie sul suo conto. Inoltre, costui apparentemente non sembrava invecchiare e le voci attribuivano la sua longevità a misteriosi ingredienti provenienti dai suoi commerci marittimi e ai suoi esperimenti notturni. Cinquant’anni dopo l’arrivo dello straniero, quando il suo corpo e il suo volto non mostravano che cinque anni d’invecchiamento al massimo, la gente cominciò a fare congetture più sinistre e Curwen poté godere pienamente quel diritto all’isolamento che aveva sempre cercato.

Questo strano personaggio era stato visto più volte nei cimiteri e aveva una fattoria, sulla via che portava a Pawtuxet, dove i suoi unici aiutanti erano una coppia di indiani Narragansett dall’aspetto cupo e ripugnante. Qui, l’uomo aveva allestito un laboratorio dove svolgeva i suoi esperimenti chimici, qualcuno però riteneva che fossero alchemici, e la famiglia che abitava nella casa vicino affermava che dall’edificio, di notte, provenivano grida e ululati. Inoltre, non si spiegava il gran numero di bestie che venivano condotte al pascolo, poiché erano troppe per il sostentamento delle poche persone che vivevano all’interno della fattoria.

Intorno alla casa di città regnava un alone di mistero meno fitto, è vero; ma il fatto che le candele fossero accese alle ore più assurde, la reticenza dei due bruni stranieri che rappresentavano tutto il personale maschile, l’orribile e indistinto borbottio della vecchissima governante francese, le grandi quantità di cibo che entravano in una casa dove vivevano solo quattro persone e il timbro delle voci che a volte venivano udite conversare in ore impossibili… tutto questo, unito a ciò che si sapeva della fattoria di Pawtuxet, contribuiva a dare al luogo una cattiva fama.

La casa di Curwen costituiva argomento di conversazione anche negli ambienti altolocati, poiché man mano che il nuovo venuto s’era inserito nella vita religiosa e commerciale della città aveva stretto naturalmente legami del genere migliore, la cui compagnia e conversazione ben si addicevano alla sua cultura. I suoi natali erano ottimi, perché i Curwen o Corwin di Salem non avevano bisogno di presentazioni nel New England; come si venne a sapere poi, Joseph Curwen aveva viaggiato molto quando era giovanissimo, aveva vissuto in Inghilterra e due volte era stato in oriente. La sua lingua, quando si degnava di usarla, era quella di un inglese colto e raffinato.”


La Colony House oggi, ricostruita dopo un incendio avvenuto nel 1758


Così, nonostante avesse eretto attorno a sé un muro di riserbo che pochi riuscivano a valicare, non mancavano occasioni di contatti col mondo esterno. Accadde al dottor Checkley, nel 1738, che lo visitò nella sua dimora e ne uscì turbato da certi discorsi che gli aveva sentito pronunciare. Come pure avvenne nel 1764 a John Merritt, un anziano gentiluomo inglese dalle inclinazioni letterarie e scientifiche il quale, saputo che Curwen possedeva la miglior biblioteca di tutta Providence, non esitò a fargli visita. Qui l’uomo notò, fra i numerosi libri che possedeva, un consistente numero di volumi scritti da cabalisti, maghi, occultisti e demonologhi e, fra questi, il proibito Necronomicon dell’arabo pazzo Abdul Alhazred, di cui anni prima aveva sentito sussurrare cose mostruose in relazione a un culto sconosciuto che veniva praticato nel piccolo villaggio di Kingsport, nella Provincia della Baia del Massachusetts.

Ma quello che più aveva inquietato Merritt era stato un volume di Borellus posto sul tavolo e aperto su un brano sottolineato da Curwen, che aveva riportato sui margini numerose note:


“I sali essenziali de’ gli Animali possono essere in tal guisa preparati e conservati che un Uomo d’ingegno custodisca nel suo Studio un’intiera Arca di Noè, e a suo piacimento possa resuscitare la Forma perfetta d’un animale dalle relative Ceneri. In virtù dell’istesso procedimento un filosofo può, senza macchiarsi di criminale negromanzia, richiamare alla vita uno qualunque dei suoi predecessori, facendolo sorgere da’ sali essenziali e dalla polvere in cui il corpo fu a suo tempo consumato.”


Ma le cose peggiori sul conto di Curwen si mormoravano nella zona del porto perché, dagli equipaggi ingaggiati per i suoi traffici, spesso qualche marinaio spariva senza lasciare traccia, soprattutto dopo che si era recato nella fattoria fuori città per qualche commissione. Nonostante ciò, i suoi commerci prosperavano e non si può dire che mancasse di senso civico, perché contribuiva con generose donazioni alla ricostruzione di alcuni edifici della città dopo i danni subiti da incidenti o da altre calamità naturali. Tuttavia, i sospetti attorno alla sua figura permanevano, principalmente a causa della sua inspiegabile longevità. Fu questo, probabilmente, il motivo per cui si decise a prendere moglie, che trovò nella persona di Eliza Tillinghast, la figlia di un comandante alle sue dipendenze, rimasto vedovo, sul quale l’astuto commerciante poteva esercitare una certa pressione. Poco importa che la ragazza fosse già impegnata con Ezra Weeden, il fidanzamento con il giovane ufficiale fu interrotto e i due convolarono a nozze il 7 marzo 1763.


Illustrazione di apertura per la 1° parte del racconto (Weird Tales, maggio 1941)

La sua accettazione non fu mai completa, e sul piano sociale lo scotto del matrimonio combinato finì per ricadere sulla sposa; in ogni caso, il muro di totale ostracismo si era sgretolato. Nel modo di trattare la moglie il bizzarro consorte stupì tanto la stessa Eliza che la comunità, dando prova di un’estrema gentilezza e considerazione. La nuova casa in Olney Court si era liberata delle manifestazioni misteriose, benché Curwen si recasse spesso alla fattoria di Pawtuxet, che sua moglie non visitò mai, si avvicinava all’immagine del cittadino normale più di quanto fosse mai avvenuto nei lunghi anni di residenza.”

Solo l’ex fidanzato di Eliza gli restava apertamente ostile, dichiarando più volte di volersi vendicare. Nel 1765 nacque la loro unica figlia, Ann, e poco tempo dopo Curwen decise di posare per un ritratto. Inoltre, cominciò a trascorrere molto più tempo nella sua fattoria, portando con sé la maggior parte dei libri di chimica e alchimia.

Intanto il giovane Weeden, appena poteva, spiava le navi di Curwen e la sua fattoria di Pawtuxet ma, poiché per motivi di lavoro si trovava spesso a bordo, aveva incaricato un compagno di taverna, tale Eleazar Smith, di continuare al suo posto l’assidua sorveglianza.

Pare che Weeden e Smith si fossero convinti che sotto la fattoria si stendesse una rete di gallerie o catacombe, abitate da un certo numero di persone oltre che dal vecchio indiano e sua moglie. La casa era una reliquia col tetto a punta della metà del Seicento, con un enorme camino e finestre a rettangoli piccolissimi munite di inferriata; il laboratorio di Curwen si trovava in una dipendenza della casa vera e propria, e il tetto inclinato della seconda costruzione sfiorava il suolo. Apparentemente il laboratorio non era collegato agli altri edifici, ma a giudicare dalle voci che si sentivano provenire dall’interno alle ore più strane, è probabile che fosse accessibile da qualche passaggio sotterraneo. Prima del 1766 le ‘voci’ erano state soprattutto mormorii, sussurri di negri e urla disperate, accompagnati da strani canti e invocazioni. Dopo quella data, tuttavia, assunsero un tono davvero singolare e terribile, coprendo tutto l’arco che va dal brontolio di rassegnazione all’esplosione di una furia delirante, passando per brandelli di conversazione, mugolii di sofferenza, sospiri soffocati e grida di protesta. Le parole sembravano pronunciate in lingue diverse, tutte note a Curwen, la cui voce sibilante veniva udita spesso nell’atto di rispondere, rimproverare o minacciare.”

In occasione delle forti piogge della primavera del 1769 i due osservatori scoprirono una notevole quantità di ossa umane e animali sulla sponda del fiume dietro la fattoria, provenienti con molta probabilità dai sotterranei di quest’ultima. Solo allora si decisero di informare la comunità dei loro sospetti e delle loro scoperte. Tutte le personalità coinvolte convennero che sarebbe stato meglio risolvere la faccenda senza chiamare in causa il governatore della Colonia.

Bisognava sorprendere Curwen alla fattoria di Pawtuxet con un numeroso gruppo di uomini armati, i quali gli avrebbero dato un’ultima possibilità di giustificarsi. Se si fosse dimostrato un pazzo – uno che si divertiva a gridare o a tenere conversazioni immaginarie simulando diverse voci – lo avrebbero internato; ma se fosse emerso qualcosa di più grave e gli orrori del sottosuolo si fossero rivelati autentici, lui e tutti quelli che occupavano la casa sarebbero morti. Era una cosa che si poteva fare con discrezione, e persino alla vedova e a suo padre non si sarebbe detta la verità.”

Mentre si discuteva il da farsi avvenne un fatto inspiegabile e terribile: una mattina di gennaio venne trovato il corpo di un uomo completamente nudo. I più anziani lo riconobbero come quello di Daniel Green, un fabbro, morto però cinquant’anni prima. Qualcuno affermò che quella notte aveva sentito abbaiare dei cani e Weeden, presente al ritrovamento, si insospettì e, seguendo a ritroso le tracce del fabbro, vide nella neve orme appartenenti a cani e a uomini con gli stivali. Continuando a seguire le impronte, con una certa soddisfazione constatò che queste provenivano dalla fattoria di Curwen. Intanto, un gruppo di dieci uomini si recò al cimitero dove era stato sepolto il fabbro e trovò la sua tomba vuota.

Nel frattempo si era anche deciso di intercettare la corrispondenza del mercante. Si scoprì così che aveva un regolare scambio di lettere con un certo Jedediah Orne, che viveva a Salem. Dalla lettura delle loro missive trapelavano riferimenti all’inquietante Necronomicon e misteriose evocazioni, a rianimazioni di materia morta e formule alchemiche, a non meglio identificate entità e probabili traffici di salme. La famiglia Fenner poi - che viveva vicino alla fattoria di Curwen - una notte vide un fascio di luce proiettarsi dall’edificio in pietra con le alte e strette feritoie al posto delle normali finestre. Dopo questi ultimi due fatti, i cittadini che si erano organizzati per togliere di mezzo l’inquietante mercante si decisero a passare all’azione. A guidare i tre gruppi che attaccarono la fattoria nel 1771 fu il capitano Whipple, che comandò gli uomini concordando con loro dei segnali effettuati col sibilo di un fischietto.


Illustrazione di Harry Ferman (da Weird Tales del maggio 1941)


Sembra che i Fenner, dalla cui abitazione era possibile vedere in lontananza la fattoria condannata, avessero udito con chiarezza l’abbaiare dei cani di Curwen, seguito dal primo fischio che aveva provocato l’attacco. Al fischio era seguita una nuova manifestazione del fascio di luce che partiva dall’edificio di pietra, e dopo un istante, risuonato il secondo segnale – quello che ordinava l’attacco generale – i vicini avevano udito una lontana scarica di fucileria, seguita da un urlo orrendo e feroce che Luke Fenner aveva reso per iscritto con quest’accozzaglia di lettere: ‘Waaaahrrrrr… R’waaahrrr’. Ma l’urlo possedeva caratteristiche che la semplice scrittura non riusciva a esprimere, e l’autore della lettera raccontava che sua madre era svenuta dal terrore. In seguito l’urlo si ripeté con minor impeto e ci furono colpi d’arma da fuoco ancora più lontani, accompagnati da una terribile esplosione che si verificò dalla parte del fiume. Circa un’ora dopo i cani cominciarono ad abbaiare freneticamente, e dalla terra si levarono boati così intensi che le candele poste sulla mensola del camino tremarono. Si sentì forte odore di zolfo e il padre di Luke Fenner affermò di aver sentito il terzo fischio, quello che segnalava l’emergenza, ma gli altri non se ne accorsero affatto. I colpi di moschetto continuarono a susseguirsi in lontananza, questa volta accompagnati da un grido profondo, meno penetrante ma anche più orrendo di quelli che l’avevano preceduto: qualcosa che faceva pensare alla tosse o a un gorgoglio di gola, risonante, la cui efficacia dipendeva più dalla sua durata e dall’effetto psicologico che non dall’effettivo livello acustico.

Poi, nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la fattoria Curwen apparve un corpo fiammeggiante e si udirono le grida di terrore e disperazione di parecchi uomini. Ci fu una scarica di moschetto e la creatura fiammeggiante cadde al suolo. Ne apparve una seconda, e questa volta fu possibile udire un urlo tipicamente umano; Fenner scrive di aver afferrato persino alcune parole, compresse dalla sofferenza: «Onnipotente, proteggi il tuo agnello!». Seguirono altri spari e la seconda creatura fiammeggiante stramazzò. Per circa tre quarti d’ora ci fu silenzio e alla fine il piccolo Arthur Fenner, fratello di Luke, esclamò che aveva visto una ‘nebbia rossa’ levarsi alle stelle dalla fattoria maledetta. Di questo fenomeno non esistono altri testimoni, ma Luke annota una strana coincidenza: quasi nello stesso momento i tre gatti presenti nella stanza arcuarono la schiena e drizzarono il pelo, come in preda a un panico incontrollabile.

Cinque minuti dopo si alzò un vento freddo e l’aria fu ammorbata da un odore insopportabile che solo la vicinanza del mare risparmiò agli uomini appostati nei pressi dell’approdo e agli abitanti svegli di Pawtuxet, ammesso che ce ne fossero. Era un odore che i Fenner non avevano mai sentito e induceva una sorta di terrore senza nome, senza forma, superiore a quello della tomba e dell’ossario. Subito dopo si udì la voce spaventosa che nessuno degli sfortunati testimoni avrebbe potuto dimenticare. Calò dal cielo come una tromba del giudizio, e anche quando gli echi cominciarono ad attenuarsi le finestre tremarono. Era un suono profondo e musicale, poderoso come un basso d’organo e malvagio come i testi proibiti dei maghi arabi. Nessuno fu in grado di ripetere ciò che la voce disse, perché parlava in una lingua sconosciuta, ma questo è ciò che Luke Fenner scrisse per dare forma alla litania demoniaca: ‘ DEESMEES… JESHET… BONE DOSEFE DUVEMA… ENITEMOSS’. Fino al 1919 nessuno pensò di mettere in relazione questa cruda trascrizione con qualsiasi cognizione umana, ma Charles Ward impallidì nel riconoscere quella che Pico della Mirandola, atterrito, aveva definito la più pericolosa tra le formule di magia nera.

Al diabolico portento che risuonava sulla fattoria di Curwen rispose un inconfondibile urlo umano, o un coro di grida, dopodiché all’odore sconosciuto se ne aggiunse un altro ugualmente insopportabile. Un lamento molto diverso dall’urlo di prima arrivò alle orecchie dei vicini e si ripeté più volte, in ondate parossistiche che aumentavano d’intensità e poi calavano, come il protrarsi di un ululato. A tratti si aveva quasi l’impressione di un linguaggio articolato, benché nessun testimone riuscisse a distinguere le parole; a un certo punto sembrò piuttosto una risata isterica, diabolica. Poi da decine di gole umane si levò un grido di paura così forte da rasentare la follia, e nonostante le profondità da cui proveniva risuonò chiaro e forte; dopodiché, finalmente, tenebre e silenzio si stesero su tutte le cose. Volute di fumo acre si alzarono verso il cielo cancellando le stelle, sebbene non ci fossero fiamme e il giorno dopo non si vedessero tracce di edifici danneggiati o distrutti.”

Nessuno dei partecipanti della spedizione punitiva si lasciò scappare una sola parola sugli avvenimenti di quella notte e, col tempo e con la volontà delle autorità cittadine di cancellare ogni ricordo legato a Curwen, la memoria dell’uomo sbiadì fino a scomparire del tutto.

Solo il vecchio e robusto capitano Whipple fu sentito dai curiosi mormorare a volte, fra sé e sé: «Che gli prenda il vaiolo, non aveva il diritto di ridere mentre gridava! Era come se quel furfante avesse un asso nella manica. Per mezza corona brucerei la dannatissima casa!»”


La fattoria di Curwen in una illustrazione di Clayton Cameron (2015)


III. Una Ricerca e una Evocazione


Il giovane Ward viene a conoscenza di questi avvenimenti dagli archivi privati della famiglia Smith, dove sono conservati il diario del loro antenato Eleazar Smith (l’amico di Weeden) e una lettera di Jedediah Orne. Decide quindi di fare un viaggio a Salem, per indagare sulle prime attività di Curwen nella città dalla quale fu costretto a fuggire. Qui riesce a raccogliere delle informazioni effettuando ricerche negli enti della città, soprattutto all’Essex Institute, e scopre che il suo antenato aveva stretto amicizia con un certo Edward Hutchinson e un tale Simon Orne.

Il primo aveva una casa fuori dal villaggio, quasi ai confini del bosco. Si diceva che ricevesse misteriosi visitatori e che le luci che filtravano dalle finestre non erano sempre dello stesso colore. Inoltre dimostrava di avere conoscenze e informazioni sia su persone morte da tempo che su avvenimenti quasi dimenticati. Scomparve all’epoca della caccia alle streghe e non fu più visto. Di costui il ricercatore trova un cifrario che nessuno è riuscito ancora a interpretare. Il secondo visse a Salem fino al 1720, quando la sua incapacità di invecchiare cominciò ad attirare dei sospetti. Scomparve anch’egli, ma trenta anni dopo riapparve dal nulla un figlio che gli assomigliava moltissimo (Jedediah), per reclamare le sue proprietà.

Di lui Charles scova alcuni documenti che gli appartenevano, fra cui misteriose formule e diagrammi tracciati a mano, e confrontando la sua grafia con quella del figlio Jedediah, capisce che i due erano la stessa persona. Trova anche una interessante lettera di Curwen:

Fratello, mio antico e onorevole amico,

i dovuti rispetti e i più vivi omaggi a Colui che serviamo in nome dell’eterno potere. Sono appena giunto a svelare ciò che voi certo conoscete sulla questione dell’Estrema Necessità e quello che intendete farne. Nondimeno non sono disposto a seguirvi lontano da qui, perché i miei anni sono numerosi e perché a Providence non è ancora diffuso il costume di dar la caccia a ciò che non si conosce, né a metterlo sotto processo. Io qui sono un mercante e non posso agire come voi; per di più sotto la mia fattoria c’è quello che sapete, e non aspetterà di certo il mio ritorno sotto un’altra identità.

Tuttavia non sono impreparato agli esperimenti più difficili e ho studiato il modo di tornare indietro dopo la fine. La notte scorsa ho trovato le parole per l’evocazione di YOGGE-SOTHOTHE e per la prima volta ho visto il volto di cui parla Ibn Schacabao nel … ed Egli ha detto che il III Salmo del Liber Damnatus contiene la chiave. Con il sole in Quinta Casa, Saturno in terza, traccia il pentagramma del Fuoco e recita tre volte il nono verso. Ripetilo ogni quindici settembre e ogni Vigilia di Ognissanti, finché la Cosa crescerà nelle Sfere Esterne.

E dal seme dell’Antico nascerà Colui che guarderà indietro, pur non sapendo cosa cerca.

Ma tutto ciò sarà inutile se non ci sarà un Successore, e se i Sali o il modo di prepararli non fossero a sua disposizione. Ammetto di non aver compiuto i passi necessari e che non ho scoperto molto. Il procedimento non è prossimo alla sua realizzazione e i tentativi consumano gran parte dei Campioni che mi è sempre più difficile procacciare, nonostante i marinai che mi arrivano dalle Indie. La gente della città si è fatta curiosa, ma riesco a tenerli lontani. I signori sono peggiori del popolo, perché sono più precisi nei loro resoconti e dunque le loro parole vengono credute. […]

Josephus C.

Al signor Simon Orne,

William’s-Lane, a Salem.”



L'attacco alla fattoria Curwen visto da Darren Tan (2014)


Curiosamente, questa lettera permette al ricercatore di scoprire l’indirizzo della casa del suo antenato a Providence, la quale si trova proprio vicino alla sua. Si tratta di un modesto edificio cadente in legno, abitato attualmente dall’anziano Asa e da sua moglie Hannah. I proprietari conoscono bene la famiglia Ward e permettono allo studente di visitare la casa. Le sue ispezioni danno il risultato sperato poiché sulla parete posta sopra a un camino, la cui superficie si mostra leggermente più scura del resto dell’intonaco, scopre un ritratto a olio nascosto di Joseph Curwen eseguito su una pannellatura in legno. Viene chiamato subito un restauratore.

Man mano che il lavoro di restauro progrediva, Charles Ward ammirava con interesse sempre più accentuato le sfumature e i lineamenti portati alla luce dopo tanto tempo. Dwight aveva cominciato dal fondo, e siccome il ritratto era di tre quarti, la faccia non apparve fino all’ultimo. Si poteva notare, intanto, che il soggetto era un uomo magro, ben fatto e che indossava una giacca blu scuro, un panciotto con le iniziali, biancheria di satin e calze bianche di seta; l’uomo era seduto su una sedia scolpita e ritratto sullo sfondo di una finestra da cui si vedevano il porto e le navi. Quando emerse la testa, si vide che portava una bella parrucca Albermale e che possedeva un volto calmo, sottile, nient’affatto particolare, che sembrò in qualche modo familiare sia a Ward che all’artista. Solo alla fine, tuttavia, il restauratore e il suo cliente furono in grado di apprezzare con stupore tutti i particolari di quel volto magro e pallido, e di riconoscere con un senso di timor sacro il drammatico scherzo giocato dall’ereditarietà. Ci volle un ultimo bagno d’olio e un’altra passata del delicato raschietto per rivelare l’espressione che i secoli avevano nascosto, e per notare la perfetta identità fra i lineamenti di Charles Dexter Ward, ricercatore del passato, e quelli del suo terribile antenato.”

Colpito dalla sorprendente somiglianza, Charles si affretta a mostrare il ritratto ai suoi genitori e il padre, non appena lo vede, non esita a comprarlo per farne dono al figlio, nonostante la diffidenza della moglie. Lo studente trasferisce così il dipinto all’interno del suo studio, posto al terzo piano della casa paterna.

Sotto il pannello rimase un tratto di parete di mattoni ora nuda, dove si poteva distinguere il percorso della canna fumaria; qui il giovane Ward notò una nicchia a forma di cubo larga circa trentacinque centimetri, e che doveva essersi trovata proprio dietro la testa del ritratto. Incuriosito da ciò che uno spazio del genere poteva contenere, il giovane si avvicinò e guardò all’interno: sotto un profondo strato di polvere e sporcizia c’erano un fascio di carte ingiallite, un rozzo e spesso libricino e alcuni brandelli di stoffa marcita che probabilmente venivano dal nastro con cui il tutto era stato legato. Soffiata via la polvere e la sporcizia, Ward prese il libretto e lesse la chiara iscrizione in copertina. Era una mano che aveva imparato a riconoscere all’Essex Institute, e definiva il volume come il ‘Diario e note di Jos. Curwen, Gent., della Colonia di Providence e proveniente da Salem’. Eccitato oltre misura da questa scoperta, Ward mostrò il diario ai due operai curiosi che erano dietro di lui; la loro testimonianza conferma nel modo più assoluto la natura e l’autenticità del ritrovamento, e il dottor Willet si basa su questo punto per fondare la sua teoria secondo cui il giovane non era pazzo quando cominciò a manifestare le prime eccentricità. Anche le altre carte erano scritte da Curwen, e un documento sembrava particolarmente fantastico a causa di questa intestazione: ‘A colui che verrà dopo di me, e in che modo potrà superare la barriera del Tempo e delle Sfere’. Un altro era cifrato: Ward sperò che si trattasse dello stesso codice usato da Hutchinson, fino a quel momento rimasto indecifrabile. Un terzo, e qui il ricercatore ebbe un tuffo di gioia, sembrava essere la chiave del codice, mentre il quarto e il quinto erano indirizzati rispettivamente a ‘Edward Hutchinson, cavaliere’ e ‘Mess. Jedediah Orne’, ‘Ovvero al loro Erede o Eredi, o a coloro che li rappresenteranno’. Il sesto e ultimo documento recava l’iscrizione: ‘Joseph Curwen, la sua Vita e i suoi Viaggi negli anni dal 1668 al 1687: dove viaggiò, dove soggiornò, chi conobbe e cosa apprese’.”


Questa poteva essere la casa di Curwen, secondo una ricerca di Donovan K. Loucks del 2015

Porta d'ingresso della probabile casa di Curwen, in Olney Court


Il giovane comincia a studiare le carte dell’antenato con una passione febbrile. Si chiude nella sua stanza e non mostra a nessuno i documenti trovati, si diploma alla Moses Brown School ma decide di non iscriversi all’università, si reca nelle biblioteche della città per fare ricerche sulla stregoneria e la demonologia, acquista numerosi volumi di magia e occultismo e continua a lavorare sul cifrario di Hutchinson. Dopo alcuni mesi comincia a dedicarsi a una nuova serie di ricerche, stavolta di carattere chimico - tanto da allestire un laboratorio nell’attico inutilizzato della casa - e storico, col fine di trovare la tomba dell’antenato, la cui lapide era stata a suo tempo opportunamente cancellata. Durante questo periodo il dottor Willett tenta a più riprese di farsi raccontare dal giovane il risultato delle proprie ricerche, ma quest’ultimo elude tutte le sue domande con la scusa di esporgliele fino a quando non le avrà terminate.

Trascorrono così tre anni in cui alterna lo studio alle visite in numerosi cimiteri, oltre a recarsi presso una tribù di indiani Adirondack, i quali si diceva praticassero misteriosi riti, e nel sud per parlare con un misterioso e anziano mulatto che vive nei pressi di una palude. Il suo sogno sarebbe quello di potersi recare in Europa, ma i genitori glielo proibiscono categoricamente fino a quando, nell’aprile del 1923, non raggiunge la maggiore età. Può così imbarcarsi per l’Inghilterra senza il loro consenso. Si reca a Londra, dove esamina alcune fonti al British Museum, poi a giugno si stabilisce a Parigi, dove fa lo stesso nella Bibliotèque Nationale e nella biblioteca di un collezionista privato. Poi va a Praga, dove incontra un anziano signore in possesso di curiose informazioni medievali, a Vienna e infine a Rakus, fra i monti della Transilvania, ospite nel castello di un certo barone Ferenczy, dove rimane per più di un anno. Ritorna a Providence nel maggio del 1926. Qui riprende i suoi esperimenti: dal laboratorio, dove passa la maggior parte del tempo, provengono degli strani suoni e odori.

Si trattava di canti, ripetizioni e violente litanie modellate su ritmi sconosciuti, e benché i suoni fossero pronunciati senz’altro dalla voce di Ward, qualcosa nel suo accento e nel ritmo con cui intonava le formule faceva rabbrividire chi le ascoltava. Venne osservato che Nig, il vecchio e amato gatto nero di casa, drizzava il pelo e inarcava la schiena ogni volta che si ripetevano determinati toni.”

I genitori, preoccupati, convocano più volte il dottor Willett ma Charles, pur non rifiutando mai di incontrarlo, continua a non permettergli di violare i suoi segreti. Ora che lo studioso è cresciuto, il dottore non può fare a meno di notare che la somiglianza col ritratto dell’antenato è davvero stupefacente: solo una fossetta sull’occhio destro distingue il vecchio stregone dal giovane Ward.

Le ricerche e i misteriosi esperimenti di Charles continuano a svolgersi in questo modo per quasi un anno.

Una mattina la madre vede il figlio dare indicazioni ad alcuni uomini, giunti con un camioncino, intenti a trasportare una lunga cassa nell’ingresso laterale della casa. Il giorno dopo il giornale riporta la strana presenza di alcuni profanatori nel cimitero del North Burial Ground, i quali hanno scavato una fossa grande come una tomba non corrispondente, però, ad alcun luogo di sepoltura registrato negli archivi del cimitero. I profanatori poi, sorpresi dal guardiano notturno, sono fuggiti con un camioncino.

Il 15 aprile, venerdì santo, un’ennesima litania proviene dalla porta del laboratorio di Ward.


Il contenuto dello scrigno segreto di Curwen ricostruito da Jason McKittrick (2012)


La cantilena proseguì per circa due ore senza cambiamenti o intervalli, dopodiché nel vicinato i cani scatenarono un pandemonio: l’inferno prodotto dall’abbaiare delle bestie fu tale che il giorno seguente il giornale gli dedicò un articolo, ma per chi si trovava in casa Ward il fenomeno fu eclissato dall’odore che immediatamente lo seguì. Era spaventoso, penetrava dappertutto e nessuno lo aveva mai sentito prima. Nel diluvio mefitico saettò una luce improvvisa, simile al lampo, che sarebbe risultata accecante e ancora più misteriosa se non si fosse verificata di giorno; poi si udì la voce che nessun testimone potrà mai dimenticare; una voce tonante e remota, profondissima, spaventosamente diversa da quella di Charles Ward. Faceva tremare la casa, e fu udita con chiarezza da almeno due vicini nonostante l’abbaiare dei cani. La signora Ward, che era rimasta ad ascoltare angosciata fuori dalla porta sbarrata del laboratorio, tremò nel percepire quel tono infernale: Charles, tra l’altro, le aveva parlato della sinistra fama che si attribuiva alla voce nei grimori, e della prima volta in cui, stando alle lettere dei Fenner, era risuonata sulla fattoria condannata di Pawtuxet la notte in cui Joseph Curwen era stato distrutto. Non era possibile fraintendere quella frase d’incubo, perché ai tempi in cui parlava senza reticenza del mistero Curwen, Charles l’aveva descritta fin nei minimi particolari. Si trattava di un frammento di un linguaggio arcaico e dimenticato, né più né meno che questo: ‘DIES MIES JESCHET BOENE DOESEF DOUVEMA ENITEMAUS’.

Subito dopo la luce del giorno si oscurò per un attimo, anche se al tramonto mancava un’ora buona, e nell’aria si diffuse un odore diverso dal primo ma comunque sconosciuto e intollerabile. Charles aveva ricominciato a salmodiare e sua madre riuscì a distinguere alcune sillabe, che erano qualcosa di simile a ‘Yi-nash-Yog-Sothoth-he-lgeb-fi-throdog’, e alla fine uno ‘Yah!’ la cui forza maniacale saliva in un crescendo che sembrava voler rompere i timpani. Un attimo dopo tutti i ricordi furono cancellati da un urlo o lamento che esplose con violenza disperata e gradualmente si trasformò in una risata demoniaca, isterica. La signora Ward, in preda al terrore ma anche a un cieco coraggio di madre, avanzò e bussò spaventatissima alla porta del laboratorio, senza ottenere risposta. Bussò ancora ma si interruppe, snervata, quando risuonò un secondo urlo, senz’altro lanciato da suo figlio e che echeggiò contemporaneamente alla risata demenziale, la quale apparteneva a un altro essere. Alla fine la signora svenne, benché sia tuttora incapace di ricordare le cause precise e immediate del malore; a volte la memoria cancella misericordiosamente i particolari più terribili.”

Poco dopo giunge il padre dal lavoro e i domestici, atterriti, lo informano che la moglie si trova nell’attico dove il figlio trascorre le sue giornate. Corso al piano superiore, l’uomo trova la consorte stesa a terra svenuta, la porta di peso al piano inferiore e la rianima. A cena affronta il figlio e gli intima di non continuare più i suoi esperimenti. Charles ammette di non poter proseguire in casa le sue ricerche e, radunati alcuni libri, decide di trasferirsi altrove. Si troverà una sistemazione più appartata per non causare ulteriori fastidi ai suoi e al vicinato. Il genitore nota che i testi portati via dal figlio non sono di carattere esoterico e occultistico, bensì di argomenti contemporanei: storia moderna, scienze, geografia, manuali di letteratura e numerosi quotidiani e riviste. Ma un’altra anomalia colpisce Ward senior nella stanza del figlio, il quadro appeso e restaurato con tanta fatica non c’è più, si è ridotto in un mucchietto di polvere ben visibile sul pavimento.


Copertina di un'edizione inglese del 1971
ì


Copertina del numero di Weird Tales dove venne pubblicata la prima parte del racconto (maggio 1941)


IV. Una Mutazione e una Follia


Due settimane dopo la famiglia Ward scopre che Charles si reca spesso nella casa che un tempo apparteneva a Curwen per effettuare degli scavi nella cantina, mentre alcuni conoscenti li informano che il figlio va spesso a Pawtuxet. In quei giorni, due insoliti articoli appaiono su un quotidiano: uno sempre riguardo al North Burial Ground, dove stavolta i profanatori violano l’antica tomba di tale Ezra Weeden asportandone ciò che rimaneva dei suoi resti; l’altro invece riferisce che gli abitanti di Pawtuxet sono stati svegliati nel cuore della notte da un latrare incessante di cani, accompagnati da insoliti e sgradevoli odori. Nello stesso periodo la stampa si occupa, con un certo sensazionalismo, di alcune aggressioni notturne riportate come casi di vampirismo, poiché le persone assalite descrivono il loro aggressore come un mostro magro, agile e scattante che affondava i denti nella gola o alla radice del petto e succhiava avidamente.

Intanto, il dottor Willett consiglia alla madre di Charles, duramente provata psicologicamente, un soggiorno terapeutico ad Atlantic City, mentre il figlio acquista un bungalow a Pawtuxet: ha finalmente trovato un luogo dove proseguire i suoi esperimenti in tutta tranquillità. Ad assisterlo trova due aiutanti, un mezzosangue portoghese di nome Gomez e uno straniero con una barba ispida che si presenta col nome di dottor Allen, il quale nasconde sempre i suoi occhi dietro delle lenti scure.

Una sera di gennaio del 1928 la polizia si presenta al bungalow di Ward perché vuole interrogarlo su alcuni suoi strani traffici. Hanno scoperto infatti una serie di casse a lui destinate contenenti dei cadaveri. Charles si difende affermando che gli servono per alcune importanti ricerche, e che si è affidato ad operatori del settore legittimamente autorizzati. Il dottor Allen, da par suo, conferma le affermazioni del ricercatore riuscendo a convincere i poliziotti col suo tono deciso. La polizia non fa trapelare la notizia e riconsegna le salme ai luoghi cui appartenevano.

A febbraio il dottor Willett riceve una missiva dal giovane:


Illustrazione di Harry Ferman per la seconda parte del racconto apparsa su Weird Tales (1941)


Caro dottor Willett, credo sia venuto finalmente il tempo di fare le rivelazioni che ho a lungo promesso, e che lei ha cercato ripetutamente di ottenere. Non potrò mai dimenticare la pazienza che ha dimostrato nel saper attendere e la fiducia che ha accordato alla mia persona e alla mia integrità.

Ora che sono pronto a parlare devo ammettere, con un senso di umiliazione, che nessuno dei trionfi che ho sognato sarà mio. Invece dell’apice della conoscenza ho trovato il terrore, e questa mia confessione non sarà un canto di vittoria ma una richiesta d’aiuto e di consiglio per salvare me stesso e il mondo da una minaccia che trascende ogni umana concezione e ogni nostro calcolo. Ricorderà che le antiche lettere dei Fenner raccontano sull’ultima spedizione alla fattoria di Pawtuxet: ebbene, la cosa dev’essere fatta di nuovo e alla svelta. Da noi dipende molto più di ciò che io possa dirle a parole; la civiltà, le leggi di natura, forse perfino la sorte del sistema solare e dell’universo. Ho riportato alla luce una mostruosa anomalia, ma l’ho fatto per amore della conoscenza. Ora, per amore della vita e della stessa natura, lei deve aiutarmi a respingerla nelle tenebre.

Ho lasciato per sempre il bungalow di Pawtuxet e dobbiamo estirpare ciò che si nasconde laggiù anche a costo di uccidere. Personalmente non ci andrò più, e anche se venisse a sapere che mi trovo lì non deve crederci. Quando la vedrò di persona le spiegherò perché mi esprimo in questo modo. Sono tornato definitivamente a casa e la prego di venirmi a trovare non appena potrà dedicarmi cinque o sei ore del suo tempo, in modo che possa dire senza interruzioni ciò che ho da dirle. Ci vorrà più o meno tanto, e mi creda se le dico che non ha mai avuto un dovere professionale più urgente di questo; la mia vita, la mia ragione sono l’ultima cosa che rischia di andare perduta per sempre.

Non oso parlare con mio padre perché non credo che riuscirebbe ad afferrare il quadro nella sua interezza; a ogni buon conto gli ho detto che mi trovo in pericolo ed egli ha assunto quattro agenti di un istituto di polizia privata perché sorveglino la casa. Non so a cosa serviranno, perché devono battersi contro forze che persino lei troverebbe difficile immaginare e riconoscere. La prego, venga presto se vuol vedermi vivo e apprendere il modo di salvare il nostro universo dalla distruzione.

Qualunque ora andrà bene, non mi muoverò di casa. Non telefoni prima di venire, non sappiamo chi o cosa potrebbe intercettare la chiamata. Preghiamo gli dèi nei quali crediamo perché nulla sorga a impedire il nostro incontro.

Con la più gran costernazione e serietà,

                                                                           Charles Dexter Ward


P.S. Spari a vista al dottor Allen e dissolva il cadavere nell’acido. Non lo bruci.


[…] Ad un estraneo la lettera sarebbe parsa l’opera di un maniaco, ma il dottor Willett aveva visto troppe cose strane nel caso di Charles Dexter Ward per considerarla il frutto di un delirio. Che qualcosa di sottile, antico e tremendo facesse parte della vicenda era un fatto di cui il dottore s’era ormai convinto; l’allusione al dottor Allen, poi, era in perfetto accordo con le dicerie che circolavano a Pawtuxet sull’enigmatico collega di Ward. Willett non l’aveva mai visto, ma aveva sentito spesso parlare del suo aspetto e comportamento, e non poteva fare a meno di domandarsi che tipo d’occhi nascondessero i famosi occhiali da sole.”


Copertina del numero di Weird Tales con la seconda parte del racconto (luglio 1941)


Ma quando il dottore si presenta a casa Ward, Charles non si fa trovare. Le guardie del corpo incaricate di proteggerlo lo informano che il giovane deve essersi liberato dei suoi timori poiché quella mattina, dopo aver parlato al telefono con qualcuno, è parso baldanzoso. Inoltre deve essere uscito silenziosamente di casa, perché nessuno lo ha visto uscire. Al suo rientro, però, entrando nel suo studio aveva urlato e quando il maggiordomo gli ha chiesto cosa fosse successo, Charles lo ha affrontato mostrando un coraggio inconsueto e lo ha allontanato con un gesto che aveva atterrito il vecchio senza una ragione precisa. Dopodiché, da vari rumori, tonfi e cigolii che facevano supporre che stesse spostando e riordinando gli scaffali della sua biblioteca, si era allontanato di nuovo.

Willett lo aspetta invano nello studio, nella speranza che torni di nuovo, ma Charles non si presenta.

Il giorno dopo il dottore riceve un messaggio da parte del padre dello studioso nel quale lo avverte di aver ricevuto una telefonata dal dottor Allen. Costui gli ha comunicato che, poiché dovrà allontanarsi per un lungo periodo, suo figlio Charles dovrà restare a Pawtuxet per qualche tempo a proseguire le ricerche dei due e che nessuno dovrà disturbarlo.

Per una settimana il dottor Willett è indeciso sul da farsi, poi decide di recarsi al bungalow di Pawtuxet, perché ritiene che un faccia a faccia sia necessario se vuole farsi un’idea di quello che sta succedendo. Ad accoglierlo trova il servitore mulatto, che si limita tenere appena socchiusa la porta.

Il dottore disse che doveva vedere Charles per una cosa importantissima: non avrebbe accettato scuse e un eventuale rifiuto lo avrebbe costretto a riferire tutto al padre di Ward. Il mulatto esitava ancora, e quando Willett cercò di spingerla si appoggiò alla porta con tutto il suo peso; il medico, dal canto suo, si limitò ad alzare la voce e a ripetere le domande. Dall’interno buio giunse un sussurro rauco che gelò il sangue del visitatore, anche se non era facile dire perché. «Fallo entrare, Tony» disse la voce sussurrante. «Possiamo parlare anche ora, se vuole.» Benché quel modo di bisbigliare fosse di per sé inquietante, ciò che seguì fu ancora più terribile. Il pavimento scricchiolò e l’uomo che aveva parlato apparve in piena vista: il possessore della voce misteriosa, echeggiante, non era altri che Charles Dexter Ward.

Il dottor Willett ricorda la conversazione di quel pomeriggio in ogni particolare e così ce l’ha trascritta, per l’importanza che attribuisce a quel particolare periodo. Per la prima volta egli ammette che nella mente di Charles Dexter Ward si era verificato un profondo cambiamento e ritiene che le parole del giovane fossero ormai dettate da una personalità completamente estranea a quella di cui Willett aveva seguito lo sviluppo per ventisei anni. La controversia avviata col dottor Lyman lo costringe ad essere preciso, e a suo parere la follia di Charles Ward data dal momento in cui i genitori cominciarono a ricevere biglietti scritti a macchina. Non erano concepiti nello stile abituale di Ward e neppure in quello della disperata lettera a Willett: al contrario sono messaggi bizzarri, in prosa arcaica, e fanno pensare che il crollo della volontà avesse spalancato le porte a un diluvio di suggestioni o fissazioni accumulate inconsciamente dall’infanzia grazie alla passione di Ward per l’antichità. Lo stile denota senza dubbio lo sforzo di essere moderno, ma lo spirito e a volte il linguaggio sono quelli del passato.”


Prima pagina del manoscritto del racconto 'Il Caso di Charles Dexter Ward' (1927)


Il giovane invita il dottore a entrare ma continuando a mantenere il bungalow nella penombra. Si scusa per la sua voce, dovuta a una brutta raucedine, e lo fa accomodare su una sedia. Giustifica il suo strano comportamento spiegandogli che versa in gravi condizioni nervose, per questo talvolta ha dato l’impressione di perdere il lume della ragione e di avere atteggiamenti contraddittori. D’altronde, le sue ricerche lo stanno spingendo in territori oscuri, ma è convinto di poter tornare alla normalità, al loro termine.

Confessa di aver trovato un sistema che gli consente di scoprire i segreti del passato da fonti più sicure dei libri, sistema che Curwen già usava e che avrebbe portato a perfezionamento, se non lo avessero ucciso. Lui sta cercando di completare le ricerche del suo antenato ed è convinto che fra sei mesi potrà mostrargli qualcosa che lo ripagherà della sua pazienza, se avrà la bontà di aspettare. Infine, gli chiede di dimenticare quello che ha scritto nella lettera, dovuto a un momento di paura irrazionale.

Il dottore è perplesso, perché se il discorso del giovane gli appare alquanto bizzarro, il contenuto della lettera invece sembra il frutto del Charles che lui conosce da sempre.

Willett prova allora a spostare la conversazione su fatti che lo riguardano, nella speranza di far riemergere l’autentica personalità del ragazzo. Quest’ultimo però sembra aver completamente rimosso alcune parti importanti dei suoi ricordi recenti, mentre ha una perfetta memoria di tutte quelle conoscenze antiquarie risalenti alla sua giovinezza. Quanto a queste, ciò che sbalordisce il medico è che lo studioso mostra di conoscere particolari e dettagli che avrebbe potuto riportare solo chi avesse vissuto un’esperienza diretta di quegli avvenimenti lontani nel tempo. Charles, per rassicurarlo, gli fa visitare l’intera casa, che non mostra niente di anomalo. Questo però non fa che insospettire ulteriormente il dottor Willet il quale, tornato nella casa dei Ward, si accorda col genitore per indagare assieme fra la gente del posto. I due però riescono a ottenere solo brandelli di informazioni: gli abitanti attribuiscono all’arrivo del giovane i casi di vampirismo dell’estate scorsa; riferiscono del sopraggiungere continuo di grandi quantità di carne fresca e di strani rumori notturni; infine gli parlano di insoliti suoni di carattere rituale provenienti dai sotterranei del bungalow.

Non è però l’indagine dei due uomini a dare una svolta alla vicenda. I funzionari della banca di cui Ward è cliente lo visitano per informarlo che la sua firma, sugli ultimi assegni compilati, sembra contraffatta. Il giovane si giustifica spiegando che ha avuto recentemente una paralisi alla mano ma, parlando con lui, i funzionari si accorgono che non ha più alcuna memoria delle operazioni finanziarie che fino a poco tempo prima conosceva benissimo.


Una veduta dell'isola di Conanicut


Decidono così di recarsi dal padre per informarlo della situazione. Quest’ultimo convoca il fido dottor Willett e, mostrandogli gli assegni, lo informa che ha deciso di rivolgersi ad alcuni specialisti con l’intenzione di ricoverare il figlio, nella speranza di guarirlo da questa forma di pazzia. Gli alienisti si dedicano allo studio dei libri e delle carte di Charles mentre il dottor Willett non può fare a meno di notare che la firma di Charles sugli assegni gli ricorda qualcosa che al momento non riesce a rammentare.

Qualche giorno dopo si recano tutti al bungalow per convincere Charles Dexter Ward a farsi ricoverare nella casa di cura del dottor Waite, nella pittoresca Conanicut Island e quest’ultimo, inaspettatamente, acconsente di buon grado di fronte alle loro argomentazioni.

Gli scrupolosi esami medici rivelano alcune alterazioni fisiche: metabolismo rallentato, pelle trasformata e reazioni nervose sproporzionate. “Fra i medici che seguivano Charles il più turbato fu il dottor Willett, che lo aveva in cura da una vita e valutava in tutto il loro impatto le terribili manifestazioni della sua disfunzione fisica. Anche la familiare voglia d’oliva sul fianco era scomparsa, mentre sul petto appariva una gran chiazza scura, o cicatrice, che prima non c’era mai stata: Willett si domandò se il giovane avesse ricevuto, nel corso di qualche misterioso incontro notturno, il cosiddetto ‘marchio della strega’. Non poteva togliersi dalla mente il brano di un processo per stregoneria celebrato a Salem e che Charles gli aveva mostrato all’epoca in cui non si era ancora chiuso in un’estrema riservatezza.”

Anche la posta indirizzata a Charles e al dottor Allen, che Ward padre si fa recapitare a casa propria, viene scrupolosamente esaminata dai medici in ospedale. Alla fine di marzo giunge da Praga una lettera indirizzata al misterioso dottor Allen, il cui contenuto è a dir poco delirante. Nel testo si fa riferimento a esemplari errati a causa di “lapidi cambiate”, a cose cresciute grazie a misteriosi “sali”, a esseri evocati che non si possono “ricacciare” e, infine, a esperimenti avvenuti dal 1690 a oggi dai diretti interessati, ovvero il mittente Simon O. e il destinatario della lettera, tale signor J. C. di Providence. Il dottor Willett nota che la grafia dell’estensore della missiva corrisponde a quella vista su alcune copie fotostatiche che gli aveva mostrato il giovane Ward. Si trattava delle formule di Simon Orne, alias Jedediah, nato a Salem e scomparso nel 1771. Improvvisamente, al dottore viene in mente cosa era ciò gli aveva ricordato la firma sugli assegni di Charles: la grafia di Joseph Curwen.

Il turbamento di Ward padre e del dottor Willet non è condiviso però dagli altri medici, i quali ritengono che tali stranezze sono da imputarsi all’imitazione delle grafie dei personaggi studiati con passione morbosa da Charles, da Allen e dal loro corrispondente praghese, ignorando così l’importanza data dai due alla lettera.

Per questo, quando giunge un’altra missiva, stavolta da Castel Ferenczy, in Transilvania, e indirizzata al “signor Edw. H.”, i due si astengono dal mostrarla agli alienisti. Anche fra queste righe si parla di cose venute da fuori evocate dal mittente ma, soprattutto, ci sono riferimenti a Charles, che proprio in quel castello ha vissuto per più di un anno in occasione del suo viaggio in Europa. Leggendo quanto scritto riguardo al giovane, i due inorridiscono, poiché trapela che costui debba essere sacrificato per chissà quale perverso scopo. La grafia della lettera, stavolta, è uguale a quella del cifrario di Hutchinson.

I due amici si convincono che gli estensori di queste missive si credono le reincarnazioni di due vecchi colleghi di Curwen, ovvero Orne e Hutchinson, mentre Allen è convinto di essere la reincarnazione dello stregone. Il signor Ward ingaggia subito alcuni detective di un’agenzia di investigazioni per trovare il dottor Allen, colui che sembra aver ordito l’orribile complotto ai danni di Charles che, fortunatamente, al momento si trova al sicuro nella clinica.


La casa di Thomas Lloyd Halsey (1751-1838) a Providence. Lovecraft ne fa l'abitazione della famiglia Ward


V. Un Incubo e un Cataclisma


I due amici, per quanto increduli, sono costretti ad ammettere che nel mondo ci sono individui che effettuano antiche pratiche necromantiche - e fra questi almeno due o tre lo farebbero da almeno due secoli! - i quali si scambiano informazioni su formule evocative e trafficano con i resti dei cadaveri di uomini saggi nella speranza di recuperare la loro antica sapienza. Grazie ai misteriosi ‘sali essenziali’ di cui aveva parlato Borellus, costoro sono in grado di evocare l’anima di un defunto, interrogarla e poi rimandarla da dove è venuta.

Non c’era dubbio che Charles avesse finalmente trovato la tomba di Joseph Curwen. I ritagli di giornale e ciò che sua madre aveva sentito durante la notte erano fatti troppo significativi per non prenderli sul serio. In seguito Charles aveva evocato un’entità che era venuta a lui: ed ecco la voce tonante che si era sentita il venerdì santo e gli accenti diversi che erano risuonati nel laboratorio chiuso a chiave nell’attico. A che cosa somigliavano, nella loro profonda e abissale risonanza? Non c’era una spaventosa affinità con la voce baritonale del temuto straniero, il dottor Allen? Sì, era questo che il signor Ward aveva capito con orrore nell’unico colloquio telefonico con quell’uomo, se d’un uomo si trattava!

Quale maledetta coscienza, voce od ombra morbosa aveva risposto all’evocazione compiuta da Charles Ward dietro la porta sbarrata? Le voci che argomentavano fra loro (‘Deve berlo rosso per tre mesi’), Gran Dio, quella frase non era stata pronunciata prima che dilagasse la piaga del vampirismo? Il saccheggio dell’antica tomba di Ezra Weeden, le urla sentite più tardi a Pawtuxet… A chi apparteneva la mente che aveva tramato quell’orribile vendetta e rintracciato il luogo, evitato per oltre un secolo, in cui erano avvenute le antiche nefandezze? Senza contare l’episodio del bungalow, lo straniero barbuto, le voci e il terrore. Né il padre né il medico riuscivano a trovare una spiegazione per la follia finale di Charles, ma erano sicuri che la mente di Joseph Curwen fosse tornata sulla terra e si stesse dedicando alle sue antiche, predilette nequizie. La possessione demoniaca era un fatto reale, o almeno una possibilità? Allen vi aveva certo a che fare, e bisognava che i detective scoprissero assolutamente qualcosa sull’uomo la cui esistenza costituiva una tale minaccia per Charles.”

In attesa che gli investigatori facciano le loro ricerche, i due amici decidono di andare a perlustrare i sotterranei che si trovano sotto al bungalow di Pawtuxet, visto che la loro esistenza sembra ormai accertata. Arrivati nel seminterrato, dopo approfondite ricerche individuano una piccola piattaforma davanti ai lavatoi. Tastandone la grandezza il dottore si accorge che, premendo con forza, la parte superiore ruota e scivola orizzontalmente fino a svelare una superficie in cemento con un tombino di ferro. A quella vista, il signor Ward si precipita eccitato e i due riescono a sollevarlo senza problemi. Poco dopo, però, alcuni miasmi provenienti dal pozzo oscuro stordiscono gravemente il padre di Charles che, accompagnato all’esterno da Willett, è costretto malvolentieri a lasciare l’abitazione con un taxi.

Rientrato nel sotterraneo, il dottore si rende conto che la zaffata mefitica si è quasi del tutto dissolta, ma per sicurezza si protegge le narici con una garza sterilizzata e poi, afferrata una torcia elettrica, si cala nella cavità. Scende per tre metri nel cilindro verticale in cemento, fornito di una scaletta di ferro, fino a raggiungere alcuni gradini scivolosi.


Uno dei primi edifici di Pawtuxet, costruito dalla famiglia Jenks (1897)


La torcia rivelò che si trattava di una costruzione antica e sulle pareti stillanti Willett vide la patina verde dei secoli. I gradini precipitavano verso il basso non a spirale, ma descrivendo tre bruschi gomiti, ed erano così stretti che due uomini affiancati avrebbero potuto procedere con difficoltà. Willett ne contò circa trenta prima di sentire un debole rumore che gli tolse ogni desiderio di continuare a contare. Era un grido maledetto, uno di quei profondi e insidiosi oltraggi alla natura che non dovrebbero esistere affatto. Definirlo un lamento, un gemito di disperazione, un urlo d’angoscia insopprimibile o di carne torturata significherebbe tradirne la fondamentale ripugnanza e i toni lancinanti, capaci di annichilire l’anima. Era questo che cercava di sentire Ward il giorno in cui lo avevano internato? Certo era la cosa più orribile che Willett avesse mai udito; quando raggiunse il fondo delle scale e proiettò il raggio della torcia sulle immense pareti del corridoio, sormontate da volte ciclopiche e attraversato da innumerevoli archi neri, si rese conto che il lamento non proveniva da nessun punto in particolare.”

Il dottore si inoltra nelle tenebre e comincia a esplorare le grandi arcate e, oltre ognuna di queste, alcune antiche stanze di pietra munite di camino e di una singolare strumentazione mai vista prima. Molto probabilmente usata a suo tempo da Joseph Curwen. Oltrepassate queste, arriva in una stanza dall’aspetto più moderno: si tratta dello studio di Charles Ward, perché riconosce alcuni mobili della casa paterna e i numerosi libri che aveva visto nella sua biblioteca. Su una scrivania vede una serie di documenti (lettere col timbro postale di Praga e Rakus, fogli con sopra degli strani disegni e le carte che erano appartenute a Curwen) che si affretta a raccogliere con l’intenzione di portare via dopo aver acceso delle candele e delle lampade a olio lì presenti. Fra il materiale più recente nota che un paio di formule magiche ricorrono spesso. Vi incappa più volte, tanto da impararle quasi a memoria. Consistono in due colonne affiancate, quella di sinistra è sormontata dal simbolo noto come ‘Testa del Drago’, mentre quella di destra dal segno corrispondente della ‘Coda del Drago’. In entrambe compare la parola Yog-Sothoth.

Willett torna sul corridoio deciso a trovare il laboratorio nascosto, continua a seguire il budello che si allarga man mano, mentre l’olezzo e il lamento si fanno più forti. Arriva infine in un grande spazio aperto circondato da colonne e archi disposti a cerchio con al centro un altare scolpito.

Le figure intagliate sull’altare erano estremamente bizzarre, e quando si avvicinò ad esaminarle con la torcia Willett provò un brivido di stupore. Non appena si rese conto di ciò che rappresentavano arretrò tremando e non si fermò a esaminare le chiazze scure che impregnavano la superficie dell’altare, e che a volte proseguivano sui fianchi in righe più sottili. Willett si diresse alla parete opposta e la seguì nel suo perimetro circolare, immenso, attraversato ogni tanto da una porta nera e crivellato da una miriade di sbarre di ferro, ceppi per i polsi e le caviglie e robuste catene assicurate alla parete concava. Erano vuote, ma il terribile odore e l’indefinibile lamento persistevano, ora più intensi che mai, e a volte sembravano intervallati da una specie di passo scivoloso.”


Copertina di un'edizione del 2018


Il dottore, puntando la torcia verso il pavimento, vede una scala di corda attorcigliata e abbandonata in un punto, più alcuni fori presenti in modo irregolare su alcuni lastroni dissestati dell’impiantito. Da questi ultimi il lezzo e i rumori arrivano più forti. Infilando le dita tra le fessure, il medico riesce a sollevare un lastrone e cerca di fare luce con la torcia. Qualcosa di scuro salta e singhiozza nella strettoia profonda una decina di metri. Di qualsiasi creatura si tratti, è stata costretta a soffrire la fame da quando Charles ha lasciato la casa. Il dottore si sdraia pancia a terra e cerca di fare più luce possibile per capire di chi, o cosa, possa trattarsi.

Marinus Bicknell Willett si pentì di aver dato una seconda occhiata: pur essendo un veterano della sala anatomica e un esperto chirurgo, dopo ciò che vide non fu più lo stesso. È difficile spiegare come un oggetto concreto e di precise dimensioni possa turbare così profondamente un uomo, o addirittura trasformarlo dopo appena uno sguardo; ma in certe figure vi è un potere simbolico e suggestivo che agisce in modo spaventoso sulla mente sensibile e le facoltà dell’immaginazione, perché suggerisce terribili collegamenti con forze cosmiche e oscure, realtà inaudite che si nascondono dietro le illusioni protettive della vista normale. Fu quello che apparve a Willett dopo la seconda occhiata, ed è certo che per alcuni secondi uscì di senno come qualsiasi paziente della clinica Waite. La mano, priva di tono muscolare e coordinazione nervosa, lasciò cadere la torcia elettrica, e un rumore di denti aguzzi e metallo stritolato tradirono la sua sorte nelle profondità del pozzo. Sul momento Willett non vi fece caso ma urlò, urlò ancora, a tal punto stravolto dal panico che nessuno dei suoi amici ne avrebbe riconosciuta la voce; e benché non riuscisse a mettersi in piedi, strisciando e rotolando su sé stesso cercò disperatamente di allontanarsi dall’umido impiantito su cui si spalancavano i pozzi del Tartaro, da cui usciva un coro di ululati che riecheggiavano le sue urla di follia. Willett si graffiò le mani sulle lastre di pietra ruvida e non perfettamente allineate; molte volte batté la testa contro le colonne, ma continuò ad allontanarsi. Poi finalmente tornò in sé, immerso nelle tenebre impenetrabili e nel puzzo che le pervadeva, e la prima cosa che fece fu tapparsi le orecchie per non sentire il monotono uggiolio a cui si erano ridotti i lamenti di prima. Willett era inzuppato di sudore e non poteva farsi luce; scosso e snervato da quel vagabondaggio nell’abisso, si sentiva schiacciare da un ricordo che non sarebbe mai riuscito a cancellare.

Sotto di lui vivevano decine di creature, e da uno dei pozzi il tombino era stato rimosso. Willett sapeva che ciò che aveva visto non era in grado di scalare le pareti viscide, ma rabbrividì al pensiero che da qualche parte esistesse un appiglio. Non avrebbe mai saputo che cosa fosse la creatura: somigliava a uno degli esseri scolpiti sull’altare infernale, ma era viva. La natura non l’aveva certo creata in quella forma, perché era troppo visibilmente incompiuta. Le deficienze erano del tipo più sorprendente e le anormalità nelle proporzioni superavano ogni descrizione. Willett è disposto a dire soltanto che creature del genere rappresentavano, forse, le entità che Ward evocava da sali imperfetti, e che manteneva per propositi servili o ritualistici. Se un essere del genere non avesse avuto una certa importanza, la sua immagine non sarebbe stata scolpita sulla pietra maledetta. Non era la peggiore delle cose raffigurate sull’altare, ma Willett non osò aprire gli altri pozzi. In quel momento la prima cosa ragionevole che gli venne in mente fu un banale paragrafo che ricordava di aver letto nelle vecchie carte di Curwen, e che aveva assimilato ormai da molto tempo: una frase usata da Simon o Jedediah Orne nella straordinaria lettera indirizzata al vecchio stregone e che era stata sequestrata: ‘Certo quello che H. resuscitò non fu che un animato Obbrobrio, perché poté impadronirsi solo parzialmente de la materia prima’.”


Una edizione rilegata e illustrata del 2016


Dopo essersi ripreso dallo spavento, il medico riesce lentamente a tastoni a ritornare nello studio-biblioteca, grazie anche al residuo lucore generato dalle candele e dalle lampade accese in precedenza. Rimbocca una di queste ultime di petrolio e, dopo essersene portato dietro una buona scorta, ritorna sui suoi passi deciso a individuare il laboratorio di Charles. Riattraversato con un brivido lo spiazzo con l’altare, punta deciso oltre gli archi e le colonne, dove trova una serie di salette con all’interno residui di abiti risalenti a un secolo e mezzo fa, balle di stoffa marcita, alcune con grandi vasche di rame e bacili di piombo dall’odore ripugnante, altre con numerosi abiti moderni. Poco dopo si imbatte in un altro corridoio sul quale si aprono alcune porte e, oltrepassandole una alla volta, giunge infine al laboratorio di Charles. Al suo interno una serie di tavoli da lavoro, fornaci, strumenti moderni e contenitori di ogni tipo, qualche libro e interminabili scaffali sui quali sono allineate file di anfore di vetro e bottiglie. Oltre tre porte ad arco si imbatte, superata la prima, in un mucchio di casse da morto, alcune in stato di degradazione, altre invece completamente nuove, oltrepassata la seconda incappa nell’attrezzatura chimica del periodo georgiano, utilizzata con ogni probabilità da Curwen mentre, varcata la terza, si trova di fronte a una serie di numerose scaffalature piene di piccoli contenitori piombati che possono essere divisi in due tipologie. Alcuni sono alti e senza manici, affini al lekythos greco, altri con un solo manico, dalle proporzioni simili a un’anfora di Falero; i primi sono classificati con la dicitura “Custodes”, i secondi invece con quella di “Materia”. Entrambi contengono della polvere sottile e leggera dalle diverse sfumature di colore. Willett ne apre uno e fa cadere un po’ di polvere sulla mano, poi quando la riversa all’interno neanche un granello resta sul suo palmo. Riflettendo sul significato delle parole che li appellano, il medico ricorda di aver già incontrato queste due parole.

All’epoca in cui non si era ancora chiuso nel segreto, Ward gli aveva parlato del diario di Eleazar Smith, nel quale erano annotate le osservazioni di Smith e Weeden alla fattoria Curwen; in quella spaventosa testimonianza vi era un passo tratto da una conversazione che era stato possibile udire prima che il vecchio mago decidesse di barricarsi nel sottosuolo. Smith e Weeden insistevano di aver sentito terribili colloqui fra Curwen, i suoi prigionieri e i guardiani che li sorvegliavano. A proposito di tali guardiani, Hutchinson o il suo avatar affermava che ‘divoravano’ la testa di quei disgraziati, sicché il dottor Allen preferiva non tenerli nella loro forma compiuta. Ma allora, quale soluzione restava se non quella di ridurli ai ‘Sali’ in cui il mago e la sua congrega sapevano così ben trasformare corpi e ossa umani? Ecco, dunque, cosa contenevano i lekythoi: il frutto di pratiche e riti proibiti. I guardiani erano tenuti in perfetta sottomissione, pronti a essere evocati da un terribile incantesimo, a difesa del loro padrone o per interrogare chi non fosse disposto a collaborare spontaneamente… Al pensiero di ciò che aveva fatto scorrere nelle sue mani Willett tremò, e per un attimo provò l’impulso di fuggire in preda al panico, di allontanarsi da quella grotta di orrendi scaffali abitati da sentinelle mute e forse già in guardia. Poi Willett pensò ai ‘Materia’, le sostanze che si trovavano nella miriade di anfore che occupavano la parete opposta. Anche quelle contenevano Sali… Ma se non si trattava di Guardiani, allora cos’erano? Dio! Era possibile che dinanzi a lui si trovassero le reliquie dei più grandi pensatori di ogni tempo?

Reliquie sottratte alla tomba da un gruppo di iene ambiziose, rapite ai luoghi in cui il mondo le credeva custodite e costrette a ubbidire alla volontà e ai capricci di una congrega di folli che cercavano di ottenere la conoscenza necessaria a compiere un’opera ancora più pazzesca, il cui effetto avrebbe influito, come il povero Charles aveva scritto nell’ultima lettera disperata, ‘sulla civiltà, le leggi naturali e perfino il destino del sistema solare e dell’universo’? E Marinus Bicknell Willett aveva fatto scorrere le loro polveri fra le dita!”


Un modello di lekythos greco


Il segno di Koth, dal libro 'Necronomicon' a cura di George Hay (1977) tradotto in Italia da Fanucci


Poi il dottore vede un rozzo simbolo scolpito su una porticina all’estremità opposta della stanza. Si tratta del segno di Koth, di cui gli ha parlato tempo prima il suo amico Randolph Carter, vergandolo su un foglio di carta e rivelandogli i suoi poteri nel mondo del sogno. Un odore animale proveniente dal locale oltre la porta lo distrae dai suoi pensieri, perché si tratta dello stesso odore che aveva Charles quando i medici sono venuti a prenderlo. Dunque era lì che si trovava quando era stato interrotto dall’arrivo del gruppo. Varcata la soglia il medico riconosce due macchine medievali di tortura, un tavolo con sopra dei fogli con diversi appunti, alcuni contenitori di polveri come quelli visti nella stanza precedente e due pareti coperte di simboli mistici e formule. Anche il pavimento ne è ricoperto, ma alla luce della lanterna appare anche un grande pentagramma ai cui angoli si trovano altrettanti cerchi magici. In uno di questi nota della polvere verde e due tipi di contenitori vuoti, uno dei quali contraddistinto da un cartellino con sopra scritto il numero 118. Tornato a osservare le formule intagliate sulle pareti, ne riconosce una che ha visto nei fogli trovati nella prima stanza visitata. Però questa deve essere stata eseguita dalle mani di Curwen un secolo e mezzo prima, perché è leggermente discrepante rispetto a quella che ricorda di aver letto prima. Il dottore comincia a recitarla, nel tentativo di far combaciare i suoni della prima formula con le lettere che vede sulle pareti. Lentamente, da uno dei contenitori che si trova a terra, il 118, comincia ad alzarsi una nuvola di vapore nero-verdastro al cui interno qualcosa sembra prendere forma.

Il giorno dopo Ward padre, dopo aver cercato invano il dottore, torna al bungalow e lo trova disteso su un letto del piano superiore, svenuto. Dopo averlo svegliato, i due tornano nella cantina, dove non trovano più traccia della botola che avevano scoperto. Quando Willett finisce di raccontare a Ward senior la sua esperienza, quest’ultimo ipotizza che l’entità che si è materializzata davanti al dottore deve averlo portato al piano superiore e poi deve aver sigillato in qualche modo l’apertura. Frugando nelle sue tasche, Willett trova un pezzo di carta con una scritta a matita, in una grafia risalente all’alto medioevo. I due corrono alla biblioteca John Hay e grazie ad alcuni manuali di paleografia riescono a tradurre ciò che è scritto nel biglietto: “Curwen deve essere ucciso. Il corpo deve essere dissolto nell’acido e niente deve esserne conservato. Mantieni il segreto più che puoi”. I due sono sconcertati, perché appare loro chiaro che il Curwen a cui si riferisce il messaggio non può che essere il misterioso dottor Allen, il quale si considera il suo attuale alter-ego.

I due decidono di andare da Charles per un nuovo confronto.


'Necronomicon. Il libro segreto di H. P. Lovecraft', pubblicato dalla Fanucci nel 1979


Con semplicità e in tono grave Willett informò il paziente di tutto ciò che aveva scoperto, notando come impallidisse ogni volta che un nuovo particolare lo rendeva certo dell’autenticità di quel che gli diceva. Il medico adoperò tutti gli artifici retorici di cui era capace e scrutò il volto di Charles per vedere come avrebbe reagito quando gli avesse parlato dei pozzi coperti e degli ibridi senza nome che li abitavano. Ma Ward non fece una piega, e dopo una pausa Willett riprese, in tono indignato, che quelle creature morivano di fame; trattava il giovane con incredibile durezza, e tuttavia si vide rivolgere una risata sardonica che gli mise i brividi. Dopo aver abbandonato la finzione che il sotterraneo non esistesse affatto (una posizione ormai inutile), Charles sembrava aver trovato una vena comica nella faccenda e ridacchiava, divertito, fra sé. Poi sussurrò, con voce tanto più terribile per il tono bassissimo in cui si esprimeva: «Maledette, ma sì che mangiano. Eppure non ne hanno alcun bisogno, è questo il bello! Un mese senza cibo, dice? Ridicolo, signore, siate modesto! Sapete, fu proprio questo che si perdette il vecchio Whipple col suo eccessivo senso della virtù! Voleva ammazzare tutti, però era mezzo assordato dal rumore che veniva dall’Altrove e non vide né sentì mai niente dei pozzi. Non immaginava neppure che fossero lì! Che il diavolo vi porti, quelle cose maledette si lamentano laggiù da quando Curwen è stato ucciso centocinquantasette anni fa!»

Willett non poté ottenere dal giovane nient’altro che questo. Atterrito, e ormai quasi convinto suo malgrado, continuò a raccontare la sua odissea nella speranza che un puro caso permettesse all’ascoltatore di uscire dal folle atteggiamento in cui s’era rifugiato. Guardando in faccia il giovane, il medico non poté fare a meno di provare una sorta di terrore per i cambiamenti che si erano verificati negli ultimi mesi. Era vero, il ragazzo aveva tratto dai cieli orrori senza nome. Quando Willett parlò della stanza con le formule e la polvere verdastra, Charles mostrò i primi segni di animazione: nel sentire ciò che il dottore aveva letto sul taccuino assunse un’espressione di dubbio e affermò con una certa noncuranza che si trattava di vecchi appunti, privi di significato per chiunque non fosse iniziato alla storia della magia. «Del resto» aggiunse «se aveste conosciuto le parole che evocano ciò che ho conservato nel contenitore, ora non sareste qui a parlarne. Era il numero 118, e credo che se aveste letto il catalogo che conservo nell’altra camera vi si sarebbe gelato il sangue. Neppure io l’ho mai evocato, ma volevo farlo il giorno che siete venuti per portarmi qui.»

Willett non nascose di aver recitato la formula e di aver visto un’apparizione nel fumo nero-verdastro; allora, per la prima volta, la paura apparve sul volto di Charles Ward. «È arrivato e siete ancora vivo?» La sua voce gracchiante sembrò prima soffocarlo, poi sprofondare a un livello incomprensibile. Willett ebbe un lampo di ispirazione e credette di aver capito come stessero le cose. A memoria citò l’avvertimento contenuto nella lettera: «Il numero 118, dici? Non dimenticare che le lapidi sono ormai cambiate in nove camposanti su dieci. Non si è mai sicuri, prima di averli interrogati!». Poi, senza preavviso, estrasse il messaggio in caratteri medievali e lo fece passare davanti agli occhi del paziente. Non avrebbe potuto sperare in una reazione più forte, perché Charles Ward svenne.

Tutta la conversazione, naturalmente, si era svolta nella massima segretezza, in modo che gli alienisti della clinica non potessero accusare il padre e il medico di famiglia di incoraggiare il folle nelle sue illusioni. Il dottor Willett e il signor Ward tirarono su il giovane senza l’aiuto degli inservienti e lo adagiarono sul lettino. Mentre si riprendeva, il paziente mormorò più volte che aveva qualcosa da riferire con urgenza a Orne e Hutchinson, e quando sembrò che avesse ripreso totalmente coscienza il medico gli disse che almeno uno di quei personaggi era un suo terribile nemico e aveva consigliato al dottor Allen di assassinarlo. Questa rivelazione non ebbe alcun effetto, e già prima che venisse pronunciata il malato aveva assunto l’aspetto di un uomo braccato. Dopo le ultime parole Charles si chiuse in un completo mutismo e Willett e il signor Ward decisero di andarsene. Ancora una volta misero in guardia il giovane dal barbuto dottor Allen, ma il paziente replicò che ormai non c’era più nulla da temere e che non avrebbe potuto fargli del male nemmeno se avesse voluto. Ward accompagnò queste ultime parole con un sogghigno che per gli altri due fu doloroso; quanto alla possibilità che Charles potesse comunicare con la pericolosissima coppia in Europa, né il padre né il medico si preoccuparono eccessivamente: la direzione della clinica controllava tutta la posta in partenza, la censurava e non avrebbe inoltrato nessuna lettera fuori del comune.”


Illustrazione per una versione radiofonica del romanzo, pubblicata in due cd (2013)


A titolo di cronaca, Willett riuscirà in seguito a sapere da due articoli di giornale - attraverso un accordo preso con un’agenzia internazionale di ritagli di stampa estera - che la casa nel cuore di Praga dove vive Joseph Nadek è stata demolita e del proprietario non si trovano tracce, e che un’immane esplosione ha causato il crollo di castel Ferenczy, in Transilvania, seppellendo tutti i suoi occupanti. Al dottore verrà il sospetto che la mano di colui che aveva scritto il biglietto in caratteri medievali fosse in grado di brandire le armi più potenti e che, mentre aspettava di liquidare Joseph Curwen in persona, avesse distrutto Orne e Hutchinson.

FINALE: Il giorno dopo i detective impegnati nelle indagini sul dottor Allen chiedono un appuntamento al signor Ward per metterlo al corrente dei loro risultati.

Fra le tante informazioni che gli investigatori riportano, ce ne sono alcune che turbano i due amici. I detective hanno trovato una barba posticcia e un paio di occhiali nella sua abitazione e hanno raccolto testimonianze su una leggera cicatrice coperta da una delle lenti; inoltre, la sua grafia trovata su alcune carte è identica a quella di Curwen e di Charles. Chissà se qualcuno ha mai visto Allen e Charles assieme, si domandano ora con una certa inquietudine i due, soprattutto Willett.

Il giorno in cui aveva scritto la lettera disperata Charles era stato nervoso tutta la mattina, poi c’era stato un mutamento. Era uscito senza farsi vedere e con notevole audacia l’aveva fatta in barba agli uomini pagati per sorvegliarlo: era dunque quello il momento. No, impossibile… quando era tornato nello studio – la stanza in cui Willett e gli altri si trovavano adesso – aveva urlato di terrore. Che cosa aveva visto? O meglio, cosa aveva visto lui? E che pensare del simulacro che aveva fatto ritorno baldanzosamente in casa senza che nessuno l’avesse visto uscire? Non era l’ombra di un estraneo, un orrore che si era sostituito all’essere tremante di Charles Ward, il quale invece non era uscito affatto? E il maggiordomo, non aveva parlato di strani rumori?”

Una volta usciti i detective, il dottore chiede a Theodore Ward di riordinare le idee nella biblioteca del figlio, dove si trovava il ritratto di Curwen. L’amico acconsente, preda ormai di una confusione causata da congetture e ipotesi fantastiche. Willett si chiude a chiave nella stanza.

Il padre, che dall’esterno sentiva qualche rumore, col passare del tempo riconobbe i tipici movimenti di chi è alla ricerca di qualcosa e si muove instancabilmente; quindi, da ultimo, uno scossone e un cigolio, come la porta di una credenza che venisse spalancata. Seguì un grido soffocato, una specie di gemito strozzato e l’immediato richiudersi di ciò che era stato aperto. La chiave girò nella toppa un attimo dopo e Willett apparve in corridoio, pallido ed emaciato, chiedendo legna per il camino.”


Ingresso della John Hay Library


Mentre attende che il maggiordomo porti della legna, va nel laboratorio smantellato e prende alcuni attrezzi, che porta via in un cesto coperto, torna nella biblioteca e vi si chiude dentro di nuovo. Si odono rumori di fogli di giornale, di nuovo lo scossone e il cigolio del mobile, un tonfo e due grida soffocate, poi l’esalazione che esce dalla canna fumaria si fa nera e acre. Dopo molto tempo finalmente il dottore esce, triste e pallido, con in mano il cesto coperto da un panno. All’amico dice di aver svolto un rito magico di purificazione, così gli abitanti della casa staranno meglio.

Dopo questa esperienza, Willett resta chiuso in casa per tre giorni, per poi uscire la mezzanotte del terzo. Nessuno dei domestici fa caso a un trafiletto uscito sul giornale il giorno dopo, in cui si annuncia che i profanatori di tombe sono tronati in azione nel cimitero, per fortuna senza fare troppi danni. Infatti il guardiano a riferito che ha trovato i segni di un leggero scavo nel lotto della famiglia Ward e che nessuna sepoltura è stata disturbata.

La sera dopo Willett scrive una lettera che viene recapitata a Ward padre la mattina successiva.


Caro Theodore,

credo di doverti dire una parola prima di fare ciò che farò domani. Sarà la conclusione della terribile avventura attraverso la quale siamo passati, poiché credo che nessuna opera di scavo potrà riportare alla luce il sotterraneo mostruoso di cui sappiamo, e sento che la tua mente non sarà tranquilla fino a quando non ti avrò chiarito in che senso questa è veramente la fine.

Mi conosci da quando eri un bambino, perciò credo che non diffiderai di me se ti dico che alcuni particolari è meglio lasciarli nell’ombra e non insistere nel volerli chiarire. È senz’altro un bene che tu smetta di tormentarti sul caso di Charles, ed è fondamentale che a sua madre non riveli nulla più di quanto già sospetta. Quando domani verrò a trovarti Charles sarà fuggito dalla clinica, ed è tutto ciò che la gente dovrà sapere: era pazzo ed è fuggito. A sua madre parlerai con dolcezza e gradualmente della parte riguardante la follia: potrai farlo non appena smetterai di spedirle i biglietti a nome di Charles. Ti consiglio di raggiungerla ad Atlantic City e di concederti un periodo di riposo. Dio sa se dopo questo trauma ne hai bisogno, come del resto anch’io. Andrò a sud per un poco e cercherò di calmarmi, di riprendermi.

     Perciò non farmi domande quando verrò da te: può darsi che qualcosa vada storto, ma in tal caso te lo dirò e francamente non credo che avverrà. In quel momento non ci sarà niente di cui preoccuparsi, perché Charles sarà molto, molto al sicuro. Fin d’ora è più al sicuro di quanto non immagini. Per ciò che riguarda Allen, chiunque o qualunque cosa sia, non devi temerlo: appartiene al passato come il quadro di Joseph Curwen, e quando suonerò alla tua porta potrai star certo che quella persona non esiste più. Né l’autore del messaggio medievale disturberà più te o i tuoi.

Tuttavia devi farti forza contro la melanconia, e preparare tua moglie a fare lo stesso. Confesso che la fuga di Charles non significherà la sua restituzione a voi; tuo figlio è stato colpito da una malattia particolare, come ti sarai reso conto dai sottili cambiamenti fisici e mentali che sono avvenuti in lui, e non devi sperare di vederlo ancora. Abbi questa sola consolazione: non è mai stato un malvagio e neppure veramente un pazzo, ma solo un giovane curioso, studioso e assetato di conoscenza, il cui amore del mistero e del passato ne ha causato la rovina. Si è imbattuto in cose che non sono fatte per la conoscenza dei mortali e si è spinto indietro nel tempo come nessuno dovrebbe spingersi: qualcosa è uscito dal passato e lo ha sopraffatto.

    Ma ora viene il punto in cui devo chiederti di fidarti di me assolutamente, perché sul destino di Charles non vi sarà alcuna incertezza. Fra circa un anno, se ne sentirai il bisogno, potrai darti una logica spiegazione della sua fine: il ragazzo, infatti, sarà morto. Potrai mettere una lapide nel tuo lotto al North Burial Ground a tre metri e mezzo esatti da quella di tuo padre, in direzione ovest e rivolta dalla stessa parte: essa segnerà l’effettivo luogo di riposo di tuo figlio. Non devi assolutamente temere che la lapide ricopra un essere anormale o sostituito; le ceneri nella tomba saranno quelle del sangue del tuo sangue, delle ossa delle tue ossa… Del vero Charles Dexter Ward, sulla cui anima hai vegliato dall’infanzia, l’autentico Charles con la voglia d’oliva sul fianco e senza il marchio della strega sul petto o la cicatrice sul sopracciglio. Il Charles che non ha mai fatto del male a nessuno e che avrà pagato con la vita il suo essere stato ‘troppo sensibile’.

      Questo è tutto. Charles fuggirà dalla clinica e fra un anno potrai erigere la sua lapide. Domani non farmi domande, e stai certo che l’onore della tua vecchia famiglia rimarrà senza macchia, come è sempre stato.

      Con la più profonda partecipazione, ed esortandoti alla forza d’animo, alla calma e alla rassegnazione, rimango come sempre

                                                             il tuo amico Marinus B. Willett


Prima versione cinematografica del racconto di Lovecraft, con la regia di Roger Corman (1963)


La mattina del 13 aprile Willett torna a visitare il paziente in clinica, ma quest’ultimo è riluttante e non ha voglia di parlare. Inoltre, dopo le scoperte nel suo sotterraneo, nota nello sguardo del dottore un che di implacabile.

Ward impallidì e il dottor Willett fu il primo a parlare. «Abbiamo scoperto altre cose» disse «e devo avvertirti francamente che questa è la resa dei conti.»

«Hai scavato di nuovo e hai trovato qualche altro cucciolo affamato?» fu l’ironica risposta. Era evidente che il giovane voleva mostrarsi spavaldo fino all’ultimo.

«No» aggiunse lentamente Willett «questa volta non c’era stato bisogno di scavare. Abbiamo mandato degli uomini a cercare il dottor Allen e nella sua stanza, al bungalow, hanno trovato la barba finta e gli occhiali.»

«Ottimo» commentò l’ospite turbato, sforzandosi di riuscire a essere ironicamente offensivo «e spero vi donino di più della barba e degli occhiali che portate voi!»

«A te starebbero molto meglio» rispose con una calma studiata il dottore. «Anzi, direi che vi donavano molto, quando li indossavate

Non appena Willett disse queste parole, sembrò che una nuvola oscurasse il sole; eppure, le ombre proiettate sul pavimento non cambiarono affatto. Ward azzardò: «Per questo parli di resa dei conti? E se un uomo avesse bisogno, di tanto in tanto, di recitare una parte?»

«No» disse Willett gravemente «sbagli di nuovo. Non è affar mio se un uomo cerca di impersonarne due: a patto però che abbia il diritto di esistere, e che non abbia ucciso chi l’ha evocato dallo spazio

Ward trasalì violentemente. «Ebbene, signore, cosa avete scoperto, e cosa volete da me?»

Il medico lasciò passare qualche attimo prima di parlare, come se cercasse le parole per una risposta efficace.

«Ho scoperto» intonò finalmente «qualcosa che avevi nascosto in un armadio, dietro un vecchio fregio che un tempo ospitava un quadro; ho bruciato e seppellito le ceneri di quella cosa, e ora si trova dove un giorno sorgerà la tomba di Charles Dexter Ward.»

Il pazzo emise un suono strozzato e balzò dalla sedia: «Dannato, a chi l’hai detto? Nessuno crederà che fosse Charles, dopo ben due mesi… e poi, io sono vivo. Cosa intendi fare?»

Benché Willett fosse un uomo piccolo, calmò il paziente con un gesto che gli conferì una sorta di maestà regale.

«Non l’ho detto a nessuno. Questo non è un caso comune, è follia liberata dalle pieghe del tempo, un orrore che proviene da oltre l’universo conosciuto. Non ci sono polizia, avvocati o tribunali, e tantomeno alienisti che possano misurarsi con una forza del genere. Grazie a Dio in me è rimasta una scintilla d’immaginazione, quindi riesco a pensarci senza impazzire. Non puoi ingannarmi, Joseph Curwen, perché so che la tua maledetta magia è autentica!

So che hai tessuto l’incantesimo che tramavi da secoli e l’hai gettato sul tuo doppio e i tuoi discendenti; so in che modo hai attirato Charles nel passato e l’hai indotto a resuscitarti dalla tua detestabile tomba; so come egli ti nascondesse nel suo laboratorio, mentre tu studiavi il sapere moderno e di notte uscivi come un vampiro, e per finire so che in seguito hai adottato il travestimento della barba e degli occhiali perché nessuno si meravigliasse della vostra innaturale somiglianza. So che cosa decidesti quando egli si oppose al tuo mostruoso saccheggio delle tombe del mondo e a ciò che avevi progettato per dopo. So come hai fatto tutto questo.

Ti sei tolto la barba e gli occhiali e hai ingannato gli agenti che sorvegliavano la casa. Tutti pensarono che fosse Charles che entrava e usciva dopo che lo avesti strangolato e nascosto nell’armadio. Ma non hai tenuto conto che le vostre menti sono diverse; sei stato uno stupido, Curwen, a immaginare che la semplice identità fisica bastasse ai tuoi piani. Perché non hai pensato al modo di esprimerti, alla voce, alla grafia? Dopotutto, come vedi, non ha funzionato. Tu sai meglio di me chi o cosa ha scritto il messaggio in caratteri medievali, ma t’avverto che non è stato scritto invano. Ci sono blasfemie, abomini che devono essere cancellati, e io credo che l’autore di quelle parole si occuperà di Orne e Hutchinson. Uno di quegli infami ti scrisse una volta di non evocare nessuna cosa che tu non possa rispedire di dov’era venuta. Sei stato sconfitto già una volta, forse proprio in questo modo, e può darsi che la tua magia ti perda ancora. Curwen, un uomo non può profanare la natura oltre certi limiti, e gli orrori che hai creato verranno a spazzarti via.»

Ma qui il medico fu interrotto da un urlo convulso della creatura che gli stava davanti. Disperato, senza armi e sapendo che il ricorso alla violenza fisica avrebbe fatto accorrere una ventina di infermieri per dare man forte al dottore, Joseph Curwen era ricorso al suo unico e vecchio alleato, e con la punta delle dita tracciò una serie di figure cabalistiche, mentre la voce profonda e risonante, ora non più nascosta dalla finta raucedine, tuonò le parole iniziali della terribile formula.

«PER ADONAI ELOIM, ADONAI JEHOVA, ADONAI SABAOTH, METRATON…»

Ma Willett fu più veloce di lui. Mentre i cani all’esterno cominciavano ad abbaiare e un vento gelido si alzava improvviso dalla baia, il dottore cominciò la solenne e misurata intonazione di ciò che fin dal primo momento si era proposto di recitare. Occhio per occhio, magia per magia, e che l’esito finale mostrasse come era stata imparata la lezione dell’abisso! Così, con voce chiara, Marinus Bicknell Willett cominciò la seconda delle due formule misteriose, la prima delle quali aveva risvegliato l’autore del messaggio in caratteri medievali, l’oscura invocazione il cui simbolo era la Coda di Drago, il segno discendente:


OGTHROD AI’F

GEB’L – EE’H

YOG-SOTHOTH

NGAH’NG AI’Y

ZHRO!


Quando la bocca di Willett pronunciò la prima frase, il paziente interruppe la sua. Incapace di parlare, il mostro fece alcuni movimenti disarticolati con le braccia, finché anch’esse si bloccarono. Quando venne pronunciato il nome spaventoso di Yog-Sothoth, cominciò l’orrenda metamorfosi. Non fu semplicemente dissoluzione, ma piuttosto una trasformazione o ricapitolazione, Willett chiuse gli occhi per non svenire prima di aver pronunciato il resto dell’incantesimo.

Ma non svenne, e quell’uomo venuto da secoli maledetti e padrone di segreti immondi non turbò mai più il mondo. La follia sprigionata dalle pieghe del tempo si era placata, il caso di Charles Dexter Ward era chiuso. Aprendo gli occhi prima di uscire, tremante, dalla stanza dell’orrore, il dottor Willett si rese conto che ciò che aveva mandato a memoria aveva funzionato perfettamente. Proprio come aveva immaginato, non c’era stato bisogno di acidi: com’era accaduto un anno prima al quadro maledetto, Joseph Curwen giaceva sparso sul pavimento sotto forma di un sottile strato di polvere grigio-bluastra.”


In questa edizione del 1974 viene citato il primo film tratto da questo racconto, definito come "brilliant movie"


Nella loro nota introduttiva al racconto, Pilo e Fusco scrivono: The Case of Charles Dexter Ward è il secondo ‘tentativo di romanzo’ composto da Lovecraft, che lo scrisse di getto all’inizio del 1927, poco dopo aver terminato la stesura di The Dream-Quest of Unknown Kadath, la sua precedente opera lunga. In una lettera a Long sembra essere abbastanza soddisfatto del proprio lavoro. In seguito deve aver cambiato idea, perché lasciò il testo manoscritto, e non si decise a batterlo a macchina neppure quando, anni dopo, venne sollecitato da editori e agenti letterari a sottoporre un romanzo. Pur essendo rimasto sostanzialmente una ‘prima stesura’, senza ulteriori interventi, il romanzo viene considerato da molti una delle opere migliori di Lovecraft. È certamente tra le più complesse, in cui esplicita molti dei suoi interessi principali: la storia e la cultura del New England nel diciottesimo secolo; la passione per le ricerche ‘antiquarie’; le meditazioni letterarie sullo stile e i temi di Poe, specialmente le cosiddette ‘trame a intreccio’; e, naturalmente, i Miti di Cthulhu, che qui vedono nascere la nuova importante entità di Yog-Sothoth, il Tutto-in-Uno e Uno-in-Tutto.” (G. Pilo, S. Fusco “Lovecraft. Tutti i romanzi e i racconti”, 4ª edizione, Newton Compton Editori, 2011)

Giuseppe Lippi, invece, nella sua introduzione al lungo racconto afferma: “Cominciato nel gennaio 1927 e terminato il primo marzo dello stesso anno, The Case of Charles Dexter Ward è tra i capolavori di Lovecraft e appartiene al fecondo periodo che segue il ritorno dall’esilio newyorchese, vale a dire la parentesi di due anni (1924-1926) in cui lo scrittore aveva vissuto a Brooklyn con la moglie Sonia. L’emozione del ritorno a Providence, l’unico ambiente verso cui egli provasse un senso di affezione e appartenenza, era già stata manifestata nel romanzo The Dream-Quest of Unknown Kadath, scritto alla fine dell’anno precedente e pubblicato nel secondo volume di Tutti i racconti. Ma in Kadath Lovecraft ricorreva alla finzione poetica di mascherarsi dietro l’alter ego Randolph Carter, il sognatore di Boston, ed è nell’elogio di quella città che il lettore deve saper cogliere il riferimento a Providence. Charles Dexter Ward, invece, è ‘il romanzo di Providence’ per eccellenza, e come pochi altri racconti (The Shunned House, The Call of Cthulhu, The Haunter of the Dark) deve gran parte del suo fascino alle atmosfere e alla storia della capitale del Rhode Island. È certamente un romanzo autobiografico, ed è necessario ribadirlo pur nella consapevolezza che tutta l’opera di Lovecraft deve ritenersi tale; in Charles Dexter Ward il tema dell’alienazione di un giovane studioso dai gusti antiquari, la sua separazione dagli affetti familiari e la tragica odissea in cui s’imbarca ‘per troppo amore del passato’, riassume al meglio una riflessione complessiva sul senso della propria esistenza che rimane tra le cose più sincere e riuscite di Lovecraft, anche perché costituisce una sintesi geniale della sua opera. C’è tutto: l’amore per l’antica Providence e la storia coloniale americana; il gusto della rievocazione del passato, che qui raggiunge livelli grandiosi e s’impone come in nessun altro racconto precedente; il fantastico ‘dietro l’angolo della strada’, l’estremo realismo dell’ambiente e dei personaggi, il mito degli dèi alieni che ben si sposa con un’ottima storia di magia.

Alcuni critici, fra cui Peter Cannon, hanno sottolineato la bellezza quasi poliziesca del racconto: e in effetti un elemento giallo c’è, tanto da far considerare il romanzo quanto più si avvicini a un ‘mystery’ tradizionale nella produzione di Lovecraft. Il tema quasi ossessivo del passato s’impone a due livelli: uno di rievocazione scrupolosa e meticolosa (come già avveniva in The Shunned House), l’altro puramente linguistico. Joseph Curwen, lo stregone seicentesco del romanzo, scrive e parla come un uomo dei suoi tempi, e in definitiva sarà proprio l’elemento linguistico a fornire alle ‘forze del bene’ la chiave dell’enigma.

Come romanzo di magia, indubbiamente un argomento che affascinava Lovecraft, Charles Dexter Ward è un piccolo capolavoro e può darsi che la sua idea centrale si basi su un celebre episodio di cui si vantava Eliphas Lévi, l’occultista francese più volte citato nel testo, il quale sosteneva di aver evocato lo spirito di Apollonio di Tiana per apprenderne la conoscenza. Nel Ward non sembra essere possibile, nonostante le buone intenzioni di Willett, una vera e propria separazione tra magia ‘innocua’ e ‘pericolosa’: per dirla con le parole di James Blish, che ha dedicato all’argomento uno dei romanzi più interessanti del genere (Pasqua Nera con il suo seguito Il giorno dopo l’apocalisse), la magia è tutta pericolosa, nel senso che le operazioni dei maghi si fondano sull’evocazione di intelligenze esterne per ottenere uno scopo che è legato a obbiettivi di controllo, potere e dominio. Ma tramite opportune pratiche l’uomo può farsi ricettore di forze positive, e questo lo riscatta; è ciò che accade al dottor Willett, il quale diventerà uno strumento al servizio di entità che per caso o per disegno hanno deciso di ricomporre l’equilibrio e vendicare la Natura oltraggiata. Per questa via, e indirettamente, si riaffaccia in Lovecraft un motivo ‘religioso’ troppo spesso trascurato dai suoi esegeti. I lettori, abituati a prendere la sua narrativa più per il lato scettico e fantascientifico che per quello spirituale, faranno bene a non sottovalutare questo livello di lettura.”

(G. Lippi, a cura di, “H. P. Lovecraft. Tutti i racconti 1927-1930”, Oscar Mondadori, Milano, 1991).


Alphonse Louis Constant, meglio noto come Eliphas Lévi (1810-1875) in una foto del 1864


Questo lungo racconto, o romanzo breve, è stata la prima cosa di Lovecraft che ho letto. All’epoca avevo quattrodici anni e al termine di una vacanza, organizzata con alcuni conoscenti e familiari, mentre ci apprestavamo a entrare nelle rispettive auto per affrontare il lungo viaggio che ci avrebbe riportato a casa, un caro amico mi porse un tascabile consigliandomi di leggerlo. La copertina aveva una grafica davvero semplice: tutta bianca, ad eccezione di una larga fascia viola orizzontale al centro, mostrava solo il nome dell’autore e il titolo, il quale mi fece pensare a un giallo, visto che sembrava trattarsi di un caso da risolvere.

Accettai con qualche titubanza, per prima cosa perché all’epoca i gialli non mi attiravano molto, in secondo luogo perché leggere in macchina mi provocava il mal d’auto. Lo presi più per non offendere l’amico, pensando di cominciarlo una volta tornato a casa. Il viaggio, però, era davvero molto lungo e all’epoca indossare le cinture di sicurezza non era obbligatorio, così riuscii a sistemarmi in una posizione da mezzo sdraiato, senza dare troppo fastidio a mio fratello che mi sedeva accanto, e iniziai perplesso la lettura. Non sapevo niente della Providence degli anni ’20 e del New England, eppure la descrizione della città ricca di dettagli, delle sue vie e dei suoi edifici, mi precipitarono di colpo in quell’ambiente. La prosa non era accattivante, anzi era prolissa e lenta, eppure l’autore riusciva a trasmettere un’atmosfera e una suggestione tale che mi catturò letteralmente e non mi mollò fino a quando non arrivai alla parola “fine”. Non tutti i nodi però vennero sciolti. Chi era il misterioso personaggio storico contrassegnato col n. 118? Di quali altre pratiche magiche discutevano i tre stregoni nelle loro lettere? Da cosa erano provocati i raggi di luce proiettati fuori dalle finestre della casa di Pawtuxet? Cosa erano quegli abomini nei pozzi? A cosa serviva tutta quella carne animale? Chi erano i custodi che dovevano divorare la testa ai morti richiamati in vita? Forse dèmoni, di cui uno, tale Yog-Sothoth, era più pericoloso degli altri? Ed Ezra Weeden perché era stato riportato in vita da Curwen, forse per vendicarsi di lui? E in che modo?

Se lo avessi letto di questi tempi mi sarei domandato perché nessuno ne avesse fatto un sequel.

Insomma, molte cose restavano in sospeso e a tante domande non sapevo darmi una risposta; ma questo, anziché deludermi, non fece altro che accrescere ancor di più quel senso di mistero che continuava a martellarmi dopo la lettura, assieme al mal di testa provocatomi dall’auto.

Io e il mio amico abitavamo nello stesso palazzo, e quando scesi dall’auto gli andai a restituire il libro entusiasta. Lui mi sorrise sornione senza mostrare alcuna sorpresa.

Da quel momento cominciai a dedicarmi alla ricerca di tutto ciò che era stato pubblicato in Italia da questo autore a me sconosciuto. Il primo libro che comprai fu una ristampa de “I mostri all’angolo della strada”, una selezione di racconti curata da Fruttero e Lucentini, uscita nel 1966, con la fantastica copertina di Karel Thole, e poi via via qualsiasi pubblicazione che potesse offrirmi uno dei suoi scritti.


Frontespizio del primo volume di 'Dogma e Rituale dell'Alta Magia' di Eliphas Lévi (1854)


Tornando a Charles Dexter Ward, si tratta di un racconto che i più assegnano al famoso “Ciclo di Arkham” (o Miti di Cthulhu), ma a ben vedere si tratta più di una storia di stregoneria del New England e di riti magici. Il racconto può essere incluso in questo ciclo nella misura in cui vi rientra anche Dagon (1917), ovvero in proiezione futura, perché legato a racconti che Lovecraft scriverà successivamente. Gli unici elementi che lo accomunano alle altre storie del famoso ciclo sono i seguenti.

Vengono citati sia il Necronomicon che il villaggio di Kingsport (entrambi apparsi nel racconto La Ricorrenza, del 1923), oltre a un vecchio misterioso mulatto che vive in una palude del sud, con ogni probabilità il vecchio Castro, personaggio apparso nel racconto Il Richiamo di Cthulhu, del 1926.

Si accenna all’amicizia del dottor Willett con Randolph Carter e, infine, viene presentato per la prima volta Yog-Sothoth, che qui è “solo” un demone particolarmente pericoloso da evocare, non ancora uno degli Altri Dei, come avverrà in seguito.

Invece la citazione attribuita a Borellus che appare all’inizio - e anche all’interno del lungo racconto - fu trovata da Lovecraft nel Magnalia Christi Americana (1702), un’opera di Cotton Mather, personaggio storico che lo scrittore ha già citato in alcune delle sue storie. Questo Borellus non sarebbe altro che Pierre Borel (1620-1671) un famoso medico, botanico, chimico e alchimista che nel 1654 divenne medico del re Luigi XIV. Nel Dexter Ward Lovecraft lo utilizza come necromante.

Lo scrittore si diverte a citare sia la sua seconda casa, quella al n. 598 di Angell Street (dove andò ad abitare con la madre dopo la morte del nonno, quando le figlie furono costrette a vendere la casa di famiglia, che si trovava sulla stessa via), facendone il domicilio di un discendente di Ezra Weeden, sia quella al n. 10 di Barnes street, dove troverà una sistemazione non appena tornato da New York, facendone l’abitazione del dottor Willett.

Vengono citati en passant anche Einstein e la residenza di Hexam, teatro della vicenda narrata ne I ratti nei muri (1923).

Un’ultima annotazione. Ho usato alternativamente le parole “negromante” e “necromante” le quali, nonostante siano spesso usate come sinonimi, hanno significati leggermente diversi. Necromante deriva dalla parola greca necrós, ovvero “morto”, più la parola manteía, ossia “divinazione”. Sta a indicare perciò tutti quei rituali magici eseguiti per fare divinazioni attraverso l’uso dei morti, interpellando gli spiriti dei defunti.

Negromante invece deriva dalla parola latina nigrum, cioè “nero”, inteso per “oscuro”. Si tratta quindi di un’arte magica oscena e immorale, quella che definiamo genericamente come “magia nera”.


Copertina dell'edizione SugarCo (1983)


Luoghi.

Providence, con le sue strade e i suoi edifici, è la principale protagonista del racconto e sarebbe sterminato l’elenco di tutti i luoghi citati. Qui di seguito ne segnalo solo alcuni.

Clinica privata per malattie mentali del dott. Waite; Prospect Street, strada dove si trova la casa della famiglia Ward, al civico 140; Moses Brown School, scuola frequentata dal giovane Charles; Olney Court, sulla Stampers’ Hill, dove si trova l’antica abitazione di Joseph Curwen, che lui stesso aveva costruito; Municipio; State House; Biblioteca pubblica; Athenaeum; Società Storica; le biblioteche John Carter Brown e John Hay, della Brown University; nuova biblioteca Shepley, sita in Benefit Street; Congdon Street; Prospect Terrace; Jenckes Street; Cimitero di St. John; Meeting Street; South Main Street;

Fattoria di Curwen, sulla strada che porta a Pawtuxet, luogo di inquietanti esperimenti; North Burial Ground, cimitero; Conanicut Island, piccola isola del Rhode Island dove si trova la casa di cura del dottor Waite;

Londra: Great Russell St.; Parigi: Rue Saint-Jaques; Praga; Vienna; Transilvania: Klausenburg e Rakus.


Copertina della ristampa del libro curato da Fruttero e Lucentini (1980)


Personaggi.

Al pari dei luoghi, anche i personaggi sono numerosi, per cui mi limito a citarne soltanto qualcuno.

Dottor Waite, direttore della clinica privata dove è stato ricoverato C. D. Ward; Charles Dexter Ward, giovane ventiseienne; Dottor Marinus Bicknell Willett, medico della famiglia Ward; Dottor Lyman, specialista di Boston; Joseph Curwen, antenato di Charles Dexter Ward, commerciante e necromante; Dottor Checkley, curato della King’s Church; John Merritt, anziano gentiluomo inglese; Dutee Tillinghast, comandante alle dipendenze di Curwen al quale dà in sposa sua figlia diciottenne Eliza Tillinghast; Ezra Weeden, secondo ufficiale ed ex fidanzato di Eliza; Samuel Winsor, reverendo della Chiesa Battista che celebra il matrimonio di Curwen; John Graves, reverendo vicino alla famiglia Curwen; Ann Curwen Tillinghast Potter, trisavola di Charles D. Ward, nonché unica figlia di Joseph Curwen e Eliza Tillinghast; Cosmo Alexander, pittore scozzese, autore di un ritratto di J. Curwen; i fratelli John e Joseph Brown, Stephen Hopkins e Benjamin West, eminenti personalità della Providence del ‘700; Eleazar Smith, amico di Ezra Weeden; Simon (e poi Jedediah) Orne, di Salem, ed Edward Hutchinson, studiosi dell’occulto e colleghi di Curwen nelle pratiche necromantiche; Asa e Hannah, coppia di anziani coniugi che vivono nella casa di Olney Court che un tempo apparteneva a Curwen; Walter C. Dwight, restauratore che riporta alla luce il ritratto di Curwen; barone Ferenczy, della Transilvania, che ospita Charles per un anno; Robert Hart, guardiano notturno del cimitero North Burial Ground; sergente Riley, appartenente al secondo distretto di polizia; Theodore Howland Ward, padre di Charles; Gomez, un mulatto portoghese, e il dott. Allen, uno straniero con barba e occhiali scuri, sono i due aiutanti di Charles Dexter Ward a Pawtuxet; i dottori Peck e Waite di Providence, specialisti in malattie mentali; Joseph Nadek, di Praga, alias dietro il quale si nasconde Simon Orne.



Illustrazione di Karel Thole usata per l'edizione curata da Fruttero e Lucentini nel 1966



Cronologia di Joseph Curwen e Charles Dexter Ward


1692. Nel mese di marzo Joseph Curwen giunge a Providence. Proviene da Salem, dove sta cominciando una grande caccia alle streghe, e ha circa trent’anni.

1763. Il 7 marzo Joseph Curwen sposa Eliza Tillinghast.

1764. John Merritt, anziano gentiluomo di inclinazioni letterarie e scientifiche, dopo aver fatto visita in casa Curwen ne esce turbato, a causa di alcuni testi visti nella sua biblioteca.

1765. Il 7 maggio nasce la prima e unica figlia dei coniugi Curwen: Ann.

1769. Viene scoperta una notevole quantità di ossa umane e animali sulla sponda del fiume dietro una fattoria di proprietà di Curwen.

1771. Alcuni cittadini di Providence effettuano una sortita alla fattoria di Curwen per sbarazzarsi dell’uomo.

1772. Eliza Curwen, vedova di Joseph Curwen, riprende insieme a sua figlia Ann il nome da nubile di Tillinghast.

1785 Welcome Potter, trisavolo di Charles D. Ward, sposa Ann Tillinghast.

1902. Nasce Charles Dexter Ward.

1918. Il giovane si iscrive alla Moses Brown School, una scuola preparatoria per l’università. Scopre di essere un discendente di Joseph Curwen.

1919. Ricerche del giovane, effettuate a Salem, sulle prime attività di Curwen. In una antica abitazione dell’antenato scopre alcune carte appartenenti al necromante.

1920. Nuove ricerche del giovane in campo storico e chimico.

1923. Diviene maggiorenne e si reca in Europa per una serie di ricerche. Visita Londra, Parigi, Praga, Vienna e Rakus, in Transilvania, ospite di un misterioso barone.

1926. A maggio rientra a Providence e si dedica a nuovi esperimenti.

1927. Il 15 aprile l’ennesimo esperimento di Charles richiama in vita il suo antenato Curwen. I due decidono di comprare un bungalow a Pawtuxet dove poter proseguire in tranquillità i loro rituali. Curwen assume l’identità fittizia di tale dottor Allen, coprendosi il volto con una barba posticcia e un paio di occhiali scuri. Casi di vampirismo e aggressioni notturne.

1928. A gennaio la polizia scopre un macabro carico destinato al bungalow. A febbraio Charles scrive una lettera al dottor Willett in cui gli promette di spiegargli tutto, oltre a comunicargli che dovrà uccidere e dissolvere il cadavere del dottor Allen nell’acido. Ma quando il dottore si reca all’appuntamento non si fa trovare. Curwen ha ucciso il giovane e ne ha preso definitivamente il posto grazie alla loro somiglianza. A marzo Ward padre convoca degli specialisti per ricoverare il figlio in una clinica sull’isola di Conanicut. Curwen si lascia portare via senza storie, in attesa di un’occasione propizia per tornare in libertà. Due lettere inquietanti provenienti dall’Europa e destinate al dottor Allen indirizzano le ricerche di Ward padre e del dottor Willett. Ad aprile quest’ultimo si cala nei sotterranei del bungalow di Pawtuxet e il 13 dello stesso mese visita per l’ultima volta il paziente nella clinica.


State House (Camera di Stato del Rhode Island) a Providence


Locandina del film 'The Resurrected' di Dan O'Bannon (1991)


Lovecraft inizia un rapporto epistolare con Donald Wandrei (1908-1987), col quale è entrato in contatto alla fine dell’anno precedente grazie a Clark Ashton Smith. Il giovane (all’epoca ha 18 anni) proprio in questo periodo comincia a scrivere i suoi primi racconti e in futuro anch’egli entrerà nel novero di quegli autori “weird” influenzati dallo stile dello scrittore di Providence. Wandrei fonderà poi nel 1939, assieme a August Derleth, la casa editrice “Arkham House”.

Sonia Greene rifiuta un lavoro ben retribuito a Chicago. Decide di lavorare a New York per essere più vicina a Providence e poter così andare a trovare il marito durante i fine settimana.


Donald Wandrei in una foto del 1928



(fine 11° parte)

(a Roger Corman, 5 aprile 1926 - 9 maggio 2024)



Sergio Climinti


Note.

Per stilare la seguente biobibliografia ho fatto riferimento ai quattro volumi editati dalla Mondadori tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, Tutti i racconti (più volte ristampati) e il volume Lettere dall’altrove (1993), una selezione di lettere estratte dal vasto epistolario dell’autore, tutti curati da Giuseppe Lippi. Più il poderoso mammut dedicato a Lovecraft dalla Newton Compton, Lovecraft Tutti i romanzi e i racconti (2011, quarta edizione) a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco. Oltre naturalmente a una serie di siti sul web, su tutti The H. P. Lovecraft Archive, consultato per una più precisa cronologia delle sue opere.

- La sottolineatura che appare nei titoli dei racconti originali (tra parentesi), sta ad indicare il filo comune che li lega al famoso “Ciclo di Arkham”, o “Miti di Cthulhu”.

- I titoli dei racconti non in grassetto sono quelli giovanili, quelli scritti in collaborazione e quelli che destinava ai suoi corrispondenti, che non era interessato a pubblicare.

- La data che compare, a volte, dopo il titolo in lingua originale (che si trova tra parentesi) si riferisce a quella di stesura.

- I racconti scritti in collaborazione sono divisi fra “revisioni primarie” (r. p.) per quei lavori scritti per la maggior parte dall’autore, e “revisioni secondarie” (r. s.) fatte di interventi tesi per lo più a migliorarli. Tali sigle sono riportate tra parentesi, dopo il nome dell’autore che ha lavorato con Lovecraft.

- Il corsivo usato all’interno dei racconti ne individua il testo originale, nella traduzione offerta dai quattro volumi della Mondadori sopra indicati, nella maggior parte dei casi di Giuseppe Lippi.

- Al termine di alcuni racconti la parola FINALE avverte il lettore che nelle prossime righe viene svelato il finale della storia.


N.B. Trovate i link alle altre parti della biografia lovecraftiana nella pagina dedicata e nella Biblioteca di Altrove!

Nessun commento:

Posta un commento

I testi e i fumetti di nostra produzione apparsi su Dime Web possono essere pubblicati anche altrove, con la raccomandazione di citare SEMPRE la fonte e gli autori!

Le immagini dei post sono inserite ai soli fini di documentazione, archivio, studio e identificazione e sono Copyright © degli aventi diritto.

Fino al 4 gennaio 2017 tutti i commenti, anche i più critici e anche quelli anonimi, venivano pubblicati AUTOMATICAMENTE: quelli non consoni venivano rimossi solo a posteriori. Speravamo e contavamo, infatti, nella civiltà dei cultori di fumetti, libri, cinema, cartooning, etc.

Poi è arrivato un tale che, facendosi scudo dell'anonimato, ha inviato svariati sfoghi pieni di gravi offese ai due redattori di Dime Web, alla loro integrità morale e alle loro madri...

Abbiamo dunque deciso di moderare in anticipo i vostri commenti e pertanto verranno cestinati:

1) quelli offensivi verso chiunque
2) quelli anonimi

Gli altri verranno pubblicati TUTTI.

Le critiche, anzi, sono ben accette e a ogni segnalazione di errori verrà dato il giusto risalto, procedendo a correzioni e rettifiche.

Grazie!

Saverio Ceri & Francesco Manetti