Il "torracchione" di Agadès, la terrazza e la "misteriosa antenna"
L'Almanacco dell'Avventura 2013 (del quale parla approfonditamente Giampiero Belardinelli in un post dedicato) è un affettuoso omaggio a Sergio Bonelli, a un anno di distanza temporale dalla sua prematura scomparsa. Il protagonista è di nuovo Mister No, dopo un'assenza che durava dal 1999, ovvero dall'Almanacco dell'Avventura 2000, quando ancora la testata alternava le vicende di Jerry Drake con quelle di Zagor.
Almanacco dell'Avventura 2013, settembre 2012. Il box dove si parla del viaggio di Sergio Bonelli (indicato dalla freccia rossa) ad Agadès, laddove sorge il famoso minareto, dall'editore soprannominato affettuosamente "torracchione". (c) Sergio Bonelli Editore
Seconda di copertina dell'Almanacco dell'avventura 2013. Sergio Bonelli ad Agadès, con il "torracchione", la terrazza e la "misteriosa antenna". (c) Sergio Bonelli Editore, 2012
Alle pagine 212-213 dell'albo si racconta del viaggio di Bonelli - vero giramondo "estremo" oltre che lungimirante editore e geniale sceneggiatore - ad Agadès, la più grande città del nord del Niger, nel Sahara, e della sua spettacolare, caratteristica e suggestiva Grand Mosque color sabbia. E un'artistica foto scattata nel medesimo luogo è stata scelta per la seconda di copertina dello stesso volumetto. Quel soggiorno era servito da spunto per il Mister No n. 181 del gennaio 1991, disegnato da Diso. A quei tempi il pilota amazzonico non era in Brasile, ma si trovava nel vivo della sua lunghissima e pericolosa trasferta africana, che si sarebbe dipanata per trentuno albi mensili, più uno speciale estivo, dal n. 167 dell'aprile 1989 al n. 196 del settembre 1991.
Dime Press n. 1, maggio 1992. Nel servizio dedicato alle avventure africane di Mister No, ecco la foto con Bonelli (sulla terrazza con la "misteriosa antenna", davanti al minareto), che era servita da modello per Diso al momento della realizzazione dell'albo n. 181 (l'antenna diventa uno dei pali che reggono la tenda del bar). Vediamo come vignetta e scatto si equivalgano, sottolineando l'identificazione tra l'editore-giramondo Bonelli e l'avventuriero-giramondo Jerry Drake!
"Jerry l'africano" era un servizio apparso su Dime Press n. 1 del maggio 1992: come documentazione i redattori del "magazzino bonelliano" avevano utilizzato anche un'intervista allo stesso Nolitta - e come corredo iconografico una foto che l'editore stesso aveva scovato nei suoi album personali. L'anno successivo, dietro richiesta del sottoscritto, Sergio Bonelli inviò un messaggio che accompagnava due belle fotografie, una delle quali inedita, con l'editore avventuriero ancora una volta seduto nei pressi dell'imponente "torracchione". Come si può facilmente notare lo
scatto, seppur contemporaneo di quello pubblicato
su Dime Press n. 1, ha un'angolazione diversa. Un'altra scelta di inquadratura (dello stesso periodo) è stata inserita come seconda di copertina dell'Almanacco 2013; infine, un punto di vista del minareto molto differente (lontano dalla terrazza e dalla "misteriosa antenna") è quello mostrato nelle pagine interne dell'albo.
Sergio Bonelli ad Agadès, sulla terrazza nei pressi del minareto. L'angolazione dell'inquadratura è diversa dalle foto pubblicate su Dime Press e sull'Almanacco 2013. Si vedono bene i volatili che appaiono anche nei disegni di Diso e... la "misteriosa antenna" della quale parla Bonelli nel messaggio!
Ecco il testo integrale del messaggio di Sergio Bonelli: "Milano 24 settembre 93 - Caro Francesco, mi
scuso ancora una volta del grave ritardo con cui (ho) risposto alla tua richiesta ma, come ti ho già detto, sono stato vittima di un equivoco.
Eccoti dunque un paio di foto - neanche tanto belle, in verità - del
famoso "torracchione" di Agadès tanto amato da Mister No e dal
sottoscritto. Purtroppo la presenza di una misteriosa antenna rovina non
poco il 'colpo d'occhio' ma... pazienza. Ti auguro che, una volta o
l'altra, capiti anche a te di trovarti, al tramonto, su quella terrazza.
Un cordialissimo saluto. Sergio"
Questa che abbiamo proposto su Dime Web è una breve ma intensa storia per immagini, dove fumetto, viaggi, avventura, emozione, aneddoti, nostalgia e ricordi agrodolci si fondono in un unicum inestricabile. E, una volta o l'altra, speriamo di andarci davvero su quella terrazza di Agadès, al tramonto, come ci augurava Bonelli nel '93...
Ken Parker
(il cui primo numero uscì nel giugno 1977, per tipi della Cepim di
Sergio Bonelli) è certamente il personaggio più importante creato
da Berardi e Milazzo nella loro carriera artistica. Senza ombra di
dubbio il personaggio ha segnato una tappa fondamentale nel processo
di rinnovamento del fumetto italiano: infatti non ci troviamo dinanzi
a un eroe a tutto tondo, ma di fronte a un character
pieno di dubbi e incertezze (in questo comunque era stato preceduto
da un altro personaggio bonelliano, Mister No, l’antieroe creato da
Nolitta); e anche il montaggio delle tavole, dotate di una
sceneggiatura prettamente cinematografica e priva di didascalie, si
distaccava notevolmente dai modelli utilizzati dagli autori in quel
periodo.
Copertina di Ken Parker n. 1, giugno 1977. Disegno di Milazzo (c) Berardi & Milazzo, 1977-2012
In questa
sede, invece, analizzeremo quei racconti oltre
Ken Parker (naturalmente editi dalla Bonelli)
che i due autori – in questi lavori all’opera in maniera
separata – hanno realizzato prima per la Collana
Rodeo (dove appaiono due racconti firmati da
Berardi) e in seguito per i personaggi creati da altri (Tex, Nick
Raider – il poliziotto newyorkese è l’unico personaggio, tra
quelli presi in esame, dove, al di fuori dell’ambito delle storie
di Lungo Fucile,
ritroviamo la firma di Milazzo – e Il Piccolo Ranger). I racconti
verranno commentati in perfetto ordine cronologico (nel primo
capitolo le storie scritte da Berardi, nel secondo i lavori disegnati
da Milazzo) e non in ordine di popolarità di un personaggio o di una
collana.
Una
poetica penna nel mondo dell’avventura: le storie scritte da
Berardi
Nel giugno
del 1977 viene pubblicato il racconto Terra
Maledetta, 121° numero della Collana
Rodeo, sceneggiato da Giancarlo Berardi (al
debutto in casa Bonelli) e disegnato da Antonio Canale.
Una delle locandine italiane di "Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!", 1972
Si nota come
la visione del film Corvo Rosso non avrai il
mio scalpo (Jeremiah
Johnson nella versione originale; pellicola
del 1972 diretta da Sydney Pollack) abbia influenzato lo
sceneggiatore anche nella costruzione della trama di Terra
Maledetta (il film citato, tra l’altro, ha
dato lo spunto per la nascita della saga di Lungo
Fucile). La storia, ambientata nel 1766,
racconta di un lungo viaggio nelle desolate terre del Grande Nord
canadese, e vede protagonista Adam Wilson, un esperto minerario
proveniente dall’Inghilterra alla ricerca del Fiume
Giallo (e del padre), un corso d’acqua
leggendario che, come sostengono in molti nella regione, pare sia
ricco d’oro, mentre in realtà l’unica ricchezza è costituita da
inutile pirite (sottile e beffarda metafora sulla cupidigia umana).
Una classica storia d’avventura che offre a Berardi lo spunto per
soffermarsi sulla difficile realtà delle terre di frontiere in quel
periodo. Vediamo, ad esempio, tutti gli espedienti a cui ricorrono
gli uomini della spedizione guidata da Wilson per sopravvivere alla
violenza della natura,
la quale, pur se dura, si dimostra sempre meno infida della violenza,
spesso gratuita, degli uomini. Nel lasso di tempo in cui si dilunga
la spedizione, Berardi ci mostra inoltre ritratti di grandissima
umanità: il sacrificio di Jacques (uno dei compagni d’avventura di
Adam), che permette al Nostro di salvarsi da una situazione senza
scampo; l’amore che nasce tra Maruah (un indiana Chippewa) e Mitaua
(il nome indiano di Adam Wilson), un uomo privo di pregiudizi
razziali (una figura con una concezione della vita simile a quella di
Ken Parker). Infine, senza filtri di sorta, l’autore non disdegna
di mostrarci situazioni di estrema crudezza, come, ad esempio, nelle
sequenze in cui i Chippewa massacrano spietatamente gli Eskimo (loro
rivali da sempre), secondo le regole della
lotta per la sopravvivenza con cui, da millenni, si confrontano gli
uomini e gli animali nelle terre ancora selvagge (non vengono
risparmiati né donne né bambini). Inorridito, Wilson si scaglia
contro il suo amico Matonabbee (il capo dei Chippewa e fratello
dell’indiana amata dal Nostro) chiedendogli spiegazioni: "Forse
i bianchi ne hanno di migliori... –
risponde l’indiano – Ma allora perché
hanno sterminato i Wampanoags e i Narragansets e i Massachussetts!?
Il mio popolo uccide solo per mangiare e per difendersi; il tuo
uccide spesso per il gusto di farlo!".
La copertina del n. 121 della Collana Rodeo, disegnata da Antonio Canale. Giugno 1977 (c) Sergio Bonelli Editore
Pochi mesi
dopo, nell’ottobre del 1977, Berardi debutta sulle pagine del
Piccolo Ranger (Collana Cow-Boy)
con una storia dipanata in tre albi, La vedova
nera (n. 167),
Infamia! (n. 168) e L’ultimo
atto (n. 169). Si tratta indubbiamente uno
dei racconti più interessanti della serie (creata da Andrea
Lavezzolo nel lontano 1958), in cui l’autore genovese introduce
delle gustose novità sul tema di un classico western
carcerario. Accompagnato dai non accreditati
disegni della Buffolente, Berardi sottolinea la sincera amicizia che
Kit Teller nutre verso i pellerossa, defraudati delle loro terre dal
governo degli Stati Uniti, aiutandoli disinteressatamente e senza
secondi fini, al contrario, come la Storia ci insegna, dei
trafficanti bianchi. Berardi tra l’altro, da esperto conoscitore
delle regole del giallo, costruisce un racconto dove tutti gli indizi
portano verso una plausibile verità, per poi divertirsi a ribaltare
il tutto nel finale: le apparenze portavano a escludere che il
responsabile delle evasioni dei detenuti (naturalmente forniti di
bottino nascosto da poter recuperare) dal Penitenziario di Yuma fosse
addirittura il direttore del Carcere Sam Clark. Quest’ultimo,
secondo una sensibilità peculiarmente berardiana, viene ritratto
anche nei momenti di quotidianità e negli affetti familiari, una
caratterizzazione che lo umanizza e lo allontana dal ruolo di cattivo
arido e spietato. Inoltre il camuffamento dell’identità, come
vedremo anche nel magistrale capolavoro kenparkeriano Diritto
e rovescio (n. 36), rende unico questo
episodio del Piccolo Ranger, in cui alcuni personaggi, per varie
motivazioni, ricorrono a una girandola di travestimenti che danno al
racconto – come puntualizza Gianni Brunoro – "sorprendenti
e godibili variazioni sul tema" (cfr. il
volumetto allegato allo Speciale Il Piccolo
Ranger pubblicato nel 1992).
Copertina del Piccolo Ranger n. 167, disegno di Corteggi, ottobre 1977 (c) Sergio Bonelli Editore
Tra l’altro,
ponendo l’attenzione sulla vita all’interno del Penitenziario,
dove Kit si è fatto rinchiudere per scoprire chi favorisce le
evasioni, Berardi sottolinea la durezza dei secondini, le meschinità
a cui ricorrono per taglieggiare i detenuti, la violenza che questi
ultimi subiscono e al tempo stesso riversano nei confronti dei più
deboli. Tra tutto ciò, poi, l’autore non dimentica di inserire
momenti intimisti, come ad esempio l’addio di Claretta a Kit: "Devi
cercare di dimenticarmi e trovare un bravo ragazzo che..."; "Sta’ zitto! Lo sai benissimo che non
potrei mai!" afferma
più decisa che mai Claretta; "Devi farlo!
Quando uscirò, io sarò un vecchio...",
ribadisce infine con commovente decisione Kit. Inoltre, il vincolo di
amicizia che lega Frankie Bellevan al Nostro, ancor più rafforzato
dalle tristi vicissitudini giudiziarie. E infine la commovente
generosità del detenuto Smiley, un uomo migliore dei suoi carcerieri
e di alcuni presunti, rispettabili personaggi, come appunto il
direttore del Penitenziario. Dopo il racconto del Piccolo Ranger,
troviamo un altro episodio scritto da Berardi nel 131° numero della
Collana Rodeo,
intitolato Wyatt Doyle
(aprile 1978), ambientato nel Kansas del 1873. Nel racconto
assistiamo alle peripezie di Wyatt Doyle, cacciatore di taglie per
necessità (accompagnato nella sua caccia
da un giovane che caratterialmente ricorda molto il figlio), a cui il
disegnatore Grugef (nome d’arte di Giancarlo Forgiarini, un autore
dal tratto indubbiamente insolito rispetto ai tipici canoni
bonelliani del periodo) ha dato il volto dell’attore Burt
Lancaster. Nel lungo flashback Berardi
racconta il dramma del protagonista (un uomo dalla poetica
umanità), costretto dalle avverse circostanze a entrare nel circolo
vizioso e crudele dell’usura (per mano di questi ha perso il
figlio, la moglie e la sua terra). Doyle esce da quella tremenda
esperienza con una visione della vita più cinica e disincantata (lo
sceneggiatore è bravissimo a sottolinearne lo stato d’animo), ma
senza perdere mai quel barlume di umana speranza. Questo racconto
della Collana Rodeo,
come in molti di quelli kenparkeriani, si svolge in gran parte in
un’ambientazione invernale con tanto di maestosi e suggestivi
paesaggi coperti di neve, dove, oltre ai pericoli creati dagli
uomini, le maggiori difficoltà arrivano dalla furia degli elementi
(il pericolo delle valanghe) e dagli animali selvaggi
(particolarmente spettacolare e durissima la lotta dei due
protagonisti con un Grizzly).
La copertina di Nick Raider n. 18 disegnata da Casertano, novembre 1989 (c) Sergio Bonelli Editore
Passano
undici anni prima di trovare una nuova collaborazione di Berardi per
un’altra testata bonelliana. In questo lasso di tempo, dal 1978 al
1989, molte cose sono cambiate dalle parti di via Buonarroti: la casa
editrice ha raccolto i propri marchi sotto il nominativo attuale di
SBE; nel frattempo sono stati pubblicati nuovi personaggi che si sono
imposti all’attenzione del pubblico (escludiamo quelli che
purtroppo, nei primi anni Ottanta, hanno chiuso anzitempo le
pubblicazioni), quali Martin Mystère, Dylan Dog e Nick Raider. E
proprio per quest’ultimo personaggio l’autore scrive una storia,
Mosaico per un delitto
(n. 18, novembre 1989), considerata da diversi osservatori tra le
migliori della serie ideata da Claudio Nizzi. Il giallo elaborato da
Berardi è inappuntabile e, quando si arriva alla fine, niente può
dirsi essere stato lasciato al caso. Ma ciò che eleva questo
racconto è la straordinaria capacità dell’autore di mostrarci uno
spaccato di varia umanità, di conflitti sociali e momenti di
ordinaria follia. Una ragazzina di diciassette anni (Elisa) viene
trovata morta al Central Park: da lì prendono il via una serie di
interrogatori che offrono all’autore l’occasione per mostrarci i
differenti punti di vista con cui i conoscenti giudicavano il
comportamento della vittima. Chi la definisce una poco di buono,
abituata a frequentare delle cattive
compagnie; chi ne sottolinea la sua
propensione di essere una mangiatrice di
uomini ("Insomma... Siamo tra uomini, no?...
– afferma il fruttivendolo – Minigonne
vertiginose, allusioni maliziose... tutto il repertorio completo!");
chi, come il prete della parrocchia, la definisce una ragazza con dei
problemi, ma comunque devota e generosa con i reietti della società.
Infine, dopo che le indagini avevano portato in tutt’altra
direzione, ecco la sorpresa: la madre adottiva, un’isterica,
meschina donna frustrata, ossessionata dalla bellezza in fiore della
figlia (convinta che le rubasse
il suo nuovo e giovane compagno), è l’insospettabile colpevole
dell’omicidio. Nel finale scopriamo come la vittima sia in realtà
illibata e il racconto chiude il sipario con una beffarda e impietosa
metafora sulle fobie sessuali che ancora oggi affliggono ancora le
società evolute economicamente. Per Berardi, insomma, la trama è
anche un’occasione per affondare il bisturi nella realtà
quotidiana. In questo caso, ci porta alla nostra attenzione la
squallida mentalità di certa gente, disposta a prestare fede a
qualsiasi diceria, alle menzogne più abbiette, pur di dimenticare la
propria condizione di inadeguatezza e di insoddisfazione.
La copertina, firmata Galep, di "Oklahoma", il primo Maxi Tex, dicembre 1991 (c) Sergio Bonelli Editore
Siamo nel
dicembre del ’91 e in tutte le edicole esce un albo di Tex nel
classico formato bonelliano (intitolato Oklahoma!),
ma con un maggior numero di pagine, ben 348, un volume insolito, che
Tiziano Sclavi ha battezzato
con il termine di MiniTexone,
scritto non da Nizzi o da Nolitta (allora gli unici sceneggiatori –
soprattutto Nizzi – a essere impegnati con il personaggio di
Gianluigi Bonelli) ma bensì da Giancarlo Berardi. I disegni sono del
veterano Guglielmo Letteri. Con il suo segno morbido, classico,
introspettivo, si rivela adattissimo a valorizzare la narrazione
corale, distesa, intimista di Berardi, segnalandosi in pratica come
l’ideale trait d’union tra
le innovazioni berardiane e l’immagine grintosa e dinamica del
personaggio datagli da Gianluigi Bonelli. Un impegno da far tremare i
polsi quello di sceneggiare una storia di Tex, che però Berardi
assolve con puntualità, accostandosi al personaggio di Bonelli padre
con l’umiltà di chi sa di affrontare un mito storico del fumetto
italiano. Il modo di narrare di Berardi è in effetti lontanissimo da
quello di Gianluigi Bonelli, ma comunque le due differenti correnti
di pensiero non sono certo inconciliabili, a
dimostrazione che i preconcetti a priori (non solo nel mondo della
fiction) non
dovrebbero più esistere. L’autore, secondo me, è riuscito in un
compito che molti ritenevano davvero impossibile.
1889: una rara e storica fotografia della Oklahoma Land Rush.
La sceneggiatura
costruita dall’autore genovese è basata su un fatto storico, la
OklahomaLand
Rush, ovverouna
lunga corsa, effettuata con carri o qualsiasi altro mezzo, che i
coloni arrivati nell’ex territorio indiano intrapresero per
appropriarsi i migliori lotti di terreno fertile dove poter iniziare
una nuova esistenza. L’autore in questo tipo di contesto dà il
meglio di sé, mostrandoci le vicissitudini dei Paxton e di molte
altre famiglie in competizione tra di loro, in una disperata lotta
tra poveri. Berardi ritrae i personaggi in tutte le sfaccettature
caratteriali: le debolezze, le piccole manie, i sentimenti. Ad
esempio vediamo il nascere della simpatia amorosa tra la figlia dei
Paxton e un mezzosangue, contrastato, almeno inizialmente, dal
fratello della ragazza; poi il successivo affermarsi tra questi
ultimi due, lento ma costante, del vincolo dell’amicizia e della
solidarietà. Inoltre scorgiamo il dramma dei coloni nel tentativo di
cercarsi un posto al sole,
il duro impatto con la morte dei propri cari, il crollo delle
speranze, ma anche la voglia di non arrendersi, di credere che le
illuminate leggi della Costituzione Americana
arrivino anche nelle selvagge terre di Frontiera. Ma se la realtà
dell’Ovest è spesso legata alla legge del più forte, nella
finzione uomini come Tex e Carson non accettano questa realtà, e si
battono con durezza per l’affermazione della giustizia, anche
andando contro i potenti che hanno costruito le loro ricchezze "sulle
lacrime e il sangue della povera gente".
Una delle locandine americane del film "Far and away" ("Cuori ribelli"), 1992. Il finale è ambientato durante l'assegnazione di terre in Oklahoma nel 1889.
È
lo spirito di molte
delle migliori storie texiane scritte da Gianluigi Bonelli, che
Berardi ha dimostrato di aver compreso e utilizzato alla perfezione.
L’autore costruisce quindi un racconto nel suo inconfondibile stile
narrativo, non dimenticandosi però quegli elementi peculiari delle
trame architettate da Bonelli padre. L’interpretazione berardiana
di fa di Tex è perfettamente canonica: il personaggio mantiene un
eloquio molto vivace, sprezzante con i "criminali
in guanti bianchi", mai comunque
forzatamente arrogante. Inoltre il personaggio, pur in un contesto
corale, resta in fondo il protagonista assoluto, al punto da
risultare, come vuole la tradizione, il deus
ex machina della situazione: le sue indagini
svelano l’intrigo, proteggono i più deboli dall’arroganza dei
grandi e piccoli
criminali, portando infine la giustizia e la speranza a chi si era
affidato alla sua opera e alla sua pistola. Il ruolo che Carson
svolge nella storia è quello del gregario ma, pur non emergendo come
il personaggio epico interpretato da Gianluigi Bonelli e da Mauro
Boselli (cfr., tra gli altri, Il passato di
Carson, Tex nn. 407/409), è comunque
utilizzato positivamente. Le punzecchiature che si scambiano i due
pard, inoltre, sono di una raffinata e garbata ironia decisamente
nelle corde dello sceneggiatore: "Restava
solo il petrolio, ti pare?", dice Tex a
pagina 339; "Elementare, direi!",
risponde Carson; "Mi vergogno perfino di
averti fatto la domanda!" aggiunge ancora
l’anziano pard; "È perché non ci hai
riflettuto!" risponde infine Tex. In
conclusione, l’opera texiana di Berardi è, a mio parere, un
capolavoro assoluto da collocarsi senz’altro accanto alle storie
scritte dall’indimenticato Gianluigi Bonelli.
Un
pennello al servizio del giallo: i racconti illustrati da Milazzo
La copertina di Nick Raider n. 22, disegnata da Casertano, marzo 1990 (c) Sergio Bonelli Editore
Dalle
distese coperte di neve, caratteristiche della saga di Ken Parker,
alle strade intasate di traffico e criminali della Grande Mela,
l’ambientazione base di Nick Raider, il passo è lungo, ma Milazzo
lo compie con la naturalezza e la disinvoltura che deriva dalla sua
notevole esperienza artistica. Il disegnatore collabora appunto a
Nick Raider, di cui illustra due episodi, Omicidio
al Central Park (n. 5, ottobre 1988) e Jimmy
e Juanita (n. 22, marzo 1990), entrambi
scritti dal creatore del personaggio Claudio Nizzi. In questi due
episodi, l’autore sfoggia una serie di soluzioni grafiche insolite,
come, ad esempio, il filo contorto del telefono con cui parlano Nick
e il tenente Art, i quali appaiono, malgrado la distanza, l’uno di
fronte all’altro (Omicidio al Central
Park, p. 54), "come
nei film americani– scrive Francesco
Manetti – degli anni ’30 e ’40".
Nelle sue tavole, realizzate con pennellate molto fluide che
delineano immagini volutamente deformi,
si scorgono dei volumi
dai profili incerti che si confondono nell’oscurità della notte.
Gli inseguimenti automobilisti, inoltre, mostrano la tendenza di
Milazzo ad accentuare il movimento dei mezzi, con "minuziosi
accorgimenti grafici – scrive acutamente
ancora Manetti – per i rumori, che vengono
tratteggiati curvi, come a seguire la macchina in corsa".
Le luci, i grattacieli, i luoghi caratteristici, i quartieri
malfamati (popolati da un’umanità sfaccettata e varia: prostitute,
piccoli criminali, persone disperatamente sole), vengono esaltati dal
potente bianco e nero dell’autore, che, a secondo delle esigenze
narrative e ambientali, cambia le gradazioni chiaroscurali con
risultati scenografici degni dei migliori noir
del cinema hollywoodiano. L’autore, col suo segno rapido ed
essenziale, sa delineare sequenze mute
talmente comunicative da non aver bisogno di un supporto dialogato.
Il segno di Milazzo dona a Nick un aspetto maggiormente umano (che ne
ammorbidisce la consueta durezza), ma al tempo stesso ne accentua la
già notevole dinamicità. La maschera facciale del Marvin milazziano
lo avvicina moltissimo ai personaggi della
Rivista o degli spettacoli circensi (il
personaggio viene ritratto spesso con espressioni da clown).
Con l’approfondimento della ancora acerba
personalità di Jimmy, Milazzo può sfogare
una delle sue doti migliori: la riconosciuta profondità psicologica
che sa donare ai suoi personaggi. Il timidissimo e introverso Jimmy
Garnet, nel racconto che porta anche il suo nome, oltre alle sue
solite mansioni di archivista del Distretto Centrale, viene
mostrato,grazie all’ottima sceneggiatura di Nizzi, insolitamente
anche nei momenti di attività
sessuale: lo vediamo infatti tra le braccia della bella e sfortunata
Juanita, compagna della sua prima volta.
Queste sequenze trasmettono, oltre ad un’insistente sensazione di
malinconia, una travolgente e sensuale carica erotica; l’autore,
tra l’altro, dipingendo scene di sesso, come ha già dimostrato in
molte occasioni nel suo Ken
Parker, dimostra di non sfigurare affatto con i lavori illustrati dai
migliori specialisti del genere erotico.
Berardi & Milazzo con quella sagoma di Ken Parker!
In Jimmy
e Juanita, inoltre, emerge prepotentemente la
coprotagonista della storia, Juanita, messa in risalto dal pennello
di Milazzo sia nelle sue inquietudini (derivate dal dramma della
povertà) sia negli aspetti gioiosi e positivi (l’amore sincero che
nutre per Jimmy), conferendole lo stesso sapore delle donne perdute
splendidamente immortalate, insieme a Berardi, in molte storie di Ken
Parker.
Qualche
annetto fa, sul n. 6 del "magazzino bonelliano" Dime Press, apparve un dossier dedicato al Ranger
di Gianluigi Bonelli. Moreno Burattini scrisse una ficcante
introduzione, “Tre per quindici”, nella quale illustrava le
modalità di scelta delle storie più belle di Tex che la redazione
aveva deciso di commentare e i motivi che avevano portato lo staff a
suddividerle in categorie.
La copertina di Dime Press n. 6 (febbraio 1994) con il Dossier Tex.
Seguendo la lezione di Rudi Bargioni ed
Ercole Lucotti (autori di uno dei primi libri dedicati a Willer,
pubblicato addirittura nel 1979, per Gammalibri), e i consigli di Claudio Nizzi, fu
deciso di estrapolare cinque canoni texiani: "città violenta",
"fuorilegge", "ombre rosse", "ai confini della realtà" e "fuori registro".
Il libro su Tex di Bargioni e Lucotti (Gammalibri, 1979)
Se fosse possibile inserire, come se ci trovassimo di fronte a un ipetertesto
continuamente aggiornabile come quelli che appaiono sui blog, in quel dossier del febbraio 1994 “I banditi delle
nebbie”, il secondo Color Tex uscito nell'agosto 2012, con testi di
Pasquale Ruju e disegni di Ugolino Cossu, in quale categoria
rientrerrebbe questa nuova avventura in quadricromia? In quella dei
“fuorilegge” di sicuro, in quanto la gang familiare capitanata
dal brutale e repellente Uncle Bear tiranneggia per tutta la sequenza di tavole. Ma
potrebbe appartenere anche a quella dedicata alle storie ambientate
“ai confini della realtà”. I feroci assassini che impazzano sul
lago Okanagan, nella British Columbia canadese, sfruttano infatti la
nebbia per apparire all'improvvisso a poppa delle imbarcazioni, come
fossero spettri o spiriti maligni.
Il lago Okanagan, British Columbia canadese, dove è ambientata la storia del Color Tex 2.
Quando i malcapitati naviganti
vedono alle spalle giungere le prime ombre dei pirati sulle gelide acque dello specchio
d'acqua incastonato come un gioiello prezioso nel Grande Nord è
ormai troppo tardi – e non possono fare altro che recitare le
ultime preghiere prima di trovarsi ad ascoltare il tintinnar di
chiavi di San Pietro oppure (dipende dalle inclinazioni terreno) a
spalar carbone nelle fornaci di Satanasso!
Una delle locandine americane del film "The Fog", 1980
La nebbia omicida
immaginata da Ruju, per chi volesse far due passi nel fantastico
mediatico, richiama quella di Carpenter nel capolavoro “Fog”, un
film del 1980 in cui i fantasmi scatenati dalla bruma sono quelli di
Capitan Blake, della sua ciurma e di un gruppo di lebbrosi vittime di un massacro. Di nebbie
e di mostri ci parla anche Stephen King in un suo racconto (“La
nebbia”, per l'appunto) apparso nella raccolta “Scheletri” del
1985: all'interno di un supermercato alcuni clienti - un campionario di varia umanità - sono costretti a
convivere con l'orrore e con la follia, assediati da esseri
abominevoli. Frank Darabont ha tratto dal breve scritto del Re un
ottimo film, “The Mist”, apparso nelle sale nel 2007. Darabont è
un fedele traspositore su pellicola di trame kinghiane: suoi sono
anche “Le ali della libertà” del 1994 (tratto da “Rita
Hayworth e la redenzione di Shawshank”) e “Il miglio verde” del
1999 (dall'omonimo libro).
Una delle locandine italiane del film "The Myst", 2007
Tornando al Color Tex, la trama potrebbe
anche trovare degna posizione nella categoria “ombre rosse”,
dedicata agli Indiani d'America. Sono loro, con la prigioniera e
schiava sessuale Imala della tribù Salish, la controparte positiva,
perfettamente inserita nello scenario naturale boschivo del Canada,
della combriccola di malvagi predatori, piombati come gli alieni
devastatori di “Independence Day” nella regione dei Grandi Laghi.
Color Tex n. 2 con la copertina di Villa (C) Sergio Bonelli Editore, 2012
Ecco cosa ci scrive l'amico Marco Grasso: "Salve! Intanto una premessa: clap clap!
Ero un lettore di Dime Press e la ritenevo la rivista di riferimento
per i Bonelliani come me. Quindi accolgo con piacere questa sua naturale
evoluzione sul web. Ho avuto il piacere la scorsa settimana di
trascorrere molto tempo qui a Catania con Moreno e l'inossidabile Ferri.
Faccio parte del forum Zagoriano ZTN e assieme a Moreno e al mio amico
Giuseppe Reina abbiamo avuto il grande onore di realizzare un albetto di
Zagor a tiratura limitata: "La strega e... le altre!". E' incentrato
sui personaggi femminili di Zagor e lo abbiamo presentato la scorsa
settimana durante la manifestazione Etna Comics. Spero allora vi possa
fare sorridere la mini storia che ho dedicato a Moreno che trovate in
allegato. Disegno come il piede sinistro di Cavazzano ma è l'impegno che
conta (così si dice quando in realtà uno è scarso...)". (s.c. & f.m.)
La parodia di Marco Grasso ("Markfat") con Burattini protagonista (c) 2012
Marco Grasso in Sicilia, fra Gallieno Ferri e Moreno Burattini. Come scrive Burattini nel suo blog "Grasso mostra orgoglioso il terzo premio (il video dei festeggiamenti abruzzesi
del cinquantennale di Zagor) vinto nel concorso dei fratelli Di Vitto
organizzato dal sito La piazza di Scanno (il borgo in provincia
dell'Aquila dove vivono i due disegnatori)".
L'albetto dedicato all'universo femminile zagoriano presentato a Etna Comics, settembre 2012.
La cartolina realizzata da Marco Grasso per i 50 anni di Moreno Burattini.
N.B. Trovate i link alle altre parodie bonelliane sulla pagina Cronologie e index!
Dopo la parodia di Mister No pubblicata qualche giorno fa ecco una nuova tavola inedita umoristica di Pieri & Kant! Stavolta nel mirino c'è Magico Vento... (s.c. & f.m.)
La nuova parodia bonelliana di Pieri & Kant, originariamente preparata per Dime Press ma mai pubblicata. (C) degli autori 2001 - 2012
E prossimamente (con ogni probabilità sul blog di Moreno Burattini Freddo Cane in Questa Palude) Pieri & Kant presentano un'avventura inedita di Battista il Collezionista, il personaggio creato dallo stesso Burattini sulla fanzine Collezionare!
N.B. trovate i link alle altre parodie bonelliane del D.I.M.E. sulla pagina Cronologie e index!
A
poco meno di un anno dalla scomparsa di Sergio Bonelli e del suo
alter ego letterario Guido Nolitta esce il Maxi Zagor n. 18, “La
prigione sul lago”. Come ben spiega il curatore della serie Moreno
Burattini nell'introduzione, l'albo potrebbe essere considerato una
sorta di omaggio al grande autore/editore assente ormai dal 2011.
Innanzitutto in virtù degli autori del racconto, lo sceneggiatore
Luigi Mignacco e i disegnatori Domenico e Stefano Di Vitto, che hanno
lavorato per tanti anni alla collana di Mister No, una delle più
celebri creature nolittiane. E poi l'ambientazione fluviale, che
potrebbe rimandare all'intrico d'acqua che è l'Amazzonia. Infine un
personaggio, il battelliere donnaiolo Rick Rogers che, come scrive
ancora il Burattini, potrebbe assomigliare a Jerry Drake, in quanto a
carattere e a focosità d'animo.
Mister No e il carcere. Copertina del n. 58, marzo 1980.
La storia, vista con l'occhio del
lettore di romanzi di genere o d'appendice, non è soltanto una
classica avventura di Darkwood, quel regno del possibile e
dell'impossibile, il nodo dove si incrociano mondi alieni e realtà
alternative, il soft
place
che abbiamo imparato a conoscere sul primo “zagorone”, ma si
tinge anche di una pennellata di steampunk.
La fortunata corrente fantascientifica, dove l'era vittoriana
precorre i tempi con futuribili macchinari azionati a vapore, fa qui
capolino – solo capolino, con i sommergibili mediante i quali viene
dato l'assalto al carcere sul lago: all'epoca di Zagor i sottomarini
dovevano apparire come oggi apparirebbe un aereo stealth
del tutto rivoluzionario! Quando si dice “letteratura d'evasione”!
Il forte militare nella prateria viene sostituito con una prigione di
massima sicurezza edificata su un isolotto lacustre.
Johnson's Island, sede del carcere federale durante la Guerra di Secessione americana.
Acqua e sbarre
Nel 1862 fu
aperto negli Stati Uniti il carcere federale di Johnson's Island, tre
miglia al largo della cittadina di Sandusky, sul Lago Erie. Pensato
per ospitare gli ufficiali di alto grado della Confederazione,
catturati durante la Guerra di Secessione, accolse anche soldati di
truppa. Rimase in funzione per tre anni ed entrarono nelle sue celle
più di 15.000 galeotti. Più ostico è il carcere, più si scatena
la fantasia del carcerato che sogna di tornare uccel di bosco, come
ben potrebbero testimoniare Frank Morris e i fratelli Anglin,
protagonisti nel 1962 di una spettacolare fuga da Alacatraz, narrata
con maestria da Don Siegel nel celeberrimo film del 1979 interpretato
da Clint Eastwood.
Frank Morris, protagonista della fuga da Alcatraz nel 1962.
La famigerata Alcatraz!
Volando verso il suolo patrio e atterrando
sull'arcipelago toscano numerosi sono stati i carceri isolani,
rimasti aperti e funzionanti fino in anni recenti. La Gorgona, la Capraia, Pianosa... Oppure potremmo planare sull'Asinara, nel Mar di Sardegna. Alcuni di questi si pensa addirittura di
riaprirli, per dare una risposta alla crescente domanda di sicurezza
che si leva dal basso. Vox
populi...
Il carcere dell'Asinara.
Il carcere della Capraia.
Il carcere di Pianosa.
Il carcere della Gorgona.
E per finire, come non ricordare un'altra famosa gattabuia isolana
nel mondo del fantastico? In questo caso la galera coincideva con
l'intera isola, quella di Manhattan, in un 1997 alternativo, in un
futuro ideato nel passato da un John Carpenter in stato di grazia. Un futuro cupo, oscuro, nero, ma che
certo non avrebbe mai potuto essere immaginato – pur con tutto il pessimismo del regista – in uno scenario paragonabile alla devastazione totale dell'11 settembre...
La locandina di "Escape from New York", ovvero "1997 Fuga da Manhattan", 1981.
La copertina del Maxi Zagor n. 18, luglio 2012, disegnata da Ferri. (C) Sergio Bonelli Editore
Maxi
Zagor 18
LA
PRIGIONE SUL LAGO
Luglio
2012
pag.
292, € 6,50
Testi:
Luigi Mignacco
Disegni:
Domenico e Stefano Di Vitto Copertina: Gallieno Ferri
L'amico Filippo Pieri ci ha inviato una tavola inedita della serie di parodie bonelliane D.I.M.E. (disegnate da Andrea "Kant" Cantucci) che venivano pubblicate su Dime Press. In memoria del grande Sergio! (s.c. & f.m.)
Tavola inedita di Pieri & Kant, realizzata per Dime Press, ma mai pubblicata (C) degli autori 2000-2012
N.B. Trovate i link alle altre tavole della serie D.I.M.E. sulla pagina delle Cronologie e Index!
di Francesco Manetti Intorno al 1991
entrai a far parte dello staff di Immagine, l'associazione culturale
guidata da Rinaldo Traini che organizzava il Salone del Fumetto a
Lucca. Purtroppo Immagine avrebbe continuato a occuparsi di Lucca
solo per qualche anno ancora, prima di impegnarsi con Expocartoon a
Roma.
Per me furono
anni molto intensi, i Novanta! Il Club del Collezionista,
Collezionare, Dime Press, Bhang, la Glamour, il GAF, Exploit Comics,
If, la Comic Art con gli articoli, le traduzioni e i libri (tra i
quali la collana del Paperino di Barks), Macchia Nera con le rubriche
su Cattivik, la libreria Mondi Paralleli, i fumetti di Eva &
Chris, Cavalcando con Tex per Little Nemo, l'Alan Ford Index, il sito
internet della Bonelli con le schede di Tex... e così via.
Con il
2001 ridussi e dal 2003 azzerai ogni impegno nel comicdom. Solo nel
2011, grazie a Moreno Burattini, a Paolo Ferriani, alla Magic Press,
a Max Bunker e alla Mondadori ho ricominciato a scrivere, curando i
redazionali della collana Alan Ford Story allegata a Panorama (dal
101 al 150). Poi ho aperto il blog Dime Web con Saverio Ceri,
tentando di far rivivere elettronicamente il “magazzino bonelliano”
Dime Press.
Un raro documeto del 1992. Benito Jacovitti, apponendo la sua firma, dichiara di ricevere indietro gli originali che aveva concesso per la mostra allestita a Lucca a cura di Bruni & Manetti per l'Ente Autonomo Max Massimino Garnier.
Dicevo di
Lucca. I pranzi e le cene erano momenti preziosi per incontrare fuori
dal caos della mostra, davanti a un bicchiere di vino, critici e
autori del fumetto da tutta Italia e dal mondo. In uno di questi
momenti conviviali ero in compagnia di Mauro Bruni (commerciante,
animatore del GAF e collaboratore di Exploit Comics, con il quale
avevo curato due mostre, una delle quali nel 1992 su Jacovitti, grazie alla
quale ebbi l'onore di conoscere bene il “maestro dei salami” e di
incontrarlo più volte in privato nelle sue case di Roma e del Forte
dei Marmi, e mi capitò addirittura di presentarlo a Bonelli, che ancora, incredibilmente, non lo conosceva), Enrico Fornaroli (che aveva redatto e pubblicato una profondissima
tesi su Milton Caniff) e Daniele Barbieri (grande esperto del
linguaggio del comic, allievo di Umberto Eco). Forse c'era anche il
“valvolinico e cannibale” Daniele Brolli – ma non ci metterei
la mano sul... Fuego! Decidemmo di confezionare un saggio su Dylan Dog,
che proprio allora compiva cinque anni di vita, ed era già un successo
stratosferico.
Mi misi a
scrivere un pezzo sui mostri affrontati dall'Indagatore dell'Incubo,
partendo dai non morti. E lì, con l'ultimo zombie di allora, mi
fermai. Il progetto, infatti, si era arenato, come spesso succedeva
nell'ambiente già allora, quando c'erano tirature più alte per la
saggistica e l'unica distrazione dal fumetto era ancora considerata
unicamente la TV.
Anni dopo
ripresi l'articolo e lo pubblicai su Facebook, nelle note. Oggi lo presento su Dime Web. Ma non basta! In coda ne appare una versione aggiornata, inzialmente pensata per il blog di Moreno Burattini. (F.M.)
Il Frankenstein cinematografico, nell'interpretazione di Boris Karloff
I NON MORTI Mitologia zombie in Dylan Dog (versione originale)
"Il mostro lesse nel mio viso la fermezza della determinazione presa e, in un impeto di collera impotente, digrignò i denti . -Ogni uomo trova una moglie peril suo affetto, -gridò, ogni bestia trova la sua compagna, soltanto io devo essere solo? Anch'io ho sentimenti di affetto, ed essi non incontrano che odio e disprezzo. Puoi detestarmi, uomo; ma, bada! le tue ore trascorreranno in terrore e angoscia, e presto cadrà la folgore che t i priverà per sempre di ogni gioia. Puoi negarmi ogni altra passione, ma mi rimane la vendetta... la vendetta che da questo momento- mi è più cara della luce o del cibo. Può darsi che muoia, ma prima tu, mio tiranno e mio torturatore, maledirai il sole che sarà testimone della tua angoscia. Bada! non ho paura e sono quindi onnipossente. Ti sorveglierò con l'astuzia di un serpente, per poterti pungere conil mio veleno. Uomo, ti pentirai delle umiliazioni che mi infliggi."
Mary Shelley FRANKENSTEIN, cap.XIX, 1817
Il mito della resurrezione del corpo, materia corruttibile e transeunte che si contrappone alla dimensione spirituale, diafana ed eterna, dell'uomo, è attestato fin dalle Sacre Scritture, nell'universalmente noto episodio di Lazzaro. La Bibbia, del resto, abbonda di immagini truculente, strane, fantastiche, orrorifiche delle quali si compiace Alex, il protagonista di "A Clockwork Orange" di Stanley Kubrick, quando finge di provare pii interessi religiosi nella biblioteca del carcere. Le sensazioni forti,il colpo d'occhio bizzarro hanno da sempre stimolato la fantasia delle menti più semplici e il potere costituito si è spesso servito di ciò per guidare e ammonire le genti ; ecco dunque le grandguignolesche visioni infernali e le terrificanti metope sulle facciate delle cattedrali romaniche e gotiche.
Lo zombie è per l'appunto il prodotto di questo sotterraneo legame fra religione e orrore, vitale soprattutto nel sincretismo cattolico-animista delle popolazioni nere latinoamericane. Come in una sorta di blasfema imitazione di Cristo,il praticante di magia nera haitiano, detto "bokor", passa sottoil naso del morto da risvegliare una bottiglietta contenente l'anima del malcapitato e lo chiama per nome. Lo zombie si alza a sedere nella bara, pronto a eseguireilavori più pesanti agli ordini dello stregone. Il 'supervisore' di questi macabri riti è Baron Samedi,il Signore dei Cimiteri, il cui simbolo è una croce nera.
La locandina di "White Zombie" di Halperin, 1932
Hollywood si è presto impadronita di questi succulenti folklori a partire da "White Zombie", diretto nel 1932 da Victor Halperin che si ispirò al saggio sul voodoo "The Magic Island" scritto da William Seabrook nel 1929. Il terrificante tende a essere multimediale e il passo dal cinema al fumetto è stato breve.
Questo essere barcollante, dallo sguardo vitreo, pericoloso solo se attacca in gruppo, in modo da circondare la vittima e vincere così l'handicap dell'estrema lentezza e goffag gine, appare in Dylan Dog fin dal prima numero, "L'alba dei morti viventi", per i disegni di Angelo Stano. Gli zombie di Sciavi si liberano da ogni cascame paranormale e diventano tali in virtù della scienza. "Guardate, questo è il virus sintetico che io ho creato. E' imperfetto, certo, ma è solo l'inizio... e, anche così, rappresenta la più grande scoperta nella storia dell'uomo... Iniettato in un cadavere gli restituisce le funzioni vitali... Non è già un miracolo?". Parla Xabaras, che sta a Dylan Dog come Gambadilegno sta a Topolino. Il tema dell'eterna giovinezza, che evoca rosei volti di splendidi fanciulle e città perdute stile Shangrilà, si sposa con la cruda realtà di putridume e marciume descritta da Tiziano Sciavi in due albi, "La zona del crepuscolo" e "Ritorno al crepuscolo". Anche qui lo zombie non è cosciente del suo stato di "non morto"; il morto vivente è convinto di esser vivo, di esser normale e poco importa seil fisico comincia a disgregarsi, perché basterà una banale visita del medico di fiducia per rimettere le cose a posto. E' uno zombie ancora più moderno, antientoprico, che molto deve ai cadaveri viventi di Chelsea Quinn Yarbro e ai "mesmerizzati" di Edgar Allan Poe. Inverary, il paese-limbo dove vivono questi eterni, è un fortino eretto controil dilagare del nuovo, contro l'incertezza dei mutamenti, controil naturale caoticizzarsi dell'universo. Così le storie "del crepuscolo" diventano anche satira dell'immobilismo, della sclerosi, del riposo del guerriero e i nuovi zombie si fanno simbolo di ogni passato che non vuole morire. Torna la scienza, impersonata dal dottore che ricuce e riaggiusta le membra, quale illuminista (ri)animatrice della situazione.
La copertina di Dylan Dog n. 1 (C) Sergio Bonelli Editore, 1986
Eros e Thanatos Nella saga di Dylan Dog c'è posto anche per una dimensione "romantica" del resuscitato; ecco dunque "Morgana", una storia che si riallaccia e prosegueil primo numero della serie. Morgana è uno zombie femmina, bellissima e sensuale; non ricorda di essere morta eil suo corpo non si decompone; è persino capace di amare. "Non l'ho certo ridestata con un bacio, come la Bella Addormentata... semplicemente, con un'iniezione del mio siero perfezionato... che le ha ridato vita... e anima... e amore... già, anche quello in fondo non è altro che una reazione chimica... una variazione di potenziale elettrico tra i neuroni...", dice il solito Xabaras, con un piglio dissacratorio quasi futurista ("Uccidiamo il chiaro di luna!") e positivista-carducciano. Ma non sempre lo zombie è reale: in "Ossessione" si introduce un elemento narrativo particolare, al limite dell'inverosimile-. Sei gemelli non si mostrano mai tutti insieme, apparendo ognuno quando un altro muore, spacciandosi sempre per la stessa persona. In questo caso l'autore gioca sulla finzione facendo leva sulla predisposizione mentale del lettore che, per abitudine, è più portato a credere al cadavere deambulante, fissato nell'immaginario collettivo da decenni di frequentazioni letterarie e cinematografiche, che ad un improbabile parto plurimo degno della signora Giannini. Perduto ogni elemento sacrale, i morti viventi di Sclavi abbandonano anche la motivazione scientifica del loro essere divenendo familiari -quasi simpatici- agli occhi delle persone che arrivano ad appropriarsi della loro immagine, della loro maschera, come in un'avventura del 1989, dove una banda di teppisti londinesi, gli "Zombies", ha scelto come divisa abiti stracciati, volti pallidi e mangiati, una camminata lenta e incerta. Abbiamo visto zombie "veri", putrefatti e tonti; zombie marci e intelligenti; zombie sani di corpo e di mente; zombie falsi. Un'ulteriore variazione del tema è lo zombie dal corpo ormai andato a male ma dal cervello lucido che torna per vendicarsi in maniera incruenta, eppure terribile, predicendo a un ex-amico che gli aveva "fatto la scarpe", la sua prossima dipartita per AIDS.
La copertina di Dylan Dog n. 43 (C) Sergio Bonelli Editore, 1990
Con "Storia di Nessuno" la coppia Sciavi/Stano torna insieme per la terza volte chiudendo una trilogia sugli zombie iniziata nel 1986; anche qui le caratteristiche del morto vivente "classico" si stemperano in una sceneggiatura ricca di soluzioni nuove. Lo zombie stavolta è protagonista della fabula e rivive in un sogno e in fantasie di dimensioni parallele la sua carriera di uomo vivo e poi non-vivo. Dopo la rivisitazione in chiave scientifica e successivamente romantica nei primi due episodi di questa "miniserie" interna alla collana, l'archetipo morto-che-cammina è soggetto di indagine psicologica da partedell'autore: "In questo caso voi dovreste essere un... un morto vivente... che tra l'altro ha sbranato sua moglie...", dice Xabaras,nell'inconsueta veste di psichiatra, all'uomo che vede se stesso (nel futuro? su un altro mondo?) uno zombie. "No, erano sogni, vi ripeto. Certo, molto realistici, ma tutto quell'orrore per fortuna è solo nella vostra fantasia...".
RISORTI
OBTORTO COLLO
L'esordio
degli zombie nella saga di Dylan Dog
(versione aggiornata)
“Memento
homo,
quia
pulvis
est
et
in
pulverem
reverteris”,
recitava
la
Genesi.
Ma
l'uomo
non
si
è
mai
accontentato
di
tornare
semplicemente
polvere,
di
tornare
cioè
quello
che
era
quando
– miliardi
di
anni
fa
– fu
creato
nei
suoi
elementi
nelle
fornaci
stelalri
delle
supernove.
E
dunque,
non
solo
il
destino
pulviscolare,
ma
anche
ilmitodellaresurrezionedelcorpo,materiacorruttibileetranseuntechesicontrapponealladimensionespirituale,diafanaedeterna,èattestatofindalleSacreScritture,nelnotoepisodiodiLazzaro.LaBibbia,delresto,abbondadiimmaginitruculente,strane,fantastiche,orrorifiche...Dialcunimomentipiù
“triviali”
sicompiace
per esempio Alex,ilprotagonistadi"AClockworkOrange"diStanleyKubrick,quandofingediprovarepiiinteressireligiosinellabibliotecadelcarcere
– conl'unicoscopodiincattivirsiilpretedalledubbieinclinazioniepotercosìaccederealProgettoLudovicoeallaconseguenteuscitadallaprigione.
Del resto lesensazionifortieilcolpod'occhiobizzarrohannodasemprestimolatolafantasiadellementipiùsemplici,tantocheilpoterecostituitosièspessoservitodi
questo perguidareeammonirelegenti;eccodunque
le terrificanti metope sulle facciate delle cattedrali romaniche e
gotiche e, soprattutto, legrandguignoleschevisioniinfernalidegliaffreschi.
In un mondo solo in minima parte alfabetizzato quei dipinti che
raccontavano storie con immagini ordinate in sequenza temporale (e
magari anche con cartigli di “parlato” che uscivano dalla bocca
dei protagonisti...) erano il modo antico per narrare in modo veloce
e comprensibile da tutti. E narrando, ammonivano con il terrore.
La Danza Macabra. Affresco del XV secolo, opera di Giacomo Borlone De Buschis. Oratorio dei Disciplini, Clusone (BG)
Lozombieèperl'appuntoilprodottodiquestosotterraneolegamefrareligioneeorrore,vitalesoprattuttonelsincretismocattolico-animistadellepopolazioninerelatinoamericane,comebensaillettorenolittianochehavissutoinsiemeaJerryDrakealcunispaventosimomentisoprannaturaliaicrocicchidellestrade,magarifuoriBahia...ComeinunasortadiblasfemaimitazionediCristo,ilpraticantedimagianerahaitiano,detto"bokor",passasottoalnasodelmortodarisvegliareunabottiglietta
che dovrebbe contenerel'animadelmalcapitatoelochiamapernome.Lozombiesialzaasederenellabara,prontoaeseguireilavoripiùpesantiagliordinidellostregone.Il'supervisore'diquestimacabriritièBaronSamedì,ilSignoredeiCimiteri,ilcuisimboloèunacrocenera.
Lamacchinadeisogni(odegliincubi?)hollywoodianasiè
ben prestoimpadronitadiquestisucculentifolklore
nati laddove le cartine promettevano leoni apartireda"WhiteZombie",direttonel1932daVictorHalperin,filminbianco-e-nerochesiispiròalsaggiosulvoodoo"TheMagicIsland"scrittodaWilliamSeabrooknel1929.
Come abbiamo già notato, ilterrificantetendeaesseremultimedialefindaChartreseNotre-DamedeParis,eilpassodalcinemaalfumettoèstatobreve.
Questoesserebarcollante,dallosguardovitreo,
sorta di drone veramente pericolososoloseattaccaingruppo(comeipiranhaoleformicherosseoleapiassassine...),inmododacircondarelavittimaevincerecosìl'handicapdell'estremalentezzaegoffaggine,appareinDylanDogfindalprimonumerodellaserie,"L'albadeimortiviventi",
disegnato da AngeloStanoconunacifrastilisticacherompeimanieraassolutaicanonibonelliani.Glizombie
moderni (o forse addirittura post-moderni) escogitati daSclavisiliberanodaognicascameparanormaleediventanotaliinvirtùdellascienza.
Il mostro, come in Frankenstein di Shelley, non è più Dio per
interposta Natura a crearlo, ma l'Uomo divinizzato, che fatto non fu
per viver come bruto, ma per seguir virtute e conoscenza. "Guardate,questoèilvirussinteticocheiohocreato.E'imperfetto,certo,maèsolol'inizio...e,anchecosì,rappresentalapiùgrandescopertanellastoriadell'uomo...Iniettatoinuncadavereglirestituiscelefunzionivitali...Nonègiàunmiracolo?".
La locandina del Dylan Dog Horror fest del 1992, anno in cui era ancora non morto il progetto di un libro di Barbieri & C. sulla creatura di Sclavi.
ParlaXabaras,chestaaDylanDogcomeGambadilegnostaaTopolinoocomeMoriartystaaSherlockHolmes.
O meglio, come si sarebbe scoperto andando avanti con la lettura
della collana, come Darth Vader sta a Luke Skywalker nella saga
cinematografica di Star Wars!
Iltemadell'eternagiovinezza,cheevocaroseivoltidisplendidifanciulleecittàperdute
in stileShangrilàoFontidellaGiovinezzanelNuovoMondo,sisposaconlacrudarealtàdiputridumeemarciumedescrittadalloscrittorediBroniinduealbi,"Lazonadelcrepuscolo"e"Ritornoalcrepuscolo".Anchequilozombienonècoscientedelsuostatodi"nonmorto";ilmortoviventeèconvintodiesservivo,diessernormaleepocoimportaseilfisicocominciaadisgregarsi,perchébasteràunabanalevisitadelmedicodifiduciaperrimetterelecoseaposto.E'unozombieancorapiùmoderno,
che combatte e sconfigge l'entropia e chemoltodeveaicadaveriviventidiChelseaQuinnYarbroeai"mesmerizzati"diEdgarAllanPoeoppureallablackcomedydelgrandeschermodirettanel1992daZemeckisconiltitolodi
“DeathBecomesHer”
(ovvero
“Lamortetifabella”
initaliano).Inverary,ilpaese-limbodovevivonoquestieterni,èunfortinoerettocontroildilagaredelnuovo,control'incertezzadeimutamenti,controilnaturalecaoticizzarsidell'universo.Unpo'quellocheaccade,fatteledebiteproporzioneconlastoriadiMartinMystèrenellaLondracongelatadiPeterPan,uscitanel1989.Cosìlestorie"delcrepuscolo"diventano
– seguendo la lezione dei Dubliners di Joyce - anchesatiradell'immobilismo,dellasclerosi,delriposodelguerrieroeinuovizombiesifannosimbolodiognipassatochenonvuolemorire.Tornalascienza,impersonatadaldottorechericuceeriaggiustalemembra,qualeilluminista(ri)animatricedellasituazione.
NellasagadiDylanDog,donnaiolopereccellenza(ovviamentepoliticallycorrect!)c'èpostoancheperunadimensione"romantica"delresuscitato;eccodunque"Morgana",unastoriachesiriallaccia
al primonumerodella
collezione, e ne prosegue il discorso.Morganaèunozombiefemmina,bellissimaesensuale;nonricordadiesseremortaeilsuocorpononsidecompone;èpersinocapacediamare.
In un certo senso anticipa tutte le vampire erotiche che avremmo
visto – fino alla nausea – nel decennio successivo, con trame e
pellicole studiate da addetti al marketing per attizzare inquieti
adolescenti. "Nonl'hocertoridestataconunbacio,comelaBellaAddormentata...semplicemente,conun'iniezionedelmiosieroperfezionato...cheleharidatovita...eanima...eamore...già,anchequelloinfondononèaltrocheunareazionechimica...unavariazionedipotenzialeelettricotraineuroni...",diceilsolitoXabaras,conunpigliodissacratorioquasifuturista("Uccidiamoilchiarodiluna!"diventa
“UccidiamolaMorte!”)epositivista-carducciano.
Ma
nella saga dylandogghiana nonsemprelozombieèreale:in"Ossessione"siintroduceunelementonarrativoparticolare,allimitedell'inverosimile,seppurgeniale.Seigemellinonsimostranomaituttiinsieme,apparendoognunoquandounaltromuore,spacciandosisempreperlastessapersona.Inquestocasol'autoregiocasullafinzionefacendolevasullapredisposizionementaledellettoreche,perabitudine,èpiùportatoacrederealcadaveredeambulante,fissatonell'immaginariocollettivodadecennidifrequentazioniletterarieecinematografichedigenere,cheadunimprobabilepartoplurimodegnodellasignoraGiannini.
Perdutoognielemento
di sacralità,imortiviventidiSciaviabbandonanoanchelamotivazionescientificadelloroesseredivenendofamiliari
– efinquasisimpatici-agliocchidellepersonechearrivanoadappropriarsidellaloroimmagine,dellaloromaschera,comeinun'avventuradel1989,doveunabandaditeppistilondinesi,
detti gli"Zombies"perl'appunto,hasceltocomedivisaabitistracciati,voltipallidiemangiati,
con unacamminatalentaeincerta.