sabato 23 aprile 2016

L'ANGOLO DEL BONELLIDE (XXIII): LA LUNGA STRADA DEL WESTERN FILO-INDIANO (terza parte - gli anni 1970: da Blueberry e Storia del West fino alla fine di Ken Parker)

di Andrea Cantucci

Ken Parker Settimanale n. 50 (Mondadori, 2015)


Mi sentii alla presenza di esseri superiori; e questi erano i rappresentanti di una razza che avevo considerato fino a quel momento senza eccezioni come composta da esseri crudeli, sleali e assetati di sangue…
il maggiore Edward Wynkoop a proposito degli Cheyenne nel 1864


La mia mano non ha mai per prima teso l’arco o sparato un colpo di fucile contro i bianchi. (…) non abbiamo cominciato noi.
dal discorso del capo comanche Dieci Orsi (Medicine Lodge, 1867)


Leggende Indiane di Pratt - Sequoyah e l'alfabeto cherokee (anni '60)


1962-1972: Tra Storia e Leggenda

Tra le quasi trenta Leggende Indiane disegnate da Hugo Pratt sulle pagine di Pecos Bill dal 1962, si trovano ovviamente storie fantastiche con le divinità adorate da vari popoli, come il Grande Spirito Manitù, gli dèi del Sole e della Luna o la Fanciulla del Grano, qui stranamente chiamata Fanciullo. Sono divinità che l’autore rappresenta in modo a volte ironico e a volte poetico. Altre di quelle storie però sono molto più realistiche, parlano di spiriti identificati con animali o che non rispondono alle invocazioni, per cui si ha il dubbio che non esistano affatto. E infatti, in certi racconti, a tenerne in vita la credenza sono dei veri propri imbrogli. 


Leggende Indiane di Pratt vol. 2 (Fumetto Club)

 
Alcune leggende di Pratt hanno insomma dei toni abbastanza umoristici, che ricordano un po’ le novelle del Decamerone. In altre ancora invece si descrivono i conflitti tra nazioni indiane, narrando episodi di sapore storico, per come la Storia poteva essere tramandata oralmente tra gli Amerindi. A volte si narra l’inizio di una faida tra due popoli, o come fu poi superata. In questi casi è facile dedurre quale nazione indiana sia l’autrice della storia originale, poiché di certo è sempre quella che vi fa la figura migliore e ne esce vincitrice.
Infine un paio delle Leggende Indiane di Pratt descrivono eventi che, benché romanzati, sono senza dubbio storici, ovvero l’invenzione della scrittura cherokee da parte di Sequoyah e la Nascita del Popolo Indiano. In quest’ultima storia, Pratt lascia da parte le leggende originali degli Indiani e narra la nota teoria secondo cui sarebbero giunti attraverso lo Stretto di Bering nella preistoria, un’ipotesi probabile ma che nessuna nazione indiana ha rievocato nelle sue storie, narrando più poeticamente come i singoli popoli siano giunti ad abitare il mondo risalendo da abissi sotterranei, o scendendo dai cieli, o creati direttamente da un mitico antenato. 

Cochise in Blueberry episodio 1 (1964)
Riferimenti più precisi alla Storia indiana dell’800, e precisamente alle guerre contro i bianchi, si riscontrano in una serie più longeva e di ampio respiro creata nel 1963 dai francesi Jean-Michel Charlier e Jean Giraud sulle pagine della rivista Pilote, prima col titolo di Fort Navajo e poi col nome del protagonista Blueberry.
Il simpatico tenente Mike Steve Donovan detto Blueberry è un ennesimo ufficiale di cavalleria che si dimostra più obiettivo e rispettoso nel trattare con gli indiani rispetto a certi suoi superiori fanatici e intolleranti e che per questo è spesso considerato un rinnegato. Nel primo episodio gli autori ricostruiscono un’aggressione a tradimento realmente perpetrata nel 1861 da un tenente dell’esercito di nome Bascom, ai danni del capo apache Cochise e di alcuni suoi parenti, durante un incontro per parlamentare in cui furono accusati ingiustamente di un assalto a un ranch e del rapimento di un bambino, di cui in realtà era responsabile un’altra tribù apache. Ma come accadde nella realtà, Cochise riesce fortunosamente a sfuggire all’arresto.

Blueberry 2 (Dargaud,1966)
 
Quell’episodio diede davvero il via alla guerra tra Apache e Nord-Americani, anche se il fumetto è ambientato erroneamente dopo la guerra civile e i nomi dei popoli apache coinvolti sono citati in modo errato. Ci sono poi altre imprecisioni, come il fatto che sia Cochise che Bascom erano più giovani di quanto appaiano qui.
Blueberry è scandalizzato dalla condotta vergognosa di Bascom e tenta in tutti i modi di opporsi alle sue spietate scorrettezze verso gli indiani. Nel secondo episodio, aiutato dall’ex-soldato indiano Crowe, ritrova il ragazzo rapito per ricondurlo a casa, sperando così di riportare la pace dimostrando l’innocenza di Cochise. Invece nella realtà storica, non essendoci mai stato tale eroico intervento, il bambino restò cogli Apache Coyotero che lo allevarono e da adulto prese il nome di Mickey Free, diventando uno scout dell’esercito.

Crowe in Blueberry episodio 2 (1964)

Il generale Allister in Blueberry episodio 10 (1968)


Anche nel decimo episodio, uscito su Pilote nel 1968, Blueberry si trova di nuovo agli ordini di un ufficiale guerrafondaio e pieno di odio verso gli indiani, il generale Allister, certo ispirato alla figura di Custer. Infatti Allister è al comando del Settimo Cavalleria e muove contro i Sioux e gli Cheyenne alla fine del 1868. Tra il 1867 e il 1868 anche il vero Settimo agli ordini di Custer partecipò a due campagne contro quei popoli, ma condotte dal generale Sherman e dal generale Sheridan. Il primo fu sconfitto e umiliato dagli Indiani, come accade anche qui. Il secondo sul fiume Washita fece massacrare a Custer un campo cheyenne di donne, vecchi e bambini, cosa che farebbe anche Allister se Blueberry non minacciasse di testimoniare contro di lui.


Blueberry 18 (Dargaud,1980)

La sempre scomoda posizione di Blueberry in seno all’esercito giunge in seguito agli estremi della vera e propria diserzione quando, dopo essere stato accusato ingiustamente di furto, è accolto proprio dagli Apache di Cochise che rifiutano di sottomettersi e con la sua esperienza militare li aiuta a sfuggire ai soldati e agli avventurieri senza scrupoli che danno loro la caccia, in una storia che comprende gli episodi dal 18 al 20.  
Qui gli indiani in questione continuano erroneamente a essere chiamati Navajo, mentre dovrebbero essere Apache Chiricahua, e anche la morte del vecchio Cochise in fuga non risponde al vero, poiché storicamente si spense nel suo villaggio dopo aver accettato di ritirarsi coi suoi in una riserva, cosa che qui non accade.


Blueberry 19 (Dargaud,1980)

In queste storie molto antiautoritarie di Blueberry uscite intorno al 1980 aveva sempre più voce in capitolo il disegnatore Jean Giraud, forte del successo riscosso come autore completo col nome di Moebius, mentre lo scrittore titolare Charlier, data anche l’età avanzata, per molte cose lo lasciava ormai fare a modo suo.
Charlier morì nel 1989 e nel ciclo Mister Blueberry, realizzato dal solo Giraud e costituito da cinque album usciti tra il 1995 e il 2005, il loro eroe ha ormai smesso i panni del militare e i toni di smitizzazione e capovolgimento delle vecchie convenzioni western nei confronti degli indiani sono ancora più marcati. 


Blueberry 26 (Dargaud,1999)
  
Nei ricordi di Mister Blueberry il primo incontro col capo apache Geronimo è rievocato, non solo col rispetto dovuto a un coraggioso avversario, ma con la consapevolezza che pur senza speranza era il guerriero rosso e non il cavalleggero a stare dalla parte giusta in difesa della propria gente. Tanto è vero che Blueberry aiuta Geronimo a far fuggire dei bambini apache da una scuola dei bianchi, in cui sono trattenuti con la forza dopo essere stati sottratti alle loro famiglie. Come dice il protagonista, era un modo subdolo per separare i piccoli dalla loro cultura, che avrebbe finito per farne degli emarginati disprezzati sia dai bianchi che dai rossi.


Blueberry  n. 5 (Aurea, 2013)

Alla prima edizione italiana dei primi episodi Blueberry, usciti sui Classici Audacia di Mondadori nel 1967 col titolo originale di Fort Navajo, seguirono le storie brevi dedicate alla giovinezza del personaggio sul Superalbo Audacia e poi varie ristampe e prosecuzioni della serie presso diversi editori, a partire dalla versione a puntate sul settimanale Skorpio e da quella in album cartonati nella Collana Eldorado dell’editrice Nuova Frontiera. Le più recenti edizioni italiane di Blueberry sono state nel 2013 quella dell’Aurea Editoriale in bianco e nero e piccolo formato e nel 2014 quella a colori della Collana Western allegata alla Gazzetta dello Sport, che ha raccolto in ventisei albi tutte le serie finora dedicate a questo personaggio.


Blueberry - Collana Western  n. 12 (La Gazzetta dello Sport, 2014)

Una serie western ancora più realistica e precisa dal punto di vista documentario è la Storia del West, che nel 1965 era stata inizialmente ideata dagli autori Gino D'Antonio e Renzo Calegari come una vera e propria rivista e in origine avrebbe dovuto contenere anche delle leggende indiane a fumetti disegnate da Antonio Canale, ma che, tanto per andare sul sicuro, finì per esordire nel 1967 sulla Collana Rodeo nel classico formato bonelliano. In questa originale serie, pur ricostruendo tanti eventi reali in modo romanzato gli autori cercarono sia di divertire che di informare il più obiettivamente possibile, rappresentando gli indiani con un rispetto privo di pregiudizi, ma senza celarne colpe o difetti come l’estrema durezza di molto loro usanze.
A testimoniare l’equidistanza di tale scelta, il principale protagonista della serie, l’avventuriero e allevatore Pat MacDonald, è il figlio di un colono scozzese e di una donna indiana, per cui la saga finisce per essere caratterizzata, forse non da posizioni del tutto filo-indiane, ma di certo da un netto e deciso antirazzismo.


Storia del West, 1° episodio - Collana Rodeo n. 1 (Araldo, 1967)


Il ranch di MacDonald è vicino al territorio dei Comanche coi quali cerca di avere rapporti amichevoli per quanto possibile, sforzandosi di comprendere il loro modo di pensare. Anche i suoi figli hanno più volte a che fare con i nativi, perfino il più piccolo che, in un episodio di fine 1973, è rapito da alcuni indiani. Mac Donald lo ritrova dopo un lungo cammino, finendo per indossare un abito che lo rende simile al futuro Ken Parker.
Invece il suo figlio adottivo Bill Adams svolge l’attività di agente del governo, il ché gli permette di essere presente in molti momenti chiave in cui sono intrecciati rapporti e firmati trattati con gli indiani, trattati poi spesso compromessi o traditi in breve tempo, quasi sempre a causa di leggerezze, provocazioni o frodi compiute dai bianchi, e la serie da questo punto di vista corrisponde perfettamente alla verità storica.

Storia del West, 31° episodio - Collana Rodeo n. 70 (Cepim, 1973)

Nei 73 albi della Storia del West (poi divenuti 75 nella ristampa del 1984), troviamo le oneste descrizioni di molti leader indiani che, pur dotati di grandi qualità umane, non esitarono a guidare i loro popoli contro le pretese espansionistiche dei bianchi, dal capo degli Shawnee Tecumseh al capo apache Cochise, dai capi sioux Nuvola Rossa, Toro Seduto e Cavallo Pazzo ai capi cheyenne Naso Aquilino, Coltello Spuntato e Piccolo Lupo, dal capo comanche mezzosangue Quanah Parker fino a Capo Giuseppe dei Nasi Forati.
In un paio di episodi della serie di D’Antonio, si vede anche come un capo che invece cercò sempre la pace coi bianchi, lo cheyenne Caldaia Nera, fu ripagato dagli ufficiali dell’esercito con due massacri indiscriminati compiuti ai danni della sua gente, uno sul fiume Sand Creek e uno sul fiume Washita, nel secondo dei quali fu ucciso lui stesso mentre stava tentando disperatamente di parlamentare con i soldati che caricavano.


Storia del West, 40° episodio - Collana Rodeo n. 90 (Cepim, 1974)


Ma la precisione storica degli autori fa sì che di alcuni capi siano descritte anche le ingenuità e scorrettezze, come nel caso di Capitan Jack degli indiani Modoc, che mentre stava trattando con un ufficiale lo uccise dietro l’insistenza dei suoi uomini, o in quello del capo apache Geronimo, che venne meno alla parola data fuggendo dopo essersi arreso ai soldati, solo perché aveva creduto alle bugie di un trafficante d’alcool.
Ma alla fine nessuno di loro, né i capi più leali e valorosi, né quelli che usarono anche mezzi vili e crudeli, poté averla vinta contro il numero preponderante e l’insaziabile fame di sempre nuovi territori degli invasori bianchi. Nell’obiettiva Storia del West di D’Antonio, oltre agli scontri e ai massacri compiuti da ambo le parti, si narrano quindi le tristi tragedie delle forzate capitolazioni di quei capi e dei loro popoli, fino all’episodio finale che ricostruisce con amarezza l’ultima strage gratuita di cui gli indiani furono vittime a Wounded Knee.


Storia del West, 73° e ultimo episodio - Collana Rodeo n. 162 (Cepim, 1980)

Ristampata poi più volte e in diversi formati da vari editori (la Bonelli stessa, la Hobby & Work, le Edizioni If, e anche in allegato a Il Sole 24 Ore), la Storia del West di D’Antonio a quel punto si interrompe, come a dire che il vero West esisteva finché c’erano dei nativi liberi, e non si addentra a narrare quale fu il successivo e in gran parte triste declino degli Indiani d’America una volta confinati definitivamente all’interno delle riserve. 


Storia del West n. 37 (Cepim, 1987)

 
A denunciare almeno in piccola parte i pregiudizi e le ingiustizie a cui i nativi continuarono molto spesso ad andare soggetti anche dopo la fine delle guerre indiane, ci pensò nel 1969 un autore americano che era stato a sua volta perseguitato per vent’anni da un ostracismo altrettanto ingiusto durante la caccia alle streghe anti-comunista degli anni ’50, lo scrittore e sceneggiatore cinematografico Abraham Polonsky.

Ucciderò Willie Kid, poster originale (1969)


Col secondo film da lui diretto, Tell Them Willie Boy is Here (Ucciderò Willie Kid), interpretato da Robert Redford e Robert Blake, Polonsky riprese la trama del romanzo omonimo scritto nel 1960 da Harry Lawton e tratto da fatti reali avvenuti in California nel 1909. La storia è quella di un indiano paiute, Willie Boy appunto, che per legittima difesa uccise un bianco e fu quindi oggetto di una spietata caccia all’uomo senza potersi discolpare né avere scampo. L’inseguimento si concluse con la sua morte, oggi ricordata da un monumento dedicato all’Ultima Famosa Caccia all’Uomo del West. Il film fu girato in California, quindi non lontano da dove si svolsero i fatti, ma il regista dichiarò che, più che degli indiani, parla di ciò che accadde a lui stesso. Come spesso accade, sembra si riescano a comprendere davvero le tragedie che colpiscono altri popoli solo quando veniamo a nostra volta perseguitati da un destino altrettanto crudele o in qualche modo simile…

Vartán n. 1 (Furio Viano Editore, 1969)


Nel 1969 anche i tascabili per adulti italiani videro l’esordio di un paio di eroine sexy che, tra un amplesso e l’altro, agivano in difesa dei Nativi Americani, ovvero le indiane bianche Vartán e Walalla, entrambe bionde e a capo delle rispettive tribù (Sioux nel caso di Vartán e Apaches Mescaleros in quello di Walalla).
Le storie della mezzosangue Vartán erano scritte da Paolo Ghelardini e dall’editore Furio Viano e disegnate da Sandro Angiolini. Una relativa cura rispetto ai prodotti analoghi ne decretò un certo successo, tanto da farne uscire duecento numeri fino al 1977. Ma più che i contenuti vagamente storico-politici, che vedevano i poveri indiani vittime di spietati assassini bianchi, dovevano essere di certo le grazie della protagonista e le sue avventure erotiche, comprese le torture e violenze carnali a cui veniva continuamente sottoposta, ad attirare il nutrito pubblico dei voyeurs, anche grazie ai disegni essenziali ma abilmente delineati di Angiolini.
A Vartán ha poi dedicato due volumi a colori anche l’Editoriale Mercury, specializzata in recuperi d’epoca.

Vartán vol. 1 (Editoriale Mercury)

Walalla n. 46 (Elvipress, anni '70)


Walalla, eroina di minor successo nata sulla scia di Vartán, fu invece creata da Mario Gomboli, Vladimiro Missaglia e Tito Marchioro per l’editrice Elvipress. Il suo abbigliamento era succinto come quello di Vartán (al confronto le antesignane degli anni ’40 Penna Azzurra e Aquila Bianca erano vestitissime) e anche lei lottava non solo contro criminali bianchi, ma anche contro governatori messicani e ufficiali dell’esercito statunitense.
Entrambe le serie subirono la decisa influenza degli spaghetti-western di quel periodo. In particolare al fianco di Walalla apparve un lanciatore di coltelli messicano di nome Cuchillo (che in spagnolo significa appunto coltello), chiaramente ispirato all’omonimo e simpatico personaggio picaresco interpretato da Tomas Milian in due film di fine anni ’60 diretti da Sergio Sollima, La Resa dei Conti e Corri Uomo Corri.

All’altro estremo, a un target ben più giovanile erano rivolti i fumetti dello stesso periodo con protagonisti dei bambini pellerossa. Tra gli anni ’60 e ’70, continuava infatti ad allungarsi la già ampia lista dei piccoli indiani. 

Yakari e Nanabozo, da Yakari episodio 4 (1978)

 
Nel 1969 su una rivista svizzera apparve Yakari, creato dallo sceneggiatore belga Job e dal disegnatore svizzero Derib (pseudonimi rispettivamente di André Jobin e Claude de Ribeaupierre). È una fantasiosa serie comica per ragazzi, in parte ispirata a leggende indiane e ripresa in seguito sulla rivista francese France-Jeux e sul settimanale belga Tintin, di cui sono usciti finora trent’otto album tradotti in diciassette lingue.
Il protagonista Yakari è un bambino sioux che per la sua bontà riceve il dono di parlare con tutti gli animali dal suo spirito totem, la Grande Aquila, l’uccello tonante simbolo del dio supremo per molte tribù. Yakari è in effetti un bambino saggio, intelligente e pacifista, che cerca di risolvere ogni conflitto in modo diplomatico. 

Yakari e Piccolo Tuono

 
Il più fedele amico animale di Yakari è il suo pony Piccolo Tuono, che nel sesto episodio, vincitore di un premio al festival di Angoulême, vive rischiose avventure spinto dallo spirito dei cavalli. I suoi migliori amici umani invece sono altri due bambini indiani, l’aspirante cacciatore Seme di Bisonte e soprattutto la piccola Arcobaleno, la sola a conoscere il dono segreto di Yakari. Anche Arcobaleno ha un animale totem, Nanabozo, un grande coniglio dai poteri magici protagonista del quarto episodio, il cui nome deriva da uno spirito del folclore degli indiani Chippewa. Altri indiani adulti della serie hanno poi dei nomi scherzosi che ne indicano qualità e difetti in modo ironico, come lo sciamano Colui che Sa, o i pigrissimi Alce Lento e Occhio di Brodo.
Di Yakari sono state realizzate anche due serie a cartoni animati. In Italia è stato pubblicato sulla rivista Il Giornalino, su cui ancora tra il 2015 e il 2016 sono uscite a puntate delle sue storie della fine degli anni ’70.


Caster'Bum contro Piccolo Dente; Gli Albi del Giornalino anno 2 n. 1 (EP, 1973)


Un’altra serie comica per ragazzi sugli Indiani d’America apparsa sul Giornalino, dal 1970, ma opera di autori italiani, è quella del Colonnello Caster’Bum, scritta da Claudio Nizzi e disegnata da Lino Landolfi. Qui nei rapporti tra bianchi e rossi non ci sono problemi razziali e tutto potrebbe andare per il meglio. Solo Piccolo Dente, il pestifero figlio del capo Caldaia Fredda della pacifica tribù degli Assaibonis, con le sue marachelle e la sua grande forza crea ogni tanto un po’ di scompiglio. Per il resto i cavalleggeri e gli indiani vanno d’amore e d’accordo, con due sole significative eccezioni. Gli unici che vogliono davvero la guerra sono il colonnello Caster’Bum, che come ogni ufficiale ambizioso e senza scrupoli la vede come l’occasione per far carriera, e il figlio maggiore del capo indiano, Puma Rosso, un guerriero che a sua volta vuole dimostrare il proprio valore in battaglia, ma per quanto facciano non riescono mai a creare un incidente che dia il via alle ostilità. Infatti Piccolo Dente, suo padre Caldaia Fredda e il tenente loro amico Babby Flint intervengono sempre a impedire che la situazione degeneri. I tormentoni derivati da queste premesse, ben presto possono anche apparire un po’ ingenui e ripetitivi, ma quanto sarebbe stato meglio se fosse sempre andata così anche nella realtà...

Firehair 1 - Showcase n. 85 (DC, 1969)

Anche nei fumetti USA come nei romanzi e nel cinema, l’epopea del West era ormai vista in modo diverso e, benché il western non fosse più in voga nei fumetti, ci fu ancora qualche tentativo di produrre nuove serie sui Nativi Americani. Nel 1969 la DC Comics pubblicò sui numeri da 85 a 87 dell’albo antologico Showcase tre storie di Joe Kubert con protagonista un giovane indiano bianco dai capelli rossi chiamato Firehair ("Capelli di Fuoco"). È l’ennesimo ragazzo allevato fin da piccolo dagli indiani che avevano sterminato la sua carovana, in questo caso i Piedi Neri, da cui era stato risparmiato per intercessione del capo Nuvola Grigia, diventato suo padre adottivo. Le sue sono storie originali e di stile moderno in cui si mescolano abilmente elementi western e fantasy, denunciando in certi punti anche il razzismo verso i diversi in genere, rossi o bianchi che siano. 


Firehair di Joe Kubert

 
Dopo quelle prime tre storie, di Firehair uscirono solo altri tre brevi episodi, pubblicati due anni dopo in appendice all’albo Son of Tomahawk. Per ora solo uno di questi ultimi raccontini è stato tradotto anche in Italia, sul n. 18 della rivista amatoriale Funnies, edito nel 1990 dall’associazione Al Fumetto Club di Firenze.

Lo Spirito del Lupo da Red Wolf e uno spirito coyote da Firehair


Nel 1970 nacque invece quello che si può considerare il primo super-eroe nativo americano, a cui ne sarebbero seguiti molti altri. Su un albo dei Vendicatori, e precisamente Avengers n. 80, Roy Thomas e John Buscema crearono il giustiziere indiano Red Wolf ("Lupo Rosso"), che agisce accompagnato dal lupo Lobo e cela sotto un copricapo a forma di testa di lupo la sua vera identità di William Talltrees. Questo pellerossa mascherato, poi identificato come uno Cheyenne, qui lotta contro dei criminali bianchi che vogliono derubare i nativi delle loro terre con la forza e che si può dire rappresentino, sia pur rozzamente, la reale avidità con cui i bianchi hanno continuato a lungo ad appropriarsi di vaste porzioni dei territori assegnati agli indiani.

Red Wolf. 1a apparizione come William Talltrees, da Avengers n. 80 (Marvel, 1970)
 
Il giovane Talltrees, dopo che i suoi genitori erano stati uccisi, aveva evocato in una cerimonia il dio-lupo dei suoi antenati che si diceva in passato fosse sceso dal cielo per aiutare il suo popolo, e assuntane l’identità aveva intrapreso la sua missione di vendetta, portata a termine su Avengers n. 81. In questa prima versione comunque non è chiaro se il dio-lupo abbia conferito a William Talltrees delle capacità particolari.
Le storie dei Vendicatori in cui apparve per la prima volta un Red Wolf furono pubblicate in Italia dalla Corno nel 1974, sui numeri 95 e 96 de Il Mitico Thor, dopo che era già uscita anche in italiano la sua serie regolare.


Red Wolf. 1a apparizione come Johnny Wakely, su Marvel Spotlight n. 1 (Marvel, 1971)


Red Wolf infatti fu presto riutilizzato in una sua serie di albi, all’inizio ambientata nel West di fine ‘800, per cui la sua identità segreta dovette necessariamente essere un’altra. La prima storia con protagonista Red Wolf uscì nel 1971 sul n°1 dell’albo Marvel Spotlight coi testi di Gardner Fox e i disegni di Syd Shores.
Probabilmente Red Wolf fu affidato a Fox perché poteva ricordare abbastanza Straight Arrow, un eroe indiano di cui abbiamo già parlato i cui albi erano scritti da questo stesso autore negli anni ’50. In effetti le origini del Red Wolf del West furono ideate in modo molto simile a quelle del suo precursore Straight Arrow.


Red Wolf / Johnny Wakely, su_Red Wolf n. 1 (Marvel, 1972)


Colui che indosserà la maschera del lupo è ora uno Cheyenne scampato da piccolo al massacro del suo villaggio e allevato da dei bianchi, che gli hanno dato il nome di Johnny Wakely. Nel suo caso però, visto che dopo vent’anni molte ipocrisie stavano cadendo, sono stato i soldati statunitensi a compiere la strage che lo rese orfano e, per bilanciare le cose, anche i genitori adottivi di Johnny sono a loro volta uccisi dagli indiani.
Ma Johnny Wakely, al contrario di Straight Arrow, non nasconde mai le proprie origini etniche e si arruola nell’esercito come guida indiana. Intanto, sotto le vesti di Red Wolf e con l’aiuto del solito lupo, difende dalle ingiustizie sia gli indiani che i bianchi, lottando soprattutto per salvaguardare la pace tra i due popoli.
Johnny è stato infatti prescelto per fare giustizia dal dio-lupo Owayodata, che gli ha conferito forza, vigore e agilità fuori dal comune (o forse solo un po’ di fiducia in sé stesso) e che tra l’altro assomiglia molto a uno spirito dalla testa di coyote apparso poco tempo prima nel Firehair di Joe Kubert. Entrambe le serie avevano anche in comune il fatto di evidenziare e condannare esplicitamente il razzismo verso i Nativi Americani. 


Red Wolf. 1a apparizione come Thomas Thunderhead, su Red Wolf n. 7 (Marvel, 1973)
 
Subito dopo il primo episodio, a Red Wolf fu dedicata una propria testata di cui uscirono nove albi tra il 1972 e il 1973. I primi sei numeri contengono altre avventure ambientate nel vecchio West con protagonista Johnny Wakely, gli ultimi tre sono invece ambientati nel XX secolo e qui a indossare la maschera del lupo è un successore di Wakely, ovvero Thomas Thunderhead, l’immediato predecessore di William Talltrees. In pratica il ruolo di Red Wolf passa da un indiano all’altro, ognuno scelto o ispirato dal dio-lupo Owayodata.
Le prime otto storie di Red Wolf uscirono anche in Italia tra il 1973 e il 1974, su quattro numeri della serie Gli Albi dei Supereroi dell’Editoriale Corno, in cui si alternava con altri personaggi della Marvel.

Red Wolf / Johnny Wakely, da Albi dei SuperEroi n. 10 (Corno, 1973)

Red Wolf / Johnny Wakely, da Blaze of Glory (Marvel, 2000)
Sia William Talltrees che Johnny Wakely avrebbero poi fatto altre apparizioni in fumetti Marvel successivi, come la miniserie del 2000 di John Ostrander e Leonardo Manco intitolata Blaze of Glory ("Lampi di Gloria"), dedicata a un gran numero di personaggi western del passato e tradotta l’anno stesso dalla Marvel Italia in un volume di grande formato della serie Special Events. In questa strana storia piena zeppa di protagonisti pittoreschi, Wakely ha ormai perso ogni speranza che indiani e bianchi possano vivere in pace, avendo infine capito che ciò che vogliono davvero gli Americani è la sottomissione dei nativi o il loro completo sterminio. Ora quindi Red Wolf combatte solo dalla parte dei suoi fratelli rossi e, se decide di aiutare altri eroi del West contro nemici comuni, non lo fa per sete di giustizia quanto per il gusto di uccidere un bel po’ di bianchi…
Intanto in una storia dei Fantastici Quattro del 1992 realizzata da Mark Gruenwald e Herb Trimpe, tra i guerrieri al servizio del dittatoriale viaggiatore del tempo Kang è apparso anche quello che teoricamente dovrebbe essere il primo dei Red Wolf, un indiano di nome Wildrun originario del XVIII secolo.

Red Wolf / Wildrun


Nel 1970, oltre a Un Uomo Chiamato Cavallo e Il Piccolo Grande Uomo di cui abbiamo già parlato, uscì un altro film che ancor più di quelle due pellicole era indiscutibilmente e del tutto schierato dalla parte dei nativi. Con Soldier Blue (Soldato Blu) diretto da Ralph Nelson e tratto dal romanzo Arrow in the Sun (Freccia nel Sole) di Theodore Olsen, si arrivò infatti al totale rovesciamento di fronte, con un ingenuo giovane soldato che, grazie a una donna bianca felice di vivere con gli Cheyenne, arriva pian piano a capire come la ragione stia dall’altra parte e infine rifiuta di prendere parte al massacro di un villaggio, subendone le conseguenze. 

Soldato Blu, poster originale (1970)
 
Nel film Soldato Blu insomma gli indiani sono visti per lo più come vittime e i soldati yankee quasi solo come artefici di stragi sanguinarie e stupri, il ché in tanti episodi storici non fu per niente lontano dal vero, come nel caso qui rappresentato della già citata strage del fiume Sand Creek avvenuta nel 1864, la stessa della famosa canzone di De André, anche se nel film i nomi di tutti i personaggi coinvolti sono stati cambiati.
In effetti le pesanti efferatezze mostrate in Soldato Blu sono ampiamente superate dalle terribili atrocità che la soldataglia indisciplinata del colonnello Chivington compì davvero in quella occasione, torture e mutilazioni che avrebbero poi provocato una serie di analoghe ritorsioni da parte dei nativi e che furono denunciate da testimoni oculari non solo indiani. Del resto alla testimonianza degli indiani a quei tempi non sarebbe stato riconosciuto nessun valore, dato che le leggi razziste dell’epoca negavano loro voce nei tribunali.



Scene dal film Soldato Blu


In pratica in Soldato Blu l’unica giacca azzurra a non comportarsi da mostro sanguinario è il protagonista, mentre in realtà di bianchi o meticci coinvolti loro malgrado nella strage di Sand Creek e che testimoniarono poi contro Chivington ce ne furono di più ed è per questo che sappiamo come andarono le cose. Chivington, volendo massacrare degli indiani e sapendo i guerrieri a caccia, scatenò freddamente l’attacco contro donne, bambini e vecchi inermi, attaccando di sorpresa un villaggio dichiaratosi amico e messosi sotto la protezione del governo. È storico anche il dettaglio della bandiera americana che il capo aveva con sé in segno di pace.


Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, di Dee Brown - edizione Oscar Mondadori (1977)


Testimonianze dettagliate del Sand Creek e di altre stragi, insieme ad altre cronache della lunghissima serie di imbrogli, tradimenti, ingiustizie ed espropri perpetrati ai danni delle varie nazioni degli Indiani d’America, su trovano raccolte nel volume Bury My Heart at Wounded Knee (Seppellite il mio cuore a Wounded Knee), scritto da Dee Brown e uscito proprio nel 1970. Col successo di quel libro, dal titolo ispirato a un verso del poeta Stephen Vincent Benét, prese il via definitivamente il revisionismo storico grazie al quale ancora oggi si pubblicano continuamente un gran numero di saggi e di antologie sulle autentiche tradizioni degli Indiani.


Comanche 2 (Editions Du Lombard, 1972)


Date tali premesse, gli western a fumetti degli anni ’70, fossero o meno calati in un preciso contesto storico, dovevano mutare sempre più atteggiamento verso gli indiani. Nella serie belga Comanche, scritta da Michel Regnier, disegnata all’inizio da Hermann Huppen e uscita dal 1971 su Tintin, oltre alla ragazza proprietaria di ranch che dà il titolo alla serie e all’ex pistolero Red Dust, tra i protagonisti c’è anche il giovane cheyenne Macchia di Luna. Questi, avendo ucciso per errore suo padre, il capo Tre Bastoni, rinuncia a essere un guerriero, lascia la tribù ed è accolto tra i cowboys che lavorano per Comanche, pur con delle difficoltà.
I rapporti tra il ranch di Comanche e la vicina tribù cheyenne confinata in una riserva e guidata da Cavallo Pazzo, fratello maggiore di Macchia di Luna, sono improntati alla convivenza pacifica, ma un paio di volte sorgono gravi problemi, sia per la solita scorrettezza di certi bianchi che non rispettano i trattati che per l’impaziente irruenza dei guerrieri più giovani. Macchia di Luna pare combattuto tra la fedeltà al suo popolo e quella per gli amici bianchi, ma poi si deve anche al suo intervento se una crisi è risolta e la pace mantenuta.


Comanche 6 (Editions Du Lombard, 1976)


È solo nel tredicesimo episodio del 1995, che finalmente la giovane Verna Fremont racconta come ha preso il nome Comanche, dalla nazione degli indiani che la salvarono quando neonata rischiò di morire nel deserto e che l’allevarono per dieci anni nel loro villaggio, dandole il nome di Papoose Yankho ("Bambina Yankee").
Gli album di Comanche sono stati tradotti in Italia da Vallecchi e Comic Art. Nel 2012 l’editrice GP Publishing ne ha pubblicati tutti e quindici gli episodi in una miniserie in formato bonellide e in bianco-e-nero di sette albi. Ma come in altri casi, l’edizione italiana di Comanche più integrale e conveniente, per rapporto prezzo e qualità, è quella uscita nel 2015 in otto albi a colori della Collana Western allegata alla Gazzetta dello Sport.

Inserto Romanzo Sport - Intrepido n. 19 del 1972 (Universo)


A proposito di Sport, nel 1972 su un inserto della rivista L’Intrepido della serie Romanzo Sport uscì una breve storia di venti pagine con protagonista un indiano sioux del XX secolo, che si riscatta da una vita di espedienti e di comparsate nei film western, ottenendo un’occasione di rivincita grazie all’attività di giocatore di Basket. Il titolo del racconto è Lo Chiamavano Muso Rosso, con riferimento al razzismo ancora diffuso, e i disegni sono ottimamente realizzati da Gino Pallotti con la tecnica della mezzatinta, che all’epoca dava ancora un sapore da cineromanzo a certe storie libere delle riviste della Universo e di Grand Hotel.
La leale e onesta fierezza del sioux Johnny, che non vuole deludere i poveri indiani della sua tribù venuti a vederlo giocare, finisce per esprimersi rifiutando di farsi comprare come tutti gli altri giocatori della sua squadra, trascinando anche i compagni verso la vittoria, denunciando gli scandali delle partite comprate nonostante il pestaggio che subisce, e lo fa diventare un campione che non si piega a compromessi e non accetta di partecipare agli imbrogli che spesso caratterizzano la tanto sbandierata civiltà dell’uomo bianco.

Jeremiah Johnson, poster originale (1972)


1972-1975: Veri indiani e veri trapper

I matrimoni interrazziali con relativa prole si moltiplicarono nei fumetti western dopo l'uscita, nel 1972, del film Jeremiah Johnson (Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!) di Sidney Pollack, in cui Robert Redford interpreta un trapper realmente esistito, un ex-soldato che nel 1850 lascia la cosiddetta civiltà per stabilirsi in solitudine sulle Montagne Rocciose, dove sposa la figlia di un capo degli indiani Teste Piatte e tenta di vivere in buoni rapporti con i nativi. Ma quando guida un plotone dell’esercito attraverso un cimitero sacro agli indiani Corvi, questi si vendicano massacrandogli moglie e figlio adottivo. Johnson dichiara quindi ai Corvi una guerra senza quartiere, affrontandoli e uccidendoli uno alla volta e guadagnandosi così tra loro la fama e il rispetto dovuti a un grande guerriero, anche se la faida tra lui e gli indiani sembra non poter più avere fine.


Il capo dei Corvi in una scena del film Jeremiah Johnson

La trama, basata su un racconto e un romanzo ispirati alla vera vita del trapper "Mangiafegato" Johnson, non sarebbe molto filo-indiana se non fosse per il matrimonio, che Johnson è costretto ad accettare, e per il rispetto che col tempo impara ad avere per gli indiani anche quando li combatte, un po’ per aver sposato una di loro, un po’ perché anche lui lotta per la vita in mezzo a una natura tanto affascinante quanto ostile.
Inoltre la scena che chiude il film, col capo dei Corvi che saluta Johnson invece di attaccarlo e il protagonista che ricambia il saluto, si può interpretare come una richiesta di tregua tra i due, differenziandosi nettamente dai tipici finali dei vecchi western in cui l’eroe bianco doveva sempre eliminare il suo nemico rosso in duello.


Jeremiah Johnson con la moglie indiana


In Jeremiah Johnson troviamo insomma un ritratto abbastanza obiettivo dei veri indiani, che qui non sono né troppo selvaggi né troppo edulcorati, ma hanno la fierezza dei cacciatori e guerrieri indomiti, cioè di uomini che in molti casi si opponevano strenuamente alla civilizzazione e all’invasione da parte dei bianchi, anche ricorrendo a mezzi davvero spietati, ma la cui cultura non è per questo da considerarsi inferiore o negativa. 


Corvo Rosso non avrai il mio scalpo! (Jeremiah Johnson), poster italiano (1972)

 
È stata di certo determinante per il tono epico del film anche la collaborazione come sceneggiatore di John Milius, che si sarebbe poi dedicato alla regia perché insoddisfatto per come venivano dirette le sue storie. Di sicuro, anche per Jeremiah Johnson, Milius avrebbe preferito una messa in scena maggiormente violenta e incentrata sui combattimenti, mentre l’approccio poetico di Pollack ne alleggerisce molto i toni drammatici.

Jeremiah Johnson nel finale del film


Il tono elegiaco è ottenuto dal regista prolungando le scene d’attesa silenziose, soffermandosi molto sugli scenari naturali e concentrando invece la maggior parte delle scene d’azione in brevi sequenze di dissolvenze incrociate che le riassumono. Una tecnica simile sarà poi usata, adattandola al fumetto, anche da Berardi e Milazzo su Ken Parker, per sintetizzare dei lunghi periodi di tempo in poche immagini di rapida lettura.

Buddy Longway
 
Chinook

Infatti dopo l’uscita di Jeremiah Johnson si sposarono con donne indiane anche tre personaggi dei fumetti che nella loro caratterizzazione devono di certo molto al protagonista di quel film, ma che degli indiani cercheranno sempre di essere più amici che nemici: Buddy Longway - creato in quello stesso anno dal belga Derib -, Jonathan Cartland - realizzato dal 1974 dai francesi Laurence Harlé e Michel Blanc-Dumont -, e appunto Ken Parker - ideato nel 1974 da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo e pubblicato dalla Bonelli a partire dal 1977. 


Buddy Longway 1 (edizione Dargaud, 1974)
 

Buddy Longway è un simpatico trapper protagonista di un fumetto alla cui realizzazione Derib aveva appena messo mano, con un tratto semiumoristico simile a quello del tutto comico con cui realizzava altre serie come Yakari e Go West, quando l’autore andò a vedere il film di Pollack e ne fu enormemente influenzato. 


Buddy Longway e Chinook

 
Così nel primo episodio anche Buddy finisce per sposare una ragazza indiana, e precisamente una sioux di nome Chinook (Vento Selvaggio), che lui stesso aveva salvato due volte, prima da due trapper che l’avevano fatta prigioniera e poi da un'altra tribù che voleva renderla schiava e che guarda caso apparteneva proprio alla nazione dei Crow (i Corvi), ovvero gli stessi nemici di Jeremiah Johnson. Inoltre lo stile sia dei disegni che delle trame di Buddy Longway col tempo si fanno sempre più realistici, crudi e dettagliati, mentre il protagonista del fumetto ben presto si fa crescere una folta barba bionda, esattamente come quello del film.
Nelle storie di Derib, pur senza celare certe dure usanze dei nativi, questi più che altro sono visti di volta in volta come vittime dell’invasione dei loro territori da parte dei bianchi o delle novità non sempre positive che i coloni provenienti dall’Est o dall’Europa portano con sé, come l’alcool e le armi da fuoco. Nel raccontare tali situazioni, fin dai primi episodi, il fumetto di Derib si dimostra particolarmente originale e fuori dagli schemi, tanto da vincere nel 1974 il premio Saint-Michel, che è solo il primo di una serie di prestigiosi riconoscimenti. 

Buddy Longway 9 (Editions Du Lombard, 1980)

Buddy Longway 13 (Editions Du Lombard, 1984)

 
In Buddy Longway non sono messi in scena dei banali scontri tra personaggi visti ingenuamente come più o meno buoni o cattivi, ma situazioni di vita vissuta e di lotta per la sopravvivenza, spesso estreme nella loro difficoltà, affrontate dai componenti della famiglia costituita dal protagonista, sua moglie Chinook e i loro figli Jérémie e Kathleen, con tutti i personaggi che crescono e invecchiano man mano che la serie procede.
Il nome Jérémie, dato da Buddy al primo figlio, tradisce ulteriormente il debito che il personaggio ha col film di Pollack, tanto più che nelle traduzioni italiane è spesso trascritto giustamente all’inglese come Jeremiah. Nell’economia della serie il nome deriva da quello dello zio del trapper. Infatti, dopo la morte prematura della madre di Buddy, suo padre Harold lo aveva affidato allo zio Jeremiah per poi partire in cerca di fortuna. 

Buddy Longway e famiglia - dal volume Les Saisons D'Une Vie



Una volta morto anche lo zio Jeremiah, il giovane Buddy Longway aveva intrapreso l’attività di cacciatore solitario, come vediamo nel nono episodio dal titolo Prime Cacce, in cui si narra tra l’altro di come il trapper strinse le prime amicizie con gli indiani e le ultime scene si ricollegano al primo episodio, anche nello stile.
Anche il passato di Chinook prima che i due si incontrassero viene narrato in flashback, nel tredicesimo episodio in cui è lo stesso Buddy a narrare la vita di Chinook così come l’ha appresa da lei. Scopriamo così che Chinook si era smarrita dopo aver tentato di salvare la madre caduta in un fiume, per poi essere catturata e resa schiava dai due trapper dalle cui mani Buddy l’aveva liberata nel primo episodio.
Più tardi, nel sedicesimo episodio, Buddy scopre cosa ne era stato di suo padre. Anche Harold Longway, dopo aver vagato per il West, aveva finito per fare amicizia con una tribù sioux, ma era poi stato ucciso per un tragico equivoco da un guerriero. È l’anziana donna-sciamano Saggezza Folle, colei che da giovanissima si innamorò senza fortuna di Harold, a raccontare tutto a Buddy prima di morire, in una storia toccante. 


Buddy Longway 15 (Editions Du Lombard, 1986)

Buddy Longway 16 (Editions Du Lombard, 1987)
 

Buddy Longway, dati i suoi rapporti di parentela coi Sioux, si schiera dalla loro parte anche contro l’esercito. Nel dodicesimo episodio ad esempio si scontra con un capitano razzista irresponsabile e assassino, che Buddy è costretto a uccidere per impedire la strage di un villaggio indiano di soli vecchi, donne e bambini.
Anche nel quindicesimo episodio della serie, il trapper di Derib insiste a prendere le parti dei suoi fratelli Sioux, nonostante un loro gruppo che non lo conosceva fosse stato molto vicino a ucciderlo. Del resto nella stessa storia i soldati trattano Buddy Longway ancor più duramente, visto che lo considerano un rinnegato, in scene che anticipano di qualche anno quelle analoghe del film Balla Coi Lupi. Il fatto poi che qui una battaglia tra i Sioux e i soldati non abbia superstiti sottolinea il convinto pacifismo dell’autore. 


Buddy Longway 18 (Le Lombard, 2003)

Buddy Longway 19 (Le Lombard, 2004)

 
Anche Buddy considererà sempre la guerra una follia insensata da evitare, ma lo stesso non si può dire di suo figlio. Appartenendo sia al popolo della madre che a quello del padre, Jeremiah è combattuto tra due mondi in conflitto ed è colui che nella serie vive i maggiori turbamenti. Nel diciottesimo episodio vediamo come abbia finito per essere così disgustato dai pregiudizi e ingiustizie che gli indiani e lui stesso subiscono, da unirsi a una banda di giovani guerrieri sioux e partecipando alle loro scorrerie e massacri contro i coloni. La riunificazione con la famiglia e il dissidio coi più avveduti genitori, giungono troppo tardi per impedire che il ragazzo rimanga definitivamente vittima delle incomprensioni tra popoli diversi e dei suoi stessi errori.
La perdita di Jeremiah segna la sorella Kathleen, che per un po’ si fa più cupa e depressa. Ma quando nel diciannovesimo episodio un cacciatore bianco senza scrupoli distribuisce alcool ai Sioux per convincerli a massacrare i bisonti per lui, la ragazza si scuote, prendendo coraggiose iniziative in difesa della sua gente. 


Buddy Longway 20 (Le Lombard, 2006)

Buddy Longway Intégrale III (Le Lombard, 2010)
 

La figlia di Buddy Longway, dopo la morte di un giovane guerriero sioux suo amico, prenderà infine una decisione opposta al fratello. Andrà a vivere in città, frequenterà le scuole dei bianchi e intraprenderà la carriera di avvocato, per poter difendere meglio la propria gente. Kathleen ritorna nei luoghi in cui vivevano i suoi genitori solo nel finale del ventesimo e ultimo episodio, dopo che anche Buddy e Chinook sono scomparsi per mano di un vecchio nemico. Paradossalmente cadono vittime di un indiano rinnegato, proprio loro che negli ultimi anni si prodigavano ad aiutare gli indiani delle riserve. Su questa nota tragica la serie si interrompe, col tono crepuscolare ed elegiaco di un’epoca irripetibile conclusasi per sempre.
Un volume celebrativo che riassume l’intera saga di Buddy Longway, intitolato Le Stagioni di una Vita e illustrato dai begli acquerelli di Derib, è stato scritto dall’autore dal punto di vista di Kathleen, proprio come se fosse lei in prima persona, unica superstite della famiglia, a rievocare gli anni passati con i suoi cari.


Buddy Longway 5 - Collana Grandi Eroi n. 14 (ComicArt, 1987)


In Italia, tra il 1979 e il 1987, le saltuarie pubblicazioni degli editori Vallecchi, Nuova Frontiera e Comic Art, tradussero i primi cinque album di Buddy Longway, mentre l’Eura tra il 1983 e il 1984 ne pubblicò a puntate su Lanciostory i primi undici episodi. Nel 2015 la RW Edizioni avrebbe dovuto pubblicare l’intera serie in bianco e nero e in formato bonellide, ma l’iniziativa per qualche motivo si è interrotta al quinto albo e al decimo episodio. Quindi quasi la metà degli episodi di Buddy Longway sono usciti in italiano soltanto nell’edizione in dieci albi a colori apparsa sulla Collana Western, allegata in quello stesso anno alla Gazzetta dello Sport, in cui per la prima volta sono state tradotte tutte e venti le avventure del trapper di Derib.


Les Peaux Rouges 1 (Casterman, 1974)


Assecondando il crescente interesse del pubblico per la vera cultura degli Indiani, nel 1973 iniziò in Olanda una serie in nove album dedicata ai Nativi Americani e alla loro storia, intitolata Den Indianen-Reeks e realizzata dal disegnatore locale Hans Kresse, che per il primo album della serie ricevette il premio per il miglior fumetto straniero al festival del fumetto di Angoulême nel 1977. Gli Indiani di Kresse erano infatti stati tradotti in francese dall’editrice belga Casterman dal 1974, col titolo Les Peaux-Rouges (I Pellirosse).
Anche ne I Pellirosse gli eventi reali sono ripercorsi attraverso le vicende di una famiglia, un po’ come accade nella Storia del West di D’Antonio, solo che in questo caso si tratta di una famiglia apache, così che la Storia americana è mostrata una volta tanto non dal punto di vista dei bianchi ma da quello dei nativi, partendo dal XVI secolo in cui incontrano i primi Conquistadores spagnoli. Negli anni ’80 tutti e nove gli album della serie di Kresse furono pubblicati anche in edizione italiana, dall’Editoriale Lo Vecchio, col titolo I Pellirossa.

Les Peaux Rouges 2 - retro (Casterman, 1974)

Miraggi di Blanc-Dumont - Speciale Protagonisti (L'Isola Trovata,1986)


Sempre tra il 1973 e il 1974, il francese Michel Blanc-Dumont disegnò a fumetti delle leggende indiane molto curate e realistiche, quattro storie che furono raccolte nel volume Miraggi, pubblicato nel 1985 dalla Dargaud e in Italia l’anno seguente da L’Isola Trovata, come supplemento alla collana I Protagonisti.
Oltre a queste vere e proprie leggende, la raccolta Miraggi di Blanc-Dumont contiene altri racconti disegnati dallo stesso autore, spesso scritti da Laurence Harlé e dedicati in particolare agli Indiani d’America, non solo visti come erano in passato ma anche nelle loro condizioni attuali, su come spesso sono stati umiliati o sterminati dai bianchi e su come oggi possono ancora tentare di rapportarsi con l’eredità della loro cultura.

Jonathan Cartland 1 (1974) da Gli Albi di Pilot n. 5 (Bonelli-Dargaud, 1985)


Usi e costumi indiani sono ricostruiti con grande cura e precisione sia nelle storie brevi di Blanc-Dumont che nella serie Jonathan Cartland, da lui disegnata dal 1974 sempre su testi di Laurence Harlé. Come Buddy Longway, anche Cartland è all’inizio un trapper, che nel primo episodio ambientato nel 1854, intraprende una vendetta contro degli indiani Crow, perché un suo amico indiano dei Sioux Oglala è stato impiccato per un furto commesso da loro. Sia la presenza dei nemici Corvi che gli scenari innevati rimandano a Jeremiah Johnson, anche se ci si chiede perché il protagonista si vendichi contro gli indiani Corvi e non contro i bianchi che hanno impiccato il suo amico senza prove… Comunque, a vendetta compiuta, Cartland passa a difendere gli Oglala dalle manovre di loschi trafficanti che vogliono provocare una guerra per spazzar via i nativi.
Alla fine del primo albo Jonathan è definitivamente adottato dagli Oglala e, come fece Jeremiah Johnson, sposa poi la figlia del capo e va a vivere con lei in una capanna sui monti finché un giorno, poco dopo la nascita di loro figlio, torna alla capanna e trova la moglie uccisa. La differenza rispetto al film di Pollack è che qui il colpevole è un indiano shoshone, che solo più tardi Cartland potrà identificare e affrontare in duello.

Jonathan Cartland 2 (1975) da Gli Albi di Pilot n. 11 (Bonelli-Dargaud, 1985)


Intanto Jonathan abbandona il figlio neonato lasciandolo alla tribù della madre e per anni vaga per la frontiera, prima ridotto a ubriacone, poi facendo la guida di carovane e l’esploratore. Questa parte ricorda certe scene de Il Piccolo Grande Uomo, mentre nel terzo episodio Cartland sogna, o ricorda, di aver subito la prova della Danza del Sole come l’Uomo Chiamato Cavallo, ma nel fumetto di Harlé e Blanc-Dumont tali suggestioni degli allora recenti western filo-indiani si amalgamano in una serie molto originale e ben riuscita. 


Jonathan Cartland 3 ristampa (Dargaud)

Jonathan Cartland 3 ristampa (Dargaud)
 

Le avventure di Jonathan Cartland oscillano continuamente tra il mondo di visioni oniriche degli indiani e quello ben più realistico ma anche cinico e prosaico dei bianchi. I pellirosse dediti alle loro magie, siano Sioux, Shoshoni, Mandan, Hopi, Navajo o Cheyenne, sono qui quasi sempre descritti come più nobili, saggi e leali rispetto ai bianchi, i cui folli ed egoistici intrighi non fanno che seminare violenze, morte e disastri.
Tra gli episodi in cui si descrivono la vita e gli usi indiani ci sono il quinto, in cui Jonathan è catturato dagli Cheyenne e costretto a lavorare per una vedova come succedeva all’Uomo Chiamato Cavallo, e il nono, in cui torna al villaggio oglala per ritrovare suo figlio, a cui è stato dato il nome Bambino di Luce e che a neanche sei anni già si considera molto più indiano che bianco. Se col decimo episodio Jonathan smetterà di girovagare mettendo fine alle sue avventure, sarà solo per stare con lui nel villaggio in cui il piccolo è felice. 

Jonathan Cartland 9 (Dargaud,1989)

Jonathan Cartland - Cosmo Color n. 6 (Cosmo, 2014)

 
In Italia Jonathan Cartland uscì a puntate tra gli anni ’70 e ’80 sulle riviste Lanciostory e Pilot. Tra il 1985 e il 1987 i primi otto episodi furono raccolti in altrettanti numeri de Gli Albi di Pilot. Tra il 2012 e il 2013 tutti gli episodi tranne il primo sono usciti in quattro albi bonellidi in bianco e nero della GP Publishing. Nel 2014 il primo episodio è riapparso sul n°6 della collana Cosmo Color dell’Editoriale Cosmo. Tutti e dieci gli episodi sono stati pubblicati a colori nel 2015, in cinque albi della Collana Western allegata alla Gazzetta dello Sport.

I Protagonisti di Albertarelli n. 2: Geronimo (Daim Press, 1974)

Una delle opere a fumetti più obiettive, accurate e ben documentate mai realizzate sul vero West, è la collana I Protagonisti (ne abbiamo parlato anche altrove a partire da qui - n.d.r.), scritta e disegnata da Rino Albertarelli e pubblicata da Bonelli tra il 1974 e il 1975 sotto il marchio Daim Press. Della decina scarsa di albi che l’autore fece in tempo a realizzare, solo due furono dedicati a dei leader indiani, Geronimo e Toro Seduto. Di certo ciò è dovuto alle maggiori difficoltà incontrate nel ricostruire con precisione le vere vite degli indiani, su cui le testimonianze attendibili sono più scarse.


I Protagonisti di Albertarelli n. 5: Toro Seduto (Daim Press, 1975)


Nelle storie di Albertarelli i due capi sono raffigurati, dal punto di vista della loro gente, come veri e propri eroi che difendono i rispettivi popoli. All’inizio del n. 2, si nota che la ferocia degli Apache come di Geronimo si dovesse ai secoli in cui risposero colpo su colpo alle terribili violenze perpetrate contro di loro da Spagnoli e Messicani. Nel n. 5 Toro Seduto è invece descritto come un capo coraggioso e saggio che cerca di mantenere la pace ma non è disposto a piegarsi ai ricatti e inganni con cui i bianchi vogliono sottomettere e derubare la sua gente. Se Geronimo fu infine convinto ad arrendersi dalle solite false promesse dei bianchi, Toro Seduto non smise di consigliare gli altri Sioux a opporsi alle imposizioni del governo, finché non venne ucciso.

Custer di Albertarelli (1974) - ristampa (Hobby & Work, 1994)


Dall’altra parte della barricata, sul n. 1 dedicato a Custer, Albertarelli descrive come l’esercito era usato per imporre le continue violazioni ai trattati da parte dei bianchi e come gli indiani venissero appositamente provocati per sconfiggerli in guerra e derubarli sempre più dei loro territori. Inoltre cita le parole di Custer in cui anche lui dice che gli indiani avevano ogni ragione di ribellarsi contro gli imbrogli e i ladrocini dei bianchi.
La conoscenza e il rispetto che Albertarelli dimostra per le culture indiane, fanno rimpiangere che la sua scomparsa, avvenuta proprio nel 1974, gli abbia impedito di disegnare altre biografie di grandi uomini rossi.


I Protagonisti di Albertarelli n. 10: Herman Lehmann (Daim Press,1975)

Il decimo albo de I Protagonisti, con cui la serie si chiuse nel 1975 e di cui Albertarelli riuscì a disegnare poco più di quaranta pagine, fu completato da un altro grande fumettista, Sergio Toppi, con stile molto diverso anche nella grafica, ma con la stessa passione e correttezza nel tratteggiare i fieri guerrieri delle praterie.
Quell’ultimo volume è dedicato a Herman Lehmann, uno dei tanti bianchi catturati e/o adottati dagli indiani, nel tentativo di rimpiazzare i loro guerrieri e bambini uccisi negli scontri coi bianchi ma anche con altre tribù. Nella storia di Herman, figlio di coloni tedeschi rapito a undici anni dagli Apache nel 1870, si parla infatti anche di come questo popolo fosse in guerra non solo contro Statunitensi e Messicani ma anche contro i Comanche e di come, nonostante ciò, fu stretta un’alleanza contro i bianchi tra nazioni Apache, Comanche e Kiowa. Si verificava così a Sud-Ovest ciò che tentarono anche le tribù dell’Est e del Nord-Ovest, per opporsi all’avanzata del nemico comune, ma in questo caso si riuscirono a superare anche certi atavici odi tribali.


I Protagonisti n. 10: Herman Lehmann - disegno di Toppi (Daim Press, 1975)


Herman Lehmann, la cui storia è vera come tutte le altre della serie, si adatta alla dura vita impostagli dagli Apache fino a sentirsi a tutti gli effetti un indiano e diventa perfino un capo di guerra, il ché fa sembrare più verosimile anche l’idea di un capo bianco alla Tex. Inoltre, quando avendo ucciso uno sciamano è costretto a fuggire per mettersi in salvo dalla vendetta degli Apache, Herman non torna subito tra i bianchi, ma preferisce diventare un comanche, finendo per farsi adottare dal famoso capo mezzosangue Quanah Parker. Anche dopo essere tornato dalla sua famiglia, con enormi difficoltà di adattamento, Lehmann mantenne la nazionalità comanche, segno che anziché vergognarsene la preferiva a quella di cittadino americano.

Finché Vivrai di Toppi - da Il Giornalino n. 16 del 1977


Pochi anni dopo il suo lavoro su quel volume, forse anche ispirato da come Albertarelli aveva descritto dall’interno e con obiettività la vera vita dei pellirosse, Sergio Toppi realizzò da solo, per vari editori, testi e disegni di alcune altre affascinanti storie dedicate agli Indiani d’America con particolare correttezza e poesia.
Su Il Giornalino Toppi pubblicò nel 1977 il racconto a colori Finché Vivrai, in cui un indiano narra come, quand’era ragazzo, dei bianchi corruppero suo padre provocandone la morte, ma un altro uomo rosso gli insegnò a cacciare, a vivere nella natura e a disprezzare ciò che viene dalla cosiddetta civiltà dei bianchi.

Little Big Horn 1875 di Toppi - da Alter Alter n. 7 del 1978


Per Alter Alter n°7 del 1978, Toppi disegnò un breve fumetto dal titolo Little Big Horn 1875, dai toni più enigmatici e provocatori, in cui a una vedova sioux nasce un figlio per intercessione del Grande Spirito. Da adulto, questi si atteggia a messia con modi arroganti mostrando disinteresse sia per la morte della madre che per le opinioni di suo nonno. Poi, in una sorta di visione profetica, calpesta i cavalleggeri di Custer, ma le sue parole presuntuose e offensive rivolte anche al Grande Spirito suo padre, che a suo dire non ha protetto il popolo rosso come invece farà lui, sembrano avere conseguenze nefaste sia per lui che per la sua gente.
Sempre nel 1978, sul diciassettesimo volume della collana Un Uomo Un’Avventura, Toppi realizzò una storia a colori di respiro molto più ampio, L’Uomo delle paludi, ambientata in Florida intorno al 1840 e dedicata alla resistenza degli indiani Seminole contro l’esercito statunitense. Il capo Halpatter, realmente esistito, riceve qui un aiuto prezioso da un sergente che era stato degradato e arrestato in quanto ex-schiavo fuggitivo. 

L'Uomo delle paludi di Toppi - Un Uomo Un'Avventura n. 17 (Cepim, 1978)

Il Collezionista 1 di Toppi - I Protagonisti n. 2 (L'Isola Trovata, 1984)
 
Un’altra lunga storia di Toppi che ha a che fare con gli Indiani d’America è Il Calumet di Pietra Rossa, primo episodio della serie Il Collezionista, uscito a puntate sulla rivista L’Eternauta dal n. 7 al n. 9, nel 1982. Il misterioso protagonista racconta come sia riuscito a entrare in possesso di un rarissimo calumet, rubandolo nientemeno che a Cavallo Pazzo il giorno prima della battaglia di Little Big Horn. Nonostante la sua subdola azione, in linea coi continui ladrocini dei bianchi, il Collezionista dimostra però un’evidente simpatia per i Sioux e la loro causa, prendendo opportuni provvedimenti per aiutarli un po’ in occasione di quella battaglia.
In tutte queste storie, pur senza indulgere a un buonismo scontato o a un banale rovesciamento di campo, è abbastanza evidente che anche la simpatia dell’autore non va certo alla società ipocrita e opportunistica dei bianchi. Va semmai a quella più dura, ma tutto sommato anche più vera, onesta e diretta, degli indiani. Eppure i protagonisti con cui il maestro Toppi potrebbe in qualche modo identificarsi, il dissimulatore sergente Whiteman o il raffinato e solitario Collezionista, dopo aver dato assistenza alla parte che più lo merita riprendono la loro strada, come chi non può essere legato a un unico popolo, o fidarsi dei cuori umani che troppo facilmente si riempiono di odio, invidie o desideri di vendetta, qualunque sia il colore della pelle.

Amerinde di Toppi - Sulle Rotte dell'Immaginario n. 9 (2010)


I quattro racconti di Toppi citati, oltre ad aver trovato posto ognuno in diverse antologie o ristampe, sono stati raccolti insieme nel volume intitolato Amerinde, n. 9 della serie Sulle Rotte dell’Immaginario, uscita nel 2010 allegata alla rivista Il Giornalino e riproposta più di recente anche in versione cartonata. Nel 2013 L’Uomo delle paludi è stato pubblicato anche in formato Bonelli, sull’Almanacco dell’Avventura 2014.

Ma a colmare in parte il vuoto lasciato dalla morte di Albertarelli, fu un altro autore dotato di una profonda passione per il vero West, ovvero Paolo Eleuteri Serpieri, che nel 1975 cominciò a collaborare con l’appena nato settimanale Lanciostory e che si dedicò presto alla realizzazione pressoché esclusiva di fumetti western. 
La sua storia Una Stella da Sioux, del 1976, ha già contenuti antirazzisti e un protagonista che tra Sioux e Yankee non avrà dubbi sul popolo con cui vivere, dato l’odio dei bianchi per chi è anche solo creduto diverso.


Lanciostory anno II,  n. 3 - copertina di Eleuteri Serpieri (Eura, 1976)

 
Serpieri iniziò a firmare i suoi disegni dalla storia del 1977 La tana del castoro, in cui a un trapper è data una possibilità di sfuggire alla morte, grazie alla pietà che aveva mostrato verso alcuni indiani. Intanto la collaborazione di Serpieri si estese alla testata gemella Skorpio, nata proprio nel 1977. Sui due settimanali la sua presenza, spesso annunciata dalle sue preziose copertine, significava quasi sempre la possibilità di vedere alcuni degli indiani dai costumi più verosimili, accurati e corretti che si fossero mai visti nei fumetti.
Tra quelle di Serpieri non mancano storie in cui dei bianchi hanno sposato delle indiane, come Battere il colpo del 1978, in cui un cacciatore si vendica sui soldati che hanno violentato e ucciso sua moglie, che era una kiowa. A volte gli indiani di Serpieri sono assoluti protagonisti dei suoi fumetti, spesso sceneggiati da Raffaele Ambrosio, come nel racconto del 1978 Bastone Tonante, in cui vediamo come cambia la vita di un capo Chippewa e del suo popolo dopo che un bianco gli dona un fucile, o nella storia del 1979 Come Coda di Volpe divenne bandito, in cui un capo cheyenne inizia a compiere razzie dopo che alcuni bianchi avevano cercato di imbrogliarlo, o nella storia Takuat dello stesso anno, in cui un indiano viaggia oltre il tempo e lo spazio sperando di cambiare la storia e fermare le guerre in cui i bianchi hanno decimato il suo popolo. 
Cavallo Pazzo di Eleuteri Serpieri (1978)
 
Tra le più belle storie di Serpieri nel suo periodo all’Eura, ci sono le due storie a puntate uscite su Skorpio nel 1978 dedicate alla vita del capo dei Sioux Oglala Cavallo Pazzo e alla battaglia di Little Big Horn. La prima è una biografia che per obiettività e accuratezza storica regge benissimo il confronto con quelle realizzate quattro anni prima da Albertarelli, con disegni più dettagliati e qualche concessione in più alla visionaria spiritualità indiana. Nella seconda Serpieri approfondisce i momenti finali della vita di Custer e dei suoi soldati, narrando di nuovo la grande vittoria dei Sioux di Cavallo Pazzo, ma ora dal punto di vista dei bianchi. 

L'Uomo che non aveva i pollici di Eleuteri Serpieri (1980)
  
Serpieri lasciò Lanciostory e l’Eura nel 1980 con due bellissime storie a colori scritte da Ambrosio. Ne L’Uomo che non aveva i pollici, si narra di una donna bianca che ha lasciato volontariamente la sua famiglia puritana per sposare un guerriero crow, scegliendo così una vita piena di rischi. Nel racconto Sciamano, un uomo di medicina sioux che rifiuta di arrendersi ai bianchi viene tradito da uno della sua gente e impiccato dai soldati, ma il suo spirito vendicativo sembra poi perseguitare i principali responsabili della sua fine.

Sciamano di Eleuteri Serpieri (1980)


Tra il 1980 e il 1981 Serpieri collaborò alla Histoire du Far West scritta da J. Ollivier e pubblicata dall’editrice francese Larousse. In quell’ambito disegnò delle ennesime cronache a fumetti su grandi capi indiani come Tecumseh, Toro Seduto e Cavallo Pazzo e sulla magica Danza degli Spiriti insegnata dal profeta dei paiute Wovoka, l’estrema disperata illusione di riscatto degli indiani delle pianure, narrando anche come questa esile speranza si interruppe bruscamente e definitivamente col massacro di Wounded Knee. Questi racconti in Italia uscirono a puntate sulla rivista L’Eternauta tra il 1984 e il 1985, sotto il titolo Storie del Far West. A quel punto i disegni di Serpieri erano ormai del tutto maturi, raffinatissimi e graficamente sempre più liberi.

Orient Express n. 13 - copertina di Eleuteri Serpieri (L'Isola Trovata, 1983)


Nel 1982 Serpieri passò a collaborare alle riviste Orient Express e L’Eternauta. Sulla prima nel 1983 pubblicò a puntate la sua storia western più lunga, L’indiana bianca, in cui una famiglia di pionieri del Texas è alla ricerca della figlia rapita anni prima dai Comanche. Lo spunto è analogo a quello del film del 1956 Sentieri Selvaggi di John Ford, ma qui è sviluppato in modo più crudo, esplicito e violento, usando inoltre un giovane meticcio come protagonista, così da prendere le distanze dalle connotazioni razziste di quella pellicola. 

Toro Seduto disegnato da Eleuteri Serpieri (1980)

 
Per L’Eternauta invece Serpieri disegnò nel 1982 il racconto Uomo di Medicina, in cui un vecchio cheyenne rievoca un più fiero passato, ricordando quando con altri guerrieri seguiva Naso Aquilino, un capo di guerra realmente esistito, che con la sua magia li guidò alla vittoria contro dei soldati. È storico che gli indiani, e in particolare Naso Aquilino, ritenessero di poter essere resi invulnerabili da particolari riti o oggetti magici.

Uomo di Medicina, di Eleuteri Serpieri da L'Eternauta n. 2 (1982)


Illustrazione di Eleuteri Serpieri da L'Eternauta n. 19 (1983)



Sempre per L’Eternauta, Eleuteri Serpieri realizzò anche una serie di bellissime illustrazioni a colori, intitolate Mitico West e pubblicate sul retro della rivista tra il 1983 e il 1984, raffiguranti precisi personaggi storici o costumi di indiani delle varie nazioni o scene di frontiera, sempre con una netta prevalenza di pellirosse.
I fumetti western di Eleuteri Serpieri sono stati raccolti in varie serie di album, di solito sotto il titolo generico di Storie del West, dalle prime edizioni dell’editrice L’Isola Trovata negli anni ’80 alle attuali delle Edizioni Di. L’Indiana Bianca uscì in album per la prima volta nel 1984, sul n. 5 della serie Gli Albi di Orient Express. 


Storie del West - Donne di Frontiera di Eleuteri Serpieri (Edizioni Di)


Il West di Eleuteri Serpieri Collezione (Macchia Nera)

 
Nel 1996 parte delle sue storie western in bianco e nero è uscita in formato bonellide nei quattro numeri della miniserie Il West di Eleuteri Serpieri, dell’editrice Macchia Nera. Una selezione di cinque storie di cui tre a colori è uscita poi nell’album Serpieri - I Colori del West, pubblicato nel 2013 dalle Edizioni del Capricorno.


1975-1977: Fratelli di sangue bianchi e rossi

A metà anni ’70 la questione indiana, in particolare riguardo al rifiuto degli Apache di lasciare le loro terre per entrare nelle riserve malsane destinate loro dal governo, è affrontata marginalmente anche nella serie L’Uomo di Richmond disegnata da Ernesto Garcia Seijas, il cui protagonista, il pistolero Ron Warlock detto San Francisco, si accompagna all’apache Nikowa soprannominato Gilè. Nonostante i due siano amici, Ron ha dei pregiudizi verso la gran parte degli indiani che considera dei vili selvaggi sanguinari finché Gilè, d’accordo con gli apache, gli fa subire una dura prova che riproduce simbolicamente le sofferenze inflitte al suo popolo dai bianchi, così che possa comprendere anche le loro ragioni e magari intercedere presso le autorità.

Gilè - da L'Uomo di Richmond - su Lanciostory n°4 del 1977

Quando, nel trentasettesimo e ultimo episodio de L’Uomo di Richmond, gli Apache finiscono per sollevarsi in massa, Gilè pianta in asso Ron per unirsi ai suoi fratelli rossi che fronteggiano un esercito molto meglio armato (una cosa che il Tonto di Lone Ranger non avrebbe fatto...). La scena finale della storia e dell’intera serie in cui San Francisco e le sue amiche Polly e Lola si gettano anche loro nella mischia, senza neanche sapere da quale parte staranno, rimane del tutto aperta ma risulta un po’ irreale e fin troppo romantica. 

L'Uomo di Richmond - copertina inserti Skorpio (Eura, 1982)
 
In Italia L’Uomo di Richmond è uscito su Lanciostory dai primi numeri del 1975 ed è stato ristampato in inserti su Skorpio tra il 1981 e il 1982. In questa romantica serie Gilè è descritto come un indiano che rifiuta di vivere da emarginato nel mondo dei bianchi, ma vengono giustificate un po’ troppo facilmente le stragi indiscriminate degli Apache e si nota un pizzico di razzismo residuo per come i protagonisti sembrano essere accoppiati. Il biondo Ron infatti si dimostra affezionato alla bella e bionda giornalista scozzese Polly Dugan, mentre l’apache Gilè pare intendersela con la messicana Lola, altrettanto bella ma dall’incarnato più scuro.
In effetti negli anni ‘70, dopo il film Soldato Blu in cui una donna bianca difende gli Cheyenne che l’avevano rapita e il suo marito indiano, i tempi erano ormai maturi perché, nell’ambito delle unioni interrazziali, non fossero più soltanto gli uomini bianchi a sedurre e sposare delle donne indiane. Ora potevano apparire anche storie in cui erano degli uomini indiani a unirsi con donne bianche, senza che ciò desse troppo scandalo. 

Watami vol 1 (Ediciones Record)

 
In un episodio del 1976, ha quindi una storia d'amore con una ragazza bianca di nome Kate anche il giovane cheyenne Watami, il protagonista di una serie creata nel 1962 dal grande sceneggiatore Héctor Oesterheld sulla rivista argentina Misterix, disegnata da Jorge Moliterni e ambientata ai tempi di Davy Crockett.
Ma Kate è la figlia cieca del cacciatore di scalpi Zeb Kirkpatrick, colui che ha ucciso la madre e il fratellino di Watami e di cui questi vuole vendicarsi. Per ironia della sorte poi, anche Kate è uccisa dal proprio padre e dai suoi complici, che tra gli cheyenne non l’hanno riconosciuta perché in quel momento era in abiti indiani. 

Watami - da Lanciostory n. 48 del 1976

 
Pur avendo sempre più motivi per odiare i bianchi, che più volte hanno sterminato la sua gente, dopo questo ennesimo lutto Watami non cerca più la vendetta. Lascia in vita Zeb perché soffra per ciò che ha fatto e, amareggiato dalla perdita dell’amata, vaga per la frontiera insieme al trapper Orso Duro, suo fratello di sangue. Kate riappare poi a Watami sotto forma di spettro, salvandolo durante la battaglia di Alamo.
Questa serie di Watami uscì dal 1976 anche su Lanciostory. Un’altra serie del personaggio apparve in Italia sulla rivista Skorpio nel 1982, col nome cambiato in Shunka, mentre la prima serie di Watami uscì in italiano sempre su Skorpio solo nel 1985. Sia nelle vecchie che nuove versioni, oltre che contro i bianchi, Watami combatte spesso anche contro i Kiowa, anch’essi autori di violenti attacchi e razzie contro gli Cheyenne.


Wakantanka su Skorpio n. 1 (Eura, 1977)


Sia il dettaglio dell’amata donna bianca che muore e riappare in spirito, che il conflitto tra nazioni indiane diverse, si ritrovano anche nella storia Wakantanka, ideata sempre da Oesterheld nel 1977 e disegnata da Juan Zanotto per la rivista argentina Skorpio. Qui il protagonista è il giovane Chippewa Nakai, scacciato dalla tribù per aver fatto l’amore con la donna del capo, all’epoca delle guerre anglo-francesi del XVIII secolo.
Il nome Wakantanka, cioè Grande Spirito, è dato al ragazzo dallo sciamano Wakonda, che vede in lui la presenza divina. Ma i loro due nomi sono usati da Oesterheld un po’ arbitrariamente, visto che sia Wakonda che Wakantanka sono termini che esprimono lo stesso concetto mistico panteistico in lingue diverse.
Comunque, benché in esilio, il giovane ora chiamato Wakantanka continua a combattere contro i nemici atavici dei Chippewa, ovvero gli Uroni alleati dei Francesi. A un certo punto salva dagli Uroni un inglese in missione di nome Marlon Catlin, che diventa suo fratello di sangue e con cui vive le successive avventure.

Wakantanka - Euracomix n. 14 (Eura, 1989)


Dopo la vittoria su un capo urone, di cui Wakantanka e Catlin trattano con rispetto le spoglie, la storia fu interrotta dalla scomparsa di Oesterheld, desaparecido negli anni terribili della dittatura argentina. Poco dopo fu ripresa e completata da Zanotto coi testi di Carlos Albiac, sceneggiatore meno ispirato che abbandonò le atmosfere poetiche ed evocative tipiche di Oesterheld per narrare delle battaglie in termini più prosaici.
Wakantanka uscì a puntate sull’edizione italiana di Skorpio dal n°1 del 1977, fu poi ristampato sulla stessa rivista in forma di inserti nel 1981, e infine raccolto in un album cartonato sul n°14 di Euracomix del 1989.


Swea su Corrier Boy n. 5 del 1977


Altrettanto romantica ma per molti versi meno realistica, è Swea Principessa di Sole, una serie inizialmente scritta da Giovanni Cammarota e disegnata da Nadir Quinto, uscita dal 1976 sulla rivista Corrier Boy. Discendente dei Vichinghi sbarcati in America, la bionda Swea Otanka è un’ennesima donna-sakem come tra i pellirosse se ne erano già viste in romanzi e fumetti, anche se non sono mai esistite nella realtà storica. 

Swea sull'inserto di Corrier Boy n. 49 del 1977

 
Rispetto alle precedenti principesse indiane Swea ha più capacità guerriere, forza e agilità, può contare sull’aiuto di un lupo e su poteri medianici di portata imprecisata. Si può dire quindi che, oltre al revisionismo pro-indiani, il personaggio riflette anche le rivendicazioni femministe di quegli anni. La principessa Swea è infatti a capo dei Mohawk e li guida contro tutti quei bianchi che, al solito, vogliono derubarli delle loro terre, esercito statunitense compreso. Tra il 1978 e il 1980 Swea è uscita anche in Francia, sugli albi di Akim.

Piuma Rossa, 1° episodio su Il Giornalino n. 1 del 1977


In pratica è un indiano dai capelli biondi anche Piuma Rossa, protagonista dell’omonima serie di Mario Basari e Gino Sorgini uscita su Il Giornalino dal Gennaio 1977. Infatti il protagonista è il figlio di un cacciatore bianco e un’indiana, che rimasto orfano è adottato sia dal capo dei Piedi Neri che da un sergente della polizia a cavallo. Da ragazzo Piuma Rossa viene quindi allevato tra gli indiani, che lo chiamano anche Scalpo d’Oro per il colore dei capelli, mentre da adulto si arruola nelle Giubbe Rosse. In comune con Swea ha il fatto di essere amico di un lupo che conosce fin da piccolo e con cui parla, così come parla col suo cavallo Vento.
Si può notare tra le due serie la drastica differenza di abbigliamento tra il succinto “bikini indiano” di Swea, e l’abito accollatissimo che copre dalla testa ai piedi l’indiana Bucaneve, amica d’infanzia e poi moglie di Piuma Rossa, una differenza dovuta anche all’anacronistica censura imperante sulla rivista cattolica Il Giornalino.


Stray Dog da Il Monello n. 20 del 1977


Sempre dal 1977, l’Editrice Universo pubblicò su Il Monello la serie Stray Dog (Cane Randagio) scritta da Antonino Mancuso e disegnata da Lino Jeva, il cui protagonista è figlio di Wild Bill Hickock e di un’indiana, come se fosse una versione più moderna e antirazzista del Kansas Kid di trent’anni prima. Stray Dog infatti è un meticcio emarginato che non si schiera esplicitamente né per gli indiani né per i bianchi ed è quindi disprezzato un po’ da tutti come rinnegato. Nonostante ciò agisce come un giustiziere solitario, mentre passa da un città all’altra, in perenne fuga perché accusato ingiustamente di un crimine che non ha commesso. Anticipa così il tema dell’eroe in fuga poi sfruttato anche in serie televisive o fumettistiche successive, come Renegade o Saguaro, personaggi che essendo ambientati nel presente sostituiranno il cavallo di Stray Dog con una moto. Stray Dog è stato pubblicato anche in Francia, sulla rivista El Bravo, tra il 1981 e il 1983.


Il logo di Western Family


Sulla rivista Blitz, sempre della Universo, tra il 1977 e il 1981 uscì invece la serie Western Family, scritta da Claudio Cicogna e disegnata da Ranucci e Santilli, in cui al personaggio di Morrison che perseguita gli indiani si contrappone il figlio Keith, col volto di James Stewart, che vive tra i pellirosse e ha sposato una di loro. Keith ha a sua volta due figli, Saul e Martin. Il primo, ricalcato su Marlon Brando, si impegna in difesa degli indiani che lo chiamano Due Pelli, mentre suo fratello diventa, all’opposto, un tenente di cavalleria.
Western Family, come dice il titolo, è una saga familiare che riecheggia sia la Storia del West di D’Antonio che certi sceneggiati televisivi tipo Alla Conquista del West, il ché spiega perché gli autori abbiano usato dei volti di attori per i loro personaggi. La particolarità della serie sta nella contrapposizione dei consanguinei schierati su fronti opposti, così che si alternano i due diversi due punti di vista, dei bianchi e dei rossi.


L'Uomo del Texas di Nolitta e Galep (Cepim, 1977)


Intanto nel 1977 la Cepim, ovvero la Bonelli, pubblicò nella collana Un Uomo Un’Avventura il volume L’Uomo del Texas, scritto da Guido Nolitta, disegnato da Aurelio Galleppini e ambientato nel 1887, quando le guerre indiane si erano ormai concluse con la resa di Geronimo l’anno precedente. Ma il capitano Jerry Vance, che con le sue truppe insegue una banda di cheyenne ribelli, coltiva ancora dei sogni di gloria, tanto da ordinare un attacco senza pietà verso un nemico ormai costituito per lo più da anziani, donne e ragazzi ai limiti della resistenza umana e che già si stanno arrendendo. Nel finale della storia, gli autori mettono così in scena un massacro premeditato del tutto gratuito e inutile, non troppo diverso da quello che avverrà realmente di lì a tre anni a Wounded Knee. Questa vena abbastanza revisionista, che non stupisce nel Nolitta autore di Zagor, spiega forse perché il suo alter ego editore Sergio Bonelli diede fiducia ai fumetti western dalla concezione obiettiva e moderna, alternativa ma non ingenua, scritti da un giovane Giancarlo Berardi, che dopo cinque o sei anni di rodaggio presso altri editori, nel giugno 1977 esordì alla Bonelli con due albi in contemporanea.

Terra maledetta - Collana Rodeo n. 121 (Cepim, 1977)
 
L’episodio auto-conclusivo Terra maledetta, disegnato da Antonio Canale, uscì sul n°121 della Collana Rodeo ed è ambientato nel Canada del XVIII secolo. Il protagonista, l’inviato inglese Adam Wilson, indaga su una spedizione dispersa quindici anni prima sperando di ritrovare il proprio padre. Tradito e poi salvato da gruppi diversi di indiani Chippewa, Wilson è coinvolto nella loro guerra tribale contro gli Eskimo, deve smascherare un complotto ordito dal governatore della regione e intanto sposa una ragazza chippewa, decidendo di restare con gli Indiani. La storia è interessante soprattutto per l’equilibrata descrizione degli usi dei nativi tra cui vive il protagonista, la cui umanità e antirazzismo saranno sviluppati in un altro personaggio di Berardi.

Ken Parker - pubblicità sul retro degli albi Bonelli (1977)


Ken Parker n. 1 - ristampa a colori in album (L'Isola Trovata,1983)


Nello stesso mese del 1977, dopo tre anni di gestazione, esce infatti il primo albo di Ken Parker, serie ideata da Berardi con l’amico disegnatore Ivo Milazzo, ispirandosi al Robert Redford del film Jeremiah Johnson.
Ma il trapper Ken percorre una strada inversa all’ex-soldato Johnson, poiché nella prima storia ambientata tra 1868 e 1869 si arruola nell’esercito come scout per trovare gli assassini del fratello. All’inizio deve quindi affrontare gli indiani che si ribellano spinti dalla fame, ma si sente più solidale con loro che con certi bianchi. 
Nel n. 4 Ken giunge dunque a Washington per perorare la causa dei Sioux Dakota, provocati dalle compagnie minerarie per derubarli delle loro terre, e si rivolge al commissario agli Affari Indiani Ely Donehogawa, un indiano irochese che fu davvero nominato a tale carica dal presidente Grant. Il discorso al Congresso con cui nel fumetto Donehogawa difende gli indiani è una sintesi di sue vere dichiarazioni e certe frasi dei suoi oppositori sono tratte da comunicati reali degli affaristi che miravano alle terre sioux, o di altri suoi nemici.

Ken Parker n. 4, pag. 28 (Cepim, 1977)

Ken Parker n. 5 (Cepim, 1977)


I rapporti di Ken Parker con gli indiani si fanno più stretti sul n. 5 della serie, in cui è adottato per un anno dai Sioux Hunkpapa e tra loro sposa una giovane vedova, che viene uccisa poco dopo dai soldati. Infatti l’esercito attacca il villaggio nonostante ci fosse un trattato di pace e stavolta Ken combatte dall’altra parte. L’esperienza gli lascia un figlio adottivo sioux che non vedrà per molto tempo, anche se dopo questa storia ambientata nel 1871, il tempo interno alla serie scorre più lentamente e non è più indicato con precisione.
Queste sono solo alcune delle varie storie in cui Ken Parker si schiera decisamente dalla parte dei nativi, che a seconda dei casi lo chiamano con nomi come Lungo Fucile, Chemako (Colui Che Non Ricorda), Hunka (Amico Scelto), o nel caso degli Inuit, ovvero gli Eschimesi, Kenissuaq (il Grande Cacciatore Ken).
Ken Parker incontra anche i veri capi sioux Toro Seduto e Gall, con cui collabora nel n. 31 per sventare un complotto dei trafficanti che fomentano la guerra. Invece alla fine del n. 32, vista la sete di vendetta suscitata tra i bianchi dalla morte di Custer, Ken lasciare l’esercito per non prender parte all’eccidio di un popolo e riprende a fare il cacciatore e la guida in proprio. Nonostante ciò, sarà ancora costretto a battersi contro degli indiani, che a volte tenta di risparmiare perfino quando lottano ferocemente, ma non sempre. 

Ken Parker n. 26 (Cepim, 1980)

 
Nel corso delle sue avventure, Ken Parker fa comunque amicizia con molti nativi. Tra i più ricorrenti e meglio caratterizzati ci sono il capo cheyenne Mandan da lui salvato nel n. 1 e che in seguito risparmia a sua volta una carovana guidata da Ken, il guerriero cree Kamoose che viaggia con Ken verso in Canada, per sfuggire alla legge che ricerca entrambi, e l’inuit Oakpeha che accompagna Ken nel suo soggiorno canadese.
Ma è coi Sioux, in particolare i Sioux Hunkpapa che l’avevano adottato, che Lungo Fucile stringe le migliori relazioni. Sul n. 2 della rivista Ken Parker Magazine nata nel 1992, è di nuovo accolto da un villaggio hunkpapa, di cui vendica i morti dopo che degli assassini bianchi lo hanno distrutto uccidendo quasi tutti.
Tra le ultime storie di Ken sul triste destino degli indiani si può citare L’Epilogo di Orso Nero, del 1994, in cui un capo sioux si ribella per portare in salvo il suo popolo che muore di stenti, ma questo accelera la loro fine. 


Ken Parker Magazine n. 2 (Parker Editore,1992)

 
In una storia dell’anno seguente, dal titolo Fuori Tempo, è invece un villaggio kiowa a subire l’ennesimo sterminio da parte di un gruppo di bianchi che stava cercando una banda di razziatori, e anche in questo caso Ken è spinto come sempre dalla sua coscienza a tentare di difendere con le armi i nativi innocenti.
Una delle più belle storie di Berardi e Milazzo rimane poi quella uscita nel 1998 sul quarto e ultimo numero di Ken Parker Speciale, intitolato Faccia di Rame. Con una sfasatura temporale che anticipa di trent’anni gli eventi reali e una certa approssimazione, vi si narra la commovente storia vera dell’ultimo superstite degli indiani Yahi della California, un altro popolo sterminato dai bianchi. Il sopravvissuto chiamato semplicemente Ishi (uomo, nella sua lingua) infine si adattò docilmente a vivere i suoi ultimi anni presso un museo. 

Ken Parker Collezione n. 11 (SBE, 1997)


Non risulta in fondo altrettanto toccante il pur ben sceneggiato episodio conclusivo in cui Ken Parker muore, uscito nel 2015 alla fine di una pregevole ristampa settimanale di Mondadori, col protagonista invecchiato dopo vent’anni di prigione. Chissà perché non è stato coinvolto nella storia il suo figlio adottivo sioux, o perché Ken non ha ripreso l’attività di scrittore che svolgeva nelle ultime storie. Data la tarda ambientazione nel 1908, poteva anche essere l’occasione per denunciare le tristi condizioni di vita degli indiani delle riserve.
Ma Berardi e Milazzo hanno preferito raccontare come il carcere cambia in peggio le persone, descrivendo un Ken diventato più duro e disilluso oltre che più debole e incerto per l’età, non più in pace con sé stesso, né tanto meno in grado di prendere le difese di popoli nativi ormai vinti, e costretto benché non rassegnato a una lunga connivenza con criminali senza scrupoli. Se tutto ciò lo rende ancora una volta più umano e meno prevedibile di altri personaggi dei fumetti, fa anche essere molto triste e amaro questo tanto atteso finale. 

Ken Parker Speciale n. 4 (SBE, 1998)
 

Con la fine di Ken Parker non è però ancora terminata la saga quasi infinita del West filo-indiano a fumetti. Anche se la produzione di questo genere si diradò molto dopo gli anni ’70, qualche sporadica serie o breve episodio dalla parte dei Nativi Americani ha continuato ogni tanto ad apparire anche successivamente, fino ai nostri giorni. C’è quindi la seria probabilità che sia inevitabile una quarta puntata di questo interminabile articolo, ma forse può consolare i lettori più esausti sapere che in quel caso sarà sicuramente l’ultima…


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Edizioni più recenti in formato bonellide di alcune delle serie principali citate nell’articolo:

Il West di Eleuteri Serpieri vol 1 (Macchia Nera,1996)

Il West di Eleuteri Serpieri vol 2 (Macchia Nera,1996)

Il West di Eleuteri Serpieri vol 3 (Macchia Nera,1996)


IL WEST DI ELEUTERI SERPIERI
Miniserie di 4 numeri
Testi: Raffaele Ambrosio e Paolo Eleuteri Serpieri
Disegni: Paolo Eleuteri Serpieri
Collana: Almanacco di Lupo Alberto n°10/13
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Macchia Nera
Periodicità: mensile
Data di uscita: 1996
Prezzo di copertina: £ 3.500 l’uno – la raccolta dei quattro numeri £ 7.500


Ken Parker Collection n. 2 (Panini, 2003)


KEN PARKER COLLECTION
Serie di 45 numeri, di cui i primi 42 dedicati alla ristampa di Ken Parker
Testi: Giancarlo Berardi
Disegni: Ivo Milazzo, Giorgio Trevisan e altri
Note: Giancarlo Berardi, Gianni Di Pietro e Francesco Manetti
Formato standard: 208 pag. in bianco e nero
Editore: Panini
Periodicità: mensile
Date di uscita: Maggio 2003 – Gennaio 2007
Prezzo di copertina: da € 4,50 a € 4,90


Comanche n. 1 - GP Pocket n. 1 (GP Publishing, 2012)

Comanche n. 7 - GP Pocket n. 7 (GP Publishing, 2012)



COMANCHE
Miniserie di 7 numeri
Testi: Michel Regnier (Greg), Rodolphe
Disegni: Hermann Huppen, Michel Rouge
Collana: GP Pocket n°1-7
Formato: dal n°1 al n°6, 96 pag. – il n°7, 144 pag. - in bianco e nero
Editore: GP Publishing
Periodicità: mensile
Date di uscita: Marzo - Settembre 2012
Prezzo: dal n°1 al n°6 € 2,90 – il n°7 € 4,50


Jonathan Cartland n. 1 - GP Maniac n. 30 (GP Publishing, 2012)

JONATHAN CARTLAND
Miniserie di 4 numeri
Testi: Laurence Harlé
Disegni: Michel Blanc-Dumont
Formato: dal n°1 al n°3, 96 pag. – il n°4, 160 pag. - in bianco e nero
Editore: GP Publishing
Periodicità: mensile
Date di uscita: Settembre 2012 – Giugno 2013
Prezzo: dal n°1 al n°3 € 2,90 – il n°4 € 4,50


Buddy Longway n. 1 - Lineachiara Bedé n. 5 (RW Edizioni, 2015)

Buddy Longway n. 4 - Lineachiara Bedé n. 8 (RW Edizioni, 2015)

BUDDY LONGWAY
Miniserie di 5 numeri
Testi e disegni: Derib
Collana: Lineachiara Bédé n°5-9
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: RW Lion
Periodicità: mensile
Date di uscita: Febbraio – Giugno 2015
Prezzo: € 2,90


Andrea Cantucci 

N.B. Trovate i link alle altre puntate dei Bonellidi in Cronologie & index!

1 commento:

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