di Erik Lucini
Cominciamo con le cose rassicuranti: Dylan torna a suonare il clarinetto (niente note, ma diamo per scontato sia Il Trillo del diavolo di Tartini); torna il suo quinto senso e mezzo - almeno in parole - e, soprattutto torna uno dei più interessanti personaggi di Dylan Dog – troppo poco sviluppati a mio avviso – come Maria Trelkovski. Madame Trekolsky, oltre a essere una fonte di grande ispirazione e un punto di congiunzione tra Dylan e una realtà spirituale o occulta che in lui alberga, è un personaggio capace di mutare gli universi narrativi di Dylan in maniera unica, e pertanto sarebbe davvero auspicabile una sua più approfondita permanenza nelle storie. A un prima lettura sembra che Nel fumo della battaglia ripercorra e abbia bene in mente quelli che sono i capisaldi e le caratteristiche intrinseche di Dylan; una storia che sembra voler andare in direzione ostinata e contraria ai precedenti albi. Sembra…
La sensazione che si ha dopo una attenta lettura è di una storia che sarebbe dovuta essere più lunga ma è stata accorciata – in questo un vero peccato perché l’idea del soggetto non era male e almeno qui si capiva di avere bene in mente Dylan – e con aggiunte che non portavano nulla alla struttura narrativa. A cominciare dall’apertura dell’account di Facebook da parte di Dylan, e che lascia la porta aperta a possibili nuovi account - Twitter?, LinkedIn? - e alla continua esistenza dello smartphone che in un universo narrativo coerente, dopo l’albo di John Ghost, sarebbe stato più giusto far scomparire poiché la sua presenza sarebbe di difficile giustificazione.
L’idea del filone alchemico è molto interessante, ma andava sviluppata in maniera più profonda e coerente. Ritengo difficile che una medium del calibro di Maria Trekolsky possa cadere nell’abbaglio di definire una costruzione alchemica come un'entità che non riesce a espandersi all’infinito. Questa sarebbe una negazione alchemica assolutamente non degna di lei. Ed è proprio qui che il personaggio della medium doveva essere sviluppato: la Trekolsky avrebbe potuto e dovuto essere nel “limbo”, nello spazio dove tempo e vita si annullano e in cui si trovava il bambino, avrebbe dovuto essere il punto di congiunzione tra Dylan e questo spazio vuoto. Qui, invece, si limita quasi a una apparizione speciale, a intermezzi che non rendono lo spessore narrativo del suo personaggio. Un vero peccato! Pensate cosa sarebbe potuto essere Nel fumo della battaglia se si fosse strutturato sul doppio binario narrativo: l’indagine di Dylan e l’esplorazione della Trekolsky. Un doppio binario che sarebbe stato capace di raccogliere il Dylan di Sclavi e portarlo oltre. Davvero un peccato... La rappresentazione grafica del limbo nel quale si trova il bambino viene a mancare di coerenza alchemica; più attento sarebbe stato, a mio avviso, ispirarsi a un quadro come Finis Gloria Mundi del pittore spagnolo Juan Valdès Leal, che avrebbe dato in un colpo solo senso, profondità, inquietudine e, soprattutto, lato oscuro. Provate a immaginare, in questa rappresentazione artistica, Dylan, la Trekolsky e il bambino; quasi una storia nella storia capace di lasciare il lettore prigioniero e avvolto da una potenza visiva.
Il tratto grafico di questo albo, decisamente migliore ai precedenti, non risulta però convincente con la struttura narrativa. In un soggetto di questo tipo sarebbe stato più coerente un tratto quasi più spirituale, aleatorio, leggero ma intenso. Un tratto alla Corrado Roi sarebbe stato perfetto. Una ultima cosa sulla copertina. Graficamente bella, ma concettualmente sbagliata. Il senso era quello di dare l’idea del lato oscuro di Dylan ma contemporaneamente, come ogni buona copertina, legarla al soggetto. Credo che questo non sia stato fatto. Si poteva a mio avviso osare di più; si poteva, magari, raffigurare Dylan sullo stile di un ritratto di Modigliani con occhi quasi assenti. Perché per vedere il lato oscuro, bisogna guardarsi allo specchio e non vedersi.
Nel complesso si ha l’idea di un albo che dica: volevo fare di più ma non ho potuto, e lascia ancora aperta una domanda: il futuro di Dylan è Dylan stesso o un altro personaggio? Una domanda che però in questo albo fa trasparire quella che potrebbe essere una risposta: a pagina 39, se non erro, il galeone di Dylan risulta finito. E questo, nell’universo narrativo di Sclavi, ha un significato preciso. Troppo preciso.
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Dylan Dog n. 343, marzo 2015. Disegno di Stano |
Dylan Dog 343
NEL FUMO DELLA BATTAGLIA
Pagg. 100 - € 3,20
Soggetto, sceneggiatura e disegni: Gigi Simeoni
Copertina: Angelo Stano
Erik Lucini
N.B. trovate i link alle altre recensioni bonelliane sul Giorno del Giudizio!
Carissimi, intanto grazie per la vostra attenzione e la puntuale analisi dell'albo "Nel fumo della battaglia" (Dylan Dog 343) da me realizzato. Ho trovato un riferimento preciso alla "costruzione alchemica" citata dalla Trelkowski, giustamente contrapposto a quanto invece si spiega nella vicenda. In realtà, si tratta di un errore del letterista. Il termine originale era "Costrizione Animica", che nel linguaggio medianico indica proprio l'anima di una persona trapassata incosciente della sua nuova condizione. Essendo un termine piuttosto inusuale, evidentemente il letterista doveva aver capito che il mio fosse stato un errore di battitura, oppure il sistema di correzione automatico del programma di composizione testi deve averci messo lo zampino. In ogni caso, mi scuso personalmente e prometto che nelle prossime edizioni della storia, l'errore verrà corretto. Tanto dovendovi, porgo cordiali saluti.
RispondiEliminaGigi Simeoni