domenica 19 giugno 2016

LILITH 16. NORD-AMERICA 1776-1778: L’ULTIMA PISTA DELLA DONNA-SPIRITO

di Andrea Cantucci

Lilith in costume indiano - da Lilith n°16 pag 63

Dopo otto anni, la serie di Lilith sembra essere in dirittura di arrivo. Il numero sedici segna l’inizio di un lungo episodio che occuperà gli ultimi tre albi, ambientati nel Nord-America di fine XVIII secolo. Il racconto inizia nel 1776 con la Guerra d’Indipendenza Americana, che nella Storia alternativa di questa serie ha un esito tanto diverso da essere ribattezzata la Ribellione delle Tredici Colonie, poiché la Storia la scrivono i vincitori.
Le alterazioni provocate da Lilith nei suoi viaggi nel tempo hanno infatti portato in quell’area geografica notevoli cambiamenti riassumibili in tre punti: la presenza sulla costa atlantica di un’antica colonia danese, il fatto che i Giapponesi anziché chiudersi nel loro isolazionismo abbiano colonizzato la costa del Pacifico e il ferimento di George Washington all’inizio della Guerra d’Indipendenza che rovescia le sorti del conflitto.



L'impero giapponese reale nel 1910

Le colonie danesi in Nord-America sarebbero state possibili, poiché è ormai appurato che gli antichi vichinghi fecero davvero una capatina in quella zona. In questa storia i Danesi hanno fondato sul fiume Hop la città di Nuova Copenaghen e sembrano aver in parte sostituito i Francesi nella rivalità contro l’Inghilterra, almeno in certe zone come quella dei Grandi Laghi. Invece di guerre Anglo-Francesi in quest’albo si parla infatti di guerre Indo-Danesi, sempre vinte comunque dai britannici. Date queste premesse, naturalmente non stupisce vedere in questo numero di Lilith due meticci vestiti come indiani ma alti, biondi e con la barba.
Anche lo sbarco dei Giapponesi nel Nord-America, che qui è da loro chiamato Kiokutō no kuni (il Paese del Lontano Oriente), sarebbe potuto avvenire. Secondo antiche cronache, navi cinesi visitarono davvero le coste di una terra oltreoceano. Nelle storie di Lilith molti Giapponesi si sono quindi trasferiti in America a sfruttarne i giacimenti auriferi, importando nelle colonie il loro modo di vivere e di costruire. Così qui una città chiamata Tōkiō (Capitale Orientale) è stata fondata al posto di San Francisco, ben prima che tale nome fosse dato all’antica città di Edo nel XIX secolo. In una mappa su Lilith n°9 si vede come il Kiokutō giapponese arrivi a coincidere, nel 1780, con un territorio equivalente all’intero Selvaggio West e alla Louisiana Francese, un’enorme regione tra la Nuova Spagna a Sud, le Colonie Britanniche a Est e il territorio della Compagnia della Baia di Hudson a Nord, la cui presenza modificherà inevitabilmente la Storia.

Castello giapponese in America - da Lilith n°16 pag 41

 
Castello Nero di Matsumato eretto nel 1597
Tra l’altro in Lilith n°16 rivediamo un giovane nobile giapponese già apparso alla fine del n°9, il figlio di una vittima di Lilith che era stato esiliato in America in quanto cristiano. Il ragazzo sembra però allontanarsi dalla religione paterna, stringendo rapporti con uno sciamano indigeno e sottoponendosi a riti purificatori indiani senza problemi. Giapponesi e Nativi Americani condividono infatti una visione mistico-religiosa abbastanza affine. Sia lo Scintoismo giapponese che il panteismo Amerindo sono basati sul rispetto verso gli spiriti della natura e probabilmente discendono entrambi da antiche forme di sciamanesimo mongoliche. Può sembrare ovvio che la cosa non sia ben vista dal precettore gesuita del giovane samurai, ma quel presunto religioso ha motivi che vanno ben al di là della solita ottusa intolleranza comune a gran parte dei monoteisti…



Un samurai giapponese e uno sciamano amerindo - da Lilith n°16 pag39

Un gesuita in un dipinto giapponese

Anche nella realtà i missionari gesuiti giunti in Giappone coi mercanti portoghesi furono all’inizio ben accolti dai governanti locali, ma la loro influenza ebbe fine con la messa al bando del Cristianesimo nel XVI secolo, a cui seguirono persecuzioni protrattesi per decenni. Qui invece, come visto su Lilith n°9, i Cristiani giapponesi sono più che altro esiliati in America, dove ora sembra che i Gesuiti abbiano acquisito notevole potere, ma non in accordo con la chiesa di Roma. Infatti quelli qui rappresentati come inquietanti religiosi calvi, alti e magri, simili a certe raffigurazioni caricaturali dei Gesuiti in antichi dipinti giapponesi, non sono certo ciò che sembrano e lo dimostrano ampiamente scontrandosi con l’esercito filo-clericale della Nuova Spagna.

Un gesuita inquietante - da Lilith  n°16 pag 79


Espansione giapponese in Nord-America - da Lilith n°9 pag 130


Anche il ferimento di Washington è indirettamente provocato dalla presenza giapponese in America. Qui il Giappone ha occupato la Corea tre secoli prima di quanto accaduto nella realtà e la dinastia regnante di quel paese si è rifugiata in Cina. Quando l’Inghilterra attua un blocco navale sulla costa Est del Nord-America, prima contro i Danesi e poi contro i coloni ribelli, gli esuli coreani inviano navi in appoggio alla flotta britannica per ottenere il sostegno dell’Inghilterra contro i Giapponesi. Nella Guerra d’Indipendenza la flotta delle navi testuggine coreane interviene così in un momento cruciale, di quelli in cui si decide la Storia, la ritirata delle truppe americane da Long Island di fronte al numero preponderante delle forze britanniche.

Una nave testuggine coreana - da Lilith n°16 pag 9


In quel momento in effetti, la Rivoluzione Americana poteva ricevere un brutto colpo. I britannici sbarcarono almeno ventimila soldati contro soli ottomila coloni validi, ma come si nota nel fumetto, il generale inglese William Howe commise gravi errori strategici, fermandosi dopo i primi scontri e dando respiro ai ribelli superstiti che riuscirono a sfuggirgli. Nonostante ciò, tra disfatte e diserzioni, molti contingenti americani si dissolsero e quando Washington in fuga giunse al fiume Delaware gli restavano solo tre-quattromila uomini.

Washington attraversa l'East River - da Lilith n°16 pag 8

Washington attraversa il Delaware - dipinto di Emanuel Leutze (1851)


Enoch disegna Washington che traversa l’East River riproducendo appunto il famoso quadro in cui attraversa il Delaware, anche se, data la posa eroica e il fiume in parte ghiacciato, il dipinto originale non si riferisce alla ritirata, svoltasi in estate, ma al momento in cui a dicembre Washington riattraversò il fiume per attaccare.
Ma Enoch riproduce anche un errore storico di quel quadro, perché la bandiera con le tredici stelle nel 1776 non esisteva ancora. La prima bandiera americana, come quella di tutte le colonie inglesi, aveva nell’angolo in alto a sinistra una riproduzione della bandiera britannica. Enoch avrebbe potuto chiedere la consulenza di Alfredo Castelli, che aveva fatto notare questo errore quasi diciotto anni fa, sul n°1 di Storie da Altrove.


Gli Americani del 1776 con la bandiera giusta - da Storie da Altrove n°1 (SBE,1998)


Su Lilith n°16 però, gli Americani in fuga il Delaware non lo raggiungono. I Coreani, dotati di razzi luminosi, intercettano Washington sull’East River nonostante l’oscurità notturna e la nebbia che nella realtà protessero la sua ritirata. Il comandante dell’Esercito Continentale è così messo fuori gioco con quasi tutti i suoi soldati.
Come risultato, gli insorti non riescono a invertire il corso del conflitto e continuano a prendere una serie di batoste senza potersi scrollare di dosso il dominio britannico, almeno per il momento. Enoch non entra in troppi dettagli, ma è probabile che non vincendo a Saratoga nel 1777 non abbiano ottenuto l’alleanza della Francia, che nella realtà fu essenziale per contrastare la supremazia sul mare dell’Inghilterra e giungere alla vittoria (per quanto gli Americani possano insistere sugli eroismi e la tenacia dei loro patrioti, l’indipendenza delle colonie inglesi in America non fu che una delle condizioni della pace di Versailles del 1783…). 


Benjamin Franklin da Lilith n°16 pag 114

 
In effetti nella realtà il trattato di alleanza tra le Tredici Colonie e la Francia fu ottenuto da Benjamin Franklin all’inizio del 1778 e la situazione degli insorti rimase comunque precaria fino al 1781, quando l’intervento della flotta e dell’esercito francesi capovolse le sorti del conflitto. Qui invece nel 1778 per i coloni la guerra è già perduta e Franklin non sembra essere mai partito per l’Europa, probabilmente per il blocco navale inglese. In ogni caso, in questa storia immaginaria una delegazione di capi dei patrioti composta da Franklin, Thomas Jefferson, Patrick Henry e un George Washington ancora in stato confusionale, si vede costretta come ultima risorsa a intraprendere un lungo e improbabile viaggio attraverso il Nord-America per andare a chiedere non l’aiuto dei Francesi ma quello dei Giapponesi, un’opzione che nella realtà non esisteva.

Thomas Jefferson da Lilith n°16 pag 81



Benjamin Franklin in un'incisione francese


Riguardo a Jefferson, Enoch commette il piccolo errore di definirlo ex-governatore della Virginia. Ma poiché Franklin dice che il ferimento di Washington è avvenuto due anni prima ci dovremmo trovare nel 1778, mentre Thomas Jefferson fu eletto governatore in Virginia solo nel 1779. La disfatta dell’esercito indipendentista e la vittoria britannica non potevano quindi privarlo di una carica che non aveva ancora.

Copertina di Toppi per il volume Guerre di Frontiera (Cepim,1974)


È invece perfettamente coerente con gli usi e le abitudini degli Irochesi che questi accolgano la delegazione dei patrioti in una loro città (spesso i villaggi irochesi sono chiamati impropriamente città, perché erano insediamenti stabili con grandi “case lunghe” circondate da palizzate e campi coltivati adiacenti). Infatti Le usanze degli Irochesi, che tra loro si chiamavano Ho-de’no-sau-nee (le Genti delle Lunghe Case), erano basate sulla condivisione comunitaria dei beni e imponevano di dare ospitalità, cibo e alloggio a visitatori e viaggiatori senza chiedere nulla in cambio. I più ricchi e fortunati tra loro dividevano tutto ciò che avevano coi meno fortunati e i bisognosi, tanto che tra gli Irochesi la fame e la miseria erano sconosciute.

Una casa di corteccia irochese - da Lilith n°16 pag 55

Una casa di corteccia irochese - da un libro del 1851


Un irochese e una casa lunga - acquerello di Pratt




In quella “città” al gruppo dei ribelli si aggiunge anche una delegazione di indiani Irochesi Seneca, che preoccupati per come i bianchi minacciano le loro terre e il loro sistema di vita, vorrebbero allearsi anch’essi coi lontani “Uomini dagli Occhi Stretti”. Tra loro ci sono anche due meticci d’origine danese. Sono tutte persone amanti della libertà insofferenti verso il dominio britannico e ricevono un aiuto insperato quando a chiedere di accompagnarli, per i suoi soliti scopi, arriva quella che i Seneca definiscono “spirito della foresta”, ovvero una misteriosa donna vestita da indiana che ben conosciamo. Comunque in quest’albo Lilith non fa molto. Dà poche informazioni e consigli al gruppo dei ribelli, attua un diversivo incruento contro gli Inglesi e se la spassa un po’ con un vichingo mezzo indiano. A parte ciò, si limita per lo più ad assistere agli eventi.


Un meticcio indo-danese - da Lilith n°16 pag 27


Resta da vedere come i ribelli supereranno le immense praterie e le Montagne Rocciose per raggiungere la Tōkiō americana, in un’epoca priva di mezzi di comunicazione tra una costa e l’altra dell’America. In effetti l’idea di compiere un viaggio così lungo, non si capisce se a piedi o con quali mezzi, attraverso territori così vasti e inesplorati, da parte di pochi borghesi avvezzi a una vita comoda e di un gruppo di indiani dell’Est che sapevano poco di cosa ci fosse a Ovest, fa sì che la storia non risulti poi troppo verosimile.

George Washington da Lilith n°16 pag 57

George Washington ritratto dal pittore Charles W. Peale

Tanto più che se il trentacinquenne Jefferson e il quarantaseienne Washington potevano adattarsi alla rude vita dei boschi, la cosa sembra ben più difficoltosa per l’anziano Benjamin Franklin, che nel 1778 aveva settantadue anni. Speriamo per loro che, passato il Mississippi, incontrino qualche giapponese che li scorti alla capitale…
A rendere ancor più difficile e pericoloso il viaggio dei ribelli c’è poi il fatto che l’esercito britannico è sulle loro tracce, sotto forma di un contingente di dragoni e dei famosi ranger agli ordini del maggiore Rogers. 


Indiani alleati degli Americani a Bunker Hill, in un dipinto di John Trumbull


Il maggiore Rogers da Lilith n°16 pag 65

 
Robert Rogers e i suoi ranger, truppe irregolari che in italiano si definirebbero “cacciatori”, in varie spedizioni avevano davvero esplorato e tracciato mappe, sia pure molto approssimative, di regioni allora ancora ignote del Nord-America, cosa che qui è puntualmente menzionata, visto che disporre di mappe attendibili dei territori sarebbe abbastanza utile per chi deve inseguire qualcuno attraverso mezzo continente…

Carta del Nord America di Rogers del 1765 - dal libro Passaggio a Nord-Ovest


In seguito Rogers diventò protagonista, insieme ai suoi ranger, del romanzo di Kenneth Roberts Passaggio a Nord-Ovest e dell’omonimo film che il regista King Vidor trasse, nel 1940, dalla prima parte di quel libro (il film sulla seconda parte non fu mai girato per dissidi tra l’attore Spencer Tracy e il regista). Ciò che Rogers sogna di fare in quel romanzo è proprio scoprire un passaggio per raggiungere il Giappone e l’Asia, ma qui quell’impresa è ormai diventata superflua visto che sono i Giapponesi ad essere arrivati in America.
Sia nel romanzo che nel film, i Ranger di Rogers, dipinti in genere come un corpo di eroici esploratori, in realtà compiono atti di brutale sterminio contro gli indiani alleati dei Francesi, ammazzandoli con cinica soddisfazione anche quando non sono in condizioni di nuocere e derubando i cadaveri dei loro gioielli.
In effetti i cosiddetti Ranger Reali storicamente compirono davvero degli spietati massacri, spesso a fianco dei loro alleati indiani e partecipando anche a terribili stragi di civili durante la Guerra d’Indipendenza.

Il maggiore Rogers interpretato da Spencer Tracy nel film Passaggio a Nord-Ovest (1940)


È esatto anche ciò che Enoch fa dire al maggiore Rogers sul proclama reale che, non solo autorizzava, ma ordinava espressamente a tutti i sudditi britannici di “perseguitare, catturare e uccidere” certi indiani ritenuti ribelli, ovvero che non accettavano di sottomettersi all’Inghilterra, offrendo 40 sterline “per ogni scalpo di indiano maschio” e 20 “per ogni scalpo di donna indiana o di bambino sotto i dodici anni”. Con quel proclama particolare, emesso nel 1756, re Giorgio II intendeva far sterminare il popolo dei Penobscot. In altri momenti e per altri popoli (ribelli americani compresi), le tariffe sarebbero state un po’ più basse…

Il maggiore Rogers e il fanatico ranger Jedediah - da Lilith n°16 pag 74


Che i ranger svolgessero abitualmente simili attività sanguinarie un tempo definite “eroiche”, Enoch lo evidenzia anche descrivendo uno di loro come un vero e proprio fanatico razzista, il cui esagerato odio verso tutti i pellirosse è alimentato fino al parossismo dall’intolleranza religiosa cristiana. Certe parole che l’autore mette in bocca a quest’antipatico personaggio (“Gli Indiani sono come gli abitanti di Canaan che il Signore ha ordinato di sterminare…”) non sono inventate dall’autore, ma riprese fedelmente da dichiarazioni fatte da certi pastori episcopali americani per giustificare le ricorrenti stragi di nativi compiute a quell’epoca dai coloni. Un tale modo di pensare può comunque procurare grossi guai quando si hanno anche alleati indiani…


Il maggiore Rogers e i suoi ranger in una illustrazione d'epoca


Agli Inglesi a caccia dei ribelli si unisce infatti un gruppo di Irochesi Mohawk (che Enoch confonde con i Moicani), indiani un tempo confederati con i Seneca e che qui considerano questi ultimi dei traditori per aver disertato l’alleanza con gli Inglesi. È vero che la Lega Irochese a cui appartenevano questi due popoli e che molti considerano l’ispiratrice della struttura politica degli Stati Uniti, per ironia della sorte si sfasciò proprio quando le sue diverse nazioni si schierarono su campi opposti nella Guerra d’Indipendenza americana (usiamo qui il termine nazioni perché è quello che all’epoca fu usato impropriamente dagli Europei, ma in effetti si riferisce a quelli che si possono considerare i diversi “stati” in cui si divideva la Nazione Irochese). 



Una città irochese - da Lilith n°16 pag 54

 La legge degli Irochesi prevedeva che potessero scendere in guerra solo per decisione unanime di tutte le nazioni della Lega, ma quando il popolo Oneida rifiutò di entrare in guerra a fianco degli Inglesi, la legge comune fu accantonata e ogni nazione fu lasciata libera di decidere singolarmente come comportarsi.

Un seneca da un libro sugli Irochesi del 1851


Nonostante tutto nel 1777, fidandosi della promessa che gli Inglesi avrebbero difeso la sovranità dei loro territori, la maggioranza degli Irochesi delle nazioni Mohawk, Seneca, Cayuga e Onondaga, pur dividendosi a volte anche al loro interno, finirono per restare fedeli ai loro vecchi alleati britannici, benché alcuni capi soprattutto tra i Seneca avrebbero preferito rimanere neutrali, come giustamente si dice nel fumetto, anche per mantenere un impegno di amicizia preso con gli Americani nel 1775. Forse fu proprio per rispettare quel patto che gli Oneida e i Tuscarora si schierarono invece con gli insorti. Ma anche alcuni Tuscarora combatterono contro gli Americani, partecipando nel 1778 a una grande incursione in un vasto territorio della Pennsylvania di cui gli Irochesi erano stati espropriati con l’inganno dai coloni oltre vent’anni prima.

Un seneca commenta lo scioglimento della Lega Irochese - da Wheeling di Pratt


Infatti la maggioranza dei popoli Irochesi preferirono gli Inglesi non solo perché li ritenessero i più forti, come Enoch fa dire al capo mohawk Brant, ma anche perché le pur dure autorità britanniche tendevano a essere un po’ più corrette verso i nativi rispetto ai coloni, che molto spesso facevano strage degli Indiani e ne occupavano i territori, senza che l’esercito inglese riuscisse a far rispettare i trattati. Si può dire che tra le varie cause della Guerra d’Indipendenza americana ci fu anche il desiderio dei coloni di occupare i territori dell’Ovest, che nel 1763 il governo britannico dichiarava con proclama reale di voler riservare agli Indiani.
Ma già nel 1768, gli Irochesi erano stati obbligati con un altro trattato a spostarsi più a Ovest, dato che i coloni avevano invaso un’altra porzione delle loro terre e come al solito il governo britannico non poté far altro che prenderne atto. Quando gli Inglesi si decisero a fare la guerra ai coloni ribelli, anche se per motivi poco chiari agli Indiani, la maggior parte di questi colsero l’occasione per reagire contro i soprusi subiti.


Simboli dei clan irochesi ( XVIII secolo)


A causa dei bianchi dunque, popoli da secoli in pace tra loro si ritrovarono a combattere contro i propri fratelli di sangue, poiché gli Irochesi si consideravano consanguinei anche tra individui di nazioni diverse, se membri dello stesso clan. Infatti ogni loro popolo era formato da gruppi tribali analoghi, suddivisi in clan contrassegnati dagli stessi animali sacri. Inoltre potevano sposarsi solo tra membri di gruppi diversi, il ché incoraggiava anche i matrimoni tra nazioni irochesi diverse e faceva sì che fossero tutte imparentate tra loro.
Ma prima ancora che si formassero definitivamente gli Stati Uniti, la lega indiana che li aveva ispirati stava già sperimentando una divisione che in un certo senso anticipava già quella della Guerra Civile Americana.

Il capo seneca Cornplanter da Lilith n°16 pag 29


La drammaticità di una simile guerra fratricida, è sintetizzata da Enoch mettendo in scena la rivalità e infine il duello all’ultimo sangue tra due capi irochesi realmente esistiti, ma che nella realtà combatterono insieme contro gli Americani e non ebbero mai occasione di scontrarsi, il capo dei Seneca chiamato Cornplanter (Piantatore di Mais) e il capo dei Mohawk detto Joseph Brant. Almeno così li chiamavano i bianchi, che spesso, non riuscendo a pronunciare i veri nomi indiani, li traducevano nella loro lingua o li sostituivano.



Il capo seneca Cornplanter in un ritratto di fine '700



Il nome originale di Cornplanter significa più esattamente “Quello che Uno Pianta” ed è stato trascritto in vari modi: Gy-ant-wä-ka, Kaiioñtwa’kon, o Gayänt’wakê come scrive Enoch, che in un’altro caso lo scrive anche Gyantwachia. La prima trascrizione sembrerebbe seguire più esattamente la fonetica inglese, quindi scritto all’italiana potrebbe suonare all’incirca Gaientuakè, ma gli Inglesi lo storpiarono in Garganwahgah.
Una cosa strana è che, all’inizio di Lilith n°16, Cornplanter sembra non voler considerare come suoi fratelli seneca i due meticci danesi, perché sono imparentati coi bianchi. In realtà non avrebbe dovuto avere certi pregiudizi poiché lui stesso era un mezzosangue, essendo figlio di un mercante bianco che aveva sposato una donna seneca. Lo si vede abbastanza bene anche in un ritratto di Cornplanter eseguito a fine ‘700, quando era ancora vivo, e che, a parte le orecchie deformate da pendagli, ha lineamenti piuttosto europei. 

Il capo seneca Giacca Rossa ritratto da George Catlin nel 1828

 
Invece qui Enoch disegna Cornplanter con dei tratti molto più amerindi. In effetti quello da lui tratteggiato, sia nell’aspetto che nell’ostilità che ostenta verso tutti i bianchi e la loro cultura, rassomiglia di più a un altro importante capo dei Seneca di quello stesso periodo, Sagoyewatha, che i bianchi chiamavano Giacca Rossa. Anche lui infatti avrebbe voluto restare neutrale e non avere niente a che fare con i bianchi e le loro guerre.
In questa storia comunque l’alleanza di Cornplanter cogli americani avviene molto in anticipo sulla realtà. Infatti dal 1777 e fino alla fine della Guerra d’Indipendenza nel 1783, i Seneca combatterono contro i coloni insieme agli Inglesi. Inoltre, anche se quella guerra avrebbe preferito non combatterla, Cornplanter fu scelto come uno dei due principali capi di guerra della Lega Irochese, che stava cercando sia pur parzialmente di rimanere unita. L’altro capo di guerra supremo prescelto fu un seneca più anziano, Sayenqueragtha, noto anche come Vecchio Re, anche se spesso gli storici, per il grande e continuo impegno in battaglia, hanno attribuito per errore tale carica a quello che invece era uno dei due capi di guerra dei soli Mohawk, cioè Joseph Brant.

Il capo mohawk Joseph Brant da Lilith n°16 pag 73



Il primo mohawk chiamato Brant - stampa da un ritratto del 1709

Anche il vero nome di Joseph Brant è stato trascritto (perfino da lui stesso) in vari modi: Tä-yen-dä-na-ga, Thayandanega, Tayendanayegeh, Thaienteneka o, come riportato anche nell’albo,Thayendanegea, che è la versione più comune. Prendendo per buona la versione sillabica, scrivendolo all’italiana la pronuncia può essere più o meno Taiendaneghè. In lingua mohawk significa “Due Bastoni Costretti Insieme”, forse riferito alla sua vita, trascorsa sempre in delicato equilibrio a metà tra la cultura del suo popolo e quella dei bianchi.
Gli Inglesi diedero a Thayendanegea il cognome Brant perché era il nome che avevano dato al capo mohawk Canagaraduncka, che aveva sposato sua madre rimasta vedova. Determinante per Joseph fu il legame con la sua sorellastra Mary Brant, una nipote del grande capo mohawk Theyanoguinche sposò il soprintendente britannico agli affari indiani William Johnson, il principale artefice della vecchia alleanza tra Inglesi e Irochesi.

Joseph Brant in Wheeling di Hugo Pratt

Gli Irochesi compiono stragi insieme ai ranger - da Wheeling di Pratt

Johnson fece partecipare Joseph alle sue prime battaglie contro i Francesi, lo mandò alle scuole dei bianchi e gli fece conoscere famiglie coloniali influenti. È quindi storicamente corretto che Joseph Brant vestisse come i bianchi, fosse cristiano e avesse visitato l’Inghilterra, dove entrò nella Massoneria come ricorda Hugo Pratt nella saga di Wheeling. Conosceva inoltre la Letteratura e la Storia e tradusse vari testi cristiani in mohawk.
Dopo aver lavorato per gli Inglesi come interprete, già nelle prime fasi della Guerra d’Indipendenza, Brant si distinse partecipando ad alcuni scontri tra l’esercito britannico e i coloni ribelli (in pratica Enoch ha perso l’occasione di farlo apparire nelle prime scene della sua storia, poiché era presente anche a Long Island…).


Il capo mohawk Joseph Brant da Lilith n°16 pag 116

In effetti fu Joseph Brant il primo a tentare di convincere gli Irochesi a schierarsi di nuovo con gli Inglesi e, anche se all’inizio lo seguirono solo pochi tuscarora della città dove risiedeva, come si è detto nel giro di un anno fu scelto come capo di guerra della nazione Mohawk e divenne uno dei più famosi capi impegnati in quel conflitto, partecipando coi suoi a varie battaglie e compiendo molti saccheggi. Le ritorsioni colpirono pesantemente anche il territorio irochese, ma non si svolsero in tempi così stretti come sembra nel fumetto.
Nell’estate 1778 gli Irochesi, guidati anche da Cornplanter e appoggiati dai ranger, invasero la valle del Wyoming in Pennsylvania che era stata loro sottratta dai coloni, massacrandone centinaia, scacciandoli e distruggendo un migliaio di fattorie. Nell’autunno gli Americani distrussero a loro volta il quartier generale di Joseph Brant e altre città degli Irochesi. Questi, guidati da Brant, Cornplanter e altri capi, risposero con attacchi sanguinari contro i coloni della valle di Cherry, sempre al fianco dei ranger inglesi. Infatti gli Inglesi pagavano anche per gli scalpi americani e, per ironia della sorte, tra gli scalpi che pagarono ce n’erano anche di coloni leali all’Inghilterra (fu sterminata per errore anche una famiglia amica di Brant…). 

Il capo seneca Cornplanter da Lilith n°16 pag 53
 
 
In mezzo a tali orrori, l’indiano civilizzato Joseph Brant, pur combattendo valorosamente, si comportò nel modo più umano e leale possibile. Non fece mai la guerra a donne e bambini e anzi li salvò quando poté, a differenza di certi suoi alleati, anche bianchi. Probabilmente il vero Brant fu un personaggio un po’ meno arrogante e indisponente di quello che appare nel fumetto di Enoch, o almeno dotato di sincero altruismo.
Come risposta, nella primavera 1779 gli Americani aiutati dagli Oneida distrussero la città di Onondaga, capitale della Lega Irochese. A fine luglio Cornplanter reagì distruggendo a sua volta un forte americano. Ma tra agosto e settembre ben cinquanta città irochesi furono rase al suolo e i raccolti interamente distrutti da spedizioni inviate dal generale Washington, che da allora fu chiamato dagli Irochesi il Distruttore di Città. 



Mappa delle Sei Nazioni Irochesi con i percorsi delle incursioni americane del 1779
 
In Lilith n°16 però è difficile che gli Americani abbiano avuto tempo e modo di compiere distruzioni di tali portata, senza poter contare su Washington e avendo già perduto la guerra nel 1778. Quindi nel fumetto non si capisce come abbiano potuto essere distrutte tutte le città irochesi, visto che si dice che ne resti solo una, quella in cui i ribelli americani e i seneca ottengono ospitalità. Forse qui gli Americani, non riuscendo a infliggere nessuna sconfitta agli Inglesi, si sono sfogati di più contro gli Irochesi… Ma tutto andrebbe a posto, compreso il governatorato di Jefferson, se la storia anziché nel 1778 si svolgesse un paio d’anni dopo.

Il capo seneca Cornplanter da Lilith n°16 pag 116


Nella realtà la guerra continuò. Gli Irochesi, che di solito evacuavano le loro città prima degli attacchi, non si arresero e nel 1780 respinsero gli Oneida. Intanto Cornplanter e Joseph Brant, spesso combattendo fianco a fianco, continuarono a invadere valli e distretti dei coloni, distruggendo abitazioni e fattorie a decine.
Quando nel 1783 persero la guerra per la capitolazione degli Inglesi, gli Irochesi non capirono come fosse successo. Non risultava loro di essere stati obbligati alla resa e si sentirono traditi e abbandonati dai bianchi che li avevano trascinati in quella guerra e poi si arrendevano lasciandoli in balia del nemico. 


Statua di Joseph Brant a Ottawa, in Canada

Anche Joseph Brant, tutt’altro che succube dei britannici come Enoch lo rappresenta, denunciò la subdola politica inglese che non teneva alcun conto degli Indiani e cercò anche di spingere gli Irochesi a continuare la lotta, ma era loro impossibile combattere gli Americani senza l’appoggio britannico. Gli Inglesi comunque furono relativamente corretti coi loro alleati indiani, rispettando almeno una parte degli accordi e concedendo dei territori in Canada ai Mohawk di Brant e a tutti gli Irochesi che vollero seguirli.
Quindi Joseph Brant non fu tradito completamente dai bianchi per cui aveva combattuto e non dovette convivere con gli Americani che erano stati suoi nemici, anche se ciò non gli avrebbe evitato in seguito di avere dissidi con l’amministrazione britannica. Per Cornplanter le cose andarono un po’ diversamente.


Joseph Brant contro un ranger - da Lilith n°16 pag 107


Gli Irochesi che non vollero lasciare le proprie terre si ritrovarono entro il territorio statunitense, anche se col tempo molti di loro sarebbero stati costretti ugualmente a emigrare… o in Canada, o altrove. E neanche gli Oneida che erano stati alleati degli Americani avrebbero avuto un destino molto migliore... Fu quello il momento in cui la Confederazione finì per spezzarsi definitivamente, tanto che ancora oggi esistono due Leghe Irochesi che pretendono ognuna di essere quella autentica, una nel Canada e una negli Stati Uniti.


Da I Protagonisti n°5 di Albertarelli (Daim Press,1975)

È in quel periodo che Cornplanter, per così dire, “tradì” gli Inglesi e “passò” dalla parte degli Americani, ma solo perché si era sentito tradito per primo dalla resa del governo britannico. Gli Irochesi rimasti con lui negli Stati Uniti, nel 1784 stipularono cogli Americani un trattato, voluto da George Washington, che in cambio della pace riconosceva i loro diritti sulle loro terre e Cornplanter fu tra i capi che lo firmarono, ma nel giro di appena tre anni i politici americani escogitarono il modo di aggirare i trattati stipulati coi popoli indiani.

Cintura wampum che commemora la pace tra Irochesi e Americani del 1784


La neonata Costituzione riconosceva agli Indiani lo status di nazioni indipendenti, ma il decreto noto come Proclama del Nord-Ovest autorizzava i coloni che si trasferivano in numero sufficiente nelle terre indiane a costituirsi in territori e a diventare poi stati dell’Unione. Negli stati dei bianchi però gli Indiani, appartenenti a fantomatiche nazioni indipendenti ormai quasi senza territorio, sarebbero stati del tutto privi di diritti.
Pur essendosi inimicato gran parte del suo popolo per gli svantaggiosi trattati che aveva firmato, quando nel 1812 scoppiò un’altra guerra contro gli Inglesi, Cornplanter convinse gli Irochesi del territorio statunitense a schierarsi con gli Americani. Ma neanche in quella guerra ebbe occasione di combattere contro Joseph Brant, sia perché questi era morto cinque anni prima, sia perché era sempre stato determinato a restare in pace coi suoi fratelli irochesi degli Stati Uniti. Il fatto che la serie di Lilith si svolga ormai in una realtà alternativa, permette naturalmente anche di far scontrare due personaggi reali in un duello mai avvenuto, ma tra i capi irochesi che si opposero di più a Brant non ci fu tanto il suo compagno di battaglie Cornplanter, quanto il capo mohawk suo rivale Joseph Louis Cook, schieratosi fin dall’inizio dalla parte dei coloni americani ribelli.
Alla disillusione e alla sfiducia verso tutti i bianchi, che Enoch gli fa assumere fin dall’inizio, Cornplanter arrivò solo più tardi, ma non si può dire che gliene mancassero i motivi. Nonostante la fedeltà dimostrata dai suoi Irochesi, gli Americani continuarono a espropriarli gradualmente delle loro terre, scacciandoli sempre di più verso Ovest, e a disperderli confinandoli in tante minuscole riserve. Per seguire a quanto si dice un sogno che aveva avuto, Cornplanter finì per distruggere tutte le magnifiche onorificenze conferitegli dal governo, rinunciò alla carica di capo passandola a un altro e non volle più avere a che fare con nessun bianco…


Joseph Brant - dal volume L'Ultimo dei Mohicani - supplemento a il Giornalino (1993)


Si può notare come i due indiani che si contrappongono qui non siano per niente etichettabili come buono e cattivo, come per esempio ne L’Ultimo dei Mohicani, che rappresenta il modello irrinunciabile per questo tipo di storie di frontiera. Nessuno dei due capi è privo di pregi né di ombre. Il Cornplanter di Enoch vorrebbe difendere la cultura indiana contro tutti i bianchi, eppure suo malgrado finisce per allearsi di nuovo con alcuni di loro. Il suo Joseph Brant veste da bianco e combatte per gli Inglesi, ma non dimentica d’essere un indiano e difende con le armi l’onore degli uomini rossi da chiunque li offenda trattandoli con disprezzo.



Joseph Brant ritratto dal pittore George Romney (1776)

Nella realtà storica, è ironico che un meticcio come Cornplanter abbia finito per ripudiare completamente la cultura bianca in favore di quella indiana, mentre un indiano di sangue più puro come Joseph Brant si sia convertito alle conoscenze, ai costumi e alla religione dei bianchi, fino a tradurre la Bibbia in lingua Mohawk. Ma è vero che anche Brant conservò la fierezza per le sue origini e per le leggi indiane, continuando a considerarle dotate di maggior senso di giustizia e di minori ipocrisie e inganni rispetto a quelle dei bianchi.



Joseph Brant dipinto da Charles Wilson Peale nel 1797, il ritratto  più vicino alla versione di Enoch.
Tornando alla storia principale di Lilith n°16, come proseguirà il viaggio dei ribelli superstiti e che effetti otterrà, o se i guerrieri Irochesi potranno diventare amici dei samurai, o dove condurrà la pista seguita da Lilith alla ricerca dell’ultimo parassita alieno da distruggere, sono tutte cose che vedremo tra altri sei mesi.
Per ora l’unica cosa certa che sappiamo è che tutto ciò è destinato a modificare l’assetto politico mondiale, poiché ne abbiamo viste le conseguenze in precedenti episodi di Lilith ambientati in epoche successive…

Lilith e lo Scuro - da Lilith n°16 pag 110


Lilith n. 16, giugno 2016. Disegno di Enoch


Lilith 16
LE DUE FRONTIERE
Testi, disegni, copertina e rubriche: Luca Enoch
Formato: 128 pagine in bianco e nero
Editore: Bonelli
Data di uscita: Giugno 2016
Prezzo: € 4,00


Andrea Cantucci

N.B. Trovate i link alle altre recensioni bonelliane sul Giorno del Giudizio!

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