giovedì 9 novembre 2017

VITA E OPERE DI HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT - SECONDA PARTE (1918 - 1919)

di Sergio Climinti

Lovecraft nella sua biblioteca privata

1918

Pubblica professionalmente alcune poesie su The National Magazine di Boston. Diffonde in Inghilterra Hesperia, una sua rivista manoscritta, dove appare la conclusione di un racconto oggi andato perduto, The Mystery of Murdon GrangeFa amicizia con Clifford M. Eddy (1898-1967), anche lui di Providence e futuro autore di racconti horror. Per lui Lovecraft riscriverà quattro racconti come revisore.


Cliffor M. Eddy (1896 - 1967)

LA STELLA POLARE

(POLARIS, maggio?)


Dalla finestra settentrionale della sua camera il protagonista di questo breve racconto osserva costantemente il panorama fuori, costituito da una palude circondata dagli alberi, di un cimitero posto sulla sommità di una collina e della volta celeste, con le sue numerose stelle, tra le quali spicca la presenza immutabile della Stella Polare, brillante di luce arcana. “Poco prima dell’alba, Arturo ammicca rossastra sul cimitero che sovrasta la collina, e la Chioma di Berenice si accende fantastica, in lontananza, verso il misterioso Oriente. Ma la Stella Polare ghigna sempre dallo stesso punto della volta nera, sinistra come un occhio folle che guardi in continuazione e tenti di trasmettere uno strano messaggio, senza riuscire a ricordare quale: sa soltanto che un tempo il messaggio c’era.” Solo quando il cielo è coperto dalle nubi l’uomo riesce a riposare. In una di queste circostanze, si addormenta profondamente.


Fu sotto una falce di luna bianca che vidi per la prima volta la città. Sorgeva, immobile e sonnolenta, su un misterioso altopiano in mezzo a una depressione circondata da montagne fantastiche. Mura, torri, pilastri, cupole e strade erano di marmo sepolcrale, e dalle strade si alzavano colonne che in cima avevano scolpite le immagini di uomini severi e barbuti. L’aria era calda e immobile nel cielo, a dieci gradi scarsi dallo zenith, brillava l’occhio della Stella Polare. Guardai a lungo la città, ma il giorno non spuntava: e quando la rossa Aldebaran, che splendeva bassa nel cielo senza tramontare, ebbe percorso un quarto dell’orizzonte, mi accorsi che nelle strade e nelle case c’erano luce e movimento. Individui stranamente vestiti, ma d’aspetto nobile e familiare, camminavano all’aperto e sotto la falce di luna discutevano la loro scienza in una lingua che io capivo, pur essendo diversa da tutte quelle che avevo conosciuto.”
Il sogno diventa ricorrente, e se al principio l’uomo si limita a osservare la città senza farne parte, in seguito arriva ad avere una consistenza corporea e a interagire con quella gente misteriosa, ma non da estraneo, bensì da appartenente alla stessa comunità. Scopre così che si tratta della razza di Lomar (alti e con gli occhi grigi) e che la città si chiama Olathoë, situata in un territorio al Polo Nord, ed è assediata da creature ostili, gli Inuto (demoni tarchiati, gialli e senza pietà), giunti da occidente per saccheggiare i confini di quel regno.

Polaris, by Mark Foster (2014)

Il sognatore è un soldato al quale è stata affidata la missione di presidiare una delle torri di difesa, eretta a protezione di una stretta gola dalla quale gli Inuto potrebbero passare. Malauguratamente, sotto l’influsso della diabolica Stella Polare, l’uomo si addormenta.
“… la testa mi girava ed era pesante, finché si abbassò sul petto e mi trovai immerso in un sogno: l’orribile Stella Polare ammiccava, attraverso una finestra, sugli orribili alberi di una palude onirica. Sto ancora sognando.” Al risveglio, l’uomo è convinto che la realtà in cui vive sia un sogno dal quale il suo vero se stesso, ovvero il soldato addormentato, non si è ancora destato e si tormenta nel rimorso di non potersi svegliare per salvare l’amata città di Lomar dall’invasione dei nemici, mentre le persone attorno a lui affermano che si tratta solo della sua immaginazione.
Dicono che la terra di Lomar esiste solo nelle mie fantasie notturne, che nelle regioni dove la Stella Polare brilla alta nel cielo e Aldebaran striscia lungo l’orizzonte non c’è altro che neve e ghiaccio da migliaia di anni e che l’uomo non ci si è mai avventurato, a parte una razza di individui gialli e tarchiati, che qui chiamano “eschimesi”.”


Emblema della Società Thule


Prima storia a tema onirico di Lovecraft, che per l’appunto trae ispirazione da un sogno, come frequentemente gli accadeva. Il tema del viaggio onirico, unito alla sensazione data dall’incertezza fra mondo reale e mondo sognato, ricorrerà spesso in molti racconti, almeno fino al 1926. Così come i suoi personaggi principali, divisi tra queste due dimensioni, che convoglieranno nella figura di Randolph Carter, protagonista per antonomasia di alcune avventure nei territori del sogno.
Secondo il critico William Fulwiler, “La Stella Polare” costituirebbe uno dei racconti più autobiografici dell’autore, perché rifletterebbe la sua frustrazione e il suo senso di colpa per non aver partecipato alla Prima Guerra Mondiale. Sappiamo infatti che il suo tentativo di arruolarsi non andò a buon fine...
Il mondo utopistico della razza dei lomariani ricorda il mito di Thule, isola leggendaria che si immaginava tra i ghiacci del Polo Nord e che fu alla base della formazione del gruppo occulto tedesco della Società Thule, fondata nel 1910 e caratterizzata da un forte nazionalismo e antisemitismo. Costoro identificavano nel mito di Thule l'origine della supremazia della razza ariana (rappresentata da un’etnia dai capelli biondi, gli occhi azzurri e la pelle chiara) su tutte le altre razze, che in tempi remoti avrebbe dominato il mondo. Una specie che in seguito, imbastarditasi per essersi accoppiata con membri di razze inferiori, perse per questo il potere e decadde. Tutto ciò sembra fare il paio con la xenofobia di cui era vittima Lovecraft – e che ne influenzò sia il pensiero che l’opera narrativa - il quale, nello scegliere il nome dei nemici dei lomariani, inventa il termine Inuto, che ha una curiosa assonanza con il nome “Inuit”, uno dei due gruppi maggiori nei quali sono divisi gli eschimesi. Per una sorta di strano contrappasso, l’archeologia ha attribuito proprio il nome “Thule” agli antichi progenitori degli Inuit canadesi. Anche se questa scelta deriva dalla città che porta lo stesso nome, sita nella Groenlandia nordoccidentale, dove sono stati trovati per la prima volta i resti archeologici di questa civiltà.

Polaris, by Ricardo Garijo (2014)

Vengono citati per la prima volta I manoscritti Pnakotici, che nel mondo di Lomar danno al protagonista “la conoscenza dei cieli”. Si tratterebbe dunque di un testo di astronomia. È uno dei libri proibiti che, come il più famoso Necronomicon, popoleranno alcune storie future.
Gli Gnophkeh, che qui vengono descritti semplicemente come cannibali, pelosi e dalle braccia lunghissime, verranno citati anche in un racconto futuro, “L’orrore nel museo” (1932), scritto in collaborazione con Hazel Heald. In questo caso però, HPL vi aggiungerà altri dettagli, trasformandolo in una creatura dei ghiacci fornita di un corno puntuto e di ben sei zampe, riscrivendone inoltre il nome con una grafia diversa: “Gnoph-keh”.

Luoghi: Zobna, antica terra d’origine dei lomariani; Olathoë, la città sotto assedio dove si trova il protagonista, situata sull’altopiano di Sarkis, fra i monti Noton e Kadiphonek; Daikos, città lomariana caduta sotto l’urto degli Inuto; Lomar, città principale dei lomariani; la valle di Banof, che la sentinella osserva in lontananza dalla sua torre di avvistamento; la torre di Thapnen, nome della torre di avvistamento dove monta la guardia il protagonista.

Personaggi: gli Gnophkeh, cannibali pelosi dalle lunghissime braccia, che gli antenati dei lomariani affrontarono in un lontano passato; Alos, comandante di tutte le forze dell’altopiano e amico del protagonista; gli Inuto, nemici attuali dei lomariani.

Gnoph-keh, by Caberwood (2014)

Il 6 luglio Rheinhart Kleiner (1892-1949) si reca a Providence per conoscere Lovecraft di persona. Poeta e scrittore dilettante newyorkese, Kleiner è uno dei primi – nonché uno dei maggiori – corrispondenti dello scrittore e lo sarà per tutti gli anni a seguire.
Il 14 novembre muore Edwin E. Phillips (1864-1918), zio di Lovecraft (unico figlio maschio di Whipple Van Buren Phillips), senza lasciare alcun erede.
HPL inizia a scrivere il Commonplace Book, un taccuino dove annota idee, immagini e impressioni con l’intenzione di usarle per i suoi futuri racconti. Alcune di queste lo diventeranno, ma la maggior parte non verrà mai sviluppata. Tutte hanno un titolo, nonostante spesso si tratti di frasi brevi, scritte prevalentemente per mettere in moto il personale processo creativo dello scrittore, il quale prestava generosamente il taccuino a quegli amici che avevano intenzione di cimentarsi in una loro composizione.

Rheinhart Kleiner (1892 - 1949)

IL PRATO VERDE
(THE GREEN MEADOW, 1918-1919)

in collaborazione con Winifred V. Jackson (r. p.)
Sulle coste del Maine, la sera del 27 agosto 1913, uno strano oggetto infuocato proveniente dallo spazio precipita in mare. La mattina dopo alcuni pescatori lo recuperano e scoprono che si tratta di una pietra semi-metallica. Spedita a Boston per analizzarla, viene trovato al suo interno un librino di trenta pagine, scritto in greco antico risalente al secondo secolo avanti Cristo. All’interno di questa specie di taccuino, fatto di una materia sconosciuta, si può leggere un testo che purtroppo non è integrale. Il misterioso estensore che ha redatto queste pagine racconta una sua esperienza diretta. Si trova completamente solo in uno spazio di terra dove da una parte c’è il mare e dall’altra una foresta. La sensazione di non voler conoscere cosa si nasconda nella foresta gli fa provare brividi di paura. Si sente estraneo a questo ambiente che lo circonda, perché ha la certezza che quello che vede sia solo apparenza, che nasconda entità ostili. All’improvviso, nel mare appare un prato verde, mentre il suolo comincia a tremare. Il pezzo di terra su cui si trova si stacca dalla riva e comincia a dirigersi verso il mare aperto. “Fu allora che sentii, a una distanza incommensurabile, un rumore di cascata. Non una delle banali cascate che avevo conosciuto in passato, ma il fragore che sentirebbero nella lontana Scizia se tutto il Mediterraneo venisse precipitato nell’abisso. Il mio isolotto avanzava verso la cataratta, eppure ero contento.”


Qui e sopra: edizioni ebook del Prato verde

Dietro di lui, nubi oscure avvolgono la lingua di terra sulla quale si trovava prima e cose terribili e straordinarie avvengono, ma il misterioso testimone non riporta quanto vede. Poi una nebbia ricopre tutto alle sue spalle, e al suo dissiparsi la foresta e la terra non ci sono più, inghiottite forse dal mare. Dal Prato comincia a provenire uno strano canto, di cui non capisce il significato delle parole, ma la melodia gli ricorda alcuni versi che in passato aveva tradotto da un antico testo egizio su antichissime forme di vita che prima dell’uomo popolavano la Terra.
Se le parole erano del tutto incomprensibili, la melodia risvegliò in me una bizzarra concatenazione di idee e ricordai i versi inquietanti che una volta avevo tradotto da un libro egiziano, e che a loro volta erano tratti da un papiro dell’antica Meroe. Nella mia mente si succedevano parole che temo di ripetere e che parlavano di antichissime forme di vita, cose che popolavano il mondo nei giorni in cui era estremamente giovane: creature che pensavano, si muovevano ed erano vive, ma che gli uomini e gli dei non avrebbero considerato vive. Era uno strano libro.”
Quando si approssima al Prato, riesce a vedere solo delle sagome imponenti che si muovono tra la vegetazione: è da queste misteriose creature che il canto sembra provenire. Poi riesce finalmente a vedere da dove arriva il canto, ma non ci informa sulla sua natura. Ammette che farebbe impazzire chiunque e che ora è conscio della sua trasformazione, oltre a quella che altri uomini in passato hanno subito. Il pezzo di terra dove si trova lo sta portando verso la cascata; proverà a spedire un messaggio dall’abisso profondo che si spalancherà sotto di lui. “Vivrò in eterno, conserverò la coscienza in eterno, anche se la mia anima supplicherà gli dei per avere la grazia della morte e dell’oblio… È tutto davanti a me: oltre le cascate assordanti c’è la terra di Stethelos, dove i giovani sono infinitamente vecchi… Il Prato Verde… Spedirò un messaggio attraverso l’orrendo, sconfinato abisso…”
Arrivato a questo punto, il manoscritto diventa illeggibile.


Edizione di The Vagrant dove apparve per la prima volta Il Prato Verde (Primavera 1927)


Si tratta della prima collaborazione letteraria dell’autore ed è un racconto davvero particolare. Scrive in proposito Lovecraft in una lettera del 4 giugno 1921, destinata a Frank Belknap Long: Il Prato Verde ha una storia singolare. Inizia con una mia visione: la scena della foresta e della spiaggia sono ricavate da un mio sogno, dal quale ho tratto la prima parte di una storia in forma di un frammento dal quale, successivamente, intendevo ricavare una narrazione più lunga. In seguito, l’ho mostrato a Miss W. V. Jackson che si stupì moltissimo nel notare come il frammento corrispondesse esattamente a un sogno fatto da lei, che era molto più ampio del mio. Mi feci raccontare tutto il sogno e disegnare una mappa della scena apparsale nella visione notturna; quindi decisi di abbandonare la trama che avevo già in parte delineato per seguire lo sviluppo del sogno della Jackson. E così ho fatto, aggiungendo una nota introduttiva completamente inventata da me.”

Luoghi: Villaggio costiero di Potowonket (Maine); Stethelos (terra del sogno).

Personaggi: John Richmond, Peter B. Carr, Simon Canfield, pescatori; Richard M. Jones, dottore e autorità scientifica locale; il dottor Johnson, di Boston, colui che, incaricato di analizzare la misteriosa pietra nel suo laboratorio, trova il misterioso libriccino; il professor Chambers, di Harvard; Rutherford, il paleografo che ha trascritto il testo del librino; prof. Mayfield, del MIT, il quale afferma che la pietra è un meteorite; il dottor von Winterfeldt, di Heidelberg, che non condivide la valutazione del collega del MIT; il prof. Bradley, del Columbia College.

Winifred V. Jackson (1876 - 1959)


1919

La madre Sarah Susan Phillips viene ricoverata in una clinica per malattie nervose (il Butler Hospital, la stessa struttura che aveva ospitato il marito) in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni fisiche e mentali. Come il consorte, anche lei non ne uscirà più.


Una cartolina del Butler Hospital, dove vennero ricoverati in anni diversi i genitori di HPL


MEMORIA

(MEMORY, giugno)

Sulla Valle di Nis, dove la natura domina, con le sue foreste e un fiume che le attraversa, alcuni antichi edifici emergono qua e là, ormai ridotti a rifugio per animali. In questo contesto il Genio dei Raggi di Luna interroga il Demone della Valle su chi fossero i costruttori di queste vestigia. “Io sono la Memoria e so molto del passato, ma anch’io sono invecchiato. Le creature di cui mi domandi somigliavano all’acqua del fiume Than, che nessuno potrà mai spiegare. Non so più quali fossero le loro imprese, perché durarono un attimo; anche il loro aspetto mi è vago, ma era simile a quello delle piccole scimmie. Il nome della loro razza, tuttavia, mi è rimasto impresso per un’assonanza con quello del fiume: quelle creature del passato si chiamavano Uomini”.

Una brevissima narrazione per raccontare una visione originata da un sogno. È uno dei cosiddetti prose poems, ovvero poesia in prosa, firmato con lo pseudonimo di Lewis Theobald. L’assonanza di cui parla il demone è quella tra le parole inglesi Than (nome scelto per il fiume) e Man (Uomo).

Luoghi: la Valle di Nis; il fiume Than.

Memory, by Kim Holm (2014)

SACCO DI PULCI - Un'estemporanea storia lacrimosa di Marcus Lollius, proconsole della Gallia
(OLD BUGS - An Extemporaneous Sob Story by Marcus Lollius, Proconsul pf Gaul) (luglio) 

Il locale di Sheehan è il centro riconosciuto del traffico clandestino di liquori e narcotici di Chicago…” Facile immaginare che tipo di fauna popoli un posto del genere. È qui che tempo prima fece la sua comparsa uno strano individuo, all’apparenza uguale ai soliti avventori del locale ma ancor più spregevole di tutto quel disdicevole ambiente. “Una sera entrò come un pazzo nel locale di Sheehan, schiumando dalla bocca e gridando il suo bisogno di whiskey e hashish; gliene avevano data una dose in cambio della promessa di fare qualunque tipo di mestieri e da quel giorno lui era rimasto, lavando pavimenti, pulendo bicchieri e dedicandosi a centinaia di incombenze simili, in cambio del liquore e delle droghe che gli erano necessarie a mantenersi vivo e sano di mente.” Nessuno sapeva da dove venisse questo curioso ubriacone, ma a volte tradiva un’appartenenza a una classe più elevata del resto della gente che lì si riuniva. Infatti il suo modo di esprimersi suscitava la meraviglia degli avventori e spesso contemplava con un certo rimpianto la foto di una bella ragazza, ritratta in abiti altolocati, che teneva sempre con sé. Un giorno un damerino, Alfred Trever, per provare un’esperienza di quelle forti, decise di andare a ubriacarsi nel locale di Sheehan. Questo giovane dell’alta società era attratto dai vizi. “Forse la sua tendenza agli eccessi era la logica conseguenza della repressione cui era stato sottoposto in casa, ma la signora Trevor aveva le sue buone ragioni per educare il figlio con estrema severità. Fin da giovane, infatti, una disavventura personale con un ex-fidanzato le aveva ispirato un profondo orrore del vizio e l’aveva segnata per sempre.” Lo strano individuo fece di tutto per convincere il giovane Alfred a non toccare neanche un goccio di alcool, perfino ricorrendo alle maniere forti. Fu così che scoppiò un tafferuglio, intervenne la polizia e il vecchio barbone, colto da un’agitazione tale da portarlo al parossismo, cadde a terra morto. Quando la polizia lo perquisì per conoscerne l’identità, il giovane Trever scoprì che la vecchia foto ritraeva sua madre da giovane.

Lovecraft davanti alla sua casa al 598 di Angell Street a Providence, giugno 1919


Racconto che si discosta dalla maggior parte della produzione letteraria dell’autore, condito com’è di elementi realistico-umoristici. Anche questa novella fa parte di quelle storie che l’autore non scrisse per la pubblicazione. Nacque infatti in risposta al giovane amico e corrispondente Alfred Galpin (1901-1983), che precedentemente gli aveva inviato una lettera nella quale raccontava la sua prima esperienza con l’alcool, voluta provare il giorno prima dell’entrata in vigore del Proibizionismo, tanto per vedere quale effetto gli avrebbe suscitato. Scrive lo stesso Galpin: “… mi affrettai a comprare una bottiglia di whisky e una di porto nell’ultimo giorno che precedette il Proibizionismo, e me ne andai tra i boschi al di là del campo da golf di Appleton (Wisconsin) a bere come una spugna. […] Apparentemente la lettera che scrissi a H.P.L. in quell’occasione era una delle mie avventure più riuscite nell’umorismo, ma l’effetto principale che fece su Howard fu quello di farmi mettere in guardia contro il Demone del Rum”. Lovecraft infatti detestava l’alcool, e Galpin ritiene che questo racconto sia il suo personale opuscolo contro l’uso delle bevande alcoliche, scritto nei giorni che seguirono l’avvento del Proibizionismo. Curiosamente, il Rhode Island fu l’unico Stato dell’Unione (assieme al Connecticut) a votare contro il Proibizionismo.

Alfred Galpin (1901 - 1983)


Alfred Galpin è stato uno dei primi amici di Lovecraft. Iniziò con lui un rapporto epistolare fin dall’adolescenza, introdotto dal suo professore Maurice W. Moe, già corrispondente dello scrittore. Divenne in seguito professore di letteratura francese e italiana all’Università del Wisconsin, e dopo la pensione, anche per una questione di problemi di salute, andò a vivere in Italia, con la sua seconda moglie, a Montecatini Terme. Apprezzato musicista, dopo la morte dell’amico, avvenuta nel 1937, compose una sonata per pianoforte intitolata Lament for HPL.

Luoghi: Chicago, la Sala da biliardo di Sheehan.

Personaggi: “Sacco di Pulci”, ovvero Galpin; Sheehan, proprietario della sala da biliardo; Alfred Trever, il giovane damerino in cerca di forti emozioni; Pete Shultz, il “recluta-pivelli” del locale; Karl Trever, padre di Alfred; Eleanor Wing, madre di Alfred.


"L'ultima chiamata" (per la vendita degli alcolici) prima dell'entrata in vigore del Proibizionismo

LA TRANSIZIONE DI JUAN ROMERO

(THE TRANSITION OF JUAN ROMERO, 16 settembre)

Tra il 18 e il 19 ottobre del 1894, in una miniera dalla quale si estrae l’oro, una voragine si spalanca in seguito ai lavori di scavo. Il testimone di questi avvenimenti non si rivela, ma possiamo capire che è presumibilmente un inglese emigrato negli Usa, perché afferma di essere stato nell’esercito in India. Costui fa amicizia con un operaio messicano grazie a un anello con particolari geroglifici che ha portato con sé dall’India, che per il suo compagno di lavoro ha un’attrattiva che va oltre il valore intrinseco dell’oggetto e affonda in un passato ancestrale del quale nulla ci viene rivelato. In una notte di tempesta, il messicano sveglia il protagonista chiedendogli se non sente anche lui delle pulsazioni nel terreno. “Sotto di me, nel profondo della terra, si udiva un suono, o meglio un ritmo, proprio come aveva detto il peone; e benché lontanissimo, sovrastava sia il verso del cane che quello del coyote e il fragore in aumento del temporale. Sarebbe inutile tentare di descriverlo, perché era qualcosa che sfugge alle parole. Potrei paragonarlo al pulsare dei motori nel cuore di un piroscafo come lo si sente dal ponte, ma non era altrettanto meccanico, non era del tutto privo degli attributi di vita e coscienza. Delle sue qualità quella che mi colpì maggiormente fu la lontananza nella terra.” L’anello indù comincia a brillare a ogni lampo che appare nel cielo e i due si sentono attratti dalla voragine. Escono dagli alloggi e si dirigono verso il pozzo che conduce all’abisso. “Mentre scendevamo nel pozzo, il ritmo pulsante si fece articolato. Ai miei orecchi suonava come un’orribile litania orientale, con battere di tamburi e un coro di molte voci.”

Volume della Arkham House del 1944 in cui appare per la prima volta il racconto La Transizione di Juan Romero

Durante la loro discesa nelle viscere della montagna, una particolare nota, diversa dalle altre, si inserisce nell’inquietante melodia e a quel punto il messicano distacca l’amico, cominciando a correre e a urlare in una misteriosa lingua mai udita prima, della quale l’altro comprende solo una parola, ripetuta più spesso delle altre, Huitzilopochtli. Poi, il messicano precipita di proposito nell’abisso, attratto da una cacofonia di suoni e voci, e quando l’amico si affaccia sul bordo del baratro, gli sembra di vederlo in compagnia di altre vaghe sagome... Poi l’oblio. Si sveglia su una branda, con accanto il corpo morto del messicano. Entrambi non si sono mai allontanati dagli alloggi e la morte di Juan Romero resta senza risposta, nonostante l’autopsia. La voragine viene ricoperta da una frana dovuta al maltempo, mentre l’anello del protagonista scompare misteriosamente.

Lovecraft (foto del 1919 o 1920)


Racconto “ripudiato” dall’autore (cioè escluso da quelli che faceva circolare tra i suoi corrispondenti e amici perché li leggessero), forse perché ritenuto immaturo rispetto alla qualità media dei suoi lavori. Credo che il giudizio di HPL in questo caso sia troppo severo. Se proprio si vuole trovare un difetto, allora questo potrebbe essere in merito alla sua peculiare caratteristica del “non dire e non mostrare”. Infatti, quella che è una costante della narrativa dello scrittore di Providence, in questo racconto forse risulta eccessiva, poiché il lettore non riesce a figurarsi l’orrore indicibile celato nell’abisso. Questo succede per il semplice fatto che non gli vengono forniti neanche quei pochi indizi e descrizioni che, in altri analoghi casi, si rivelano utili a sviluppare la sua immaginazione.
Alcuni elementi saranno ripresi per altri racconti del “Ciclo di Arkham”, ma sviluppati meglio. Il nome Huitzilopotchli appartiene a una vera divinità mesoamericana: era il dio della guerra e del sole della mitologia azteca, protettore della città di Tenochtitlàn.

Luoghi: Cactus Mountains (Nevada); miniera Norton; lago Jewel; villaggio di Dry Gulch.

Personaggi: Juan Romero, operaio messicano; il protagonista, senza nome; il signor Arthur, sovrastante della miniera.
Huitzilopochtli, divinità azteca

OLTRE IL MURO DEL SONNO

(BEYOND THE WALL OF SLEEP, ottobre)

Mi sono chiesto più volte se la maggior parte della gente si soffermi a riflettere sul significato dei sogni, che a volte è clamoroso e comunque appartiene a un mondo di oscurità e mistero. Mentre la maggior parte delle nostre visioni notturne non sono che vaghi e fantastici riflessi delle nostre esperienze di veglia – checché ne dica Freud col suo puerile simbolismo – ve ne sono altre il cui carattere etereo e ultraterreno non consente interpretazioni ordinarie, ma i cui effetti inquietanti, vagamente eccitanti, sembrano aprire uno spiraglio su una sfera d’esistenza mentale non meno importante di quella fisica, e tuttavia separata da quest’ultima per mezzo di una barriera impenetrabile. La mia esperienza non mi consente di dubitare che l’uomo, una volta abbandonata la coscienza terrena, si trasferisca in una dimensione incorporea e profondamente diversa da quella che conosciamo; una dimensione di cui, una volta svegli, rimangono solo vaghissimi ricordi. Da quei frammenti incerti e confusi possiamo intuire molte cose, ma provarne nessuna. Possiamo supporre, ad esempio, che la vita, la materia e l’energia come il mondo le conosce non siano costanti nei sogni, e che il tempo e lo spazio non esistano come li concepiamo da svegli. A volte penso che questa esistenza meno materiale sia quella autentica e che la nostra vana presenza sul globo terracqueo sia di per sé un fenomeno secondario o puramente virtuale.”

Copertina del libro della Arkham House, 1943


In un pomeriggio d’inverno del 1900, o forse del 1901, il nostro protagonista è perso in tali fantasticherie quando, nel manicomio criminale dove lavora come medico interno, arriva un uomo il cui caso particolare, da quel momento in poi, non smette di ossessionarlo.
Si chiama Joe Slater ed è un rozzo abitante dei Monti Catskill “… uno di quegli strani, repellenti discendenti delle prime generazioni coloniali che, per essere rimasti isolati per circa tre secoli nelle loro campagne solitarie, erano regrediti a uno stadio di barbarie e degeneratezza …”
I documenti che lo riguardano testimoniano che è da sempre parso strano perfino agli occhi dei suoi consimili. Di notte ha sempre dormito più degli altri e al risveglio ha spesso raccontato, con toni accesi, sogni visionari di difficile comprensione, sia per chi li ascoltava che per lui stesso, tanto che poco dopo già non se ne ricordava più.
Col passare del tempo però, il tono dei suoi racconti è cresciuto d’intensità e perfino di violenza, fino a quando non accade ciò per cui viene arrestato. Un giorno “l’uomo si era svegliato con urla così orribili e disumane che avevano spinto i conoscenti ad avvicinarsi alla sua capanna (una sozza stamberga dove viveva con una famiglia indescrivibile quanto lui). Precipitandosi nella neve, aveva alzato le braccia al cielo e aveva cominciato a saltare nell’aria, gridando la sua determinazione di raggiungere una grande, grande capanna col tetto, i muri e il pavimento che brillano, e la musica forte e strana che viene da lontano. Quando due uomini di discreta statura avevano cercato di fermarlo, Slater si era dibattuto con forza e furia maniacali, urlando il suo desiderio di trovare e uccidere qualcosa che brilla, trema e ride.”

Anni '20: abitanti degli Appalachi, di cui i Monti Catskill fanno parte

Nella colluttazione che ne era seguita, aveva tramortito uno dei due uomini che tentavano di trattenerlo, mentre l’altro veniva barbaramente massacrato.
Anche nel manicomio l’uomo alterna momenti di normalità ad altri in cui afferma di essere perseguitato da un’entità fatta di luce che ride di lui. Tutto quello che desidera è raggiungere il misterioso essere e ucciderlo, per vendicarsi di chissà quale torto. Il medico, così interessato al mondo del sogno, lo avvicina e ne conquista la fiducia, grazie alla quale approfondisce sempre di più le straordinarie dimensioni in cui si trova a viaggiare l’uomo nei momenti di crisi. “Il risultato delle mie indagini fu che, durante una fase di vita semi-corporea che corrispondeva al momento dei sogni, Slater attraversasse valli splendenti e prodigiose e visitasse prati, giardini, città e palazzi luminosi che si trovavano in una regione sconfinata e sconosciuta all’uomo; che una volta là non fosse più un contadino e un degenerato, ma una creatura importante e dalla vita splendida, un orgoglioso e un dominatore che aveva un solo mortale nemico, un essere dalla struttura senz’altro visibile ma eterea, e che non sembrava avere forma umana dato che Slater non si riferiva a lui come a un uomo ma a una cosa.”
Ritenendo di poter entrare in comunicazione mentale con il paziente, il protagonista recupera una strumentazione ideata ai tempi dell’università, un apparato ricetrasmittente capace di captare diverse lunghezze d’onda di energia, con una trasmittente da applicare alla tempia di Slater e una ricevente alla propria.

Illustrazione di Virgil Finlay per Oltre il Muro del Sonno (Weird Tales, marzo 1938)

Dopo diversi tentativi falliti, il 21 febbraio del 1901 le due menti entrano in contatto. “Quella notte fatale ero agitato e turbato, perché nonostante le ottime cure che aveva ricevuto, Joe Slater era evidentemente sul punto di morire. Forse gli mancava la libertà delle montagne, forse lo scompiglio nella sua mente era diventato insopportabile per un organismo altrimenti lento: comunque, nel corpo malridotto la vitalità era sempre più bassa. Verso la fine era come insonnolito e al calar della notte sprofondò in un sonno turbolento […] Nella cella era con noi un infermiere, individuo mediocre che non conosceva le funzioni dell’apparecchio e non si sognava di intromettersi nei miei esperimenti. Col passare delle ore gli vidi reclinare la testa e mi resi conto che dormiva, ma non lo disturbai. Più tardi, cullato dal respiro del moribondo e dell’uomo sano, devo essermi appisolato anch’io.”
Il medico, svegliato dal suono di una strana melodia, si trova davanti a “uno spettacolo di bellezza suprema. Mura, colonne e architravi di fuoco vivo splendevano intorno al punto dove io sembravo fluttuare a mezz’aria e svettavano verso un altissimo soffitto a cupola di splendore indescrivibile.” Tutto intorno a lui, perfino valli e vette lontane “sembravano fatte di una sostanza eterea, lucente, plastica la cui essenza faceva pensare allo spirito più che alla materia. […] In quel paradiso io non ero uno straniero, perché ogni veduta e ogni suono mi era familiare, proprio come era stato per infiniti cicli prima di allora e come sarebbe stato per l’eternità.” In quel momento, un’aura splendente della stessa natura lo avvicina, ma poco dopo entrambe le entità avvertono un cambiamento. “Scambiammo pochi pensieri e poi mi resi conto che l’essere ed io eravamo richiamati alle rispettive schiavitù, anche se per il mio fratello di luce era l’ultima volta. Lo spiacevole guscio corporeo che lo intrappolava era ormai logoro e in meno di un’ora il mio compagno sarebbe stato libero di inseguire il suo oppressore nella Via Lattea, superando le stelle vicine e spingendosi al limite dell’infinito.” A questo punto, il protagonista si risveglia e vede il corpo di Joe Slater muoversi. “Guardandolo più da vicino vidi che nelle guance incavate brillavano due chiazze di colore che non c’erano mai state. Anche le labbra, strette da una forza di volontà superiore a quella di Slater, avevano una piega insolita. Il volto si fece più teso e la testa cominciò a muoversi inquieta, con gli occhi chiusi. Non svegliai l’infermiere addormentato, ma sistemai le piastre della mia “radio telepatica” che si erano leggermente spostate: volevo cogliere un eventuale messaggio d’addio del sognatore. All’improvviso la testa si voltò rapidamente verso di me e gli occhi si aprirono, obbligandomi a fissare sbalordito ciò che vedevo.”

Oltre il muro del sonno, illustrazione di Fedodika (2017)

FINALE: Gli occhi dell’uomo tradiscono la volontà di un’entità superiore, la quale trasmette alla mente del medico che Joe Slater è ormai morto e che lei è stata intrappolata nel suo corpo per quarantadue anni. “Io sono un’entità simile a quella che tu stesso sei diventato nella libertà del sonno senza sogni. Sono il tuo fratello di luce e ho volato con te sulle fulgide valli; non mi è permesso rivelare al tuo io terrestre qual è la tua vera personalità, ma siamo tutti trasvolatori dei grandi spazi e viaggiatori nel tempo. L’anno prossimo, forse, abiterò nell’Egitto che tu chiami antico o nel crudele impero di Tsan-Chan che verrà fra tremila anni. Tu e io ci siamo spinti sui mondi che girano intorno alla rossa Arturo e abbiamo abitato nei corpi degli insetti filosofi che strisciano orgogliosamente sulla quarta luna di Giove. Quanto poco conosce l’io terreno della vita e della sua estensione! Quanto poco, in verità, è bene conosca per conservare la pace!”
La creatura confida all’uomo che essendo ormai libero dalla schiavitù corporea di Slater, potrà finalmente affrontare e distruggere il suo nemico di sempre, poiché essendo incorporeo non ha più limiti, né di tempo né di spazio. Il medico potrà avere una conferma di quanto avverrà osservando la stella Algol (la stella-demonio), simbolo dell’antico nemico. “Stanotte partirò come la Nemesi, portando con me il cataclisma della vendetta. Guardami nel cielo, vicino alla Stella-demonio.” Poi lo saluta.
Ci incontreremo di nuovo, forse nelle nebbie splendenti della Spada di Orione o su un altopiano deserto dell’Asia preistorica; forse in un sogno di questa notte che non riuscirai a ricordare o in una forma completamente diversa, fra un intero ciclo cosmico. E per allora, magari, il sistema solare sarà stato cancellato.”
La notte dopo la morte di Slater viene scoperta una nuova stella, non molto distante da Algol, grazie a una luce così brillante da oscurare le altre stelle vicine. Luce che nel giro di una settimana si fa via via più sbiadita, fino a scomparire quasi del tutto qualche mese dopo.

Lovecraft in una foto del 1915


In questo racconto il tema del sogno, tanto caro all’autore, si fonde con i misteri del cosmo. Un timido tentativo lo si è già visto nel precedente “Stella Polare”, ma è qui che i due mondi apparentemente separati entrano in contatto. E questo è solo l’inizio, perché il tema verrà sviluppato in futuro in molti racconti di HPL, tanto che alla sua scrittura verrà attribuita la denominazione di “narrativa cosmica”.
A proposito del sogno, nell’incipit del racconto – qui riportato – Lovecraft dà un giudizio lapidario sul lavoro di Freud, che ritiene basato su un mero “simbolismo puerile”. Michel Houellebecq, nel suo saggio sullo scrittore di Providence “H.P. Lovecraft – Contro il mondo, contro la vita” (2005) ne dà una motivazione: “… il fatto che Lovecraft non provasse simpatia per Freud, il grande psicologo dell’era capitalista, non è certo sorprendente. Quest’universo di transazioni e di transfert, che dà al lettore l’impressione di essere capitato per sbaglio in un consiglio di amministrazione, non aveva niente che potesse sedurlo. Ma al di là di quell’avversione per la psicanalisi che sarebbe diventata comune a molti artisti, Lovecraft aveva qualche piccolo motivo supplementare per disistimare il ciarlatano viennese. Freud, infatti, si permette di parlare di sogni, e addirittura ne fa il fulcro della propria disciplina. Ma quella dei sogni è una materia che Lovecraft conosce bene, tanto da considerarla una specie di riserva personale. In effetti ben pochi scrittori hanno utilizzato i propri sogni con una sistematicità pari alla sua: Lovecraft raccoglie i propri sogni, li classifica; talvolta lo entusiasmano al punto che ne trascrive di slancio l’intreccio prima ancora di svegliarsi (è il caso di Nyarlathotep); talvolta ne memorizza solo alcuni elementi, per inserirli in una nuova trama; e comunque li prende sempre molto sul serio.”

GK Persei ripresa da Chandra, telescopio orbitale della NASA

Credo ci sia poi un altro motivo per cui Lovecraft disconosca le teorie dello studioso austriaco applicate al sogno. Secondo Freud il materiale onirico è formato da pulsioni in gran parte sessuali (“Quanto più ci si interessa all’interpretazione dei sogni, tanto più si è portati ad ammettere che la maggior parte dei sogni degli adulti tratta di materiale sessuale e dà espressione a desideri erotici.” Da L’interpretazione dei sogni – 1899), e sappiamo che Lovecraft era disinteressato a questo aspetto dell’essere umano, che lo avvicinava agli animali, mentre lui preferiva perseguire il piacere intellettuale ed estetico. Si legge in un passo di una lettera del 14 settembre 1919, scritta a Rheinhart Kleiner: “L’emotività è il legame con gli istinti delle creature più basse, e dunque non dev’essere nutrita e incoraggiata come lo scopo supremo della realizzazione umana. Ciò che l’uomo deve perseguire è il piacere dell’immaginazione non-emotiva, il piacere della pura ragione che si trova nella percezione delle verità. Esso sarà accompagnato quasi sempre da fenomeni emotivi secondari e residui, ma si tratterà di fenomeni rarefatti, dipendenti dalla ragione e dall’immaginazione.”
E ancora, da una lettera di molti anni dopo spedita a J. Vernon Shea, datata 4 febbraio 1934: “Per quanto riguarda i giustamente famosi “fatti della vita”, non ho aspettato che le informazioni mi venissero date da qualcuno, ma all’età di otto anni ho esaurito l’argomento, da solo, servendomi della biblioteca di famiglia (alla quale avevo accesso, anche se non ero particolarmente loquace su questa parte delle mie letture). […] Il risultato fu esattamente l’opposto di quello che i genitori normalmente temono: invece di darmi un interesse abnorme e precoce verso il sesso (come avrebbe finito col fare la curiosità insoddisfatta), le mie letture uccisero quasi del tutto il mio interesse per l’argomento. La questione si ridusse a un prosaico meccanismo che in seguito presi a disprezzare, o comunque a ritenere tutt’altro che affascinante a causa della sua natura totalmente animalesca e separata da tutto ciò che riguarda il bello e l’intelletto. […] Il mio ideale di vita è sempre consistito nel dipendere il meno possibile dal lato animale ed emotivo, che è essenzialmente capriccioso, mutevole e ben presto esaurito; privilegiando, al contrario, l’aspetto astratto e contemplativo che coinvolge i fattori indipendenti e stabili della ragione e dell’immaginazione.”

Sigmund Freud, in una foto del 1922

Si può dedurre che per lo scrittore fosse inammissibile l’idea che le sue visioni oniriche, così colme di maestosità e bellezza, fossero riconducibili a quegli istinti animaleschi da lui tanto deprecati.
Altra tematica appena accennata (che verrà anch’essa sviluppata in futuro) è l’idea della piccolezza e dell’ignoranza in cui vive l’umanità, completamente inconsapevole della realtà del cosmo. La misteriosa entità, nel rivelare al protagonista alcune di queste verità, afferma anche “Quanto poco conosce l’io terreno della vita e della sua estensione! Quanto poco, in verità, è bene conosca per conservare la pace!” Dunque l’ignoranza come ancora di salvezza, perché l’autentica realtà che si nasconde dietro il velo che noi definiamo “reale”, può risultare insopportabile per la mente umana e portare alla follia.

Lovecraft e Rheinhart Kleiner a Providence, davanti alla casa dello scrittore (30 giugno 1919)

Garrett P. Serviss (1851-1929), che compare tra i personaggi citati nel racconto, era un giornalista specializzato nella divulgazione scientifica e astronomica che scrisse anche alcuni romanzi di fantascienza, tra i quali viene ricordato Edison’s Conquest of Mars (1898), perché ideale seguito della “Guerra dei mondi” di H. G. Welles.
Anche la nuova stella che viene scoperta nel racconto esiste nella realtà. È una nova ed è conosciuta come GK Persei. Così come il suo scopritore, Thomas David Anderson (1853-1932), astronomo dilettante scozzese che proprio il 21 febbraio del 1901 si accorse della sua esistenza, grazie alla sua esplosione, che ne aumentò la luminosità di circa 10.000 volte in appena due giorni, riducendosi poi in seguito. A titolo di curiosità, GK Persei, a partire dal 1966, ha avuto esplosioni ricorrenti ogni 3 o 4 anni, con aumenti di luminosità anche superiori a quelle registrate all’epoca della sua scoperta.

Garrett P. Serviss nel novembre 1925


Luoghi: Monti Catskill; Albany, città di provenienza degli alienisti chiamati a visitare Slater.

Personaggi: il protagonista, un medico di cui ignoriamo il nome; Joe Slater, l’uomo che ospita la misteriosa entità eterea; Peter Slader, vittima di Joe; Dottor Barnard, medico che inizialmente tiene sotto osservazione Joe; Dottor Fenton, superiore del protagonista; Garrett P. Serviss, astronomo; Dottor Anderson, di Edimburgo, colui che scopre la nuova stella, situata vicino ad Algol.

Coplay Plaza Hotel, Boston (1912 - 1920)


A fine ottobre HPL si reca per la prima volta a un congresso organizzato dalla stampa dilettantesca. L’evento si tiene nella città di Boston, nella sala da ballo dell’hotel Coplay Plaza, e tra gli oratori c’è anche lo scrittore Lord Dunsany (1878-1957). Lovecraft rimane affascinato dalla sua conferenza, perché riscontra nell’autore irlandese le medesime tematiche (quella onirica su tutte) e finalità cui lui stesso tende con la propria prosa. Per sua stessa ammissione, sarà uno degli scrittori che più condizioneranno la sua opera. Scrive in proposito il 30 luglio 1923 a Clark Ashton Smith: “Dunsany mi ha influenzato più di chiunque altro, con l’eccezione del solo Poe. Il suo stile, il suo punto di vista cosmico, il suo vago mondo di sogno e il suo squisito senso del fantastico, tutto ciò mi affascina più di qualunque altra cosa. Il mio incontro con lui, nell’autunno del 1919, diede grandissimo impulso alla mia attività letteraria.”

Lord Dunsany sulla copertina delle sue Opere Complete (foto scattata a New York nel 1919)


LA NAVE BIANCA

(THE WHITE SHIP, novembre)

Basil Elton è il guardiano del faro di Punta Nord. Prima di lui lo è stato il padre, e ancor prima il nonno. All’epoca di quest’ultimo le navi erano numerose, un po’ meno quelle al tempo del genitore, ma ora si sono fatte così rare che Basil si sente come l’ultimo uomo del mondo. Quando era piccolo ascoltava le storie di terre lontane, a est, che i vecchi lupi di mare avevano raccontato al nonno, che le aveva ripetute al figlio, che a sua volta le aveva raccontate al giovane nelle lunghe sere d’autunno in cui il vento ululava magico da oriente. “Ho letto molto su queste e altre cose ancora; le ho lette nei libri che gli uomini mi davano quando ero giovane e pieno di meraviglia. Ma più stupefacente della sapienza dei vecchi e dei racconti contenuti nei libri, è il segreto dell’oceano. Azzurro, verde, grigio, bianco o nero; liscio, increspato o in tempesta l’oceano non è mai silenzioso. Per tutta la vita non ho fatto altro che guardarlo e ascoltarlo, e ora lo conosco bene. All’inizio mi raccontava semplici storie di spiagge tranquille e porti vicini, ma con gli anni siamo entrati in confidenza e ha cominciato a parlarmi di cose più lontane nel tempo e nello spazio. A volte, al crepuscolo, i grigi vapori dell’orizzonte si sono squarciati per farmi intravvedere ciò che si trova oltre; e a volte, di notte, le acque profonde del mare si sono fatte chiare e fosforescenti per mostrarmi scorci di quello che c’è sotto. Visioni che non sempre corrispondono a ciò che è, ma a ciò che è stato o che potrebbe essere, perché l’oceano è più antico delle montagne ed è ricco dei ricordi e dei sogni del Tempo.”

La Nave Bianca, by Alvaro Nebot (2013)


Una notte di luna piena, appare da sud la Nave Bianca, “scivolava sul mare, silenziosa e tranquilla, sia che il vento fosse favorevole o contrario, sia che le acque fossero calme o agitate; scivolava a vele spiegate, muovendo ritmicamente lunghe e bizzarre file di remi.”
Finché, durante una di queste notti, sul ponte della nave, Basil vede un uomo barbuto e con la tunica che gli fa cenno di imbarcarsi con lui. Dopo altre notti e altri successivi inviti, che non accetta, il guardiano del faro rompe ogni indugio e decide di imbarcarsi col misterioso equipaggio. “La notte che risposi all’invito la luna brillava nel suo pieno fulgore e io mi trasferii a bordo su un ponte di chiardiluna. L’uomo che mi aveva invitato parlava una lingua dolce che conoscevo bene; le ore passarono al canto dei rematori, mentre ci inoltravamo nel sud misterioso ma rischiarato dallo splendore della luna.”
Comincia così il lungo viaggio di Basil per terre sconosciute, se non nel mondo del sogno, che lo porta a toccare le sponde della “Terra di Zar, dimora dei sogni e di tutti i pensieri di bellezza che sfiorano l’uomo una volta e poi vengono dimenticati” senza però mettervi piede, perché si dice che colui che calpesta il suo suolo non tornerà mai più al paese natio. La nave si avvicina poi a Thalarion, Città dalle Mille Meraviglie, dove dimorano tutti i segreti che l’uomo ha cercato invano di esplorare, e da dove nessuno è mai tornato. Seguendo il volo di un uccello le cui piume sono della stessa lucentezza e colore del cielo, la nave arriva a Xura, terra dei piaceri inappagati, poi a Sona-Nyl, la terra della fantasia, dove non esistono né il tempo e lo spazio, né il dolore e la morte, dove l’equipaggio soggiorna per molti cicli e millenni.

Illustrazione di Sergej Schell (2014)

Fino a quando, sempre durante una notte di luna piena, Basil non vede di nuovo l’uccello celeste in volo che lo chiama. Così gli riviene la voglia di mettersi in viaggio, stavolta “per la lontana Cathuria che nessun uomo ha mai visto, ma che si vuole ubicata oltre le colonne di basalto dell’occidente. Cathuria è la terra della speranza dove brillano di perfezione tutti gli ideali dell’uomo, o almeno così si dice.” L’uomo con la barba però è perplesso, perché a Cathuria ci sono mari pericolosi e mentre a Sona-Nyl non ci sono né dolore né morte, nessuno sa cosa si cela oltre i pilastri dell’occidente. Ma l’insistenza di Basil convince l’uomo, così la Nave Bianca si rimette in mare, e mentre il guardiano del faro fantastica sugli splendori che lo attendono, l’uomo con la barba continua a provare a convincerlo a tornare indietro.

FINALE: Giungono infine, dopo trenta giorni di navigazione, ad attraversare le altissime colonne di basalto dell’occidente, avvolte nella nebbia, ma quando quest’ultima si dirada, davanti a loro si para soltanto un mare agitatissimo che trascina la nave verso il frastuono di una cascata. Segue uno schianto, poi le tenebre, e in seguito grida di uomini e di cose che non sono uomini. “Poi, dopo un altro schianto, aprii gli occhi e mi trovai alla base del faro da dove ero partito cicli e cicli prima. Nel buio riuscii a distinguere la sagoma confusa ma imponente di un vascello che aveva fatto naufragio sugli scogli aguzzi, e guardando in alto vidi che il faro era spento per la prima volta da quando mio nonno ne aveva assunto la cura. E nelle ore successive della notte, quando entrai nella torre, vidi solo questo: uno strano uccello morto che aveva le piume azzurre come il cielo e un albero di nave più bianco della spuma delle onde o della neve. In seguito l’oceano non mi raccontò più i suoi segreti; e sebbene, da allora, la luna piena abbia brillato molte volte nel cielo, la Nave Bianca del sud non ha più fatto ritorno.”

Lovecraft Studies n. 18 (1989), illustrazione di Jason Eckhardt

Luoghi: Punta Nord; Terra di Zar, dimora dei sogni e dei pensieri di bellezza che sfiorano l’uomo ma subito obliati; Thalarion, città delle mille meraviglie; Xura, terra dei piaceri inappagati; Sona-Nyl, terra della fantasia; Cathuria, la terra della speranza.

Personaggi: Basil Elton, guardiano del faro di Punta Nord; l’umo barbuto della Nave Bianca; il divino Lathi, signore di Thalarion; Dieb, gran monarca di Cathuria;

Un giovane Lord Dunsany


Dopo l’incontro con Lord Dunsany, Lovecraft comincia a leggere e a studiarne le opere. Affascinato dalla sua scrittura, stila una serie di racconti (circa venti, più un romanzo) ispirati all’autore irlandese. La Nave Bianca rientra appunto tra questi, che la critica in seguito riunirà sotto il nome di “Ciclo dei sogni” (Dream Cycle). Spesso ci si riferisce a questi lavori usando l’aggettivo “dunsaniano”, proprio per le caratteristiche che lo accomunano allo scrittore irlandese. Dunsany faceva parte sia di un movimento letterario chiamato “Rinascimento Celtico” (The Celtic Revival), che si proponeva di recuperare le antiche tradizioni irlandesi nei confronti di quelle inglesi, sia della società esoterica Golden Dawn, che attrasse al suo interno anche il poeta (premio Nobel nel 1923) William Butler Yates, più un nutrito gruppo di scrittori del fantastico, tra i quali Arthur Machen, Bram Stoker, Algernon Blackwood, Arthur Conan Doyle, incidendo sensibilmente sulla letteratura soprannaturale britannica del periodo. Vari storici, tra i quali Giorgio Galli, ravvisano un collegamento fra la Golden Dawn inglese e la germanica Thule Gesellschaft, di cui abbiamo parlato prima.

Il simbolo della Golden Dawn



LA ROVINA DI SARNATH
(THE DOOM THAT CAME TO SARNATH, 3 dicembre)

Millenni fa, sulla riva del lago della terra di Mnar, sorgeva la città di Id, i cui fondatori erano di colore verde, come il lago e le sue nebbie, avevano occhi sporgenti, labbra grosse e flaccide, orecchie strane e non avevano voce. Adoravano un idolo di pietra verdemare, che nella forma ricordava Bokrug, la grande lucertola acquatica. Dopo innumerevoli cicli, gli uomini arrivarono alla terra di Mnar e cominciarono a costruire sulle sponde del medesimo lago la città di Sarnath. Diffidavano degli strani abitanti di Id e col tempo questo sentimento si trasformò in odio. “Più gli uomini di Sarnath osservavano gli abitanti di Ib, più il loro odio cresceva, rinfocolato dalla scoperta che erano creature deboli e che al contatto di pietre, lance o frecce risultavano molli e gelatinose. Così, i giovani guerrieri di Sarnath si misero in marcia verso Ib armati di lancia, arco e fionde. Una volta arrivati massacrarono le creature e gettarono i corpi nel lago con le lance, perché non volevano toccarli; e siccome aborrivano i monoliti scolpiti di Ib, gettarono nel lago anche quelli, chiedendosi come si potessero erigere oggetti così pesanti (in tutta Mnar e nei paesi vicini non c’era niente di simile, ragion per cui dovevano averli portati da lontano).” Presero l’idolo del dio Bokrug e lo portarono al loro tempio come simbolo di vittoria sugli abitanti di Ib. La notte stessa però, sul lago qualcuno vide delle luci verdi e la mattina dopo dell’idolo non c’era più traccia. Il vecchio sacerdote Taran-Ish fu trovato morto a causa di un terribile spavento, ma prima di spirare fece in tempo a tracciare sull’altare il simbolo della distruzione finale.

Copertina dell'edizione della Ballantine Book (1971)


Molti secoli passarono, tanto da far dimenticare quanto avvenuto, la città si ingrandì, crescendo sia in dimensioni che in bellezza, conquistò i popoli vicini e allargò il suo dominio sulle terre circostanti. Ogni anno festeggiava la sua vittoria sulla città di Id, e in quell’occasione le acque del lago si alzavano misteriosamente dalla superficie, respinte dalla poderosa diga di pietra costruita dagli uomini. Arrivato il millesimo anniversario di quella ricorrenza, si organizzarono grandi festeggiamenti, ma coloro che erano nelle torri videro strane luci baluginare sul lago, una misteriosa nebbia verde si levò dalla sua superficie e il livello dell’acqua salì fino a coprire quasi del tutto il gran masso di Akurion, una sporgenza rocciosa che si trovava nei pressi della riva.

FINALE: “Poi, verso la mezzanotte, le porte di bronzo di Sarnath si spalancarono e riversarono una folla impazzita che annerì la pianura, poiché tutti i notabili e i viaggiatori fuggivano in preda al terrore. Sui volti della folla era impressa un’espressione di pazzia che nasceva da un terrore schiacciante, e sulle labbra correvano parole così tremende che nessuno voleva soffermarsi a verificarle. Uomini con gli occhi dilatati dalla paura gridarono a squarciagola ciò che avevano visto nel salone reale, perché attraverso le finestre non apparivano più le figure del re Nargis-Hei e dei suoi notabili e schiavi, ma un’orda di creature indescrivibili, silenziose e con gli occhi sporgenti, le labbra grosse e flaccide e orecchie stranissime; creature che danzavano orribilmente, stringendo nelle zampe piatti d’oro tempestati di gemme da cui guizzavano fiamme grottesche. E principi e viaggiatori che fuggivano dalla condannata Sarnath sui cavalli, cammelli ed elefanti, guardarono un’altra volta il lago avvolto dalla nebbia e videro che il grigio spuntone di Akurion era ormai sommerso.”

Sarnath, by McRassusart (2015)


I racconti di quelli che fuggirono da Sarnath si diffusero ovunque, così nessuno mise più piede nella città. “Passò molto tempo prima che qualcuno osasse avventurarsi da quelle parti, e anche allora solo i giovani della lontanissima Falona ebbero il coraggio di affrontare il viaggio: uomini dai capelli biondi e gli occhi azzurri che non avevano niente in comune con il popolo di Mnar.” Gli avventurosi non trovarono alcuna traccia dello splendore di Sarnath.
Dove un tempo erano sorte mura di trecento cubiti e torri ancora più alte, ora regnava la sponda paludosa; dove un tempo avevano abitato cinquanta milioni di uomini ora strisciavano soltanto le verdi, detestabili lucertole acquatiche. Persino le miniere di metalli preziosi erano esaurite, perché la rovina si era abbattuta su Sarnath. Ma, semisepolto fra le pietre, venne intravisto uno strano idolo verde, un idolo antichissimo incrostato d’alghe e modellato sulla figura di Bokrug, la grande lucertola acquatica. Quell’idolo, conservato nel tempio maggiore di Ilarnek, fu adorato in seguito in tutta la terra di Mnar, sotto la luna calante.”
Tutto questo accadeva diecimila anni fa.

Bokrug, la grande lucertola acquatica, by Borja Pindado (2014)


Anche questa storia sull’immaginaria città di Sarnath deriva da un sogno di Lovecraft e appartiene a quel genere di racconti definiti con l’aggettivo “dunsaniano”. L’autore si lascia andare a lunghe descrizioni sulla città e i suoi splendori, con molti dettagli sul materiale di cui sono stati costruiti i suoi numerosi edifici.
Viene citata la città di Kadatheron, il cui nome ricorda il monte Kadath, di cui l’autore scriverà in futuro.

Luoghi: la Terra di Mnar e il suo lago, presso il quale sorgeva la città di Ib, prima, e poi Sarnath; Thara, Ilarnek e Kadatheron (quest’ultima sul tortuoso fiume Ai), altre città costruite dagli uomini; Pnath, una delle città vinte dagli uomini di Sarnath; Rokol, città lontana alleata di Sarnath;

Personaggi: Taran-Ish, antico sacerdote del tempio di Sarnath; Zokkar, antico re di Sarnath; Nargis-Hei, re di Sarnath; Gnai-Kah, sacerdote.


Qui e sopra: illustrazioni di Krysztof Wronski per Sarnath (2016)


LA DICHIARAZIONE DI RANDOLPH CARTER
(THE STATEMENT OF RANDOLPH CARTER, dicembre)

Vi ripeto, signori, che la vostra inchiesta è inutile. Trattenetemi qui per sempre, se volete; rinchiudetemi o giustiziatemi, se proprio vi occorre una vittima per propiziare l’illusione che chiamate giustizia, ma non posso dire più di quanto abbia già detto. Ho raccontato in perfetta sincerità tutto quello che ricordo: non ho cambiato né nascosto niente, e se c’è qualcosa che rimane nel vago è perché la mia mente è ottenebrata: l’esperienza che ho avuto è orribile e l’orrore è ancora avvolto nel mistero.”
Randolph Carter si trova sotto accusa per la sparizione del suo amico Harley Warren. Insieme sono stati visti dirigersi di notte verso un antico cimitero, dal quale il compagno non è più tornato. Carter conosce Warren da cinque anni; quest’ultimo è un appassionato di occultismo e la sua biblioteca è ricca di testi rari, la maggior parte dei quali in lingua araba, ma quello che ha portato con sé al cimitero la notte incriminata è vergato in una scrittura che non ha mai visto prima. Sa solo che si tratta di un antico testo in caratteri indecifrabili, arrivato dall’India appena un mese prima.
Quanto alla natura dei suoi studi… devo dire ancora una volta che non li capivo fino in fondo? Ora mi sembra una grazia, perché si trattava di cose terribili in cui mi addentravo più per una sorta di riluttante fascinazione che per trasporto naturale. Warren mi dominava e a volte ne avevo paura. Ricordo il gelo che provai, la notte prima della disgrazia, nel vedere la sua espressione quando mi espose la teoria del perché certi cadaveri non si corrompono, ma rimangono sodi e grassi nelle tombe anche per mille anni. Adesso non lo temo più, perché penso che abbia conosciuto orrori che non riesco nemmeno a immaginare. Adesso temo per lui.



Una volta arrivati nel vetusto cimitero, che pare abbandonato da secoli, i due depositano a terra la loro attrezzatura: due lampade elettriche e due badili, più un telefono portatile. Con una certa fatica, rimuovono la lastra di un’antichissima tomba, sotto la quale scende una scalinata in pietra.
A questo punto, Warren intima a Carter di restare in superficie, a causa della fragilità dei suoi nervi. Randolph insiste di voler scendere con lui, ma l’amico minaccia di mandare tutto a monte se non gli obbedisce. Così, Warren prende il rotolo di cavo e si cala all’interno della tomba, mentre Carter rimane seduto ad aspettare su una vecchia lapide, con l’altra estremità del filo telefonico. Poco dopo, il bagliore della lanterna di Warren scompare, mentre anche il fruscio del cavo si fa sempre più distante, fino a scomparire del tutto.
Per più di un quarto d’ora, Randolph rimane da solo, avvolto nel silenzio del cimitero, illuminato solo dalla debole luce della luna. “Poi mi arrivò un lontano ticchettio e chiamai il mio amico con voce tesa. Per apprensivo che fossi, non ero preparato alle parole che salirono dall’abisso né al tono di Harley Warren, il più allarmato e incoerente che gli avessi mai sentito. L’uomo che poco prima mi aveva lasciato con tanta impassibilità, ora mi parlava in un balbettio a fior di labbra che faceva più effetto di un urlo: - Dio, se potessi vedere quello che sto vedendo io! Non riuscii a rispondere: senza parole, non mi restava che aspettare. Poi tornarono le sillabe spezzate: - Carter, è terribile… mostruoso… incredibile!

Numero di The Vagrant dove apparve La dichiarazione di Randolph Carter (maggio 1920)


Stavolta la voce non mi tradì e feci una serie di domande concitate. Ma soprattutto continuavo a ripetere: Warren, che cos’è? Che cos’è? La voce del mio amico era rauca dalla paura e ora, credetti, incrinata dalla disperazione: - Non posso dirtelo Carter! È troppo al di là di quello che possiamo concepire… Non oso dirtelo, nessuno può saperlo e continuare a vivere! Gran Dio, non avrei mai immaginato QUESTO!”
Seguono momenti frenetici in cui Harley prega Randolph di chiudere la lastra di granito della tomba e di scappare via. Nonostante la paura però, Carter non ce la fa ad abbandonare l’amico, e gli comunica l’intenzione di scendere ad aiutarlo. A questo punto Warren cambia tono, che non è più smanioso, bensì rassegnato. “Cercai di non dargli retta, di vincere la paralisi che mi stringeva e mantenere la promessa di aiutarlo. Ma il suo prossimo bisbiglio mi trovò ancora imprigionato dalle catene dell’orrore. – Carter, fai presto! È tutto inutile… devi andare… Meglio uno che due… la lastra… Una pausa, altri disturbi e poi una voce debolissima di Warren: - Ormai è quasi finita… non rendere le cose più difficili… copri quei maledetti gradini e salvati la vita… Stai perdendo tempo… Addio, Carter, non ci rivedremo più. Qui i sussurri di Warren si trasformarono in un lamento, poi il lamento diventò un urlo carico del terrore di tutti i tempi… - Maledizione a quelle cose infernali… legioni… Mio Dio! Corri, corri, via!
Poi fu il silenzio. Non so per quanti secoli rimasi impietrito dov’ero, borbottando o gridando al telefono. Più volte, in quel periodo interminabile, sussurrai, implorai, urlai: - Warren! Warren, rispondimi, sei là?”

Numero di Weird Tales dove fu pubblicata La testimonianza di Randolph Carter (febbraio 1925)

FINALE: “Poi venne l’orrore supremo, la cosa inconcepibile e quasi irriferibile. Ho detto che dopo l’ultimo urlo di Warren sembrarono passare secoli e che solo le mie grida rompevano l’orribile silenzio. Ma dopo un poco il ricevitore trasmise un altro ticchettio e io tesi le orecchie per ascoltare. Gridai ancora: - Warren, sei là? E in risposta sentii la frase che mi ha oscurato il cervello. Signori, non cercherò di spiegare cosa fosse, a chi appartenesse quella voce, né cercherò di descriverla bene, perché le prime parole mi fecero perdere conoscenza e crearono un vuoto mentale che si dissolse un poco solo quando mi ripresi in ospedale. Dirò che era profonda, rauca, tremolante, remota, ultraterrena, inumana, incorporea? A che servirebbe? Fu la fine della mia esperienza, come è la fine di questa storia. La sentii e persi contatto con il mondo, la sentii mentre stavo pietrificato in quel cimitero sconosciuto, fra le tombe cadenti e i monumenti in rovina, la vegetazione marcita e i vapori mefitici. La sentii con chiarezza, dal profondo della maledetta tomba aperta, mentre guardavo le ombre amorfe e necrofaghe danzare sotto un’orribile falce di luna. E questo è ciò che disse: - IDIOTA, WARREN È MORTO!”

Disegno di Andrew Brosnatch (1896-1965), illustratore di Weird Tales

Un antico testo di occultismo senza nome proveniente dall’India. Un vecchio cimitero. Una discesa nel sottosuolo in cerca della prova che certi cadaveri non si corrompono, ma rimangono sodi e grassi nelle tombe anche per mille anni. Sono gli elementi di questo riuscitissimo racconto, che dimostra ancora una volta come niente faccia più paura di ciò che non si vede.
Il personaggio di Randolph Carter appare qui per la prima volta, nei panni di un riluttante curioso di occultismo. Non è ancora l’esploratore del mondo dei sogni che diventerà in seguito, ma nonostante ciò è già in buona parte l’alter ego di Lovecraft. Anche lui infatti ama i vecchi cimiteri, la notte, le tematiche sovrannaturali e i libri, soprattutto quelli antichi.
Anche in questo caso, il racconto deriva da un sogno, e l’aderenza è davvero impressionante. HPL ce lo descrive in modo dettagliato in una lettera datata 11 dicembre 1919, destinata agli amici Alfred Galpin e Maurice W. Moe. Quest’ultimo era un assiduo corrispondente di HPL. Uomo colto, esperto di lingue antiche e fervido credente (i temi che i due affrontano spesso nella loro corrispondenza sono quelli relativi alla religione, naturalmente su fronti contrapposti), era un insegnante d’inglese. Lovecraft lo aveva conosciuto nel 1914, nell’ambito del giornalismo dilettante. Se si confrontano il testo della lettera e quello del racconto, si può vedere come alcuni passi del primo vengano riportati quasi fedelmente nel secondo. I protagonisti del sogno sono lo stesso Lovecraft, che nella novella diventerà Randolph Carter, e Samuel Loveman (1887-1976), che diventerà Harley Warren.

La Dichiarazione di Randolph Carter, by Krysztof Wronski (2016)


Loveman è un altro amico di penna dello scrittore, ha fatto parte per un breve periodo del giornalismo dilettante, è un poeta (che Lovecraft stima) e vanta anche una notevole collezione di libri rari, prime edizioni e perfino incunaboli. Ma è un ebreo – pare avesse anche tendenze omosessuali – e questo porta Lovecraft ad avere dei pregiudizi nei suoi confronti, purtroppo molto comuni all’epoca tra la classe media americana. Però, al contrario dello scrittore, ha servito nell’esercito durante la Prima Guerra Mondiale. Giuseppe Lippi ipotizza che alla base del sogno di HPL possa esserci una sorta di invidia nei confronti di Loveman, dovuta sia alla sua preziosa collezione di libri, sia per la sua partecipazione alla guerra. Per cui la terribile fine dell’amico altro non sarebbe che una sorta di vendetta inconscia attuata da Lovecraft. Qui di seguito riporto le parole usate dallo scrittore nella lettera, nel momento che Loveman si appresta a entrare nella tomba.
Mi spiace doverti chiedere di restare in superficie, ma se venissi giù con me non risponderei delle conseguenze. Francamente, non so se un sistema nervoso come il tuo possa reggere un’esperienza del genere. Non puoi immaginare quello che dovrò fare e vedere, neppure se pensi a ciò che è scritto nel libro che ti ho rivelato; a meno di non avere nervi d’acciaio, non c’è uomo che possa andare laggiù e uscirne vivo o sano di mente. Comunque, non è posto per uno che non ha superato l’esame di idoneità fisica dell’esercito.”

Samuel Loveman (1887-1976)

The Hermaphrodite, poema di Loveman (1936)

Il cenno all’esame di idoneità non appare nella versione del racconto, e questo potrebbe essere un elemento a conferma dell’ipotesi fatta da Lippi.
Per ciò che riguarda invece il peso che hanno i sogni nella creazione dei racconti dello scrittore di Providence, ecco le parole conclusive della lettera: “Bene, ecco il mio incubo! Nel sogno persi conoscenza e quando mi riebbi ero sveglio, con un mal di testa fuori serie! Ancora non riesco a venire a capo della vicenda, ignoro a cosa dessimo la caccia (sopra o sottoterra) e a chi appartenesse l’orribile voce finale. Ho letto storie di demoni e cimiteri, ma che diavolo, il mal di testa con cui mi sono svegliato era peggio del sogno in sé! Loveman scoppierà a ridere quando glielo racconterò. A suo tempo sfrutterò la situazione per un racconto, come ho già fatto con “The Doom that Came to Sarnath”, in cui è incorporata un’altra visione notturna. Mi domando se abbia il diritto di considerarmi autore delle cose che sogno. Detesto impossessarmi di immagini che non ho elaborato con la mente cosciente, ma se non lo faccio io, chi potrà usarle? Coleridge non esitò a dichiararsi autore del Kubla Khan, quindi penso che farò lo stesso con l’affare del cimitero e questo è quanto. Credetemi, è stato un brutto sogno!”

Luoghi: il picco di Gainesville; la palude di Big Cypress.

Personaggi: Randolph Carter, protagonista del racconto; Harley Warren, amico di Randolph Carter; una misteriosa creatura.




(fine 2a parte)

Sergio Climinti


Note. 

Per stilare la seguente biobibliografia ho fatto riferimento ai quattro volumi editati dalla Mondadori tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, "Tutti i racconti" (più volte ristampati) e il volume "Lettere dall’altrove" (1993) una selezione di lettere estratte dal vasto epistolario dell’autore, tutti curati da Giuseppe Lippi. Più il poderoso mammut dedicato a Lovecraft dalla Newton Compton, "Lovecraft Tutti i romanzi e i racconti" (2011, quarta edizione) a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco. Oltre naturalmente a una serie di siti sul web, su tutti "The H. P. Lovecraft Archive", consultato per una più precisa cronologia delle sue opere.
- La sottolineatura che appare nei titoli dei racconti originali (tra parentesi), sta ad indicare il filo comune che li lega al famoso “Ciclo di Arkham”, o “Miti di Cthulhu”.
- I titoli dei racconti non in grassetto sono quelli giovanili, quelli scritti in collaborazione e quelli che destinava ai suoi corrispondenti, che non era interessato a pubblicare.
- La data che compare, a volte, dopo il titolo in lingua originale (che si trova tra parentesi) si riferisce a quella di stesura.
- I racconti scritti in collaborazione sono divisi fra “revisioni primarie” (r. p.) per quei lavori scritti per la maggior parte dall’autore, e “revisioni secondarie” (r. s.) fatte di interventi tesi per lo più a migliorarli. Tali sigle sono riportate tra parentesi, dopo il nome dell’autore che ha lavorato con Lovecraft.
- Il corsivo usato all’interno dei racconti ne individua il testo originale, nella traduzione (la maggior parte dei quali di Giuseppe Lippi) offerta dai quattro volumi della Mondadori sopra indicati.
- Al termine alcuni racconti la parola FINALE avverte il lettore che nelle prossime righe viene svelato il finale della storia.

N.B. Trovate i link a tutte le puntate della bibliografia lovecraftiana in Lovecraftiana & kinghiana; trovate tutti i link letterari nella Biblioteca di Altrove.

P.S. Questo è il 1100° post pubblicato da Dime Web!

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