di Francesco Bosco e Mauro Scremin
Diamo il benvenuto ufficiale a Francesco Bosco e Mauro Scremin sulle pagine elettroniche di Dime Web col loro primo post in solitaria, dopo che, da alcuni mesi, impreziosiscono con le loro segnalazioni le puntate della nostra rubrica Secret Origins. La coppia di esperti texiani, autori dei due (per ora), volumi intitolati Western all'italiana, dedicati alle fonti iconografiche che hanno ispirato, soprattutto tra gli anni cinquanta e settanta, i disegnatori di fumetti italiani, ci conduce nel mondo dei Pulp Magazine americani. (S.C. & F.M.)
Uno dei fenomeni editoriali americani più rilevanti del secolo scorso è stato quello delle riviste pulp che hanno cavalcato l’onda per tutti gli anni ’50 e parte dei ’60. Erano in pratica delle riviste (magazines) per soli uomini che ottennero grande successo nonostante non venissero visti di buon occhio dall’opinione pubblica. In realtà è improprio considerarli appartenenti al genere “pulp” in quanto i pulp erano nati alla fine dell’Ottocento ed erano definiti in tal modo per via della carta di scarsa qualità (polpa di legno) con cui venivano stampati. Al contrario, quelli a cui ci riferiamo per questo articolo venivano stampati su carta leggermente patinata o slick (liscia) di gran lunga superiore in quanto a qualità. Inoltre i primi pulp nascevano dalla tradizione dei romanzi da 10 centesimi destinati ad un pubblico giovane. Quelli degli anni ’30/’50 invece erano destinati ad un pubblico adulto e prevalentemente maschile e presentavano racconti dal contenuto piccante, a volte torbidi e tendenti al morboso e finanche brutali e sanguinari. Nonostante tutto ciò, si tende spesso a raggruppare tutta la letteratura pulp in un unicum che va da Argosy (la prima rivista del genere nata alla fine del diciannovesimo secolo) fino ai Men’s Magazine.
Il pulp nasce
nel 1896, appunto con Argosy, per merito dell’intraprendente Frank Munsey: si
tratta di 128 pagine stampate in carta economica i cui bordi non vengono
nemmeno refilati, prive di illustrazioni sia sulla copertina che negli interni,
proposte ad un prezzo modesto.
Munsey ebbe l’intuizione di utilizzare fondamentalmente tre fattori: carta economica, stampa economica e autori economici, rivolgendosi ad un bacino di lettori appartenenti alle classi popolari. I primi albi ebbero dimensioni di 25 centimetri di altezza e 18 di larghezza e costavano solo 10 centesimi. Il successo fu quasi immediato: nel giro di pochi anni Argosy passò dalle iniziali poche migliaia di copie al mese al quasi milione di copie e dopo 9 anni dalla sua prima apparizione cominciò ad uscire con copertine illustrate.
Grazie al successo di Argosy, iniziarono a fiorire altre pubblicazioni in polpa di carta. Tra le più note ricordiamo The Popular Magazine, di Street & Smith, una delle prime riviste letterarie di cui uscirono 612 numeri, dal novembre 1903 fino all'ottobre 1931 quando si fuse con Complete Story, altro magazine dello stesso editore.
Al culmine della loro popolarità, tra gli anni ’20 e i ’40, si contavano circa 150 titoli di genere pulp: assieme ad Argosy e The Popular Magazine, ricordiamo testate come Blue Book, Short Stories, Amazing Stories, Black Mask, Dime Detective, Flying Aces, Horror Stories, Marvel Tales, Planet Stories, Spicy Detective, Weird Tales, Western Story Magazine e tante altre. L’illustrazione nel frattempo era divenuta indispensabile: opere al tratto e dipinti sempre più spettacolari accompagnavano la narrativa interna composta da novelle, opere serializzate, fino ad interi romanzi brevi. E le riviste si avvalevano sempre più dei contributi di scrittori come Max Brand, Edgar Rice Burroughs, Borden Chase, Lester Dent, Zane Grey, Isaac Asimov, L. Ron Hubbard, Clarence E. Mulford, Charles Alden Seltzer ecc. che affollavano i loro racconti di personaggi come Hopalong Cassidy, Jan of the Jungle, John Carter, Tarzan, Zorro, Doc Savage. Senza contare che le riviste pulp vedevano alternarsi i migliori illustratori del settore: Rolf Armstrong, Charles Dana Gibson, Rudolph Belarski, Ernest Chiriacka, Rafael M. DeSoto, Clinton Pettee, Norman Rockwell, Norman Saunders, Fred W. Small, Paul Stahr e tantissimi altri. Gli illustratori americani, e in special modo coloro che tracciarono la linea pulp a partire dagli inizi degli anni ’50 fino alla metà degli anni ’60, diverranno un imprescindibile riferimento per illustratori e fumettisti di tutto il mondo, in particolar modo per i tre grandi generi narrativi che erano il western, i gialli e i racconti rosa. Ad esempio, il fumetto sexy italiano o quello di guerra, molto in voga nel nostro paese sul finire dei ’60, presentavano cover prese dai pulp anni ’50. E non da meno era il western di Galleppini & soci, che eredita da quelle riviste una infinità di matrici di riferimento…
Oltre a Galleppini, la compagnia annovera infatti anche autori come Emilio Uberti, Franco Bignotti, Gino D’Antonio, Franco Donatelli, Roy D’Amy e moltissimi altri, facilmente rintracciabili sulle pubblicazioni western di quell’epoca, come Tex, Il Piccolo Ranger o Avventure del West.
Sottolineiamo
che le copertine del pulp magazine americano erano così importanti che spesso
allo scrittore di turno veniva chiesto di ispirare i propri racconti ai
soggetti delle cover. Ciò non avveniva per i tascabili in brossura (paperback o
pocket book), dove l’illustratore veniva ingaggiato per realizzare copertine di
romanzi o racconti lunghi, godendo di una certa libertà di composizione, anche
se era l’editore ad indicare i soggetti di massima della copertina. Il lavoro
dei maggiori artisti americani era agevolato dal fatto che essi potevano
permettersi di ingaggiare modelli per le proprie opere, scattando loro foto e
scegliendo infine quelle giuste per la composizione della cover. Facendo una
semplice ricerca in rete sull’argomento, è facile trovare siti, blog e pagine
specializzate che trattano l’argomento corredato da significative immagini.
Steve Holland, il modello protagonista di centinaia di cover per pulp magazines e paperbacks, qui in una posa per “Doc Savage” illustrato da James Bama |
Ancora Steve Holland assieme a Eva Lynd, la modella più celebre dei pulp magazine, ripresi da Al Rossi |
Dagli inizi
degli anni ’50 fino a tutti gli anni '70 Steve Holland fu reso famoso dalle copertine in brossura e dalle
riviste pulp. Gli editori insistevano affinché i loro artisti usassero Holland,
vista l’efficacia della grafica che ne derivava: le vendite dei loro tascabili
incentrati sull’eroe-modello crollavano quando la presenza di
Holland non abbelliva più le copertine.
Una copertina del sexy italiano “Walalla”, illustrata da Mario Cubbino e ispirata a “Men Today” |
In qualche modo
neppure gli americani erano sempre in grado di ricreare l’intero scenario della
cover in oggetto. Ad esempio, non potendo portare un cavallo in studio, usavano
dei cavalletti sellati dove far poggiare le chiappe al modello. Il cavallo vero
e proprio faceva parte della post-produzione, e del resto lo si poteva pescare
su qualsiasi foto che poteva adattarsi alla bisogna; idem per quanto riguarda i
paesaggi, i carri, i mostri, le città e così via.
Rimanendo in casa nostra, per quale motivo debbano passare come copiatori Galep, Dami, Pratt, Uberti, Benvenuti eccetera, è una domanda che ci poniamo spesso. In definitiva gli stessi americani possono considerarsi copiatori, visto che avere un modello da riprendere comodamente dalle fotografie è in qualche modo copiare. La famosa cover zagoriana dell’albo “Iron Man”, di Gallieno Ferri, sappiamo essere tratta da una copertina di “The Phantom” di George Wilson che, a sua volta, si servì del modello Steve Holland per comporla. In questo caso quindi Wilson non lavorò di fantasia. Ebbene, non ci vuol molto a concludere che se Ferri avesse realizzato il suo bel disegno servendosi di un modello, niente può escludere che un qualsiasi Wilson, impegnato negli States ad illustrare tonnellate di tavole e cover ma attratto dall’opera di Ferri, lo avrebbe (giustamente) sfruttato. Così, invertendo i fattori, il risultato è lo stesso, non cambia. Quindi i vari Wilson, Kunstler, Bama e McCarthy altro non sono che il primo e privilegiato anello di una catena che si allunga in modo inaspettato e tra le cui maglie si contano numerosi gli epigoni, nostrani e non. Chiaramente, questo a prescindere dalle doti di Bama o Ferri.
Rimanendo in casa nostra, per quale motivo debbano passare come copiatori Galep, Dami, Pratt, Uberti, Benvenuti eccetera, è una domanda che ci poniamo spesso. In definitiva gli stessi americani possono considerarsi copiatori, visto che avere un modello da riprendere comodamente dalle fotografie è in qualche modo copiare. La famosa cover zagoriana dell’albo “Iron Man”, di Gallieno Ferri, sappiamo essere tratta da una copertina di “The Phantom” di George Wilson che, a sua volta, si servì del modello Steve Holland per comporla. In questo caso quindi Wilson non lavorò di fantasia. Ebbene, non ci vuol molto a concludere che se Ferri avesse realizzato il suo bel disegno servendosi di un modello, niente può escludere che un qualsiasi Wilson, impegnato negli States ad illustrare tonnellate di tavole e cover ma attratto dall’opera di Ferri, lo avrebbe (giustamente) sfruttato. Così, invertendo i fattori, il risultato è lo stesso, non cambia. Quindi i vari Wilson, Kunstler, Bama e McCarthy altro non sono che il primo e privilegiato anello di una catena che si allunga in modo inaspettato e tra le cui maglie si contano numerosi gli epigoni, nostrani e non. Chiaramente, questo a prescindere dalle doti di Bama o Ferri.
Nel confronto sotto riportato, la copiatura a specchio di Ferri. L’autore de Lo Spirito con la Scure e Aurelio Galleppini attinsero molto al materiale di James Bama per le copertine degli albi di Zagor e Tex. Tra le più celebri “Tramonto rosso” (Tex) e “La Dea Nera” (Zagor). Va sottolineato che Bama, classe 1926 ed ancora vivente, è stato uno dei massimi illustratori del secolo scorso, avendo dipinto come artista commerciale centinaia di cover per i “pulp magazine” prima di spingersi, nel 1971, ad abbandonare l'illustrazione per dedicarsi alla creazione di personali dipinti da cavalletto incentrati su rodeo, cacciatori di pelli, uomini della montagna, nativi americani, cowboys, tutto in forma estremamente realistica.
A seguire, un altro confronto stavolta tra Ferri e Wilson. Wilson non è mai stato un illustratore “pulp” nel vero senso del termine, ma di lui si ricordano centinaia di bellissime copertine di alcuni personaggi della Gold Key (Tarzan, Phantom, Korak, Turok, ecc.).
©The Phantom illustrato da George Wilson e ©Bonelli, Zagor illustrato da Gallieno Ferri |
Francesco Bosco & Mauro Scremin
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