giovedì 25 febbraio 2016

ECO, UNA MARCIA IN PIÙ NEL CONTAMINARE L' "ALTO" CON IL "BASSO"

di Giuseppe Pollicelli 

Quando ancora usciva "Dime Press", l'amico Giuseppe Pollicelli - ora giornalista di "Libero"  e autore per il settimanale satirico "LiberoVeleno" - era una delle nostre firme più assidue, un valido e costante collaboratore. In occasione della scomparsa di Umberto Eco - scrittore, romanziere e studioso del linguaggio vicino al mondo del fumetto fin dai tempi di Linus e prima ancora - Giuseppe ha redatto un pezzo per il suo quotidiano (apparso il 21 febbraio 2016). I Quaderni Bonelliani hanno ora il privilegio di pubblicarlo in Rete. (s.c. & f.m.) 

Umberto Eco


Il tratto maggiormente distintivo di Umberto Eco, e fors’anche - fra i molti - il suo pregio più grande, coincide con quello che, per vari intellettuali italiani (forse non del tutto esenti da invidia per i successi del professore), era il suo difetto imperdonabile: l’ironia. Eco ha tutto del grande buffone, ha detto una volta Pietro Citati, la vitalità, la volgarità, la cialtroneria. Ma è stata proprio l’attitudine a trattare con lievità anche le materie più ardue a marcare la differenza tra Eco e gli altri; a dargli, rispetto ai colleghi, una marcia in più. È stato l’amore senza complessi per il pop e la cultura di massa a fare di lui, accanto all’insigne accademico, un divulgatore e un romanziere capace di comunicare con tutti gli strati sociali. Ed è stato il suo sguardo ironico e smitizzante (che non vuol dire né irrispettoso né sussiegoso) nei confronti del sapere a renderlo più lungimirante, ricettivo e capace di intuizioni seminali. Con le sue rivoluzionarie raccolte di saggi (specie quelle dei primi anni Sessanta, da Opera aperta ad Apocalittici e integrati) e i suoi geniali e volutamente provocatori esercizi di stile (dalla Fenomenologia di Mike Bongiorno all’Elogio di Franti), Eco ha innanzi tutto annullato, o perlomeno fortemente attenuato, i sensi di colpa di tanti di noi, sinceramente appassionati di fumetti, romanzi gialli e programmi tv.

La 1a tavola di Steve Canyon, 19 gennaio 1947. Celebre in Italia anche per l'analisi di Eco


Pur perfettamente consapevole che Topolino giornalista non è Proust, Eco ha mostrato meglio di chiunque altro, anche con i suoi romanzi, come "alto" e "basso" abbiano innumerevoli punti in comune, e come talvolta si possano scambiare di posizione: l’analisi semiotica della prima tavola di Steve Canyon o quel memorabile pezzo di bravura che va sotto il titolo di Schtroumpf und Drang, una raffinatissima disamina della lingua dei Puffi (Schtroumpfs in originale) che ne evidenzia la complessità, fanno comprendere che spesso ciò che ci appare come semplicità non è altro, per citare Brancusi, che una complessità risolta. In fondo quel che ha fatto Eco nell’arco del suo eccezionale percorso intellettuale è stato soprattutto combinare tra loro, con spirito fanciullesco, ambiti e contesti apparentemente (e solo apparentemente) distanti e inconciliabili.
 
Schtroumpfs...
...und Drang!


A ben vedere sempre teso, lui che (ex ragazzo dell’Azione Cattolica) era pur sempre un uomo segnato dall’aver perso la fede, alla ricerca di un qualche senso che potesse almeno temporaneamente porci al riparo dalla prospettiva del nulla: quel nulla che probabilmente tutti ci attende e al quale gli uomini usano opporre l’esorcismo del riso, tanto temuto - per il suo potenziale eversivo - dai monaci benedettini de Il nome della rosa, per i quali al timor del nulla si può validamente e lecitamente controbattere soltanto con il timor di Dio. Umberto Eco ha amato giocare con tutto, anche con ciò che vi è di più impegnativo e grave. Consapevole, a differenza di tanti suoi miopi detrattori, che ben poche cose sono più serie del gioco. 


Giuseppe Pollicelli 


N.B. Trovate i link alle altre novità su Interviste & News e i collegamenti ai "post librari" sulla Biblioteca di Altrove! 

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