di Sergio Climinti
Lovecraft nella sua biblioteca privata |
1918
Pubblica
professionalmente alcune poesie su The National Magazine di
Boston. Diffonde
in Inghilterra Hesperia, una sua rivista manoscritta, dove
appare la conclusione di un racconto oggi andato perduto, The
Mystery of Murdon Grange. Fa
amicizia con Clifford M. Eddy (1898-1967), anche lui di Providence e
futuro autore di racconti horror. Per lui Lovecraft riscriverà
quattro racconti come revisore.
Cliffor M. Eddy (1896 - 1967) |
LA STELLA POLARE
(POLARIS, maggio?)
Dalla
finestra settentrionale della sua camera il protagonista di questo
breve racconto osserva costantemente il panorama fuori, costituito da
una palude circondata dagli alberi, di un cimitero posto sulla
sommità di una collina e della volta celeste, con le sue numerose
stelle, tra le quali spicca la presenza immutabile della Stella
Polare, brillante di luce arcana. “Poco prima dell’alba,
Arturo ammicca rossastra sul cimitero che sovrasta la collina, e la
Chioma di Berenice si accende fantastica, in lontananza, verso il
misterioso Oriente. Ma la Stella Polare ghigna sempre dallo stesso
punto della volta nera, sinistra come un occhio folle che guardi in
continuazione e tenti di trasmettere uno strano messaggio, senza
riuscire a ricordare quale: sa soltanto che un tempo il messaggio
c’era.” Solo quando il cielo è coperto dalle nubi l’uomo
riesce a riposare. In una di queste circostanze, si addormenta
profondamente.
“Fu
sotto una falce di luna bianca che vidi per la prima volta la città.
Sorgeva, immobile e sonnolenta, su un misterioso altopiano in mezzo a
una depressione circondata da montagne fantastiche. Mura, torri,
pilastri, cupole e strade erano di marmo sepolcrale, e dalle strade
si alzavano colonne che in cima avevano scolpite le immagini di
uomini severi e barbuti. L’aria era calda e immobile nel cielo, a
dieci gradi scarsi dallo zenith, brillava l’occhio della Stella
Polare. Guardai a lungo la città, ma il giorno non spuntava: e
quando la rossa Aldebaran, che splendeva bassa nel cielo senza
tramontare, ebbe percorso un quarto dell’orizzonte, mi accorsi che
nelle strade e nelle case c’erano luce e movimento. Individui
stranamente vestiti, ma d’aspetto nobile e familiare, camminavano
all’aperto e sotto la falce di luna discutevano la loro scienza in
una lingua che io capivo, pur essendo diversa da tutte quelle che
avevo conosciuto.”
Il
sogno diventa ricorrente, e se al principio l’uomo si limita a
osservare la città senza farne parte, in seguito arriva ad avere una
consistenza corporea e a interagire con quella gente misteriosa, ma
non da estraneo, bensì da appartenente alla stessa comunità. Scopre
così che si tratta della razza di Lomar (alti e con gli occhi
grigi) e che la città si chiama Olathoë, situata in un
territorio al Polo Nord, ed è assediata da creature ostili, gli
Inuto (demoni tarchiati, gialli e senza pietà), giunti da
occidente per saccheggiare i confini di quel regno.
Polaris, by Mark Foster (2014) |
Il
sognatore è un soldato al quale è stata affidata la missione di
presidiare una delle torri di difesa, eretta a protezione di una
stretta gola dalla quale gli Inuto potrebbero passare.
Malauguratamente, sotto l’influsso della diabolica Stella Polare,
l’uomo si addormenta.
“…
la
testa mi girava ed era pesante, finché si abbassò sul petto e mi
trovai immerso in un sogno: l’orribile Stella Polare ammiccava,
attraverso una finestra, sugli orribili alberi di una palude onirica.
Sto ancora sognando.” Al risveglio, l’uomo è convinto che la
realtà in cui vive sia un sogno dal quale il suo vero se stesso,
ovvero il soldato addormentato, non si è ancora destato e si
tormenta nel rimorso di non potersi svegliare per salvare l’amata
città di Lomar dall’invasione dei nemici, mentre le persone
attorno a lui affermano che si tratta solo della sua immaginazione.
“Dicono
che la terra di Lomar esiste solo nelle mie fantasie notturne, che
nelle regioni dove la Stella Polare brilla alta nel cielo e Aldebaran
striscia lungo l’orizzonte non c’è altro che neve e ghiaccio da
migliaia di anni e che l’uomo non ci si è mai avventurato, a parte
una razza di individui gialli e tarchiati, che qui chiamano
“eschimesi”.”
Emblema della Società Thule |
Prima
storia a tema onirico di Lovecraft, che per l’appunto trae
ispirazione da un sogno, come frequentemente gli accadeva. Il tema
del viaggio onirico, unito alla sensazione data dall’incertezza fra
mondo reale e mondo sognato, ricorrerà spesso in molti racconti,
almeno fino al 1926. Così come i suoi personaggi principali, divisi
tra queste due dimensioni, che convoglieranno nella figura di
Randolph Carter, protagonista per antonomasia di alcune avventure nei
territori del sogno.
Secondo
il critico William Fulwiler, “La Stella Polare” costituirebbe uno
dei racconti più autobiografici dell’autore, perché rifletterebbe
la sua frustrazione e il suo senso di colpa per non aver partecipato
alla Prima Guerra Mondiale. Sappiamo infatti che il suo tentativo di
arruolarsi non andò a buon fine...
Il
mondo utopistico della razza dei lomariani ricorda il mito di Thule,
isola leggendaria che si immaginava tra i ghiacci del Polo Nord e che
fu alla base della formazione del gruppo occulto tedesco della
Società Thule, fondata nel 1910 e caratterizzata da un forte
nazionalismo e antisemitismo. Costoro identificavano nel mito di
Thule l'origine della supremazia della razza ariana (rappresentata da
un’etnia dai capelli biondi, gli occhi azzurri e la pelle chiara)
su tutte le altre razze, che in tempi remoti avrebbe dominato il
mondo. Una specie che in seguito, imbastarditasi per essersi
accoppiata con membri di razze inferiori, perse per questo il potere
e decadde. Tutto ciò sembra fare il paio con la xenofobia di cui era
vittima Lovecraft – e che ne influenzò sia il pensiero che l’opera
narrativa - il quale, nello scegliere il nome dei nemici dei
lomariani, inventa il termine Inuto, che ha una curiosa assonanza con
il nome “Inuit”, uno dei due gruppi maggiori nei quali sono
divisi gli eschimesi. Per una sorta di strano contrappasso,
l’archeologia ha attribuito proprio il nome “Thule” agli
antichi progenitori degli Inuit canadesi. Anche se questa scelta
deriva dalla città che porta lo stesso nome, sita nella Groenlandia
nordoccidentale, dove sono stati trovati per la prima volta i resti
archeologici di questa civiltà.
Polaris, by Ricardo Garijo (2014) |
Vengono
citati per la prima volta I manoscritti Pnakotici, che nel
mondo di Lomar danno al protagonista “la conoscenza dei cieli”.
Si tratterebbe dunque di un testo di astronomia. È uno dei libri proibiti che, come il più famoso Necronomicon, popoleranno
alcune storie future.
Gli
Gnophkeh, che qui vengono descritti semplicemente come cannibali,
pelosi e dalle braccia lunghissime, verranno citati anche in un
racconto futuro, “L’orrore nel museo” (1932), scritto in
collaborazione con Hazel Heald. In questo caso però, HPL vi
aggiungerà altri dettagli, trasformandolo in una creatura dei
ghiacci fornita di un corno puntuto e di ben sei zampe, riscrivendone
inoltre il nome con una grafia diversa: “Gnoph-keh”.
Luoghi:
Zobna, antica terra d’origine dei lomariani; Olathoë, la città
sotto assedio dove si trova il protagonista, situata sull’altopiano
di Sarkis, fra i monti Noton e Kadiphonek; Daikos, città lomariana
caduta sotto l’urto degli Inuto; Lomar, città principale dei
lomariani; la valle di Banof, che la sentinella osserva in lontananza
dalla sua torre di avvistamento; la torre di Thapnen, nome della
torre di avvistamento dove monta la guardia il protagonista.
Personaggi:
gli Gnophkeh, cannibali pelosi dalle lunghissime braccia, che gli
antenati dei lomariani affrontarono in un lontano passato; Alos,
comandante di tutte le forze dell’altopiano e amico del
protagonista; gli Inuto, nemici attuali dei lomariani.
Gnoph-keh, by Caberwood (2014) |
Il
6 luglio Rheinhart Kleiner (1892-1949) si reca a Providence per
conoscere Lovecraft di persona. Poeta e scrittore dilettante
newyorkese, Kleiner è uno dei primi – nonché uno dei maggiori –
corrispondenti dello scrittore e lo sarà per tutti gli anni a
seguire.
Il
14 novembre muore Edwin E. Phillips (1864-1918), zio di Lovecraft
(unico figlio maschio di Whipple Van Buren Phillips), senza lasciare
alcun erede.
HPL inizia
a scrivere il Commonplace Book, un taccuino dove annota idee,
immagini e impressioni con l’intenzione di usarle per i suoi futuri
racconti. Alcune di queste lo diventeranno, ma la maggior parte non
verrà mai sviluppata. Tutte hanno un titolo, nonostante spesso si
tratti di frasi brevi, scritte prevalentemente per mettere in moto il
personale processo creativo dello scrittore, il quale prestava
generosamente il taccuino a quegli amici che avevano intenzione di
cimentarsi in una loro composizione.
Rheinhart Kleiner (1892 - 1949) |
IL
PRATO VERDE
(THE GREEN MEADOW, 1918-1919)
(THE GREEN MEADOW, 1918-1919)
in
collaborazione con Winifred V. Jackson (r. p.)
Sulle
coste del Maine, la sera del 27 agosto 1913, uno strano oggetto
infuocato proveniente dallo spazio precipita in mare. La mattina
dopo alcuni pescatori lo recuperano e scoprono che si tratta di una
pietra semi-metallica. Spedita a Boston per analizzarla, viene
trovato al suo interno un librino di trenta pagine, scritto in greco
antico risalente al secondo secolo avanti Cristo. All’interno di
questa specie di taccuino, fatto di una materia sconosciuta, si può
leggere un testo che purtroppo non è integrale. Il misterioso
estensore che ha redatto queste pagine racconta una sua esperienza
diretta. Si trova completamente solo in uno spazio di terra dove da
una parte c’è il mare e dall’altra una foresta. La sensazione di
non voler conoscere cosa si nasconda nella foresta gli fa provare
brividi di paura. Si sente estraneo a questo ambiente che lo
circonda, perché ha la certezza che quello che vede sia solo
apparenza, che nasconda entità ostili. All’improvviso, nel mare
appare un prato verde, mentre il suolo comincia a tremare. Il pezzo
di terra su cui si trova si stacca dalla riva e comincia a dirigersi
verso il mare aperto. “Fu allora che sentii, a una distanza
incommensurabile, un rumore di cascata. Non una delle banali cascate
che avevo conosciuto in passato, ma il fragore che sentirebbero nella
lontana Scizia se tutto il Mediterraneo venisse precipitato
nell’abisso. Il mio isolotto avanzava verso la cataratta, eppure
ero contento.”
Qui e sopra: edizioni ebook del Prato verde |
Dietro
di lui, nubi oscure avvolgono la lingua di terra sulla quale si
trovava prima e cose terribili e straordinarie avvengono, ma il
misterioso testimone non riporta quanto vede. Poi una nebbia ricopre
tutto alle sue spalle, e al suo dissiparsi la foresta e la terra non
ci sono più, inghiottite forse dal mare. Dal Prato comincia a
provenire uno strano canto, di cui non capisce il significato delle
parole, ma la melodia gli ricorda alcuni versi che in passato aveva
tradotto da un antico testo egizio su antichissime forme di vita che
prima dell’uomo popolavano la Terra.
“Se
le parole erano del tutto incomprensibili, la melodia risvegliò in
me una bizzarra concatenazione di idee e ricordai i versi inquietanti
che una volta avevo tradotto da un libro egiziano, e che a loro volta
erano tratti da un papiro dell’antica Meroe. Nella mia mente si
succedevano parole che temo di ripetere e che parlavano di
antichissime forme di vita, cose che popolavano il mondo nei giorni
in cui era estremamente giovane: creature che pensavano, si muovevano
ed erano vive, ma che gli uomini e gli dei non avrebbero considerato
vive. Era uno strano libro.”
Quando
si approssima al Prato, riesce a vedere solo delle sagome imponenti
che si muovono tra la vegetazione: è da queste misteriose creature
che il canto sembra provenire. Poi riesce finalmente a vedere da dove
arriva il canto, ma non ci informa sulla sua natura.
Ammette che farebbe impazzire chiunque e che ora è conscio della sua
trasformazione, oltre a quella che altri uomini in passato hanno
subito. Il pezzo di terra dove si trova lo sta portando verso la
cascata; proverà a spedire un messaggio dall’abisso profondo che
si spalancherà sotto di lui. “Vivrò in eterno, conserverò la
coscienza in eterno, anche se la mia anima supplicherà gli dei per
avere la grazia della morte e dell’oblio… È tutto
davanti a me: oltre le cascate assordanti c’è la terra di
Stethelos, dove i giovani sono infinitamente vecchi… Il Prato
Verde… Spedirò un messaggio attraverso l’orrendo, sconfinato
abisso…”
Arrivato
a questo punto, il manoscritto diventa illeggibile.
Edizione di The Vagrant dove apparve per la prima volta Il Prato Verde (Primavera 1927) |
Si
tratta della prima collaborazione letteraria dell’autore ed è un
racconto davvero particolare. Scrive in proposito Lovecraft in una
lettera del 4 giugno 1921, destinata a Frank Belknap Long: “Il
Prato Verde ha una storia singolare. Inizia con una mia visione:
la scena della foresta e della spiaggia sono ricavate da un mio
sogno, dal quale ho tratto la prima parte di una storia in forma di
un frammento dal quale, successivamente, intendevo ricavare una
narrazione più lunga. In seguito, l’ho mostrato a Miss W. V.
Jackson che si stupì moltissimo nel notare come il frammento
corrispondesse esattamente a un sogno fatto da lei, che era molto più
ampio del mio. Mi feci raccontare tutto il sogno e disegnare una
mappa della scena apparsale nella visione notturna; quindi decisi di
abbandonare la trama che avevo già in parte delineato per seguire lo
sviluppo del sogno della Jackson. E così ho fatto, aggiungendo una
nota introduttiva completamente inventata da me.”
Luoghi:
Villaggio costiero di Potowonket (Maine); Stethelos (terra del
sogno).
Personaggi:
John Richmond, Peter B. Carr, Simon Canfield, pescatori; Richard M.
Jones, dottore e autorità scientifica locale; il dottor Johnson, di
Boston, colui che, incaricato di analizzare la misteriosa pietra nel
suo laboratorio, trova il misterioso libriccino; il professor Chambers,
di Harvard; Rutherford, il paleografo che ha trascritto il testo del
librino; prof. Mayfield, del MIT, il quale afferma che la pietra è
un meteorite; il dottor von Winterfeldt, di Heidelberg, che non
condivide la valutazione del collega del MIT; il prof. Bradley, del
Columbia College.
Winifred V. Jackson (1876 - 1959) |
1919
La
madre Sarah Susan Phillips viene ricoverata in una clinica per
malattie nervose (il Butler Hospital, la stessa struttura che aveva
ospitato il marito) in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni
fisiche e mentali. Come il consorte, anche lei non ne uscirà più.
Una cartolina del Butler Hospital, dove vennero ricoverati in anni diversi i genitori di HPL |
MEMORIA
(MEMORY,
giugno)
Sulla
Valle di Nis, dove la natura domina, con le sue foreste e un fiume
che le attraversa, alcuni antichi edifici emergono qua e là, ormai
ridotti a rifugio per animali. In questo contesto il Genio dei Raggi
di Luna interroga il Demone della Valle su chi fossero i costruttori
di queste vestigia. “Io sono la Memoria e so molto del passato,
ma anch’io sono invecchiato. Le creature di cui mi domandi
somigliavano all’acqua del fiume Than, che nessuno potrà mai
spiegare. Non so più quali fossero le loro imprese, perché durarono
un attimo; anche il loro aspetto mi è vago, ma era simile a quello
delle piccole scimmie. Il nome della loro razza, tuttavia, mi è
rimasto impresso per un’assonanza con quello del fiume: quelle
creature del passato si chiamavano Uomini”.
Una
brevissima narrazione per raccontare una visione originata da un
sogno. È uno dei cosiddetti prose poems, ovvero poesia in
prosa, firmato con lo pseudonimo di Lewis Theobald. L’assonanza di
cui parla il demone è quella tra le parole inglesi Than (nome
scelto per il fiume) e Man (Uomo).
Luoghi:
la Valle di Nis; il fiume Than.
Memory, by Kim Holm (2014) |
SACCO DI PULCI - Un'estemporanea storia lacrimosa di Marcus Lollius, proconsole della Gallia
(OLD BUGS - An Extemporaneous Sob Story by Marcus Lollius, Proconsul pf Gaul) (luglio)
(OLD BUGS - An Extemporaneous Sob Story by Marcus Lollius, Proconsul pf Gaul) (luglio)
“Il
locale di Sheehan è il centro riconosciuto del traffico clandestino
di liquori e narcotici di Chicago…”
Facile immaginare che tipo di fauna popoli un posto del genere. È
qui che tempo prima fece la sua comparsa uno strano individuo,
all’apparenza uguale ai soliti avventori del locale ma ancor più
spregevole di tutto quel disdicevole ambiente. “Una sera entrò
come un pazzo nel locale di Sheehan, schiumando dalla bocca e
gridando il suo bisogno di whiskey e hashish; gliene avevano data una
dose in cambio della promessa di fare qualunque tipo di mestieri e da
quel giorno lui era rimasto, lavando pavimenti, pulendo bicchieri e
dedicandosi a centinaia di incombenze simili, in cambio del liquore e
delle droghe che gli erano necessarie a mantenersi vivo e sano di
mente.” Nessuno sapeva da dove venisse questo curioso
ubriacone, ma a volte tradiva un’appartenenza a una classe più
elevata del resto della gente che lì si riuniva. Infatti il suo modo
di esprimersi suscitava la meraviglia degli avventori e spesso
contemplava con un certo rimpianto la foto di una bella ragazza,
ritratta in abiti altolocati, che teneva sempre con sé. Un giorno un
damerino, Alfred Trever, per provare un’esperienza di quelle forti,
decise di andare a ubriacarsi nel locale di Sheehan. Questo giovane
dell’alta società era attratto dai vizi. “Forse la sua
tendenza agli eccessi era la logica conseguenza della repressione cui
era stato sottoposto in casa, ma la signora Trevor aveva le sue buone
ragioni per educare il figlio con estrema severità. Fin da giovane,
infatti, una disavventura personale con un ex-fidanzato le aveva
ispirato un profondo orrore del vizio e l’aveva segnata per
sempre.” Lo strano individuo fece di tutto per convincere il
giovane Alfred a non toccare neanche un goccio di alcool, perfino
ricorrendo alle maniere forti. Fu così che scoppiò un tafferuglio,
intervenne la polizia e il vecchio barbone, colto da un’agitazione
tale da portarlo al parossismo, cadde a terra morto. Quando la
polizia lo perquisì per conoscerne l’identità, il giovane Trever
scoprì che la vecchia foto ritraeva sua madre da giovane.
Lovecraft davanti alla sua casa al 598 di Angell Street a Providence, giugno 1919 |
Racconto
che si discosta dalla maggior parte della produzione letteraria
dell’autore, condito com’è di elementi realistico-umoristici.
Anche questa novella fa parte di quelle storie che l’autore non
scrisse per la pubblicazione. Nacque infatti in risposta al giovane
amico e corrispondente Alfred Galpin (1901-1983), che precedentemente
gli aveva inviato una lettera nella quale raccontava la sua prima
esperienza con l’alcool, voluta provare il giorno prima
dell’entrata in vigore del Proibizionismo, tanto per vedere quale
effetto gli avrebbe suscitato. Scrive lo stesso Galpin: “… mi
affrettai a comprare una bottiglia di whisky e una di porto
nell’ultimo giorno che precedette il Proibizionismo, e me ne andai
tra i boschi al di là del campo da golf di Appleton (Wisconsin) a
bere come una spugna. […] Apparentemente la lettera che scrissi a
H.P.L. in quell’occasione era una delle mie avventure più riuscite
nell’umorismo, ma l’effetto principale che fece su Howard fu
quello di farmi mettere in guardia contro il Demone del Rum”.
Lovecraft infatti detestava l’alcool, e Galpin ritiene che questo
racconto sia il suo personale opuscolo contro l’uso delle bevande
alcoliche, scritto nei giorni che seguirono l’avvento del
Proibizionismo. Curiosamente, il Rhode Island fu l’unico Stato
dell’Unione (assieme al Connecticut) a votare contro il
Proibizionismo.
Alfred Galpin (1901 - 1983) |
Alfred
Galpin è stato uno dei primi amici di Lovecraft. Iniziò con lui un
rapporto epistolare fin dall’adolescenza, introdotto dal suo
professore Maurice W. Moe, già corrispondente dello scrittore.
Divenne in seguito professore di letteratura francese e italiana
all’Università del Wisconsin, e dopo la pensione, anche per una
questione di problemi di salute, andò a vivere in Italia, con la sua
seconda moglie, a Montecatini Terme. Apprezzato musicista, dopo la
morte dell’amico, avvenuta nel 1937, compose una sonata per
pianoforte intitolata Lament for HPL.
Luoghi:
Chicago, la Sala da biliardo di Sheehan.
Personaggi:
“Sacco di Pulci”, ovvero Galpin; Sheehan, proprietario della sala
da biliardo; Alfred Trever, il giovane damerino in cerca di forti
emozioni; Pete Shultz, il “recluta-pivelli” del locale; Karl
Trever, padre di Alfred; Eleanor Wing, madre di Alfred.
"L'ultima chiamata" (per la vendita degli alcolici) prima dell'entrata in vigore del Proibizionismo |
LA TRANSIZIONE DI JUAN ROMERO
(THE
TRANSITION OF JUAN ROMERO, 16 settembre)
Tra
il 18 e il 19 ottobre del 1894, in una miniera dalla quale si estrae
l’oro, una voragine si spalanca in seguito ai lavori di scavo. Il
testimone di questi avvenimenti non si rivela, ma possiamo capire che
è presumibilmente un inglese emigrato negli Usa, perché afferma di
essere stato nell’esercito in India. Costui fa amicizia con un
operaio messicano grazie a un anello con particolari geroglifici che
ha portato con sé dall’India, che per il suo compagno di lavoro ha
un’attrattiva che va oltre il valore intrinseco dell’oggetto e
affonda in un passato ancestrale del quale nulla ci viene rivelato.
In una notte di tempesta, il messicano sveglia il protagonista
chiedendogli se non sente anche lui delle pulsazioni nel terreno.
“Sotto di me, nel profondo della terra, si udiva un suono, o
meglio un ritmo, proprio come aveva detto il peone; e benché
lontanissimo, sovrastava sia il verso del cane che quello del coyote
e il fragore in aumento del temporale. Sarebbe inutile tentare di
descriverlo, perché era qualcosa che sfugge alle parole. Potrei
paragonarlo al pulsare dei motori nel cuore di un piroscafo come lo
si sente dal ponte, ma non era altrettanto meccanico, non era del
tutto privo degli attributi di vita e coscienza. Delle sue qualità
quella che mi colpì maggiormente fu la lontananza nella terra.”
L’anello indù comincia a brillare a ogni lampo che appare nel
cielo e i due si sentono attratti dalla voragine. Escono dagli
alloggi e si dirigono verso il pozzo che conduce all’abisso.
“Mentre scendevamo nel pozzo, il ritmo pulsante si fece
articolato. Ai miei orecchi suonava come un’orribile litania
orientale, con battere di tamburi e un coro di molte voci.”
Volume della Arkham House del 1944 in cui appare per la prima volta il racconto La Transizione di Juan Romero |
Durante la loro discesa nelle viscere della montagna, una particolare nota, diversa dalle altre, si inserisce nell’inquietante melodia e a quel punto il messicano distacca l’amico, cominciando a correre e a urlare in una misteriosa lingua mai udita prima, della quale l’altro comprende solo una parola, ripetuta più spesso delle altre, Huitzilopochtli. Poi, il messicano precipita di proposito nell’abisso, attratto da una cacofonia di suoni e voci, e quando l’amico si affaccia sul bordo del baratro, gli sembra di vederlo in compagnia di altre vaghe sagome... Poi l’oblio. Si sveglia su una branda, con accanto il corpo morto del messicano. Entrambi non si sono mai allontanati dagli alloggi e la morte di Juan Romero resta senza risposta, nonostante l’autopsia. La voragine viene ricoperta da una frana dovuta al maltempo, mentre l’anello del protagonista scompare misteriosamente.
Lovecraft (foto del 1919 o 1920) |
Racconto
“ripudiato” dall’autore (cioè escluso da quelli che faceva
circolare tra i suoi corrispondenti e amici perché li leggessero),
forse perché ritenuto immaturo rispetto alla qualità media dei suoi
lavori. Credo che il giudizio di HPL in questo caso sia troppo
severo. Se proprio si vuole trovare un difetto, allora questo
potrebbe essere in merito alla sua peculiare caratteristica del “non
dire e non mostrare”. Infatti, quella che è una costante della
narrativa dello scrittore di Providence, in questo racconto forse
risulta eccessiva, poiché il lettore non riesce a figurarsi l’orrore
indicibile celato nell’abisso. Questo succede per il semplice fatto
che non gli vengono forniti neanche quei pochi indizi e descrizioni
che, in altri analoghi casi, si rivelano utili a sviluppare la sua
immaginazione.
Alcuni
elementi saranno ripresi per altri racconti del “Ciclo di Arkham”,
ma sviluppati meglio. Il nome Huitzilopotchli appartiene a una
vera divinità mesoamericana: era il dio della guerra e del sole
della mitologia azteca, protettore della città di Tenochtitlàn.
Luoghi:
Cactus Mountains (Nevada); miniera Norton; lago Jewel; villaggio di
Dry Gulch.
Personaggi:
Juan Romero, operaio messicano; il protagonista, senza nome; il
signor Arthur, sovrastante della miniera.
Huitzilopochtli, divinità azteca |
OLTRE IL MURO DEL SONNO
(BEYOND
THE WALL OF SLEEP, ottobre)
“Mi
sono chiesto più volte se la maggior parte della gente si soffermi a
riflettere sul significato dei sogni, che a volte è clamoroso e
comunque appartiene a un mondo di oscurità e mistero. Mentre la
maggior parte delle nostre visioni notturne non sono che vaghi e
fantastici riflessi delle nostre esperienze di veglia – checché ne
dica Freud col suo puerile simbolismo – ve ne sono altre il cui
carattere etereo e ultraterreno non consente interpretazioni
ordinarie, ma i cui effetti inquietanti, vagamente eccitanti,
sembrano aprire uno spiraglio su una sfera d’esistenza mentale non
meno importante di quella fisica, e tuttavia separata da quest’ultima
per mezzo di una barriera impenetrabile. La mia esperienza non mi
consente di dubitare che l’uomo, una volta abbandonata la coscienza
terrena, si trasferisca in una dimensione incorporea e profondamente
diversa da quella che conosciamo; una dimensione di cui, una volta
svegli, rimangono solo vaghissimi ricordi. Da quei frammenti incerti
e confusi possiamo intuire molte cose, ma provarne nessuna. Possiamo
supporre, ad esempio, che la vita, la materia e l’energia come il
mondo le conosce non siano costanti nei sogni, e che il tempo e lo
spazio non esistano come li concepiamo da svegli. A volte penso che
questa esistenza meno materiale sia quella autentica e che la nostra
vana presenza sul globo terracqueo sia di per sé un fenomeno
secondario o puramente virtuale.”
Copertina del libro della Arkham House, 1943 |
In
un pomeriggio d’inverno del 1900, o forse del 1901, il nostro
protagonista è perso in tali fantasticherie quando, nel manicomio
criminale dove lavora come medico interno, arriva un uomo il cui caso
particolare, da quel momento in poi, non smette di ossessionarlo.
Si
chiama Joe Slater ed è un rozzo abitante dei Monti Catskill “…
uno di quegli strani, repellenti discendenti delle prime generazioni
coloniali che, per essere rimasti isolati per circa tre secoli nelle
loro campagne solitarie, erano regrediti a uno stadio di barbarie e
degeneratezza …”
I
documenti che lo riguardano testimoniano che è da sempre parso
strano perfino agli occhi dei suoi consimili. Di notte ha sempre
dormito più degli altri e al risveglio ha spesso raccontato, con
toni accesi, sogni visionari di difficile comprensione, sia per chi
li ascoltava che per lui stesso, tanto che poco dopo già non se ne
ricordava più.
Col
passare del tempo però, il tono dei suoi racconti è cresciuto
d’intensità e perfino di violenza, fino a quando non accade ciò
per cui viene arrestato. Un giorno “l’uomo si era svegliato
con urla così orribili e disumane che avevano spinto i conoscenti ad
avvicinarsi alla sua capanna (una sozza stamberga dove viveva con una
famiglia indescrivibile quanto lui). Precipitandosi nella neve, aveva
alzato le braccia al cielo e aveva cominciato a saltare nell’aria,
gridando la sua determinazione di raggiungere una grande,
grande capanna col tetto, i muri e il pavimento che brillano, e la
musica forte e strana che viene da lontano. Quando due
uomini di discreta statura avevano cercato di fermarlo, Slater si era
dibattuto con forza e furia maniacali, urlando il suo desiderio di
trovare e uccidere qualcosa che brilla, trema e ride.”
Anni '20: abitanti degli Appalachi, di cui i Monti Catskill fanno parte |
Nella
colluttazione che ne era seguita, aveva tramortito uno dei due uomini
che tentavano di trattenerlo, mentre l’altro veniva barbaramente
massacrato.
Anche
nel manicomio l’uomo alterna momenti di normalità ad altri in cui
afferma di essere perseguitato da un’entità fatta di luce che ride
di lui. Tutto quello che desidera è raggiungere il misterioso essere
e ucciderlo, per vendicarsi di chissà quale torto. Il medico, così
interessato al mondo del sogno, lo avvicina e ne conquista la
fiducia, grazie alla quale approfondisce sempre di più le
straordinarie dimensioni in cui si trova a viaggiare l’uomo nei
momenti di crisi. “Il risultato delle mie indagini fu che,
durante una fase di vita semi-corporea che corrispondeva al momento
dei sogni, Slater attraversasse valli splendenti e prodigiose e
visitasse prati, giardini, città e palazzi luminosi che si trovavano
in una regione sconfinata e sconosciuta all’uomo; che una volta là
non fosse più un contadino e un degenerato, ma una creatura
importante e dalla vita splendida, un orgoglioso e un dominatore che
aveva un solo mortale nemico, un essere dalla struttura senz’altro
visibile ma eterea, e che non sembrava avere forma umana dato che
Slater non si riferiva a lui come a un uomo ma a una cosa.”
Ritenendo
di poter entrare in comunicazione mentale con il paziente, il
protagonista recupera una strumentazione ideata ai tempi
dell’università, un apparato ricetrasmittente capace di captare
diverse lunghezze d’onda di energia, con una trasmittente da
applicare alla tempia di Slater e una ricevente alla propria.
Illustrazione di Virgil Finlay per Oltre il Muro del Sonno (Weird Tales, marzo 1938) |
Dopo
diversi tentativi falliti, il 21 febbraio del 1901 le due menti
entrano in contatto. “Quella notte fatale ero agitato e turbato,
perché nonostante le ottime cure che aveva ricevuto, Joe Slater era
evidentemente sul punto di morire. Forse gli mancava la libertà
delle montagne, forse lo scompiglio nella sua mente era diventato
insopportabile per un organismo altrimenti lento: comunque, nel corpo
malridotto la vitalità era sempre più bassa. Verso la fine era come
insonnolito e al calar della notte sprofondò in un sonno turbolento
[…] Nella cella era con noi un infermiere, individuo mediocre che
non conosceva le funzioni dell’apparecchio e non si sognava di
intromettersi nei miei esperimenti. Col passare delle ore gli vidi
reclinare la testa e mi resi conto che dormiva, ma non lo disturbai.
Più tardi, cullato dal respiro del moribondo e dell’uomo sano,
devo essermi appisolato anch’io.”
Il
medico, svegliato dal suono di una strana melodia, si trova davanti a
“uno spettacolo di bellezza suprema. Mura, colonne e architravi
di fuoco vivo splendevano intorno al punto dove io sembravo fluttuare
a mezz’aria e svettavano verso un altissimo soffitto a cupola di
splendore indescrivibile.” Tutto intorno a lui, perfino valli e
vette lontane “sembravano fatte di una sostanza eterea, lucente,
plastica la cui essenza faceva pensare allo spirito più che alla
materia. […] In quel paradiso io non ero uno straniero, perché
ogni veduta e ogni suono mi era familiare, proprio come era stato per
infiniti cicli prima di allora e come sarebbe stato per l’eternità.”
In quel momento, un’aura splendente della stessa natura lo
avvicina, ma poco dopo entrambe le entità avvertono un cambiamento.
“Scambiammo pochi pensieri e poi mi resi conto che l’essere ed
io eravamo richiamati alle rispettive schiavitù, anche se per il mio
fratello di luce era l’ultima volta. Lo spiacevole guscio corporeo
che lo intrappolava era ormai logoro e in meno di un’ora il mio
compagno sarebbe stato libero di inseguire il suo oppressore nella
Via Lattea, superando le stelle vicine e spingendosi al limite
dell’infinito.” A questo punto, il protagonista si risveglia
e vede il corpo di Joe Slater muoversi. “Guardandolo più da
vicino vidi che nelle guance incavate brillavano due chiazze di
colore che non c’erano mai state. Anche le labbra, strette da una
forza di volontà superiore a quella di Slater, avevano una piega
insolita. Il volto si fece più teso e la testa cominciò a muoversi
inquieta, con gli occhi chiusi. Non svegliai l’infermiere
addormentato, ma sistemai le piastre della mia “radio telepatica”
che si erano leggermente spostate: volevo cogliere un eventuale
messaggio d’addio del sognatore. All’improvviso la testa si voltò
rapidamente verso di me e gli occhi si aprirono, obbligandomi a
fissare sbalordito ciò che vedevo.”
Oltre il muro del sonno, illustrazione di Fedodika (2017) |
FINALE:
Gli occhi dell’uomo tradiscono la volontà di un’entità
superiore, la quale trasmette alla mente del medico che Joe Slater è
ormai morto e che lei è stata intrappolata nel suo corpo per
quarantadue anni. “Io sono un’entità simile a quella che tu
stesso sei diventato nella libertà del sonno senza sogni. Sono il
tuo fratello di luce e ho volato con te sulle fulgide valli; non mi è
permesso rivelare al tuo io terrestre qual è la tua vera
personalità, ma siamo tutti trasvolatori dei grandi spazi e
viaggiatori nel tempo. L’anno prossimo, forse, abiterò nell’Egitto
che tu chiami antico o nel crudele impero di Tsan-Chan che verrà fra
tremila anni. Tu e io ci siamo spinti sui mondi che girano intorno
alla rossa Arturo e abbiamo abitato nei corpi degli insetti filosofi
che strisciano orgogliosamente sulla quarta luna di Giove. Quanto
poco conosce l’io terreno della vita e della sua estensione! Quanto
poco, in verità, è bene conosca per conservare la pace!”
La
creatura confida all’uomo che essendo ormai libero dalla schiavitù
corporea di Slater, potrà finalmente affrontare e distruggere il suo
nemico di sempre, poiché essendo incorporeo non ha più limiti, né
di tempo né di spazio. Il medico potrà avere una conferma di quanto
avverrà osservando la stella Algol (la stella-demonio), simbolo
dell’antico nemico. “Stanotte partirò come la Nemesi,
portando con me il cataclisma della vendetta. Guardami nel cielo,
vicino alla Stella-demonio.” Poi lo saluta.
“Ci
incontreremo di nuovo, forse nelle nebbie splendenti della Spada di
Orione o su un altopiano deserto dell’Asia preistorica; forse in un
sogno di questa notte che non riuscirai a ricordare o in una forma
completamente diversa, fra un intero ciclo cosmico. E per allora,
magari, il sistema solare sarà stato cancellato.”
La
notte dopo la morte di Slater viene scoperta una nuova stella, non
molto distante da Algol, grazie a una luce così brillante da
oscurare le altre stelle vicine. Luce che nel giro di una settimana
si fa via via più sbiadita, fino a scomparire quasi del tutto
qualche mese dopo.
Lovecraft in una foto del 1915 |
In
questo racconto il tema del sogno, tanto caro all’autore, si fonde
con i misteri del cosmo. Un timido tentativo lo si è già visto nel
precedente “Stella Polare”, ma è qui che i due mondi
apparentemente separati entrano in contatto. E questo è solo
l’inizio, perché il tema verrà sviluppato in futuro in molti
racconti di HPL, tanto che alla sua scrittura verrà attribuita la
denominazione di “narrativa cosmica”.
A
proposito del sogno, nell’incipit del racconto – qui riportato –
Lovecraft dà un giudizio lapidario sul lavoro di Freud, che ritiene
basato su un mero “simbolismo puerile”. Michel Houellebecq, nel
suo saggio sullo scrittore di Providence “H.P. Lovecraft – Contro
il mondo, contro la vita” (2005) ne dà una motivazione: “… il
fatto che Lovecraft non provasse simpatia per Freud, il grande
psicologo dell’era capitalista, non è certo sorprendente.
Quest’universo di transazioni e di transfert, che dà al lettore
l’impressione di essere capitato per sbaglio in un consiglio di
amministrazione, non aveva niente che potesse sedurlo. Ma al di là
di quell’avversione per la psicanalisi che sarebbe diventata comune
a molti artisti, Lovecraft aveva qualche piccolo motivo supplementare
per disistimare il ciarlatano viennese. Freud, infatti, si
permette di parlare di sogni, e addirittura ne fa il fulcro della
propria disciplina. Ma quella dei sogni è una materia che Lovecraft
conosce bene, tanto da considerarla una specie di riserva personale.
In effetti ben pochi scrittori hanno utilizzato i propri sogni con
una sistematicità pari alla sua: Lovecraft raccoglie i propri sogni,
li classifica; talvolta lo entusiasmano al punto che ne trascrive di
slancio l’intreccio prima ancora di svegliarsi (è il caso di
Nyarlathotep); talvolta ne memorizza solo alcuni elementi, per
inserirli in una nuova trama; e comunque li prende sempre molto sul
serio.”
GK Persei ripresa da Chandra, telescopio orbitale della NASA |
Credo
ci sia poi un altro motivo per cui Lovecraft disconosca le teorie
dello studioso austriaco applicate al sogno. Secondo Freud il
materiale onirico è formato da pulsioni in gran parte sessuali
(“Quanto più ci si interessa all’interpretazione dei sogni,
tanto più si è portati ad ammettere che la maggior parte dei sogni
degli adulti tratta di materiale sessuale e dà espressione a
desideri erotici.” Da L’interpretazione dei sogni –
1899), e sappiamo che Lovecraft era disinteressato a questo aspetto
dell’essere umano, che lo avvicinava agli animali, mentre lui
preferiva perseguire il piacere intellettuale ed estetico. Si legge
in un passo di una lettera del 14 settembre 1919, scritta a Rheinhart
Kleiner: “L’emotività è il legame con gli istinti delle
creature più basse, e dunque non dev’essere nutrita e incoraggiata
come lo scopo supremo della realizzazione umana. Ciò che l’uomo
deve perseguire è il piacere dell’immaginazione non-emotiva, il
piacere della pura ragione che si trova nella percezione delle
verità. Esso sarà accompagnato quasi sempre da fenomeni emotivi
secondari e residui, ma si tratterà di fenomeni rarefatti,
dipendenti dalla ragione e dall’immaginazione.”
E
ancora, da una lettera di molti anni dopo spedita a J. Vernon Shea,
datata 4 febbraio 1934: “Per quanto riguarda i giustamente
famosi “fatti della vita”, non ho aspettato che le informazioni
mi venissero date da qualcuno, ma all’età di otto anni ho esaurito
l’argomento, da solo, servendomi della biblioteca di famiglia (alla
quale avevo accesso, anche se non ero particolarmente loquace su
questa parte delle mie letture). […] Il risultato fu esattamente
l’opposto di quello che i genitori normalmente temono: invece di
darmi un interesse abnorme e precoce verso il sesso (come avrebbe
finito col fare la curiosità insoddisfatta), le mie letture uccisero
quasi del tutto il mio interesse per l’argomento. La questione si
ridusse a un prosaico meccanismo che in seguito presi a disprezzare,
o comunque a ritenere tutt’altro che affascinante a causa della sua
natura totalmente animalesca e separata da tutto ciò che riguarda il
bello e l’intelletto. […] Il mio ideale di vita è sempre
consistito nel dipendere il meno possibile dal lato animale ed
emotivo, che è essenzialmente capriccioso, mutevole e ben presto
esaurito; privilegiando, al contrario, l’aspetto astratto e
contemplativo che coinvolge i fattori indipendenti e stabili della
ragione e dell’immaginazione.”
Sigmund Freud, in una foto del 1922 |
Si
può dedurre che per lo scrittore fosse inammissibile l’idea che le
sue visioni oniriche, così colme di maestosità e bellezza, fossero
riconducibili a quegli istinti animaleschi da lui tanto deprecati.
Altra
tematica appena accennata (che verrà anch’essa sviluppata in
futuro) è l’idea della piccolezza e dell’ignoranza in cui vive
l’umanità, completamente inconsapevole della realtà del cosmo. La
misteriosa entità, nel rivelare al protagonista alcune di queste
verità, afferma anche “Quanto poco conosce l’io terreno della
vita e della sua estensione! Quanto poco, in verità, è bene conosca
per conservare la pace!” Dunque l’ignoranza come ancora di
salvezza, perché l’autentica realtà che si nasconde dietro il
velo che noi definiamo “reale”, può risultare insopportabile per
la mente umana e portare alla follia.
Lovecraft e Rheinhart Kleiner a Providence, davanti alla casa dello scrittore (30 giugno 1919) |
Garrett
P. Serviss (1851-1929), che compare tra i personaggi citati nel
racconto, era un giornalista specializzato nella divulgazione
scientifica e astronomica che scrisse anche alcuni romanzi di
fantascienza, tra i quali viene ricordato Edison’s Conquest of
Mars (1898), perché ideale seguito della “Guerra dei mondi”
di H. G. Welles.
Anche
la nuova stella che viene scoperta nel racconto esiste nella realtà.
È una nova ed è conosciuta come GK Persei. Così come il suo
scopritore, Thomas David Anderson (1853-1932), astronomo dilettante
scozzese che proprio il 21 febbraio del 1901 si accorse della sua
esistenza, grazie alla sua esplosione, che ne aumentò la luminosità
di circa 10.000 volte in appena due giorni, riducendosi poi in
seguito. A titolo di curiosità, GK Persei, a partire dal 1966, ha
avuto esplosioni ricorrenti ogni 3 o 4 anni, con aumenti di
luminosità anche superiori a quelle registrate all’epoca della sua
scoperta.
Garrett P. Serviss nel novembre 1925 |
Luoghi:
Monti Catskill; Albany, città di provenienza degli alienisti
chiamati a visitare Slater.
Personaggi:
il protagonista, un medico di cui ignoriamo il nome; Joe Slater,
l’uomo che ospita la misteriosa entità eterea; Peter Slader,
vittima di Joe; Dottor Barnard, medico che inizialmente tiene sotto
osservazione Joe; Dottor Fenton, superiore del protagonista; Garrett
P. Serviss, astronomo; Dottor Anderson, di Edimburgo, colui che
scopre la nuova stella, situata vicino ad Algol.
Coplay Plaza Hotel, Boston (1912 - 1920) |
A
fine ottobre HPL si reca per la prima volta a un congresso
organizzato dalla stampa dilettantesca. L’evento si tiene nella
città di Boston, nella sala da ballo dell’hotel Coplay Plaza, e
tra gli oratori c’è anche lo scrittore Lord Dunsany (1878-1957).
Lovecraft rimane affascinato dalla sua conferenza, perché riscontra
nell’autore irlandese le medesime tematiche (quella onirica su
tutte) e finalità cui lui stesso tende con la propria prosa. Per sua
stessa ammissione, sarà uno degli scrittori che più condizioneranno
la sua opera. Scrive in proposito il 30 luglio 1923 a Clark Ashton
Smith: “Dunsany mi ha influenzato più di chiunque altro, con
l’eccezione del solo Poe. Il suo stile, il suo punto di vista
cosmico, il suo vago mondo di sogno e il suo squisito senso del
fantastico, tutto ciò mi affascina più di qualunque altra cosa. Il
mio incontro con lui, nell’autunno del 1919, diede grandissimo
impulso alla mia attività letteraria.”
Lord Dunsany sulla copertina delle sue Opere Complete (foto scattata a New York nel 1919) |
LA NAVE BIANCA
(THE
WHITE SHIP, novembre)
Basil
Elton è il guardiano del faro di Punta Nord. Prima di lui lo è
stato il padre, e ancor prima il nonno. All’epoca di quest’ultimo
le navi erano numerose, un po’ meno quelle al tempo del genitore,
ma ora si sono fatte così rare che Basil si sente come l’ultimo
uomo del mondo. Quando era piccolo ascoltava le storie di terre
lontane, a est, che i vecchi lupi di mare avevano raccontato al
nonno, che le aveva ripetute al figlio, che a sua volta le aveva
raccontate al giovane nelle lunghe sere d’autunno in cui il vento
ululava magico da oriente. “Ho letto molto su queste e altre
cose ancora; le ho lette nei libri che gli uomini mi davano quando
ero giovane e pieno di meraviglia. Ma più stupefacente della
sapienza dei vecchi e dei racconti contenuti nei libri, è il segreto
dell’oceano. Azzurro, verde, grigio, bianco o nero; liscio,
increspato o in tempesta l’oceano non è mai silenzioso. Per tutta
la vita non ho fatto altro che guardarlo e ascoltarlo, e ora lo
conosco bene. All’inizio mi raccontava semplici storie di spiagge
tranquille e porti vicini, ma con gli anni siamo entrati in
confidenza e ha cominciato a parlarmi di cose più lontane nel tempo
e nello spazio. A volte, al crepuscolo, i grigi vapori dell’orizzonte
si sono squarciati per farmi intravvedere ciò che si trova oltre; e
a volte, di notte, le acque profonde del mare si sono fatte chiare e
fosforescenti per mostrarmi scorci di quello che c’è sotto.
Visioni che non sempre corrispondono a ciò che è, ma a ciò che è
stato o che potrebbe essere, perché l’oceano è più antico delle
montagne ed è ricco dei ricordi e dei sogni del Tempo.”
La Nave Bianca, by Alvaro Nebot (2013) |
Una
notte di luna piena, appare da sud la Nave Bianca, “scivolava
sul mare, silenziosa e tranquilla, sia che il vento fosse favorevole
o contrario, sia che le acque fossero calme o agitate; scivolava a
vele spiegate, muovendo ritmicamente lunghe e bizzarre file di remi.”
Finché,
durante una di queste notti, sul ponte della nave, Basil vede un uomo
barbuto e con la tunica che gli fa cenno di imbarcarsi con lui. Dopo
altre notti e altri successivi inviti, che non accetta, il guardiano
del faro rompe ogni indugio e decide di imbarcarsi col misterioso
equipaggio. “La notte che risposi all’invito la luna brillava
nel suo pieno fulgore e io mi trasferii a bordo su un ponte di
chiardiluna. L’uomo che mi aveva invitato parlava una lingua dolce
che conoscevo bene; le ore passarono al canto dei rematori, mentre ci
inoltravamo nel sud misterioso ma rischiarato dallo splendore della
luna.”
Comincia
così il lungo viaggio di Basil per terre sconosciute, se non nel
mondo del sogno, che lo porta a toccare le sponde della “Terra
di Zar, dimora dei sogni e di tutti i pensieri di bellezza che
sfiorano l’uomo una volta e poi vengono dimenticati” senza
però mettervi piede, perché si dice che colui che calpesta il suo
suolo non tornerà mai più al paese natio. La nave si avvicina
poi a Thalarion, Città dalle Mille Meraviglie, dove dimorano tutti i
segreti che l’uomo ha cercato invano di esplorare, e da dove
nessuno è mai tornato. Seguendo il volo di un uccello le cui piume
sono della stessa lucentezza e colore del cielo, la nave arriva a
Xura, terra dei piaceri inappagati, poi a Sona-Nyl, la terra della
fantasia, dove non esistono né il tempo e lo spazio, né il dolore e
la morte, dove l’equipaggio soggiorna per molti cicli e millenni.
Illustrazione di Sergej Schell (2014) |
Fino
a quando, sempre durante una notte di luna piena, Basil non vede di
nuovo l’uccello celeste in volo che lo chiama. Così gli riviene la
voglia di mettersi in viaggio, stavolta “per la lontana Cathuria
che nessun uomo ha mai visto, ma che si vuole ubicata oltre le
colonne di basalto dell’occidente. Cathuria è la terra della
speranza dove brillano di perfezione tutti gli ideali dell’uomo, o
almeno così si dice.” L’uomo con la barba però è
perplesso, perché a Cathuria ci sono mari pericolosi e mentre a
Sona-Nyl non ci sono né dolore né morte, nessuno sa cosa si cela
oltre i pilastri dell’occidente. Ma l’insistenza di Basil
convince l’uomo, così la Nave Bianca si rimette in mare, e mentre
il guardiano del faro fantastica sugli splendori che lo attendono,
l’uomo con la barba continua a provare a convincerlo a tornare
indietro.
FINALE:
Giungono infine, dopo trenta giorni di navigazione, ad attraversare
le altissime colonne di basalto dell’occidente, avvolte nella
nebbia, ma quando quest’ultima si dirada, davanti a loro si para
soltanto un mare agitatissimo che trascina la nave verso il frastuono
di una cascata. Segue uno schianto, poi le tenebre, e in seguito
grida di uomini e di cose che non sono uomini. “Poi, dopo un
altro schianto, aprii gli occhi e mi trovai alla base del faro da
dove ero partito cicli e cicli prima. Nel buio riuscii a distinguere
la sagoma confusa ma imponente di un vascello che aveva fatto
naufragio sugli scogli aguzzi, e guardando in alto vidi che il faro
era spento per la prima volta da quando mio nonno ne aveva assunto la
cura. E nelle ore successive della notte, quando entrai nella torre,
vidi solo questo: uno strano uccello morto che aveva le piume azzurre
come il cielo e un albero di nave più bianco della spuma delle onde
o della neve. In seguito l’oceano non mi raccontò più i suoi
segreti; e sebbene, da allora, la luna piena abbia brillato molte
volte nel cielo, la Nave Bianca del sud non ha più fatto ritorno.”
Lovecraft Studies n. 18 (1989), illustrazione di Jason Eckhardt |
Luoghi:
Punta Nord; Terra di Zar, dimora dei sogni e dei pensieri di bellezza
che sfiorano l’uomo ma subito obliati; Thalarion, città delle
mille meraviglie; Xura, terra dei piaceri inappagati; Sona-Nyl, terra
della fantasia; Cathuria, la terra della speranza.
Personaggi:
Basil Elton, guardiano del faro di Punta Nord; l’umo barbuto della
Nave Bianca; il divino Lathi, signore di Thalarion; Dieb, gran
monarca di Cathuria;
Un giovane Lord Dunsany |
Dopo
l’incontro con Lord Dunsany, Lovecraft comincia a leggere e a
studiarne le opere. Affascinato dalla sua scrittura, stila una serie
di racconti (circa venti, più un romanzo) ispirati all’autore
irlandese. La Nave Bianca rientra appunto tra questi, che la
critica in seguito riunirà sotto il nome di “Ciclo dei sogni”
(Dream Cycle). Spesso ci si riferisce a questi lavori usando
l’aggettivo “dunsaniano”, proprio per le caratteristiche che lo
accomunano allo scrittore irlandese. Dunsany faceva parte sia di un
movimento letterario chiamato “Rinascimento Celtico” (The
Celtic Revival), che si proponeva di recuperare le antiche
tradizioni irlandesi nei confronti di quelle inglesi, sia della
società esoterica Golden Dawn, che attrasse al suo interno
anche il poeta (premio Nobel nel 1923) William Butler Yates, più un
nutrito gruppo di scrittori del fantastico, tra i quali Arthur
Machen, Bram Stoker, Algernon Blackwood, Arthur Conan Doyle,
incidendo sensibilmente sulla letteratura soprannaturale britannica
del periodo. Vari storici, tra i quali Giorgio Galli, ravvisano un collegamento fra la Golden Dawn inglese e la germanica Thule Gesellschaft, di cui abbiamo parlato prima.
Il simbolo della Golden Dawn |
LA
ROVINA DI SARNATH
(THE
DOOM THAT CAME TO SARNATH, 3 dicembre)
Millenni
fa, sulla riva del lago della terra di Mnar, sorgeva la città di Id,
i cui fondatori erano di colore verde, come il lago e le sue nebbie,
avevano occhi sporgenti, labbra grosse e flaccide, orecchie strane e
non avevano voce. Adoravano un idolo di pietra verdemare, che nella
forma ricordava Bokrug, la grande lucertola acquatica. Dopo
innumerevoli cicli, gli uomini arrivarono alla terra di Mnar e
cominciarono a costruire sulle sponde del medesimo lago la città di
Sarnath. Diffidavano degli strani abitanti di Id e col tempo questo
sentimento si trasformò in odio. “Più gli uomini di Sarnath
osservavano gli abitanti di Ib, più il loro odio cresceva,
rinfocolato dalla scoperta che erano creature deboli e che al
contatto di pietre, lance o frecce risultavano molli e gelatinose.
Così, i giovani guerrieri di Sarnath si misero in marcia verso Ib
armati di lancia, arco e fionde. Una volta arrivati massacrarono le
creature e gettarono i corpi nel lago con le lance, perché non
volevano toccarli; e siccome aborrivano i monoliti scolpiti di Ib,
gettarono nel lago anche quelli, chiedendosi come si potessero
erigere oggetti così pesanti (in tutta Mnar e nei paesi vicini non
c’era niente di simile, ragion per cui dovevano averli portati da
lontano).” Presero l’idolo del dio Bokrug e lo portarono al
loro tempio come simbolo di vittoria sugli abitanti di Ib. La notte
stessa però, sul lago qualcuno vide delle luci verdi e la mattina
dopo dell’idolo non c’era più traccia. Il vecchio sacerdote
Taran-Ish fu trovato morto a causa di un terribile spavento, ma prima
di spirare fece in tempo a tracciare sull’altare il simbolo della
distruzione finale.
Copertina dell'edizione della Ballantine Book (1971) |
Molti
secoli passarono, tanto da far dimenticare quanto avvenuto, la città
si ingrandì, crescendo sia in dimensioni che in bellezza, conquistò
i popoli vicini e allargò il suo dominio sulle terre circostanti.
Ogni anno festeggiava la sua vittoria sulla città di Id, e in
quell’occasione le acque del lago si alzavano misteriosamente dalla
superficie, respinte dalla poderosa diga di pietra costruita dagli
uomini. Arrivato il millesimo anniversario di quella ricorrenza, si
organizzarono grandi festeggiamenti, ma coloro che erano nelle torri
videro strane luci baluginare sul lago, una misteriosa nebbia verde
si levò dalla sua superficie e il livello dell’acqua salì fino a
coprire quasi del tutto il gran masso di Akurion, una sporgenza
rocciosa che si trovava nei pressi della riva.
FINALE:
“Poi, verso la mezzanotte, le porte di bronzo di Sarnath si
spalancarono e riversarono una folla impazzita che annerì la
pianura, poiché tutti i notabili e i viaggiatori fuggivano in preda
al terrore. Sui volti della folla era impressa un’espressione di
pazzia che nasceva da un terrore schiacciante, e sulle labbra
correvano parole così tremende che nessuno voleva soffermarsi a
verificarle. Uomini con gli occhi dilatati dalla paura gridarono a
squarciagola ciò che avevano visto nel salone reale, perché
attraverso le finestre non apparivano più le figure del re
Nargis-Hei e dei suoi notabili e schiavi, ma un’orda di creature
indescrivibili, silenziose e con gli occhi sporgenti, le labbra
grosse e flaccide e orecchie stranissime; creature che danzavano
orribilmente, stringendo nelle zampe piatti d’oro tempestati di
gemme da cui guizzavano fiamme grottesche. E principi e viaggiatori
che fuggivano dalla condannata Sarnath sui cavalli, cammelli ed
elefanti, guardarono un’altra volta il lago avvolto dalla nebbia e
videro che il grigio spuntone di Akurion era ormai sommerso.”
Sarnath, by McRassusart (2015) |
I
racconti di quelli che fuggirono da Sarnath si diffusero ovunque,
così nessuno mise più piede nella città. “Passò molto tempo
prima che qualcuno osasse avventurarsi da quelle parti, e anche
allora solo i giovani della lontanissima Falona ebbero il coraggio di
affrontare il viaggio: uomini dai capelli biondi e gli occhi azzurri
che non avevano niente in comune con il popolo di Mnar.” Gli
avventurosi non trovarono alcuna traccia dello splendore di Sarnath.
“Dove
un tempo erano sorte mura di trecento cubiti e torri ancora più
alte, ora regnava la sponda paludosa; dove un tempo avevano abitato
cinquanta milioni di uomini ora strisciavano soltanto le verdi,
detestabili lucertole acquatiche. Persino le miniere di metalli
preziosi erano esaurite, perché la rovina si era abbattuta su
Sarnath. Ma, semisepolto fra le pietre, venne intravisto uno strano
idolo verde, un idolo antichissimo incrostato d’alghe e modellato
sulla figura di Bokrug, la grande lucertola acquatica. Quell’idolo,
conservato nel tempio maggiore di Ilarnek, fu adorato in seguito in
tutta la terra di Mnar, sotto la luna calante.”
Tutto
questo accadeva diecimila anni fa.
Bokrug, la grande lucertola acquatica, by Borja Pindado (2014) |
Anche
questa storia sull’immaginaria città di Sarnath deriva da un sogno
di Lovecraft e appartiene a quel genere di racconti definiti con
l’aggettivo “dunsaniano”. L’autore si lascia andare a lunghe
descrizioni sulla città e i suoi splendori, con molti dettagli sul
materiale di cui sono stati costruiti i suoi numerosi edifici.
Viene
citata la città di Kadatheron, il cui nome ricorda il monte Kadath,
di cui l’autore scriverà in futuro.
Luoghi: la Terra di Mnar e il suo lago, presso il quale sorgeva la città di Ib, prima, e poi Sarnath; Thara, Ilarnek e Kadatheron (quest’ultima sul tortuoso fiume Ai), altre città costruite dagli uomini; Pnath, una delle città vinte dagli uomini di Sarnath; Rokol, città lontana alleata di Sarnath;
Personaggi: Taran-Ish, antico sacerdote del tempio di Sarnath; Zokkar, antico re di Sarnath; Nargis-Hei, re di Sarnath; Gnai-Kah, sacerdote.
Qui e sopra: illustrazioni di Krysztof Wronski per Sarnath (2016) |
LA
DICHIARAZIONE DI RANDOLPH CARTER
(THE
STATEMENT OF RANDOLPH CARTER, dicembre)
“Vi
ripeto, signori, che la vostra inchiesta è inutile. Trattenetemi qui
per sempre, se volete; rinchiudetemi o giustiziatemi, se proprio vi
occorre una vittima per propiziare l’illusione che chiamate
giustizia, ma non posso dire più di quanto abbia già detto. Ho
raccontato in perfetta sincerità tutto quello che ricordo: non ho
cambiato né nascosto niente, e se c’è qualcosa che rimane nel
vago è perché la mia mente è ottenebrata: l’esperienza che ho
avuto è orribile e l’orrore è ancora avvolto nel mistero.”
Randolph
Carter si trova sotto accusa per la sparizione del suo amico Harley
Warren. Insieme sono stati visti dirigersi di notte verso un antico
cimitero, dal quale il compagno non è più tornato. Carter conosce
Warren da cinque anni; quest’ultimo è un appassionato di
occultismo e la sua biblioteca è ricca di testi rari, la maggior
parte dei quali in lingua araba, ma quello che ha portato con sé al
cimitero la notte incriminata è vergato in una scrittura che non ha
mai visto prima. Sa solo che si tratta di un antico testo in
caratteri indecifrabili, arrivato dall’India appena un mese prima.
“Quanto
alla natura dei suoi studi… devo dire ancora una volta che non li
capivo fino in fondo? Ora mi sembra una grazia, perché si trattava
di cose terribili in cui mi addentravo più per una sorta di
riluttante fascinazione che per trasporto naturale. Warren mi
dominava e a volte ne avevo paura. Ricordo il gelo che provai, la
notte prima della disgrazia, nel vedere la sua espressione quando mi
espose la teoria del perché certi cadaveri non si corrompono, ma
rimangono sodi e grassi nelle tombe anche per mille anni. Adesso
non lo temo più, perché penso che abbia conosciuto orrori che non
riesco nemmeno a immaginare. Adesso temo per lui”.
Una
volta arrivati nel vetusto cimitero, che pare abbandonato da secoli,
i due depositano a terra la loro attrezzatura: due lampade elettriche
e due badili, più un telefono portatile. Con una certa fatica,
rimuovono la lastra di un’antichissima tomba, sotto la quale scende
una scalinata in pietra.
A
questo punto, Warren intima a Carter di restare in superficie, a
causa della fragilità dei suoi nervi. Randolph insiste di voler
scendere con lui, ma l’amico minaccia di mandare tutto a monte se
non gli obbedisce. Così, Warren prende il rotolo di cavo e si cala
all’interno della tomba, mentre Carter rimane seduto ad aspettare
su una vecchia lapide, con l’altra estremità del filo telefonico.
Poco dopo, il bagliore della lanterna di Warren scompare, mentre
anche il fruscio del cavo si fa sempre più distante, fino a
scomparire del tutto.
Per
più di un quarto d’ora, Randolph rimane da solo, avvolto nel
silenzio del cimitero, illuminato solo dalla debole luce della luna.
“Poi mi arrivò un lontano ticchettio e chiamai il mio amico con
voce tesa. Per apprensivo che fossi, non ero preparato alle parole
che salirono dall’abisso né al tono di Harley Warren, il più
allarmato e incoerente che gli avessi mai sentito. L’uomo che poco
prima mi aveva lasciato con tanta impassibilità, ora mi parlava in
un balbettio a fior di labbra che faceva più effetto di un urlo: -
Dio, se potessi vedere quello che sto vedendo io! Non riuscii a
rispondere: senza parole, non mi restava che aspettare. Poi tornarono
le sillabe spezzate: - Carter, è terribile… mostruoso…
incredibile!
Numero di The Vagrant dove apparve La dichiarazione di Randolph Carter (maggio 1920) |
Stavolta
la voce non mi tradì e feci una serie di domande concitate. Ma
soprattutto continuavo a ripetere: Warren, che cos’è? Che cos’è?
La voce del mio amico era rauca dalla paura e ora, credetti,
incrinata dalla disperazione: - Non posso dirtelo Carter! È troppo
al di là di quello che possiamo concepire… Non oso dirtelo,
nessuno può saperlo e continuare a vivere! Gran Dio, non avrei mai
immaginato QUESTO!”
Seguono
momenti frenetici in cui Harley prega Randolph di chiudere la lastra
di granito della tomba e di scappare via. Nonostante la paura però,
Carter non ce la fa ad abbandonare l’amico, e gli comunica
l’intenzione di scendere ad aiutarlo. A questo punto Warren cambia
tono, che non è più smanioso, bensì rassegnato. “Cercai di
non dargli retta, di vincere la paralisi che mi stringeva e mantenere
la promessa di aiutarlo. Ma il suo prossimo bisbiglio mi trovò
ancora imprigionato dalle catene dell’orrore. – Carter, fai
presto! È tutto inutile… devi andare… Meglio uno che due… la
lastra… Una pausa, altri disturbi e poi una voce debolissima di
Warren: - Ormai è quasi finita… non rendere le cose più
difficili… copri quei maledetti gradini e salvati la vita… Stai
perdendo tempo… Addio, Carter, non ci rivedremo più. Qui i
sussurri di Warren si trasformarono in un lamento, poi il lamento
diventò un urlo carico del terrore di tutti i tempi… - Maledizione
a quelle cose infernali… legioni… Mio Dio! Corri, corri, via!
Poi
fu il silenzio. Non so per quanti secoli rimasi impietrito dov’ero,
borbottando o gridando al telefono. Più volte, in quel periodo
interminabile, sussurrai, implorai, urlai: - Warren! Warren,
rispondimi, sei là?”
Numero di Weird Tales dove fu pubblicata La testimonianza di Randolph Carter (febbraio 1925) |
FINALE:
“Poi venne l’orrore supremo, la cosa inconcepibile e quasi
irriferibile. Ho detto che dopo l’ultimo urlo di Warren sembrarono
passare secoli e che solo le mie grida rompevano l’orribile
silenzio. Ma dopo un poco il ricevitore trasmise un altro ticchettio
e io tesi le orecchie per ascoltare. Gridai ancora: - Warren, sei là?
E in risposta sentii la frase che mi ha oscurato il cervello.
Signori, non cercherò di spiegare cosa fosse, a chi appartenesse
quella voce, né cercherò di descriverla bene, perché le prime
parole mi fecero perdere conoscenza e crearono un vuoto mentale che
si dissolse un poco solo quando mi ripresi in ospedale. Dirò che era
profonda, rauca, tremolante, remota, ultraterrena, inumana,
incorporea? A che servirebbe? Fu la fine della mia esperienza, come è
la fine di questa storia. La sentii e persi contatto con il mondo, la
sentii mentre stavo pietrificato in quel cimitero sconosciuto, fra le
tombe cadenti e i monumenti in rovina, la vegetazione marcita e i
vapori mefitici. La sentii con chiarezza, dal profondo della
maledetta tomba aperta, mentre guardavo le ombre amorfe e necrofaghe
danzare sotto un’orribile falce di luna. E questo è ciò che
disse: - IDIOTA, WARREN È MORTO!”
Disegno di Andrew Brosnatch (1896-1965), illustratore di Weird Tales |
Un
antico testo di occultismo senza nome proveniente dall’India. Un
vecchio cimitero. Una discesa nel sottosuolo in cerca della prova che
certi cadaveri non si corrompono, ma rimangono sodi e grassi nelle
tombe anche per mille anni. Sono gli elementi di questo
riuscitissimo racconto, che dimostra ancora una volta come niente
faccia più paura di ciò che non si vede.
Il
personaggio di Randolph Carter appare qui per la prima volta, nei
panni di un riluttante curioso di occultismo. Non è ancora
l’esploratore del mondo dei sogni che diventerà in seguito, ma
nonostante ciò è già in buona parte l’alter ego di
Lovecraft. Anche lui infatti ama i vecchi cimiteri, la notte, le
tematiche sovrannaturali e i libri, soprattutto quelli antichi.
Anche
in questo caso, il racconto deriva da un sogno, e l’aderenza è
davvero impressionante. HPL ce lo descrive in modo dettagliato in una
lettera datata 11 dicembre 1919, destinata agli amici Alfred Galpin e
Maurice W. Moe. Quest’ultimo era un assiduo corrispondente di HPL.
Uomo colto, esperto di lingue antiche e fervido credente (i temi che
i due affrontano spesso nella loro corrispondenza sono quelli
relativi alla religione, naturalmente su fronti contrapposti), era un
insegnante d’inglese. Lovecraft lo aveva conosciuto nel 1914,
nell’ambito del giornalismo dilettante. Se si confrontano il testo
della lettera e quello del racconto, si può vedere come alcuni passi
del primo vengano riportati quasi fedelmente nel secondo. I
protagonisti del sogno sono lo stesso Lovecraft, che nella novella
diventerà Randolph Carter, e Samuel Loveman (1887-1976), che
diventerà Harley Warren.
La Dichiarazione di Randolph Carter, by Krysztof Wronski (2016) |
Loveman
è un altro amico di penna dello scrittore, ha fatto parte per un
breve periodo del giornalismo dilettante, è un poeta (che Lovecraft
stima) e vanta anche una notevole collezione di libri rari, prime
edizioni e perfino incunaboli. Ma è un ebreo – pare avesse anche
tendenze omosessuali – e questo porta Lovecraft ad avere dei
pregiudizi nei suoi confronti, purtroppo molto comuni all’epoca tra
la classe media americana. Però, al contrario dello scrittore, ha
servito nell’esercito durante la Prima Guerra Mondiale. Giuseppe
Lippi ipotizza che alla base del sogno di HPL possa esserci una sorta
di invidia nei confronti di Loveman, dovuta sia alla sua preziosa
collezione di libri, sia per la sua partecipazione alla guerra. Per
cui la terribile fine dell’amico altro non sarebbe che una sorta di
vendetta inconscia attuata da Lovecraft. Qui di seguito riporto le
parole usate dallo scrittore nella lettera, nel momento che Loveman
si appresta a entrare nella tomba.
“Mi
spiace doverti chiedere di restare in superficie, ma se venissi giù
con me non risponderei delle conseguenze. Francamente, non so se un
sistema nervoso come il tuo possa reggere un’esperienza del genere.
Non puoi immaginare quello che dovrò fare e vedere, neppure se pensi
a ciò che è scritto nel libro che ti ho rivelato; a meno di non
avere nervi d’acciaio, non c’è uomo che possa andare laggiù e
uscirne vivo o sano di mente. Comunque, non è posto per uno che non
ha superato l’esame di idoneità fisica dell’esercito.”
Samuel Loveman (1887-1976) |
The Hermaphrodite, poema di Loveman (1936) |
Il
cenno all’esame di idoneità non appare nella versione del
racconto, e questo potrebbe essere un elemento a conferma
dell’ipotesi fatta da Lippi.
Per
ciò che riguarda invece il peso che hanno i sogni nella creazione
dei racconti dello scrittore di Providence, ecco le parole conclusive
della lettera: “Bene, ecco il mio incubo! Nel sogno persi
conoscenza e quando mi riebbi ero sveglio, con un mal di testa fuori
serie! Ancora non riesco a venire a capo della vicenda, ignoro a cosa
dessimo la caccia (sopra o sottoterra) e a chi appartenesse
l’orribile voce finale. Ho letto storie di demoni e cimiteri, ma
che diavolo, il mal di testa con cui mi sono svegliato era peggio del
sogno in sé! Loveman scoppierà a ridere quando glielo racconterò.
A suo tempo sfrutterò la situazione per un racconto, come ho già
fatto con “The Doom that Came to Sarnath”, in cui è incorporata
un’altra visione notturna. Mi domando se abbia il diritto di
considerarmi autore delle cose che sogno. Detesto impossessarmi di
immagini che non ho elaborato con la mente cosciente, ma se non lo
faccio io, chi potrà usarle? Coleridge non esitò a dichiararsi
autore del Kubla Khan, quindi penso che farò lo stesso con
l’affare del cimitero e questo è quanto. Credetemi, è stato un
brutto sogno!”
Luoghi:
il picco di Gainesville; la palude di Big Cypress.
Personaggi:
Randolph Carter, protagonista del racconto; Harley Warren, amico di
Randolph Carter; una misteriosa creatura.
(fine 2a parte)
Sergio Climinti
Sergio Climinti
Note.
Per stilare la seguente biobibliografia ho fatto riferimento ai quattro volumi editati dalla Mondadori tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, "Tutti i racconti" (più volte ristampati) e il volume "Lettere dall’altrove" (1993) una selezione di lettere estratte dal vasto epistolario dell’autore, tutti curati da Giuseppe Lippi. Più il poderoso mammut dedicato a Lovecraft dalla Newton Compton, "Lovecraft Tutti i romanzi e i racconti" (2011, quarta edizione) a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco. Oltre naturalmente a una serie di siti sul web, su tutti "The H. P. Lovecraft Archive", consultato per una più precisa cronologia delle sue opere.
- La sottolineatura che appare nei titoli dei racconti originali (tra parentesi), sta ad indicare il filo comune che li lega al famoso “Ciclo di Arkham”, o “Miti di Cthulhu”.
- I titoli dei racconti non in grassetto sono quelli giovanili, quelli scritti in collaborazione e quelli che destinava ai suoi corrispondenti, che non era interessato a pubblicare.
- La data che compare, a volte, dopo il titolo in lingua originale (che si trova tra parentesi) si riferisce a quella di stesura.
- I racconti scritti in collaborazione sono divisi fra “revisioni primarie” (r. p.) per quei lavori scritti per la maggior parte dall’autore, e “revisioni secondarie” (r. s.) fatte di interventi tesi per lo più a migliorarli. Tali sigle sono riportate tra parentesi, dopo il nome dell’autore che ha lavorato con Lovecraft.
- Il corsivo usato all’interno dei racconti ne individua il testo originale, nella traduzione (la maggior parte dei quali di Giuseppe Lippi) offerta dai quattro volumi della Mondadori sopra indicati.
- Al termine alcuni racconti la parola FINALE avverte il lettore che nelle prossime righe viene svelato il finale della storia.
- La sottolineatura che appare nei titoli dei racconti originali (tra parentesi), sta ad indicare il filo comune che li lega al famoso “Ciclo di Arkham”, o “Miti di Cthulhu”.
- I titoli dei racconti non in grassetto sono quelli giovanili, quelli scritti in collaborazione e quelli che destinava ai suoi corrispondenti, che non era interessato a pubblicare.
- La data che compare, a volte, dopo il titolo in lingua originale (che si trova tra parentesi) si riferisce a quella di stesura.
- I racconti scritti in collaborazione sono divisi fra “revisioni primarie” (r. p.) per quei lavori scritti per la maggior parte dall’autore, e “revisioni secondarie” (r. s.) fatte di interventi tesi per lo più a migliorarli. Tali sigle sono riportate tra parentesi, dopo il nome dell’autore che ha lavorato con Lovecraft.
- Il corsivo usato all’interno dei racconti ne individua il testo originale, nella traduzione (la maggior parte dei quali di Giuseppe Lippi) offerta dai quattro volumi della Mondadori sopra indicati.
- Al termine alcuni racconti la parola FINALE avverte il lettore che nelle prossime righe viene svelato il finale della storia.
N.B. Trovate i link a tutte le puntate della bibliografia lovecraftiana in Lovecraftiana & kinghiana; trovate tutti i link letterari nella Biblioteca di Altrove.
P.S. Questo è il 1100° post pubblicato da Dime Web!
P.S. Questo è il 1100° post pubblicato da Dime Web!
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