di Wilson Vieira
Siamo giunti alla 93a parte della gloriosa epopea western di Vieira. Si tratta di una puntata particolarmente ricca di vicende che videro recitare sul palco della Storia del West assassini e vittime, eroi e codardi, pistoleri e uomini della Legge! Le numerose illustrazioni non bonelliane sono state scelte e collocate nel testo dallo stesso Wilson, nostro prezioso corrispondente dal Brasile. Buona lettura! (s.c. & f.m.)
Prima parte - John Wilkes Booth, l’assassino di Abraham Lincoln (14 aprile 1865)
Se oggi fai la domanda Chi è John Wilkes Booth? otterrai risposte come un uomo cattivo o un assassino, ma se avessi posto la stessa domanda prima di quel giorno nero del 14 aprile 1865 avresti ricevuto una risposta molto diversa. Booth era affascinante, un bello luciferino, rampollo di una famosa famiglia di attori e una delle stelle più brillanti del teatro americano.
Booth era il nono di dieci figli nati dal leggendario Junius Brutus Booth (1796 – 1852), che ironicamente prendeva il nome dal senatore romano Bruto, l’uomo che assassinò Giulio Cesare. E sua madre, Mary Ann Holmes Booth (1802 – 1885), era l’amante di Junius. John Wilkes Booth sarà sempre legato al nome del presidente che ha assassinato. Come attore, sapeva come muoversi a teatro, ma, quella notte, Booth salì sul palco per un motivo diverso. Nato il 10 maggio 1838 a Bel Air, nel Maryland, Booth eccelleva da bambino nell’atletica e nelle attività extracurriculari, ma era uno studente poco entusiasta. I suoi genitori erano entrambi immigrati dall’Inghilterra. Dopo aver frequentato la scuola a Bel Air, Sparks e Cantonsville, nel Maryland, Booth seguì le orme del padre ed entrò a far parte del teatro. Si esibì in spettacoli come Riccardo III nelle città lungo la costa orientale dal 1855 al 1865, quando fece la sua ultima apparizione sul palco come Duca Pescara in The Apostate, in programma al Ford’s Theatre di Washington DC il 18 marzo.
Come un altro bizzarro scherzo del destino, Edwin Booth (1833 – 1893) fratello de John, salvò la vita del figlio di Abraham Lincoln (1809 – 1865), Robert Todd Lincoln (1843 – 1926). L’incidente era avvenuto sulla banchina ferroviaria a Jersey City, nel New Jersey. La data esatta dell’incidente è incerta, ma si ritiene che abbia avuto luogo alla fine del 1864 o all’inizio del 1865. Robert Lincoln ricordò l’incidente in una lettera del 1909 a Richard Watson Gilder (1844 – 1909), allora editore allora della “The Century Magazine”:
L’incidente è avvenuto mentre un gruppo di passeggeri a tarda notte stava acquistando i biglietti per il vagone letto dal controllore che si trovava sulla banchina della stazione all’ingresso del vagone ferroviario. La piattaforma era all’incirca all’altezza del pavimento della carrozza e c’era uno spazio molto stretto tra la piattaforma stessa e la fiancata del treno. C’era un po' di affollamento, e mi è capitato di esserne schiacciato contro il vagone dell’auto mentre aspettavo il mio turno. In questa situazione il treno ha cominciato a muoversi, ho perso l'equilibrio ho iniziato a cadere nello spazio tra il vagone e la banchina. Ero del tutto impotente, quando il bavero del mio cappotto è stato afferrato con forza da qualcuno che mi ha rapidamente tirato in alto permettendomi di ritrovarmi al sicuro sulla banchina.
Robert Lincoln non solo fu contento di essere stato salvato da un treno in movimento, ma fu anche colpito dall’incontro, e in seguito scrisse:
Quando mi voltai per ringraziare il mio soccorritore, vidi che era Edwin Booth, la cui faccia mi era ovviamente nota, e gli ho espresso la mia gratitudine, chiamandolo per nome.
Booth non conobbe l’identità dell’uomo a cui aveva salvato la vita fino a qualche mese dopo, quando ricevette una lettera da un amico, il colonnello Adam Badeau (1831 – 1895), che era un ufficiale dello staff del generale Ulysses S. Grant. Badeau aveva sentito la storia da Robert Lincoln, che si era arruolato nell’esercito dell’Unione e prestava servizio agli ordini di Grant. Nella lettera, Badeau faceva i suoi complimenti a Booth per l’atto eroico. Si disse che il fatto di aver salvato la vita del figlio di Abraham Lincoln doveva essere stato di conforto per Edwin Booth dopo l’assassinio del Presidente da parte di suo fratello. Edwin fu un celebre attore Americano: di quattro fratelli tre divennero attori, ma soltanto lui raggiunse vette di altissima fama. Il suo peculiare temperamento, tragico e drammatico, lo portò a impersonare ottimamente figure di grande levatura; è sua infatti la migliore interpretazione americana di Amleto.
Non ebbe il vigore di Edwin Forrest (1806 – 1872), attore di spicco shakespeariano americano del 1800, ma possedette maggiore spiritualità. Provò anche ad assumere il ruolo di direttore nel Teatro Booth, da lui stesso fatto erigere a New York, ma la sua resistenza fisica non fu sufficiente a sopportare le fatiche di direttore e di primo attore insieme, e l’impresa fallì. Ma John Wilkes Booth non fu certo messo in ombra dalla sua famosa famiglia. Era un attore di serie A proveniente da una famiglia di serie A.
Il "New York Herald" lo definì un attore veramente sensazionale. I giornalisti lo consideravano l’ultimo Riccardo III, una "stella oscura" e un cattivo perfetto. Un critico di "The Spirit of the Times" lo definì un altro Lucifero e rimase intimorito dal suo ghigno mefistofelico, il suo sguardo demoniaco e la sua risata assassina di pietà, fanno quasi coagulare il sangue e ci perseguitano come gli spettri di un incubo. Lo stesso Booth era d'accordo, vantandosi con il "New York Herald di essere destinato a fare il cattivo. Purtroppo per la nazione americana, Booth non riuscì a mantenere il suo personaggio teatrale separato dal resto della sua vita. Forse spinto dalla noia provata nelle pause tra le esibizioni, Booth si unì ai Know-Nothings, un partito politico fermamente anticattolico, che si oppose con veemenza all’immigrazione. Era a favore della schiavitù e detestava gli abolizionisti. I Know-Nothings erano inclini alla violenza e alle rivolte, davano alle fiamme le chiese e ci fu persino il caso di un prete cattolico ricoperto di catrame e piume. Con lo scoppio della Guerra Civile la lealtà di Booth era rivolta saldamente al Sud, e si ritiene che abbia operato come agente dei servizi segreti confederati. Che fosse un agente o meno, Booth inizialmente aveva pianificato di rapire il Presidente, credendo di poter usare Lincoln come riscatto nei confronti del governo Federale per liberare le truppe del Sud prigioniere. Ma quando il tentativo di rapimento fallì, il caso avverso, e forse le macchinazioni di qualche forza malvagia, trasformarono la mente di Booth in quella di omicida.
Nel 1859, mentre provava per uno spettacolo a Richmond, Booth si unì a un’unità della milizia locale in modo da poter viaggiare con loro per assistere all’esecuzione di John Brown (1800 – 1859). Detestava il presidente Lincoln ed era noto per aver denunciato pubblicamente l’amministrazione Lincoln durante diversi eventi pubblici. Tutto giunse al culmine durante l’inverno del 1864-65, quando Booth e molti altri cospiratori si riunirono per pianificare il rapimento di Abraham Lincoln. Mentre il piano originale per rapire il presidente naufragò, Booth e molti dei suoi compagni cospiratori scelsero di passare all'assassinio. La mattina del Venerdì Santo, il 14 aprile 1865, Booth stava ritirando la posta al Ford’s Theatre e sentì che il presidente avrebbe dovuto assistere allo spettacolo di quella sera, My American Cousin, una commedia all'epoca popolare. Spinto dal suo contorto senso del dovere e dalla vana convinzione di essere uno strumento eroico di qualche potere divino, Booth e il suo gruppo di cospiratori lanciarono il loro piano per uccidere il Presidente e decapitare il Governo americano. Lewis Powell, un ex soldato Confederato, fu inviato ad assassinare il Segretario di Stato William H. Seward, mentre George Atzerodt fu incaricato dell’omicidio del vicepresidente Andrew Johnson.
Tex n. 449, marzo 1998. Disegno di Villa |
Il compito di uccidere The Great Emancipator, Booth lo tenne per sé. Sebbene Powell non riuscì a uccidere Seward e Atzerodt abbia perso il coraggio, passando la serata a bere invece di svolgere la sua parte nel complotto, Booth avrebbe invece avuto tragicamente successo. La notte del 14 aprile 1865 Booth entrò ancora una volta nel Ford’s Theatre dove il Presidente e la First Lady Mary Todd Lincoln (1818 – 1882) si stavano godendo lo spettacolo. John Wilkes Booth si nascondeva nell’ombra vicino al palco privato di Lincoln. La guardia del corpo del Presidente aveva lasciato il suo posto, e passò tutta la notte bevendo in un pub vicino, ma anche se fosse stato presente, probabilmente avrebbe permesso a Booth, un famoso attore, di entrare. Booth riuscì a entrare silenziosamente nel palco dove era seduto il Presidente. Scaricò la sua pistola nella parte posteriore della testa di Lincoln - un colpo alla nuca vicino all’orecchio sinistro - e pugnalò il maggiore Henry Reed Rathbone (1837 – 1901), prima di saltare giù dal palco palco e gridare Sic semper tyrannis, la stessa frase pronunciata da Bruto quando assassinò Giulio Cesare, che significa Così sempre ai tiranni.
Centotrentadue anni dopo la morte di Lincoln, alla storia di quella pistola fu aggiunta una nota bizzarra.
L'arma usata era stata prodotta dalla Derringer; era un calibro .44, era lunga circa 6 pollici con una canna da 2,5 pollici e pesava solo 8 once. Nel 1997 l’FBI fu chiamata per autenticare la pistola dopo che un criminale professionista aveva affermato che i membri della sua banda avevano rubato la Derringer alla fine degli anni ‘60 e l’avevano sostituita con un falso. Il proiettile di piombo rimosso dalla testa di Lincoln era ormai così gravemente corroso che confrontarlo con la pistola era fuori questione. Così l’Unità Fotografica Speciale dell’FBI sovrappose le foto storiche scattate alla Derringer negli anni ‘30 con la vera pistola del Ford’s Theatre, confrontando i motivi incisi nella grana di noce nera del calcio, i segni di sfregamento e una crepa sulla canna. La pistola era sicuramente quella di Booth.
Booth, si ritiene, si ruppe la gamba durante il salto. Si allontanò e fuggì dalla capitale. Si spostò a Sud, facendo diverse soste nelle case di simpatizzanti confederati, così come di cittadini ignari. Attraversò il Potomac entrando in Virginia il 23 aprile. La mattina del 26 aprile, i soldati del 16° Cavalleggeri di New York lo rintracciarono nella fattoria di Richard Garrett vicino a Port Royal. Il suo complice, David Herold (1842 – 1865), si arrese, ma Booth rimase nella stalla di Garrett che fu rapidamente incendiata dai militari a cavallo.
Un soldato, Boston Corbett (1832 – 1894), si avvicinò alla stalla e, come avrebbe affermato, vide Booth puntargli contro la pistola; quindi Corbett gli sparò un colpo con il suo revolver. Sono stato molto male negli ultimi sei anni, dichiarò lui nel 1882, implorando maggiori emolumenti di invalidità che pensava gli fossero dovuti per aver prestato servizio in uniforme:
Non credo di essere stato in grado di guadagnare nemmeno 20 dollari al mese fra il 1877 e il 1882 facendo lavori manuali.
A un certo punto Corbett decise di scavare la propria tomba e disse a un vicino che quando sarebbe morto, avrebbe dovuto essere sepolto in una coperta dell’esercito nuova di zecca. Nel 1886 un’organizzazione di veterani ebbe pietà di questo vecchio strambo e gli offrì il posto di assistente portiere presso il Parlamento del Kansas a Topeka. Il lavoro non durò a lungo. Un giorno, dopo un litigio (i resoconti della giornata variano notevolmente) Corbett brandì la sua pistola all’interno del Campidoglio.
Le autorità del Kansas lo rinchiusero in un manicomio criminale a Topeka. Ma quella non fu la fine di Boston Corbett. Il 26 maggio 1888, mentre i detenuti si stavano godendo l'ora d'aria, Corbett vide un ragazzo delle consegne che legava il suo cavallo davanti all'edificio. Si staccò dal gruppo, saltò sul cavallo e fuggì. Corbett andò a Neodesha, Kansas, a casa di un suo compagno di prigionia ad Andersonville: Richard Thatcher. Legò un biglietto al suo cavallo, con scritto "preso in prestito", spiegando chi fosse il suo legittimo proprietario, e lo liberò. Poi un parente di Thatcher lo portò alla stazione di Brooks, sulla ferrovia St. Louis-San Francisco. Corbett disse che sarebbe andato in Messico, ma nessun testimone ricordò che qualcuno corrispondesse alla sua descrizione fosse salito sul treno. Non se ne ebbe più notizia. Una delle voci diceva che Corbett fosse annegato nel fiume Kansas. Secondo un'altra teoria era stato preso di mira da reduci delle battaglie pre-Guerra Civile dette del Bloody Kansas. Secondo un altra voce si sarebbe trasferirito a Hinckley, nel Minnesota, per poi morire nel Grande Incendio del 1° settembre 1894: un uomo di Boston di nome Tom Corbett, molto bravo con il fucile, era stato infatti assunto nel 1890 per cacciare selvaggina per conto di un gruppo di boscaioli guidati da Gus Sexton. Secondo questa versione della sua scomparsa, il vero Corbett non fu in grado di tenere il passo con gli uomini più giovani che riuscirono a scampare alle fiamme fuggendo a piedi. All’inizio del 1900 l’ufficio pensionistico federale fu contattato da un certo Boston Corbett che sosteneva di essere vivo e vegeto e reclamava i suoi assegni pensionistici. Ma un’indagine fece sorgere qualche dubbio sulle sue affermazioni. Il vecchio, che fu soprannominato Old Trapper, fornì solo vaghi dettagli sull’uccisione di Booth, dichiarando di non riuscire a pensare in modo chiaro. Fu anche notato che il "nuovo Corbett" era alto sei piedi, ben otto pollici in più dell'originale. L’impostore, un ex venditore di medicinali di nome John Corbett, fu dunque incarcerato.
Questa fu l’ultima notizia a circolare sul misterioso Boston Corbett. Come scrisse il suo amico soldato Dalzell al "Cleveland Daily":
In Grecia e a Roma, e anche in Inghilterra e in Francia, i vendicatori della morte del loro sovrano erano riempiti di doni e onori pubblici.
Non fu così Corbett. Fu insultato come un pazzo e deriso come un fanatico religioso senza cervello. Ma in effetti un monumento alla memoria del vendicatore di Lincoln esiste davvero.
Si tratta di un piccolo appezzamento malamente recintato a circa 3 miglia e mezzo da Concordia, in Kansas. Nel 1958, una squadra di Boy Scout pose lì una targa di pietra per indicare il “Boston Corbett Dugout.” Sopra le parole incise furono incastonate le repliche di due revolver. Adesso rimane solo una traccia delle pistole, che furono rubate.
Il proiettile di Corbett recise il midollo spinale di Booth, paralizzandolo. John Wilkes Booth morì tre ore dopo. Le sue ultime parole furono da lui pronunciate guardandosi le mani: Inutile, inutile, inutile. Fu sepolto in una tomba anonima nel lotto di famiglia del cimitero di Green Mount a Baltimora.
Booth era fuggito dal Ford Theatre nella campagna del Maryland, dove i simpatizzanti confederati lo nascosero in una pineta ai margini di Zekiah Swamp. Era certo che sarebbe stato accolto come un eroe, ma nei cinque giorni successivi, mentre si rannicchiava nella palude leggendo i giornali, Booth fu tormentato dalle reali conseguenze di ciò che aveva fatto: la Confederazione non era risorta. Poteva essere ricordato come il più grande attore tragico del suo tempo, ma si sarebbe amche accontentato della duratura reputazione di grande vendicatore della Confederazione. Ma come si sarebbe invece sentito se avesse saputo che sarebbe stato ricordato come un’attrazione da baraccone, esibita al grande pubblico per 25 centesimi (e 5 centesimi per i bambini)? La mummia di Booth, chiamata “John” dai suoi proprietari, girò tutto il Paese negli anni ‘20 e ‘30, ignara dei libri di Storia.
Altre nove persone furono implicati nell’assassinio e furono processate da un tribunale militare a Washington D.C. Tutti furono giudicati colpevoli il 30 giugno 1865: Lewis Powell (1844 – 1865), George Atzerodt (1835 – 1865), Mary Elizabeth Jenkins Surratt (1823 – 1865) e David Herold (1842 – 1865) furono giustiziati il 7 luglio. Samuel Mudd (1833 – 1883), Samuel Arnold (1834 – 1906) e Michael O’Laughlen (1840 – 1867) furono condannati all’ergastolo. Mentre O’Laughlen morì di febbre gialla nel 1867, gli altri furono infine graziati dal presidente Andrew Johnson (1808 – 1875) nel 1869. John Surratt Jr. (1844 – 1916) era contumace.
Il 16 aprile, domenica di Pasqua, le campane delle chiese suonarono in tutta la Nazione; il Nord e il Sud si unirono in ricordo del presidente caduto. Fino a oggi il presidente Lincoln rimane nella storia come il Grande Emancipatore, forse il più grande presidente degli USA, un eroe mondiale.
John Wilkes Booth è invece ricordato solo come un assassino, un piccolo uomo e un piccolo attore, un accidente nella storia di Abraham Lincoln. Dopo essere stato ucciso il suo corpo fu avvolto in una coperta e trasportato con un carro agricolo a Belle Plain. Da lì il suo cadavere fu portato a bordo della corazzata U.S.S. Montauk e poi al Washington Navy Yard per l’identificazione e l’autopsia. Più di dieci persone identificarono i resti come quelli di Booth.
Il cadavere fu poi sepolto in un ripostiglio dell’Old Penitentiary e successivamente trasferito in un magazzino presso l’Arsenale di Washington il 1° ottobre 1867. Nel 1869 il corpo fu consegnato dal Ministero della Guerra alla famiglia Booth e sepolto nel lotto dei Booth nel cimitero di Greenmount a Baltimora. La salma fu identificata dai familiari e da un referto del dentista. Alcuni, tuttavia, credono che la storia di cui sopra sia falsa e che Booth riuscì a fuggire e sia vissuto fino al 1903.
Questa storia alternativa favolosamente incredibile proviene da un libro scritto da Finis L. Bates (1848 – 1923), nonno dell’attrice Kathy Bates, libro pubblicato nel 1907. Secondo Finis, Booth riuscì a scappare e si recò in Texas, dove visse sotto lo pseudonimo di John St. Helens. Quando questi si ammalò, pensò che si stesse avvicinando la fine. Il suo amico Bates ascoltò dal capezzale la confessione del moribondo:
Sto morendo. Mi chiamo John Wilkes Booth e sono l’assassino del presidente Lincoln.
St. Helens disse poi a Bates che il vicepresidente Johnson aveva ideato l’intero complotto dell’assassinio e che un uomo innocente ora giaceva nella tomba di Booth a Baltimora. Quindi John St. Helens si riprese dalla sua malattia. Nel giro di un anno St. Helens si trasferì in Oklahoma, dove prese il nome di David E. George.
I revisionisti, che non accettarono il fatto che Booth fosse morto ucciso da un soldato, fornirono due spiegazioni alternative su come l'assassino fosse riuscito a fuggire da quel fienile. Secondo la prima teoria Booth fu avvertito e fuggì diverse ore prima che il fienile fosse circondato; la seconda teoria sostiene che fosse scappato da una porta incustodita dopo che il fienile era stato dato alle fiamme. Per anni altri si sono fatti avanti con incredibili storie sulla fuga di Booth. Nell’aprile 1898, i giornali Americani riportarono notizie secondo le quali John Wilkes Booth era stato avvistato addirittura in Brasile. Questo rapporto portò alla luce due testimoni che avevano testimoniato che Booth era riuscito a fuggire, in quel nel 1865. La prima di questi testimoni era la signora J.M. Christ. Nel 1865, secondo la sua storia, lei e suo marito erano a bordo della nave “Mary Porter” all’Avana sei settimane dopo l’assassinio quando John Wilkes Booth salì a bordo e salpò con loro per Nassau. Dichiarò che, poiché Booth soffriva ancora per la gamba rotta, gli cedette la sua cabina, e alla fine del viaggio lui la ricompensò regalandole il suo anello con “J.W.B.” inciso all'interno. Dopo aver mantenuto il segreto per 33 anni la signora Christ si sentì autorizzata a parlare. Il giorno successivo, Wilson D. Kenzie rilasciò un’intervista allo stesso giornale. Disse che aveva conosciuto intimamente Booth a New Orleans ed era presente con Garrett in Virginia quando l’uomo che si supponeva fosse Booth è stato ucciso. Kenzie disse che l’uomo ucciso era un tipo con i capelli color sabbia che non aveva alcuna somiglianza con Booth. Poi, nel 1886, Finis L. Bates informò il Ministero della Guerra che sapeva dove avrebbero potuto mettere le mani sul vero John Wilkes Booth. Viveva in Texas sotto il nome di John St. Helen.
Bates aveva assistito St. Helen durante una lunga malattia e, come scrisse Alva Johnston nel 1938:
Su quello che apparentemente pensava fosse il suo letto di morte, St. Helen confessò di essere John Wilkes Booth.
Il Dipartimento della Guerra non espresse "alcun interesse" per la questione e Bates lasciò che la faccenda rimanesse in sospeso fino alla morte di St. Helen nel 1903. Un becchino di Enid ne imbalsamò il corpo in attesa che la famiglia Booth o il Ministero della Guerra lo reclamassero. Passarono gli anni senza che ciò avvenisse. Alla fine fu Bates a impossessarsi del corpo. Questo "passaggio di proprietà" fu sanzionato da un giudice dell’Oklahoma, apparentemente sulla base della teoria che avrebbe Bates concesso una degna sepoltura al suo ex cliente. Invece Bates deciso di commercializzare la sua acquisizione. Di tanto in tanto affittava il corpo del suo vecchio amico e scrisse un libro dal titolo The Escape and Suicide of John Wilkes Booth: Written for the Correction of History. John St. Helen, come si scoprì più tardi, era in realtà un vagabondo di nome David George: mummificato ed esposto al pubblico come John Wilkes Booth, dimostrato di non avere nulla del fascino al botteghino del suo omonimo. La carriera “post mortem” di questo John Wilkes Booth fu contrassegnata da continui fallimenti e disastri. Quasi tutti gli allestitori di spettacoli itineranti che esibirono John andarono in rovina. John ebbe un'esistenza stravagante. Fu comprato e venduto, affittato, tenuto in pegno, rapito e sequestrato per debiti; fu più volte cacciato fuori dalle città dalle autorità locali per mancanza di permessi o per violazione di altre ordinanze; fu minacciato di impiccagione da veterani nordisti indignati. Nel 1931 i medici esaminarono il corpo nella speranza di provare qualcosa di definitivo, ma così non fu. Fino al 1937 fu una consistente perdita di denaro.
Tex Willer n. 11, settembre 2019. Disegno di Dotti |
Al “Waco Cotton Palace”, la mummia attirò l’attenzione di William Evans, il re dei luna park del Sud-Ovest, l'uomo che avviò John nella sua grande carriera. Evans aveva intenzione di usare John come maggiore richiamo per il suo luna park, ma la nuova attrazione fu una delusione fin dall’inizio. John non ripagò mai le spese sostenute per esibirlo. A Evans non portò altro che sfortuna. Gli affari del luna park subirono continue battute d'arresto, fino a quando alla fine Evans lasciò l'attività e si ritirò in una piccola fattoria a coltivare patate a Declo, nell’Idaho. Dopo altri due proprietari, “John” entrò a far parte del “Jay Gould Million-Dollar Show”, che girò il Minnesota e il South Dakota. Questa fu, come disse Johnston ai lettori del "Post", la stagione di maggior successo di John Wilkes Booth dal 1865. La mummia andò in tournée meno frequentemente nel corso degli anni e fu vista l’ultima volta in pubblico nel 1976, poco prima che diventasse proprietà di un collezionista .
Il vagabondo solitario David George potrebbe essere stato John Wilkes Booth? Anche se Booth fosse scampato alla morte in un fienile della Virginia, si sarebbe negato tutto il riconoscimento e la notorietà che avrebbe guadagnato rivelando la sua vera identità?
Qualcuno del Vecchio West disse:
Ai suoi tempi, John Wilkes Booth era stato un grande attore del palcoscenico. Alcuni dei suoi contemporanei lo consideravano più grande di suo padre, Junius Brutus Booth, o di suo fratello, Edwin Booth. John Wilkes Booth fu un morto quasi perfetto. La vanità fu il suo principale movente. L'assassinio di Lincoln fu un atto di pura vanità. Booth attraversò la Guerra Civile senza combattere; non poteva sopportare che gli eroi di guerra torreggiassero sopra di lui; uccise Lincoln nella speranza di rubare la scena ai veri combattenti. Il povero morto fece irruzione nella Storia, ma avrebbe potuto fare altrimenti, nel 1865, se avesse potuto guardare avanti fino al 1920 e vedere ciò che restava di lui competere senza successo con mucche dalla faccia da bulldog e pecore a sei zampe.
Negli anni ‘60, C.P. Fox del “Circus World Museum” del Wisconsin contattò Gould per vedere se poteva acquisire la mummia, ma a quel punto Gould non ce l’aveva più. Ora esistono solo voci che corrono sulla sua attuale ubicazione, sebbene si sappia che la mummia è stata vista l’ultima volta alla fine degli anni ‘70 e potrebbe essere adesso nelle mani di un collezionista privato.
Oggi, la maggior parte degli storici e il pubblico in generale concordano sul fatto che John Wilkes Booth, uno degli attori preferiti da Abraham Lincoln, abbia guidato la cospirazione per uccidere il presidente, i ministri e il vicepresidente Andrew Johnson (1808 – 1875). Durante i primi 149 anni dall’assassinio di Lincoln, alcuni americani e persino alcuni storici hanno trovato difficile credere che John Wilkes Booth, un semplice attore, potesse orchestrare un crimine così orribile. Che un individuo, agendo con una raffazzonata banda di complici, potesse effettivamente cambiare il corso della storia e diventare un eroe Nazionale al culmine della popolarità di Lincoln e in un momento di grande festa, sembra inverosimile a molti. Le emozioni aumentarono e la disinformazione dilagò nelle settimane e nei mesi successivi all’assassinio, come chiariscono i giornali che faranno parte della raccolta digitale “Remembering Lincoln" del Ford’s Theatre.
La mattina della morte di Lincoln, il "Nashville Union", un giornale della capitale del Tennessee che si opponeva alla secessione, intitolò la dell’assassinio The Rebel Fiends at Work, collegando implicitamente l’atto di Booth a qualcosa che andava oltre il piccolo gruppo di cospiratori. Nel frattempo, il 19 aprile 1865, per colpa di un falso rapporto da Demopolis (Alabama), il "New York Herald" non solo commemorava la morte di Lincoln, ma erroneamente (come fecero molti altri giornali) riportava che il Segretario di Stato William Henry Seward (1801 – 1872) era morto e, a differenza di altri giornali, che Robert Edward Lee (1807 – 1870) aveva sconfitto Ulysses Simpson Grant (1822 – 1885). La maggior parte degli altri giornali piangeva Lincoln e stampava qualsiasi informazione, vera o falsa, che riceveva. Questa grande emozione e disinformazione di quel momento immediato fornirono un terreno fertile per le teorie del complotto, sia allora che in futuro. I capri espiatori, oltre Booth e il suo piccolo gruppo, emersero nella mente di molti. Dato il contesto della sconfitta confederata, non sorprendeva che i sospetti ricadessero sul presidente confederato Jefferson Davis (1808 – 1889); e se non era stato Davis, allora era forse Judah Philip Benjamin (1811 – 1884), il Segretario di Stato confederato. Benjamin non solo era un vero e proprio ribelle, ma era anche ebreo e, presumibilmente, aveva legami con l’impero bancario dei Rothschild in Europa. I banchieri europei erano preoccupati per le politiche commerciali della Lincoln, presumibilmente, e Benjamin sarebbe stato ulteriormente motivato nel vendicarsi. Inoltre, molti credevano che questo è ciò che fanno gli ebrei. Va tenuto presente che nel Partito Repubblicano c'era una virulenta corrente anti-immigrati, ex membri del movimento Know-Nothings, con chiare sfumature antisemite e anticattoliche. Molti dei cospiratori condannati, inclusa Mary Surratt, erano ardenti cattolici.
Il fatto che John Harrison Surratt Jr. (1844 – 1916) si sia presentato in Vaticano dopo essere fuggito dagli Stati Uniti ha contribuito a far nascere false speculazioni sul coinvolgimento del Papa Pio IX (Giovanni Maria Mastai-Ferretti, 1792 – 1878) nell’assassinio di Lincoln. Al momento dell’assassinio, John era a Elmira, nello stato di New York, ed era appena tornato da un viaggio di corriere in Canada e da un incontro con il generale confederato Edwin G. Lee (1836 – 1870). Ricercato, si presentò a Montreal alcuni giorni dopo e gli agenti lo portarono a St. Liboire dove due preti cattolici locali lo ospitarono per alcuni mesi finché, travestito con occhiali scuri e capelli tinti, fu messo a bordo di una nave in Quebec diretto a Liverpool, in Inghilterra. Lì alloggiò nell’oratorio della Chiesa della Santa Croce dove soggiornavano spesso i cattolici in visita a Liverpool. Surratt ricevette denaro dal Canada e partì per Roma stabilendosi presso il Collegio Inglese, un istituto cattolico. Il Preside dell'istituto fece in modo che John ottenesse un lavoro e un nascondiglio arruolandosi negli Zuavi Pontifici che a quel tempo facevano parte dell’esercito Vaticano. Questa falsa identità ebbe vita breve: il Papa ne ordinò l’arresto e fu condotto al carcere militare di Roma in attesa dell’estradizione. Ancora in uniforme zuava, riuscì a scappare. Si presentò a Napoli, parte del Regno d’Italia, ostile allo Stato Pontificio, dicendo di essere un disertore degli Zuavi pontifici e quindi autorizzato a salire a bordo di una nave diretta in Egitto. All’arrivo ad Alessandria con indosso ancora la sua uniforme zuava ormai lacera, fu arrestato durante la quarantena e rinchiuso nella prigione dell’Antico Campidoglio. Su ordine del Segretario di Stato Seward, una nave militare fu inviata ad Alessandria per trasportare John Surratt a Washington per il processo. Surratt presentò 98 testimoni a suo favore, mentre l’accusa ne fece sfilare 108. I dodici membri della giuria, dopo 62 giorni, non riuscirono a raggiungere una decisione unanime e ne risultò un impasse giudiziario. Surratt fu rilasciato su cauzione in attesa di un nuovo processo che però non si tenne in quanto erano stati raggiunti i termini di prescrizione. Il governo abbandonò ulteriori azioni legali. Da uomo libero, iniziò a tenere conferenze in cui ammetteva il suo ruolo nel complotto per rapire il Presidente, ma negava di aver avuto qualsiasi parte nell’assassinio. Tuttavia, ulteriori incontri con il pubblico furono annullati a causa della presenza di cittadini ostili e infuriati. Surratt in seguito si assicurò un lavoro come insegnante presso la St. Joseph Catholic School di Emmitsburg, nel Maryland. Qualche tempo dopo fu assunto dalla Baltimore Steam Packet Company. Diventò revisore delle merci e poi tesoriere della compagnia. Sposò Mary Victorine Hunter, una parente di Francis Scott Key. La coppia visse a Baltimora ed ebbe sette figli. Morì di polmonite all’età di 72 anni e fu sepolto nel New Cathedral Cemetery di Baltimora.
Le vicende di Surratt in Vaticano diedero adito alla teoria che il Papa, o almeno alcuni cattolici romani di alto rango, avessero avuto un ruolo nell’assassinio di Lincoln. Gli immigrati irlandesi generalmente si opposero alla Guerra di Secessione e sostenevano il Partito Democratico. Nel 1863 una sanguinosa rivolta a New York e in altre città contro la leva obbligatoria voluta dai Repubblicani fu caratterizzata dalla violenza dei residenti irlandesi. La teoria ricevette ulteriore credito dal fatto che Lincoln una volta aveva difeso un prete contro il vescovo di Chicago.
Le teorie del complotto persistettero dopo i frenetici giorni successivi all’assassinio. Forse la più duratura di queste teorie fu la tesi di Eisenschiml. Otto Eisenschiml (1880 – 1963) non era uno storico: era un chimico di origine austriaca emigrato negli Stati Uniti nel 1901, che divenne dirigente di una compagnia petrolifera a Chicago. Dopo quasi un decennio di ricerche sull’assassinio di Lincoln, pubblicò Why Was Lincoln Murdered nel 1937, sostenendo che il Ministro della Guerra Edwin Stanton McMasters (1814 – 1869) aveva ideato l'omicidio. A sostegno della sua tesi Eisenschiml offrì diverse prove circostanziali. In primo luogo, Stanton aveva un movente: era preoccupato che le moderate proposte di Lincoln per la ricostruzione del Sud avrebbero deluso gli ex stati Confederati, che subirono una vera e propria carneficina. In secondo luogo, il generale dell’Unione Ulysses S. Grant aveva programmato di assistere allo spettacolo al Ford’s Theatre con il presidente la notte del 14 aprile, ma Eisenschiml affermò che Grant annullò questo appuntamento quando Stanton gli ordinò di lasciare Washington. Inoltre, Stanton avrebbe rifiutato la richiesta del presidente di mettere il maggiore Thomas Thompson Eckert (1825 – 1910) come guardia del corpo per tutta la serata. Dopo la drammatica fuga di Booth dal teatro, Stanton fece chiudere tutti i ponti dalla città, tranne uno, il Navy Yard Bridge, proprio quello che Booth imboccò per scappare. Stanton avrebbe anche ordinato ai soldati dell’Unione di uccidere Booth piuttosto che arrestarlo. E, infine, gli investigatori notarono 15 pagine strappate dal diario di Booth - deliberatamente strappate da Stanton, sostenne Eisenschiml.
Queste accuse erano così potenti che il libro di Eisenschiml apparve nella maggior parte degli elenchi di letture dei seminari universitari sulla Guerra Civile negli anni ‘70. Ma non uno straccio di prova concreta corroborò la tesi di Eisenschiml negli otto decenni successivi all'uscita del volume.
Siamo ben lontani dalla fine delle teorie del complotto di Lincoln, specialmente nell’era di Internet, ma, a differenza dell’assassinio di Kennedy, la maggioranza degli Americani è d’accordo con il consenso degli storici professionisti secondo cui John Wilkes Booth uccise Abraham Lincoln e guidò la cospirazione per assassinare altri membri dell’amministrazione senza alcuna influenza esterna. Tutto è certamente possibile, però...forse non sapremo mai la verità!
Il capitano Jacob Washington “Jake” Haas (1833 – 1914) fu ripetutamente confuso con John Wilkes Booth nei giorni successivi all’assassinio di Lincoln. Haas era originario di Pottsville, in Pennsylvania, e fu tra i primi soldati volontari del nord a raggiungere Washington dopo l’inizio della Guerra Civile; per tutta la guerra prestò servizio nel 96° Fanteria della Pennsylvania. Sopravvisse ad alcune delle battaglie più cruente della guerra, tra cui Gaines’s Mill, Crampton’s Gap (dove il 96° subì una terribile perdita), Antietam, Chancellorsville, Gettysburg e Spotsylvania; al momento del congedo nell’ottobre 1864 era salito al grado di Capitano, comandante della Compagnia G. Lasciato l’esercito, Haas tornò a Pottsville, ma all’inizio di aprile del 1865, insieme al colonnello William H. Lessig (1831 – 1914), anche lui del 96°, si recò nella Pennsylvania occidentale sperando di arricchirsi con i giacimenti petroliferi. Haas e Lessig si trovavano in un hotel a Lewisburg, quando la notizia della morte di Lincoln si diffuse in tutto il paese. Qualcuno in città notò Haas e lo scambiò per Booth. Una folla iniziò a radunarsi intorno all’hotel. Haas e Lessig, scoprendo di essere i bersagli della furia della folla, si barricarono all’interno della loro stanza. Fu un momento straziante per i due uomini. Fortunatamente per loro, un nativo di Sunbury, forse un veterano del 96°, fu in grado di identificare con certezza sia Haas che Lessig. Pochi giorni dopo, il 22 aprile 1865, mentre Haas e Lessig continuavano a dirigersi verso Ovest, tuttavia, furono presi in custodia dai membri del 16° Cavalleggeri della Pennsylvania vicino a Philipsburg. La voce che Booth era stato catturato si sparse rapidamente in tutta la città e, ancora una volta, si formò una folla inferocita desiderosa di linciare l’assassino di Lincoln e il suo complice. Lessig riuscì a convincere il tenente G.P. McDougall, al comando del 16°, che Haas non era Booth, e quel giorno stesso McDougall li liberò. Il tenente rilasciò loro un documento, dove affermava:
Oggi ho arrestato WH Lessig e JW Haas, li ho esaminati e ho scoperto che non sono - come era stato sospettato - Booth, l’assassino del presidente Lincoln, e il suo complice.
Mentre Haas e Lessig proseguivano per la loro strada, si sentivano più al sicuro ora che portavano con sé il lasciapassare del tenente McDougall. Ma quando raggiunsero la città di Clarion il 26 aprile 1865, scoprirono quanto si sbagliavano. Haas fu arrestato per la terza volta. Si formò una folla veramente impazzita. Il lasciapassare fu liquidato come fasullo e la gente già si era procurata una corda per l'impiccagione. Haas affermò di poter dimostrare di non essere Booth: Portatemi alla Franklin's Bank, implorò. La sua richiesta fu accolta e Haas è fu portato sotto scorta alla banca dove aveva precedentemente depositato una somma di denaro. La folla rimase soddisfatta e lasciò andare Haas. Immaginate il sollievo di Haas, quindi, quando poche ore dopo si sparse la voce in tutta la nazione che il vero assassino, John Wilkes Booth, era stato rintracciato e ucciso. Jacob W. Haas morì nel 1914 a Shamokin, in Pennsylvania, all’età di 81 anni.
Tex n. 450, aprile 1998. Disegno di Villa |
Ma cosa veramente sappiamo dell’uomo che ha ucciso Lincoln? Ci sono numerosi "curiosità" non elencate nei libri di storia coi quali siamo cresciuti. Venti piccole "curiosità" su John Wilkes Booth, l’uomo che uccise Abraham Lincoln, selezionate da me. La sua vita e la sua morte resero Abraham Lincoln uno dei leader più famosi della storia mondiale. E quella morte rese il suo assassino, John Wilkes Booth, una figura famigerata.
1. John Wilkes Booth era presente all’impiccagione del leader abolizionista John Brown. Booth si fermò vicino al patibolo e in seguito espresse grande soddisfazione per il destino di Brown, sebbene ammirasse il coraggio del condannato nell’affrontare stoicamente la morte.
2. John Wilkes Booth inizialmente non aveva intenzione di assassinare il presidente Lincoln. Il complotto originale prevedeva che sette cospiratori lo rapissero e lo portassero nella capitale confederata di Richmond, in Virginia.
3. Il nonno di Kathy Bates, Finis Bates, sostenne una teoria secondo cui John Wilkes Booth non fu assassinato dai soldati dell’esercito dell’Unione il 26 aprile 1865, ma eluse con successo la cattura.
4. Una statua di William Shakespeare a Central Park fu pagata con i fondi raccolti da John Wilkes Booth.
5. Per John Wilkes Booth fu una sorpresa scoprire la poca simpatia che il pubblico gli riserbò dopo aver assassinato Abraham Lincoln. I giornali che in precedenza erano contrario Lincoln condannarono l’omicidio e mentre alcuni sudisti erano felici che Lincoln fosse morto, altri temevano che l'assassinio avrebbe portato una dura punizione contro gli stati confederati, già sconfitti in guerra.
6. John Wilkes Booth aveva calcolato l'esatto momento della morte di Lincoln, in modo che il rumore dello sparo venisse mascherato dalle risate del pubblico. Essendo un attore, conosceva a memoria la commedia a cui Lincoln stava assistendo. Il Presidente stesso stava ridendo quando Booth gli sparò.
7. Boston Corbett, l’uomo che uccise John Wilkes Booth guadagnandosi il soprannome di “Lincoln’s Avenger”, da giovane faceva il cappellaio e il modista. Si pensa che l’avvelenamento da mercurio (usato nel suo lavoro) sia stato la causa dello sregolato comportamento che tenne per tutta la vita.
8. Corbett si castrò con un paio di forbici per resistere alle tentazioni delle donne.
9. Al cimitero di Green Mount a Baltimora, dove è sepolto John Wilkes Booth, i visitatori spesso lasciano un Penny (che raffigura il volto del presidente Lincoln) sul monumento della famiglia Booth.
10. 87 uomini di mare morirono sul Potomac dopo che due navi si scontrarono mentre cercavano John Wilkes Booth dopo che aveva assassinato Abraham Lincoln.
11. C’è una fotografia che ritrae sia Abraham Lincoln che John Wilkes Booth. Fu scattata un mese prima dell’assassinio, alla seconda inaugurazione presidenziale di Lincoln. Booth scrisse in seguito nel suo diario: Che eccellente possibilità avrei avuto, se lo avessi desiderato, di uccidere il presidente il giorno dell'inaugurazione.
12. I discendenti del Dr. Samuel Mudd, che ospitò Booth e gli sistemò la gamba rotta dopo aver ucciso il presidente Lincoln, credono ancora che fosse innocente e non sapevano che quella notte c’era Booth a casa di Mudd, anche se era famoso; il Dr. Mudd l’aveva incontrato più volte ed era al corrente del complotto.
13. La guardia del corpo di Lincoln, un ubriacone già ammonito per aver bevuto sul posto di lavoro, non era al suo posto per proteggere il presidente la notte in cui morì. Era invece al vicino Star Saloon a bere; lo stesso saloon in cui John Wilkes Booth cercò nell'alcol il coraggio per assassinare il presidente.
14. John Wilkes Booth era un noto attore, un attore di serie A, come potrebbe esserlo oggi un Leonardo Di Caprio. Il suo bell'aspetto e il suo fascino lo resero uno dei primi rubacuori americani ed era soprannominato "The Sexiest Man Alive".
15. Si dice che Wilkes Booth fu il primo attore a farsi strappare i vestiti dai fan.
16. Il peggior disastro marittimo nella storia degli Stati Uniti fu quello del vapore "Sultana", dove persero la vita 1192 persone a causa dell'esplosione delle caldaie appena fuori Memphis. Non molte persone ne hanno sentito parlare poiché i giornali si concentrarono sul delitto compiuto da John Wilkes Booth il giorno precedente.
17. La notte in cui John Wilkes Booth assassinò Abraham Lincoln, il suo complice avrebbe dovuto assassinare il vicepresidente Andrew Johnson, ma non ne ebbe il coraggio e preferì invece andare a ubriacarsi.
18. Pochi giorni prima di pronunciare il discorso di Gettysburg, Lincoln vide John Wilkes Booth esibirsi come cattivo in una commedia al Ford’s Theatre. Qualcuno disse a Lincoln: Sembra quasi che recitando stia riferendosi a lei. E Lincoln rispose: Mi parla in modo molto tagliente, vero?
19. Anche Ulysses S. Grant doveva essere assassinato insieme ad Abraham Lincoln da John Wilkes Booth, ma non partecipò allo spettacolo al Ford's Theatre perché le mogli di Lincoln e di Grant non erano in buoni rapporti.
20. L’uomo che cercò di impedire a John Wilkes Booth di uccidere Lincoln, Henry Rathbone, impazzì: uccise sua moglie e tentò di uccidere i suoi figli in un impeto di rabbia.
Seconda parte - Jack McCall, l’assassino di Wild Bill Hichock (2 agosto 1876)
Ha scritto il saggista John Andrews:
Quando sentiamo il nome di Jack McCall, c'è un’immagine che viene in mente: è la foto in bianco e nero - l'unica esistente - di un uomo con capelli neri, baffi neri e giacca nera seduto di fronte all'obbiettivo con il braccio sinistro piegato appoggiato su un tavolino. È esattamente l’immagine qui sopra. Siamo giunti ad accettare che si tratti di una "fotografia di McCall", ma gli storici di Yankton, e io con loro, sono scettici. Lo scatto in questione apparve sul nostro libro South Dakota Outlaws and Scofflaws (2012). Non molto tempo dopo aver finito il libro, lo storico di Yankton Bob Hanson venne nel nostro ufficio, ed elencò cinque o sei motivi per cui credeva che l’uomo nella foto non potesse essere Jack McCall. L’età dell’assassino e le varie descrizioni del suo aspetto fisico non corrispondono, disse. McCall era chiamato “Crooked Nose” o “Broken Nose” Jack, e il naso dell’uomo fotografato non sembrava affatto così storto o rotto. Inoltre, McCall non aveva più di 25 anni quando morì. L’uomo fotografato sembra invece essere più anziano. Sebbene nessuna fotografia di Jack McCall sia stata autenticata, i giornali lo descrivono con folti capelli castani, una testa un po' appuntita, piccoli baffi color sabbia, bocca piccola, naso camuso e occhi incrociati. Potrebbe aver avuto un piccolo pizzetto, ed è stato descritto come un'uomo dalla carnagione florida e un doppio mento. Apparentemente usò vari pseudonimi durante questo periodo, due dei quali erano “Curly Jack” e “Bill Sutherland.” Pochi mesi dopo ho accennato alla controversia con Jim Lane, un altro storico di Yankton che è sposato con il nostro direttore della distribuzione, Jana. Ha sottolineando che non esisteva nessun’altra immagine di McCall, rendendo il mistero più fitto. Il processo e l’esecuzione di McCall a Yankton furono momenti cruciali nella storia del Dakota. Il suo processo contribuì a stabilire la giurisdizione del tribunale territoriale su Deadwood e la sua esecuzione, a cui parteciparono ben 1.000 persone, è stata la prima del Territorio del Dakota. Sembra sorprendente che nessuna altra immagine verificata storicamente accettata (una fotografia, uno schizzo o una xilografia) sia mai stata vista, visto soprattutto che a Yankton abitava il celebre fotografo Stanley J. Morrow (1843 – 1921). Morrow era un nativo dell’Ohio e imparò il mestiere come apprendista del famoso fotografo della Guerra Civile Mathew Brady(1822 – 1896). Intorno al 1868 si trasferì a Yankton e aprì uno studio fotografico. Amava l'arte del fotografo itinerante e trascorreva le sue estati viaggiando in fortini militari, città e riserve indiane lungo il fiume Missouri realizzando numerosi scatti paesaggistici. Nell’estate del 1876, più o meno nello stesso periodo in cui McCall sparava a Hickok al Saloon n. 10 di Deadwood, Morrow partì per le Black Hills per fotografare la corsa all’oro.
Trascorse anche del tempo con le truppe del generale George Crook (1828 – 1890), che avevano combattuto le tribù indiane nelle Slim Buttes dell’estremo nord-ovest del Sud Dakota. Arrivò alla Red Cloud Agency del Nebraska nell’ottobre 1876 e vi trascorse un mese a fotografare capi indiani come Red Cloud. Si ritiene che Morrow sia tornato a Yankton a metà dicembre, solo una o due settimane dopo la conclusione del processo a McCall. McCall trascorse il gennaio e il febbraio del 1877 in prigione, ma Morrow non tentò mai di fotografarlo, né McCall concesse mai il permesso. Anche se Morrow non era a Yankton, sua moglie Isa ebbe l’opportunità di catturare un’immagine di McCall. Infatti, dopo che i Morrow si trasferirono a Yankton, Stanley insegnò a Isa a fare fotografie e lei gestiva lo studio mentre suo marito era fuori per i suoi tour fotografici nel Dakota. Morrow lasciò Yankton nel 1883. Molte delle sue immagini andarono perdute in un incendio, ma ne conosciamo circa 500 fra quelle sopravvissute. E forse un’immagine scattata da Morrow, o da un altro fotografo itinerante, che ritrae McCall è sopravvissuta nascosta nella soffitta o nel seminterrato di qualcuno. Fate attenzione la prossima volta che frugate nelle vecchie scatole. Potreste trovarvi fra le mani un pezzo mai visto prima della storia del Dakota.
Io sono pienamente d’accordo con John.
Wild Bill era una leggenda, come pistolero, uomo di legge e giocatore d’azzardo. Ma "pistolero" è forse il termine più adatto a descriverlo, in quanto era considerato da molti dei suoi contemporanei - ovvero altri pistoleri e uomini di legge - come il migliore che ci fosse. Ma cosa ha a che fare con gli Ozark un ragazzino dell’Illinois che fuggì di casa perché credeva di aver ucciso un uomo in una rissa e che sarebbe diventato il pistolero più letale del Vecchio West? James Butler “Wild Bill” Hickok trascorse molto tempo negli Ozark, incluso il servizio come scout per l’esercito dell’Unione durante la Guerra Civile. A Springfield, nel Missouri, Wild Bill pratico il mestiere di tiratore. Fu lì, mesi dopo la fine della Guerra Civile, seduto a un tavolo da gioco, che iniziò a litigare con il suo migliore amico, Davis Tutt (1836 – 1865), un ex soldato confederato di Yellville, Arkansas, il cui padre Everett era morto in guerra.
Era il luglio del 1865, e al centro di tutto ci fu una discussione su una partita a carte persa, una ragazza e un orologio da taschino. Wild Bill e Dave Tutt uscirono all'aperto, a Springfield, e diedero vita al tipico scontro a fuoco del Vecchio West, quello che abbiamo visto innumerevoli volte nei film. Entrambi erano uomini molto pericolosi con la pistola e nessuno poteva sapere chi avrebbe vinto. Davis Tutt cadde morto e Hickok fu assolto dall’accusa di omicidio, sebbene ci fossero state due dozzine di testimoni. Hickok era una leggenda del Vecchio West. All'inizio l'arrivo di Hickok a Deadwood era stato visto con un misto di curiosità e diffidenza dagli abitanti. Cosa ci faceva il “famoso” Wild Bill a Deadwood? I boss locali che guadagnavano molto denaro con attività illegali e immorali immaginavano che gli onesti uomini d’affari del posto avrebbero chiesto a Hickok di assumere il ruolo di marshall o almeno di fare il giustiziere per loro conto. Si ipotizza che i criminali di Deadwood fossero intimoriti dalla reputazione del celebre pistolere e potrebbero aver deciso di incoraggiare qualcuno al di fuori del loro gruppo di "prendersi cura di Hickok" in vece loro. Jon “Jack” McCall, noto anche come “Crooked Nose” o “Broken Nose Jack”, era l’uomo che uccise “Wild” Bill Hickok a Deadwood, nel territorio del Dakota, il 2 agosto 1876. In quello che è stato ampiamente considerato un atto di codardia, McCall sparò a Hickok alle spalle mentre giocava a poker al Nuttal & Mann’s Saloon n. 10. Essendosi già affermato come una leggenda del selvaggio West nel corso della sua vita, anche le circostanze della morte di Wild Bill Hickok divennnero materia di leggenda. La maggior parte dei resoconti sembra concordare sul fatto che la mano di poker da cinque carte che aveva Wild Bill quando McCall gli sparò il proiettile fatale consisteva in due coppie, di assi neri e di otto - carte che da allora furono soprannominate la “mano del morto.” Ma l’identità della quinta carta è sempre stata un mistero.
Oggi al Saloon n. 10, ricostruito negli anni ‘30 dopo l’incendio del 1879 che cancellò gran parte dell’originale Deadwood, si sostiene che la carta fosse il nove di quadri. Altre fonti ancora citano il due di picche, il cinque di quadri o la Regina di Fiori. Nel corso degli anni Hollywood si è presa alcune sue tipiche libertà con la famosa mano: nel film Stagecoach, il regista John Ford non solo incluse la Regina di Cuori come quinta carta, ma sostituì uno degli assi neri con l'asso di quadri. In The Plainsman, invece, Gary Cooper ha in mano il Re di Picche. Un‘altra teoria sostiene che Hickok avesse scartato la sua quinta carta originale e non ne avesse ancora ricevuta una nuova quando McCall gli sparò, il che significa che in realtà aveva solo quattro carte in mano al momento della sua morte. Oltre a visitare la sua ultima dimora, oggi i visitatori di Deadwood possono anche rivivere gli ultimi momenti di Hickok al Saloon n. 10, dove la sua morte viene rievocata quattro volte al giorno tra il Memorial Day e la fine di settembre. I turisti possono anche cimentarsi con il poker, il blackjack o le slot machine in questa piccola sala da gioco che mantiene la tradizione del selvaggio West fin dalla segatura sparsa sul pavimento.
Nell’estate del 1876 Wild Bill era nel territorio del Dakota e partecipò a una partita carte. Di solito si sedeva con le spalle al muro, ma quel giorno Hickok fu costretto a sedersi di fronte al muro, l’unico posto libero al tavolo. Fu un fatale errore di calcolo. Il suo uccisore McCall sarebbe stato condannato solo dopo un secondo processo. Poiché all’epoca non esisteva una giurisdizione organizzata a Deadwood, si era tenuto un primo processo improvvisato con la giuria composta da membri della comunità locale (minatori e uomini d'affari). McCall affermò che aveva agito così per vendicarsi di Hickok che aveva ucciso suo fratello ad Abilene nel Kansas; il che potrebbe essere vero; un uomo di nome Lew McCall era stato effettivamente ucciso da un ignoto uomo di legge ad Abilene, nel Kansas, ma non è dato sapere se i due McCall fossero imparentati o meno. Il motivo vero per cui McCall uccise Hickok è ancora oggetto di speculazioni, in gran parte riguardanti la rabbia e l'umiliazione di McCall per il fatto che Hickok gli avesse dato i soldi per la colazione il giorno prima, dopo che McCall aveva perso pesantemente. McCall fu dichiarato innocente dopo due ore di testimonianze, e liberato. Il "Black Hills Pioneer" scrisse, indignato:
Se mai dovessimo sfortunatamente uccidere un uomo, chiederemmo semplicemente che il nostro processo potesse svolgersi in alcuni dei campi minerari di queste colline.
Dopo il processo McCall fuggì nel Territorio del Wyoming temendo per la sua incolumità, e qui sfacciatamente si vantò di aver ucciso Hickok in uno scontro a fuoco "equo". Le autorità del Wyoming si rifiutarono di riconoscere la legittimità dell’assoluzione di McCall poiché il tribunale di Deadwood non aveva giurisdizione legale e sostennero che McCall avrebbe dovuto essere processato nuovamente in un tribunale federale, a Yankton, nel South Dakota.
Si dice che Martha Jane Canary-Burke detta "Calamity Jane" (1852 – 1903) abbia guidato una folla che minacciò McCall di linciaggio, ma al momento della morte di Hickok, Jane era invece detenuta dalle autorità militari. Dopo essersi vantato di aver ucciso Hickok, McCall fu dunque nuovamente arrestato. Il secondo processo si tenne a Yankton, la capitale del territorio del Dakota: McCall fu dichiarato colpevole e condannato a morte. Il fratello di Hickok, Lorenzo Butler “Rennie” Hickok (1832 – 1913), era venuto dall’Illinois per assistere al nuovo processo: dopo il procedimento giudiziario ebbe un colloquio con McCall dopo il processo e disse che McCall non mostrava alcun rimorso. Leander Richardson, un giornalista, intervistò McCall poco prima della sua esecuzione e scrisse un articolo su di lui per il numero di aprile 1877 dello "Scribner’s Monthly":
Mentre scrivo le righe conclusive di questo breve ritratto, mi giunge voce che l’uccisore di Wild Bill è stato nuovamente arrestato dalle autorità degli Stati Uniti, e dopo il processo è stato condannato a morte per omicidio volontario. Ora è a Yankton, in attesa di esecuzione.
Al secondo processo fu ipotizzato che McCall era stato assunto come sicario da un gruppo di giocatori d’azzardo che temevano il momento in cui la cittadinanza avrebbero nominato Bill tutore della Legge e dell’ordine, un incarico che aveva già precedentemente ricoperto durante gli anni in cui visse al confine del Kansas, dando prova di virilità e coraggio. Jack McCall fu impiccato il 1° marzo 1877 e sepolto in un cimitero cattolico romano. Il cimitero fu spostato nel 1881 e il corpo venne sepolto nell’angolo sud-ovest. Secondo lo storico Joseph Holzhauser, McCall sarebbe sotto una delle due tombe anonime tra le numerose lapidi degli anni 1870 e 1880. Dato che McCall era cattolico e ricevette gli ultimi sacramentida un sacerdote della Chiesa del Sacro Cuore, questo sembrerebbe probabile. John "Jack" McCall non sarebbe mai stato ricordato nella storia se non avesse sparato a Wild Bill Hickok a Deadwood. Non era specificamente un “fuorilegge”, ma era più noto per la sua ubriachezza e la sua stupidità, un vero mascalzone. Tuttavia, poiché utilizzò diversi pseudonimi nel corso della sua vita, potrebbe aver compiuto anche azioni più vili nel suo passato, azioni di cui non siamo a conoscenza. Nato intorno al 1850 nella contea di Jefferson, nel Kentucky, crebbe lì insieme alle sue tre sorelle. McCall si spostò verso Ovest in età più adulta e lavorò nei terreni di confine tra il Kansas e il Nebraska con un gruppo di cacciatori di bufali intorno al 1869.
Tex n. 595, maggio 2010. Disegno di Villa |
In seguito transitò nel Wyoming prima di arrivare a Deadwood, nel South Dakota, nel 1876, con il nome di Bill Sutherland. Secondo i resoconti dei giornali aveva folti capelli castani, piccoli baffi color sabbia, doppio mento e occhi incrociati. Subito dopo essere arrivato a Deadwood, il 1° agosto 1876 stava bevendo al bar del Nuttall & Mann’s Saloon. Ubriaco fradicio, guardava Wild Bill Hickok giocare a poker a un tavolo con i posti tutti occupati. Quando uno dei giocatori si ritirò, McCall ne prese rapidamente il posto. Ubriaco e sfinito, McCall perso una mano dopo l'altra finché non gli rimase un solo centesimo in tasca. Hickok gli diede quindi dei soldi per comprarsi qualcosa da mangiare e gli consigliò di non giocare più finché non avesse potuto coprire le sue perdite. Sebbene McCall avesse accettato i soldi, si sentì umiliato e insultato. Il pomeriggio successivo, quando Wild Bill entrò nel Saloon n. 10, trovò Charlie Rich seduto al suo posto preferito. Charlie Rich ha un posto nella storia del Vecchio West perché conosceva personalmente Wild Bill e, cosa più importante, è l’uomo che distribuì a Hickok la sua ultima mano di carte da gioco.
La notte prima Wild Bill aveva scritto una strana lettera a sua moglie:
Cara Agnes, se dovesse accadere che non ci incontreremo mai più, mentre sparo il mio ultimo colpo sussurrerò dolcemente il nome di mia moglie Agnes e, facendo gli auguri anche ai miei nemici, farò il mio ultimo tuffo e cercherò di nuotare fino all’altra sponda.
La mattina del 2 agosto 1876, quando Hickok si vestì con la sua redingote Prince Albert indossando con i suoi accessori, è dubbio che sapesse che sarebbe stato il suo ultimo giorno sulla terra. Hickok arrivò al Saloon n. 10 poco dopo mezzogiorno. Si avvicinò al suo tavolo abituale - occupato da Charlie Henry Rich (1859 – 1929), Carl Mann e il capitano del battello fluviale Bill Massie. Il posto preferito di Hickok, che gli permetteva di tenere la schiena contro il muro, era occupato da Charlie Rich.
Hickok, che era sempre molto attento alla propria sicurezza, chiese a Rich di permettergli di sedersi sulla sua sedia abituale, ma Rich non si volle spostarsi. Il posto abituale di Hickok gli permetteva di vedere sia la porta d’ingresso che quella sul retro, potendo così difendersi da eventuali malintenzionati. Ora l’unico posto a sua disposizione era quello che gli permetteva di vedere la porta d'ingresso, ma la sua schiena era esposta alla porta sul retro. La disposizione dei posti dei quattro uomini al tavolo includeva Charlie Rich alla destra di Hickok, il capitano William Rodney “Bill” Massie (1831 – 1910) proprio di fronte a lui e Carl Mann alla sua sinistra. Pochi istanti prima che il colpo del revolver di Jack McCall ponesse fine alla vita di Hickok, Charlie Rich diede a Wild Bill la sua ultima mano. Rich tornò nel suo stato matale, l'Ohio, tre anni dopo aver assistito all’assassinio di Wild Bill Hickok. Secondo la leggenda di famiglia, Rich non giocò mai più a poker dopo quel fatidico giorno. A differenza di Hickok, che morì a 39 anni, Charlie Rich ebbe una lunga vita e 21 giorni prima del suo 70° compleanno, il 7 luglio 1929, a Columbus, in Ohio ed è sepolto nell’Evergreen Cemetery, Miamiville, Ohio. La sua lapide riflette il ruolo che ebbe nella storia: nel 1998, Gordon Bourgeois, la fece rifare e ci fece incidere sopra i celebri avvenimenti della "mano del morto".
Jack McCall, che aveva già bevuto molto al bar, vide Hickok entrare nel saloon, e prendere posto al suo tavolo abituale nell’angolo vicino alla porta. Vedendo un’opportunità per vendicarsi dell’insulto e forse per farsi un nome, McCall si avvicinò alle spalle di Hickok, tirò fuori la sua Colt Model 1873 Single Action Army calibro .45, gli puntò la canna dietro la testa e premette il grilletto mentre gridava: Accidenti a te maledetto, prendi questo! Hickok, a cui era stata servita una mano di Assi e Otto, cadde a terra morto all’istante. Il codardo McCall corse immediatamente fuori dal saloon e tentò di scappare sul cavallo di qualcun altro che era legato nelle vicinanze. Tuttavia, poiché la sella si era allentata, cadde a terra. Corse quindi a piedi lungo la strada polverosa e si nascose in una macelleria, ma in pochi minuti fu trovato dalla folla. Il giorno successivo il campo minerario riunì un tribunale composto di minatori, che si riunì al McDaniels/Langrishe Theatre. Sebbene la città di Deadwood non avesse giurisdizione legale, nominarono un avvocato difensore, un pubblico ministero e un giudice e iniziarono il processo di McCall per omicidio. McCall affermò di aver sparato a Wild Bill per vendetta perché aveva ucciso suo fratello ad Abilene, Kansas, e sostenne che avrebbe rifatto tutto da capo se ne avesse avuto la possibilità. In meno di due ore la giuria emise un verdetto di non colpevolezza.
McCall si fermò a Deadwood per diversi giorni fino a quando un uomo chiamato Moses Embree Milner, noto anche come California Joe (1829 – 1876) gli suggerì che l’aria avrebbe potuto essere dannosa per la aus salute. McCall ricevette il messaggio e, credendo di essere sfuggito alla punizione per il suo crimine, si diresse nel Wyoming, dove si vantò con chiunque lo ascoltasse di aver ucciso il famoso Wild Bill Hickok. Meno di un mese dopo, si è scoperto che il processo tenutosi a Deadwood non aveva basi legali, poiché la cittadina si trovava nel Territorio Indiano. Le vanterie di McCall furono la causa della sua morte, perché giunsero all'orecchio un vice marshall di Laramie, che lo arrestò il 29 agosto. Accusato di omicidio fu portato a Yankton, nel South Dakota, per essere processato. Il 1 marzo 1877, Jack McCall fu fatto salire sul patibolo dove si inginocchiò davanti a un prete da lui richiesto, padre John Daxacher di Sant’Elena, nel Nebraska, che gli avrebbe fornito conforto spirituale alla fine. Con le braccia e le gambe legate e il cappuccio nero ormai già calato sopra la sua testa, McCall si alzò e chiese al marshall solo un altro momento di preghiera. Poi il cappio gli fu messo intorno al collo e McCall baciò un crocefisso e disse: Stringilo più stretto, marshall. Alle 10 e 10 la botola fu aperta e McCall morì con la croce in mano. Dopo 10 minuti la corda fu tagliata e il corpo messo in una bara di noce e caricato su un carro. La pioggia che cadeva inumidiva la terra e attutiva il suono delle ruote del carro; non fu pronunciata una parola durante il viaggio di due miglia a nord fino cimitero cattolico di Yankton dove McCall fu sepolto nel lotto a sud-ovest. Nel 1881, quando il cimitero fu spostato per far posto al manicomio, il suo corpo fu riesumato e si scoprì che era stato sepolto con il cappio ancora al collo.
Terza parte - Robert Ford, l’assassino di Jesse James (3 aprile 1882)
Meglio conosciuto come il "piccolo sporco traditore" che uccise Jesse James, Robert Newton Ford, nacque il 31 gennaio 1862 a Ray County, Missouri, uno dei sette figli di James Thomas Ford e Mary Ann Bruin. Il ragazzino si innamorò delle audaci imprese di Jesse James e finalmente ebbe la possibilità di incontrarlo nel 1880. Lui e il suo fratello maggiore, Charles stavano ai margini esterni della James Gang.
I ranghi della banda di fuorilegge erano stati ridotti a causa di morti, arresti e uomini semplicemente passati ad altre attività. Così, quando i due fratelli vollero unirsi alla banda, Jesse glielo permise; tuttavia, nessuno dei due vi svolse mai un ruolo molto importante. Charles avrebbe partecipato alla rapina al treno "Blue Cut" vicino a Glendale, Missouri, il 7 settembre 1881. Doveva essere l’ultima rapina al treno della James Gang, e fruttò ai sei membri circa 3.000 dollari in contanti e gioielli sottratti ai passeggeri. Alla rapina parteciparono anche Frank e Jesse James, Dick Liddil e i fratelli Clarence e Wood Hite.
Qua sopra potete vedere ritratti il vero Jesse James e il suo assassino Robert Ford: si tratta di una fotografia di proprietà della famiglia di Sandy Mills che tenne nascosti i fuorilegge nel 1870 e che è stata autenticata dagli esperti forensi della polizia. Secondo la famiglia non passò molto tempo dallo scatto al momento in cui Ford uccise James sparandogli. La fotografia potrebbe valere milioni di dollari, ma la signora Mills deve ancora decidere se venderla. Non c'è traccia della partecipazione di Robert Ford alle rapine di James Gang, non c’è traccia, e si pensava che fosse principalmente un “tirapiedi”, che faceva lavori di bassa lega e forse custodiva i cavalli mentre gli altri commettevano i crimini. Pochi mesi dopo, nel novembre 1881, Jesse trasferì la moglie e la famiglia a St. Joseph, nel Missouri, affittando una casa a nome di J. D. Howard. Come membro di una rispettata comunità, Jesse aveva in programma di intraprendere una vita retta. Tuttavia voleva portare a termine un’ultima rapina in banca nella contea di Platte, nel Missouri, sperando di fare abbastanza soldi da potere andare in pensione e diventare un onesto agricoltore. Ma lo Stato del Missouri ne aveva avuto abbastanza della gang e più o meno in quel periodo il governatore Thomas Theodore Crittenden (1839 – 1909) mise 10.000 dollari di taglia per qualsiasi informazione che portasse alla cattura di Frank o Jesse James.
Nel gennaio 1882 due membri della James Gang, Robert Woodson “Wood” Hite (1850 – 1881) e Dick Liddil (1852 – 1901), in fuga dalla Legge, si rifugiarono nella casa di Martha Bolton, la sorella vedova di Bob Ford. Un giorno, a tavola , Hite e Liddil iniziarono a litigare mentre Ford sedeva a guardare. La disputa ben presto si fece più accesa, e i due contendenti estrassero le pistole. Il fragore di quattro colpi sparati in rapida sequenza dalla pistola di Hite echeggiò nella stanza, e uno dei proiettili colpì Liddil alla gamba. Cadendo a terra Dick rispose al fuoco, colpendo Hite al braccio. Nel frattempo anche Bob Ford estrasse la pistola ed essendo amico intimo di Liddel sparò colpendo Hite alla testa. “Wood Hite” crollò a terra e morì pochi minuti dopo. Ford avvolse quindi il cadavere in una coperta, lo portò fuori e lo mise su un mulo; lo condusse nel bosco, dove lo seppellì in una tomba poco profonda e anonima. Questo omicidio, unito all’avidità e al desiderio di notorietà di Ford, sarebbe stato la condanna a morte per Jesse James.
Quando la notizia della sparatoria arrivò alle orecchie delle autorità, Ford fu arrestato, ma quando informò gli investigatori che poteva entrare in contatto con Jesse James, da tempo ricercato, fu rilasciato. Tempo dopo Ford incontrò in gran segreto il governatore Crittenden, che gli disse che se avesse ucciso il famigerato fuorilegge, avrebbe ricevuto la grazia completa per l’omicidio di Hite e per l’uccisione di James e avrebbe anche ricevuto una ricompensa in denaro. Ford accettò e successivamente incontrò lo sceriffo della contea di Clay, dove i due formularono un piano per catturare Jesse James. Nel marzo del 1882, alcuni membri della James Gang iniziarono a costituirsi, lasciando a Jesse ben poco aiuto umano per pianificare una rapina in banca oltre a Charlie e Bob Ford. Sebbene istintivamente diffidasse di Robert Ford, lo seguì e la mattina del 3 aprile 1882 si trovava a colazione con i fratelli Ford. Gli uomini andarono poi in salotto, dove Jesse espose il suo piano per rapinare la Platte City Missouri Bank. Quando Jesse notò che un lavoretto a punto croce incorniciato, fatta da sua madre, era appesa storta al muro, montò su una sedia per sistemarlo.
All’improvviso sentì il suono della pistola di Bob Ford che veniva armata e si voltò leggermente. Bob sparò a Jesse appena sotto l'orecchio destro, e il banfito cadde a terra morto. Aveva 34 anni. Ma Jesse James sopravvisse a quell'attentato? Nel 1995 i suoi resti furono riesumati. Campioni di capelli e ossa presi dalla sua tomba permisero di isolare il suo DNA e confrontarlo con i profili genetici dei suoi discendenti all'epoca ancora in vita. Ciò smentì anche diverse teorie secondo le quali Jesse James non era stato ucciso da Bob Ford. Jesse James apparteneva all'aplogruppo T2 della linea materna.
Inizialmente Ford fu accusato di aver ucciso sia Wood Hite che Jesse James, ma fedele alla sua parola il governatore Crittenden lo graziò mentre era processato per l’omicidio. Per quanto riguarda il denaro, ricevette solo una della ricompensa promessa. Tornati nella loro città natale di Richmond, Missouri, Bob e Charles non furono accolti con gentilezza, poiché i residenti consideravano un atto vile l’uccisione di Jesse James e resero insopportabile la vita ai due fratelli. Quando seppe che Frank James li stava cercando e progettava di ucciderli per vendicare la morte di suo fratello, Charles Ford iniziò a spostarsi di città in città. In quel periodo Bob Ford sfruttava e capitalizzava il tradimento nei confronti di Jesse James, apparendo in uno spettacolo teatrale intitolato Outlaws of Missouri.
Sera dopo sera, Ford raccontava la sua storia, omettendo accuratamente di aver sparato a James alla schiena. Ma questa farsa ebbe breve durata poiché Ford veniva accolto con fischi e parole di scherno e sfida. Ford in seguito si spostò a Las Vegas, nel New Mexico, dove per un certo periodo gestì un saloon, prima di trasferirsi a Creede, in Colorado. Qualche tempo dopo essere arrivato a Creede, Ford si trovò in un saloon dove si teneva un incontro di boxe e aveva scommesso pesantemente sul pugile che aveva perso: divenne furioso. In preda alla rabbia decise che avrebbe ucciso il pugile e, come antipasto, lui e un uomo di nome Joe Palmer, un membro della banda di Jefferson Randolph “Soapy Smith” II (1860 – 1898), iniziarono a sparare alle finestre e ai lampioni lungo la Main Street. Soapy Smith era un artista della truffa, che guadagnò notorietà con il suo "sapone a premi". Illuminato da una lanterna a gas vendeva saponette di notte. Tuttavia, per aumentare gli incassi, ha metteva banconote da 5, 10 e 50 dollari in alcuni degli incarti delle saponette, mentre i potenziali clienti stavano a guardare. Si trattava di uno stratagemma perché, come un gioco di prestigio, si assicurava che solo i membri della sua banda acquistassero le saponette "pregiate". Quindi, per quanto si sa, nessuno dei suoi veri clienti ha mai vinto nessuno dei dei premi che aveva nascosto. Fu il successo di quella truffa del sapone che gli meritò il suo soprannome e gli permise di finanziare altre attività criminali, tanto che negli anni ‘60 divenne noto come il “Re dei truffatori della Frontiera.”
In qualità di signore del crimine, Soapy organizzò una grande e potente banda di talentuosi furfanti per assumere il controllo della malavita criminale a Denver e Creede, in Colorado, tra gli anni 1884 e 1895, e a Skagway, in Alaska, durante la corsa all’oro del Klondike del 1896/1898. In quest’ultimo posto era conosciuto sui giornali di tutta la nazione come il “Re senza corona di Skagway.” Soapy Smith era l’ultimo della sua specie, una figura criminale del vecchio West che si rifiutava di rinunciare ai vecchi modi in una nazione in continua evoluzione e modernizzazione. Fu ucciso in un tremendo scontro a fuoco affrontando rabbiosi vigilantes l’8 luglio 1898. Quattro giorni prima, era stato l’uomo del momento. Era in testa alla parata del Giorno dell’Indipendenza a Skagway ed era salito sul palco insieme al governatore territoriale dell’Alaska John (James) Green Brady (1847 – 1918). Quattro giorni dopo era morto, etichettato come criminale fuorilegge. Si trattava di un criminale molto "complesso". Sebbene fosse un bandito, era anche un patriota e un uomo caritatevole, sorprendentemente generoso con i bisognosi. Era noto ai suoi coetanei e nemici per il suo coraggio e la lealtà verso la sua banda, gli amici e la famiglia. Il suo motto era: Prendilo mentre ancora conviene. Nel 1889 possedeva diversi saloon, un negozio di sigari e sale da gioco, tutti attività pagate con la truffa del sapone. Divenne l’Al Capone del vecchio West, manipolando elezioni e compiendo azioni criminali, mentre al tempo stesso elargiva cospicue donazioni ai poveri, alle chiese e agli enti di beneficenza. Uno scandalo dopo l’altro e diversi scontri a fuoco avvenuti fra il 1889 e il 1895 posero finalmente fine al suo regno a Denver. Nel 1897 si unì alle migliaia di persone dirette ai giacimenti d’oro del Klondike.
Arrivò e prese immediatamente il controllo di Skagway, in Alaska, finché i vigilantes del luogo non decisero di farlo fuori. Una delle sue truffe fu considerata particolarmente oltraggiosa, anche se fu relativamente di breve durata: Smith aveva aperto un falso ufficio telegrafico, i cui fili terminavano nel muro dell'ufficio. Incassava le tariffe per i telegrammi che non venivano inviati e organizzava su luogo partite a poker perché i clienti ingannassero il tempo in attesa delle risposte ai messaggi. Skagway non avrebbe un vero ufficio del telegrafo fino al 1901, quando Soapy Smith era ormai sottoterra da tre anni, in una tomba posta all'esterno del cimitero cittadino.
La famiglia Smith sapeva da sempre che Soapy era morto in circostanze misteriose. Recentemente sono state trovati nuovi documenti che dimostrano che Soapy era disarmato quando venne assassinato. Le vicende di Soapy sono ben note negli Stati Uniti: quando era in vita era anche più famoso dello stesso Wyatt Earp. Dal 1974 la famiglia tiene una veglia pubblica in memoria di Soapy Smith, e più tardi se ne aggiunse un'altra: l’originale si tiene ogni 8 luglio a Skagway, in Alaska mentre l’altra viene celebrata nel Magic Castle di Hollywood, in California. Soapy Smith aiutò Ford e Palmer a fuggire prima che potessero essere arrestati e fu loro permesso loro di stabilirsi a Creede. Il 29 maggio 1892 Ford aprì una sala da ballo chiamata “Ford’s Exchange.” Ma la fortuna non sorrise a Ford, e solo sei giorni dopo, il 6 giugno, l’intero quartiere commerciale, inclusa la sala da ballo di Ford, andò a fuoco. Senza perdere tempo, Bob riaprì un altro saloon solo pochi giorni dopo, allestendolo in una tenda di fortuna. Il giorno successivo, l’8 giugno, entrò un uomo di nome Edward O’Kelley con una doppietta a canne mozze. Mentre Ford dava le spalle alla porta, O’Kelley lo salutò e mentre Ford si voltava per vedere chi si era rivolto a lui, O’Kelley gli sparò entrambe le cartucce, uccidendolo all’istante. Alcuni storici ipotizzano che Soapy Smith era coinvolto nella morte di Ford. Bob fu sepolto a Creede, ma in seguito fu riesumato e inumato nella sua città natale di Richmond, nel Missouri.
Edward Capehart O’Kelley nacque il 1 ottobre 1857 a Harrisonville, nel Missouri, da Margaret Ann Capehart. Sebbene Margaret avesse sposato il dottor Thomas Katlett O’Kelley nel luglio 1857, si pensa che non fosse quello il padre di Edward. Quando Edward fu più grande si trasferì in Colorado dove lavorò come avvocato, nonostante avesse un pessimo carattere. Edward O’Kelley era noto come “Red” per via dei suoi capelli rossi. A Bachelor City, fu impiegato come marshall della città e, in seguito, come vice sceriffo della contea di Hinsdale. Bachelor City si sviluppò come sobborgo di Creede negli anni 1890. Per colpa di un "conflitto burocratico" con la Bachelor City della California, ai residenti della Bachelor City del Colorado fu impedito di chiamare la loro città con quel nome, e dunque il posto era ufficialmente noto come Teller; ciò non impedì agli abitanti di continuare a usare il toponimo di Bachelor City. Ford non fu l’unico uomo ucciso dalla rabbia di O’Kelley. Nel 1891 sparò a un uomo di colore di nome Ed Riley a Pueblo, in Colorado, perché gli aveva accidentalmente pestato i piedi. Sebbene conoscesse la famiglia James nel Missouri, i suoi legami con loro non sono chiari, anche se alcuni credono che possa aver fatto parte per un breve tempo della James Gang. Molti hanno teorizzato che O’Kelley abbia ucciso Robert Ford per vendicare la morte di Jesse James. Tuttavia, altri pensano che l’abbia fatto semplicemente per essere conosciuto come l’uomo che aveva sparato all’uomo che aveva sparato a Jesse James! Edward fu immediatamente arrestato dopo l’omicidio e dopo essere stato processato fu condannato all'ergastolo il 12 luglio 1892 da scontarsi nel penitenziario di Canon City. Un decennio dopo i suoi sostenitori nel Missouri gli fecero ottenere la grazia e fu rilasciato nell’ottobre 1902. A dicembre, O’Kelley fu fermato da Joseph Grant Burnett, accusato di “essere un personaggio sospetto.” Dopo il suo rilascio giurò vendetta contro la polizia. Non gli ci volle molto per rimettersi nei guai, poiché il 30 gennaio 1903 fu nuovamente arrestato, stavolta per ubriachezza e vagabondaggio, a Pueblo, in Colorado. Il 13 gennaio 1904, O’Kelley, che girava senza cappotto, fu ancora arrestato perché sospettato di un recente furto con scasso. Fu interrogato e rilasciato molte ore dopo, ed era infuriato per l’indignazione. Tornò nella sua camera d’albergo e indossò il soprabito, avvertendo tutti coloro che lo ascoltavano che avrebbe sparato a un poliziotto e che la polizia farebbe meglio a non tentare di arrestarmi.
Magico Vento n. 119, novembre 2008. Disegno di Mastantuono |
Quella sera, verso le 21:00, O’Kelley incontrò Burnett (1867 – 1917) di fronte al “McCord-Collins Mercantile Company Building” al 306 West First Street, ora sede della “Ronald J. Norick Downtown Library.” L'agente salutò O'Kelley, che rispose al saluto mentre estraeva un revolver dalla tasca destra del cappotto. Burnett gli afferrò la mano che impugnava la pistola, ma invece di estrarre a sua volta l'arma, fece affidamento affidamento sul manganello e colpì due volte O’Kelley in testa. Il delinquente infuriato sembrava impassibile da domare e iniziò una furibonda rissa. Il poliziotto affrontò il peggior incubo di ogni agente; essere solo e venire sconfitto per strada da un aggressore armato. Mentre gli uomini lottavano, O’Kelley sparò un colpo che andò a vuoto. Ciò attirò l’attenzione di un suo socio, di nome Bob Jackson, che era al “Red Front Saloon” pochi numeri civici più in là, al 314 West First Street. Jackson venne in aiuto di O’Kelley, ma invece di afferrare l’agente di polizia, sparò quattro volte contro i due uomini, poi si voltò e scappò. O’Kelley gli gridò: Torna indietro! Uccideremo questo figlio di puttana! Burnett estrasse il revolver e sparò un colpo, ma anche lui mancò il bersaglio perché il suo braccio destro era serrato al fianco destro, mentre afferrava la mano destra armata del fuorilegge con la sinistra. Di conseguenza, entrambi gli uomini potevano sparare con le pistole, ma non potevano mirare all’altro. Nella colluttazione gli uomini si trascinarono per decine di metri lungo la strada, sparando di tanto in tanto con i loro revolver, in un appezzamento vuoto di fronte al magazzino merci di Frisco. C’erano ormai molti spettatori che schivavano i proiettili mentre le finestre andavano in frantumi per i colpi, ma nessuno venne in aiuto dell’agente A un certo punto Burnett sentì passare vicino alcuni uomini e gridò: Sono un poliziotto! Vi ordino di aiutarmi! Ma non offrirono alcun aiuto e fuggirono, mentre un uomo rispose: Come faccio a sapere che sei davvero un poliziotto? Un altro poliziotto era intanto comparso davanti al deposito merci e gridava: Corri, Joe, corri! Ma non attraversò la strada per aiutare il suo collega. La lotta per la vita e la morte tra il fuorilegge e l'uomo della legge infuriò per 15 minuti. Finché alla fine, A. G. Paul, un facchino del deposito di Frisco, attraversò di corsa la strada e afferrò il braccio destro di O’Kelley, mentre Burnett gridava: Per l’amor di Dio, prendilo Paul. Paul chiese se la pistola dell’uomo fosse scarica, e il fuorilegge sparò di nuovo frantumando una finestra di poppa, rispondendogli: Ti sembra che sia scarica? A questo punto, Burnett fu in grado di estrarre una seconda pistola. Secondo un rapporto Burnett estrasse la seconda pistola dalla sua “fondina sinistra”, mentre un altro rapporto diceva che O’Kelley rimase colpito dalla sua stessa pistola. Ciò potrebbe implicare che Burnett abbia estratto il secondo revolver calibro .45 dalla tasca sinistra del soprabito del fuorilegge. In qualunque modo sia successo, O’Kelley fu colpito due volte: una prima volta alla gamba sinistra e una seconda volta alla tempia destra. Burnett crollò a terra quando altri agenti, compreso il capo della polizia, finalmente arrivarono sulla scena del delitto. Le orecchie di Burnett erano state morse più volte dal fuorilegge e la fiammata della sua arma da fuoco aveva bruciato i guanti dell'agente; due colpi gli avevano forato i vestiti, lasciando vistose bruciature. L’uomo che aveva vendicato l’omicidio di Jesse James giaceva morto, in una pozza di sangue delle dimensioni di una tinozza. Aveva 47 anni. L’anno successivo, Joe Burnett divenne capo della polizia di Oklahoma City. Al momento della sua morte nel 1917, aveva prestato servizio come agente di polizia di Oklahoma City per 16 anni, più a lungo di qualsiasi altro agente. Oltre a essere ricordato per i suoi anni di servizio, entrò nella storia dei fuorilegge come l’uomo che aveva ucciso l’uomo che aveva ucciso l’uomo che aveva ucciso Jesse James.
Così scriveva il "Oklahoman Journal" il 22 luglio del 1917:
Joseph G. Burnett è morto! ieri mattina alle 3:25, dopo sedici anni come membro del dipartimento di polizia di Oklahoma City, Joseph Grant Burnett, noto ai suoi colleghi agenti e agli amici come “Joe”, è morto all’ospedale di St. Anthony a causa di un ictus che lo aveva paralizzato due settimane fa. Burnett era il poliziotto più anziano in servizio, avendo ricevuto l'incarico nel 1901. Durante l’amministrazione Scales, aveva prestato servizio come capo del turno di notte. Aveva 49 anni ed era originario del Missouri. Gli sopravvivono la sua vedova e diversi figli. Anche suo fratello Roe Burnett è un poliziotto. I funerali si terranno nella sua casa, al 617 di E. Poplar avenue, domenica pomeriggio alle 14. La sepoltura avverrà nel cimitero di Fairlawn.
Sia Burnett che O’Kelley furono sepolti nel cimitero di Fairlawn a Oklahoma City. La lapide di Jesse James recita:
Assassinato da un codardo traditore codardo il cui nome non è degno di apparire qui.
Se non fosse stato per Jesse James, la storia non avrebbe mai cosniderato Robert Ford. Il grande pubblico, da sempre innamorato di James, considerava O’Kelley come un vendicatore, e Ford sarebbe rimasto per sempre il “traditore” che aveva ucciso una leggenda...
Wilson Vieira
N.B. Trovate i link alle altre puntate della Storia del West in Cronologie & Index e nella pagina dedicata!