di Wilson Vieira
Arrivati a un passo dalla fatidica cinquantesima puntata della Storia del West, che il nostro collaboratore e amico, il fumettista brasiliano Wilson Vieira, sta scrivendo appositamente per noi all'altro capo del globo, è giunto il momento di parlare della Conquista del West stesso! Vi ricordiamo che le immagini non bonelliane sono state scelte e posizionate nel testo da Wilson in persona. Buona lettura! (s.c. & f.m.)
Arrivati a un passo dalla fatidica cinquantesima puntata della Storia del West, che il nostro collaboratore e amico, il fumettista brasiliano Wilson Vieira, sta scrivendo appositamente per noi all'altro capo del globo, è giunto il momento di parlare della Conquista del West stesso! Vi ricordiamo che le immagini non bonelliane sono state scelte e posizionate nel testo da Wilson in persona. Buona lettura! (s.c. & f.m.)
Geograficamente
parlando il territorio degli attuali Stati Uniti d’America può
essere diviso in tre zone: (1) - l’Est, cioè la fascia costiera
atlantica delimitata a Occidente dalle catene montuose degli
Allegani e degli Appalachi; (2) - il West, cioè l’altopiano
centrale occupato interamente dal bacino fluviale del
Mississippi-Missouri e caratterizzato, specie nella parte di ponente,
dall’immensa distesa della Prateria e (3) - il Far West, cioè la
regione che comprende le Montagne Rocciose e il loro versante
occidentale degradante verso l’oceano Pacifico.
Tale
conformazione geografica va tenuta presente per ben comprendere lo
sviluppo Storico della colonizzazione del Nord-America: la fascia
costiera atlantica fu logicamente la prima a essere raggiunta dagli
Europei e lungo essa sorsero i primi villaggi e le prime città (1600
e 1700); in seguito, agli inizi del 1800, il grande altopiano centrale
venne attraversato piuttosto che colonizzato, in quanto i pionieri
erroneamente lo ritennero inadatto alla coltivazione e preferirono
raggiungere il Far West, cioè l’Oregon e la California; nella
seconda metà del secolo, infine, anche la Prateria centrale,
lasciata per tanto tempo ancora agli Indiani e ai bisonti, divenne
meta di emigranti che vi si stabilirono e la colonizzarono.
Ciò
va ricordato anche per stabilire due concetti, spesso confusi: quello
di “Frontiera” e quello di “Conquista del West”.
Storia del West n. 1, giugno 1967. Disegno di D'Antonio |
Infatti
fin da quando nuclei di colonizzatori inglesi si stabilirono in
Virginia nel 1620, la dura vita della Frontiera fu per l’avanguardia
dei Bianchi una realtà quotidiana, con tutti i disagi e i pericoli
che essa presentava, l’ostilità degli Indiani in primo luogo.
Al
contrario, con l’espressione “Conquista del West” si intende
soltanto quel movimento di masse umane, che iniziò nei primi anni
del 1800 determinando lo sportarsi della frontiera oltre gli Allegani
e gli Appalachi, fino alla valle del Mississippi e poi, via via,
alla costa del Pacifico; in questo senso la “Conquista del West”
non è che l’ultimo periodo della Storia della frontiera
Americana.
Qui
il nostro saggio, che riguarda solo la Conquista del West,
inizia dunque alla fine del 1700, quando ormai la fascia costiera
atlantica è organizzata in tredici colonie sotto la sovranità
Inglese: Massachussetts, Connecticut, Rhode Island, New Hampshire,
New England, New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland,
Virginia, Carolina del Nord e del Sud, e Georgia.
Era
un territorio notevolmente popolato, civile e costellato da villaggi
e città.
Se
dovessimo indicare la principale caratteristica dei suoi abitanti
diremmo che essa era un grande, sconfinato amore per la libertà; ed
è logico, in fondo, dato che i coloni erano tutta gente che aveva
affrontato i rischi della traversata in mare e della vita della
frontiera proprio per cercare in America quella libertà; politica,
religiosa o sociale, che non aveva trovato in Europa.
Era
più che naturale quindi che, alla prima occasione, le tredici
colonie, per amore di quella libertà, recidessero tutti i legami con
la nazione europea della quale erano sudditi: l’Inghilterra.
Nel
1776, prendendo spunto da una serie di tasse ingiuste, i coloni americani dichiararono infatti la loro Indipendenza dalla madre
Patria e, sotto la guida del virginiano George Washington (1732 –
1799), la conquistarono dopo cinque anni di lotta con le vittorie di
Saratoga e Yorktown.
Fra
le ragioni che avevano contribuito a scavare il solco
d’incomprensione tra l’Inghilterra e i suoi sudditi Americani
v’era anche la posizione assunta del Governo di Londra riguardo
alla frontiera occidentale delle colonie, delineata dalle catene dei
monti Allegani e Appalachi.
Infatti,
secondo i governanti Inglesi, l’emigrazione in massa verso le terre
del West, già iniziata da qualche anno, minacciava di compromettere
il commercio delle pellicce preziose con gli Indiani, poteva causare
complicazioni diplomatiche con la Francia, che possedeva l’ampio
bacino del Mississippi-Missouri (territorio della Lousiana), e avrebbe certo scatenato la guerra con le tribù Indiane.
Ma
nessuna autorità era ormai in grado di arrestare l’espansione
verso Ovest delle tredici colonie.
Se
al termine della Guerra d’Indipendenza la marcia verso i territori
al di là delle montagne aveva ancora proporzioni modeste, ciò era
dovuto piuttosto a difficoltà naturali; a Nord, la strada verso il
fertile valle dell’Ohio era sbarrata dagli Indiani Irochesi, e più
a Sud si dovevano superare aspri sistemi montuosi.
Tuttavia,
prima ancora della fine della Guerra d’Indipendenza, Daniel Boone
(1734 – 1820), figura di cacciatore e di esploratore destinata a
divenire leggendaria, raggiungeva gli Appalachi centrali
scoprendovi un valico, il Passo Cumberland, che poteva essere
attraversato con relativa facilità.
Da
questo valico, Boone, com'è raffigurato in un celebre e noto
quadro, vide aprirsi davanti ai suoi occhi la grande valle del fiume
Kentucky. Era
il paese più bello che un cacciatore di pellicce potesse
immaginare.
Dalle
rive paludose del fiume si alzavano centinaia di trampolieri di ogni
genere; nelle radure, cervi e alci pascolavano tranquillamente, e
sulle praterie si muovevano mandrie sterminate di bisonti.
Negli
anni seguenti Daniel Boone tornò più volte sulle rive del Kentucky
guidando lunghe carovane di emigranti attraverso il Passo Cumberland.
Gli
Indiani, naturalmente, non gradivano questa intrusione nel loro
territori di caccia e attaccavano continuamente le carovane in
marcia e le fattorie che via via sorgevano sul cosiddetto Bel Fiume; tuttavia, chiudendosi in un fortino, costruito dallo stesso
Boone, malgrado gli attacchi degli Indiani, i Bianchi mantennero ed
estesero la loro infiltrazione.
Nella
lingua delle tribù Shawnee, Kentucky significa con orgoglio Terra
Sanguinosa, giusto appellativo, se si pensa che del primo nucleo di 256
coloni bianchi intrusi, stabilitosi nel Kentucky verso il 1780, solo
10 erano ancora vivi nel 1790.
Ma
la minaccia del “Terrore Rosso” non doveva impressionare troppo i
pionieri se uno di questi poteva descrivere con queste parole
l’aspetto del Passo Cumberland alla fine del secolo:
Ogni
giorno il passo viene attraversato da migliaia di uomini, donne e
bambini, che vi arrivano in carovane successive, formando un fiume
ininterrotto di esseri umani, buoi, cavalli e altri animali
domestici.
Appena
giunta a destinazione, una carovana di emigranti procedeva alla
costruzione di un fortino nel quale tutti si rifugiavano in caso di
minaccia da parte degli Indiani; poi le varie famiglie si sceglievano
un pezzo di foresta, che gli uomini abbattevano, cominciando subito
le coltivazioni. Solo
a semina terminata le famiglie si dedicavano alla costruzione di
rozze capanne di tronchi nella quale trascorrevano il primo e difficile
inverno.
Nel
1789, allo scopo di assicurare i pionieri, esposti a ogni sorta di
malattie e alle più gravi privazioni, almeno contro gli Indiani, il
generale Saint Clair (1737 – 1818) firmò un trattato di pace con i Nativi delle tribù Miami, Shawnee e i Delaware, secondo il quale essi
“cedevano” agli Stati Uniti l’alta valle dell’Ohio e il
territorio del Kentucky.
M,
gli Indiani - e ciò fu la causa di tutte le guerre fra Pellerossa e
Bianchi - intendevano il concetto di “cessione della terra” in
modo molto diverso dai Bianchi; per essi, infatti, la foresta era una
proprietà comune, dove tutti gli uomini potevano liberamente
cacciare. Con
i “trattati di pace” gli Indiani ritenevano generalmente di cedere
ai Bianchi il diritto di caccia, ma NON quello di sfruttamento
agricolo. Di
fronte allo spettacolo di migliaia di coloni che abbattevano la
foresta, costruivano case, coltivavano campi e distruggevano la
selvaggina, gli indiani del Kentucky, dell’Ohio, e i loro vicini
del Tennessee si sentirono completamente ingannati e ricominciarono
ad attaccare le fattorie isolate e le carovane meno numerose.
Il
prode capo dei Miami, Little Turtle (1752 – 1812), messosi
alla testa di una Confederazione Indiana formata dalle tribù Miami, Shawnee, Delaware e Maumi, sconfisse nel 1790 una
spedizione punitiva guidata dal generale Josiah Harmar (1753 –
1813) e l’anno successivo un’altra agli ordini del generale
Arthur Saint Clair (1736 – 1818) .
La
guerra cessò solo quattro anni dopo, quando il generale Anthony
Wayne (1745 – 1796) vinse Little Turtle in una sanguinosa
battaglia avvenuta nel cuore della foresta, in seguito alla quale
l’Esercito procedette alla distruzione dei villaggi e delle misere
coltivazioni indiane.
Con
la pace di Greenville del 1795, la colonizzazione dell’alto Ohio
del Kentucky divenne pacifica, ma le tribù di Little Turtle rinchiuse nelle Riserve, come altre gente della loro stirpe,
decaddero rapidamente e finirono per estinguersi; per colpa soltanto
dei Bianchi invasori.
La
“scomparsa” della “minaccia Indiana” spinse naturalmente un
numero crescente di pionieri sulla pista aperta da Daniel Boone.
Nel
frattempo, altre strade verso il West erano state tracciate dagli
intraprendenti pionieri: la pista Forbes, che univa diretamente la
Pennsylvania con l’Ohio, e la National, che univa Baltimora con
Columbus, nell’Ohio.
Nel
1803 i territori dell’Ohio, del Kentucky e del Tennessee, ormai
popolosi, ricchi e fertili - ovviamente senza i maledetti Pellerossa - ricevettero la qualifica di Stati e mandarono i loro
rappresentanti al Congresso Americano.
In
tutta la Storia del West, questo passaggio dalla condizione di Territory a quella di Stato, venne effettuata solo quando
una data ragione era ormai completamente civilizzata e quindi i suoi
abitanti godevano appieno dei diritti di cittadini Americani; ciò
significava che per quel territorio l’epoca gloriosa della
frontiera cosiddetta “selvaggia” si era conclusa.
Nel
1800, Daniel Boone, che più di ogni altro aveva contribuito alla
nascita dei nuovi Stati, li abbandonava per avventurarsi in solitudine
verso il Missouri in cerca di nuove avventure, vera incarnazione del
motto di quegli tempi: Sempre
più ad Ovest!
Sulle
strade che, agli inizi del 1800, cominciavano a solcare la vergine
vastità del Nord America, scorreva soltanto una piccola parte
dell’immenso flusso di uomini e merci diretto verso l’Ovest e il
Sud-Ovest.
Zagor n. 493, agosto 2006. Disegno di Ferri |
I
grandi fiumi del bacino del Mississippi servivano molto meglio alle
crescenti necessità delle comunicazioni e del commercio: l’Ohio e
i suoi affluenti costituivano un complesso di piste che permetteva di
spingersi per migliaia di chilometri verso il West e che conduceva,
tramite il Mississippi e il Missouri, a New Orleans nel Golfo del
Messico in una direzione e alle grandi praterie nell’altra. Questo fino
alla costruzione delle grandi linee ferroviarie, nella parte
orientale di questa vasta rete idrica... dove sorgevano le cittadine
di Radstone, Pittsburg, Wheeling e Olean, dove le rive pullulavano
quotidianamente di emigranti in attesa di un passaggio.
Molto
prima che le ruote dei carri coperti cominciassero a cigolare sulla
prateria, i pionieri avevano infatti iniziato la loro incessante
marcia verso il West sui barconi che discendevano e risalivano
pigramente il Padre delle Acque, com'era chiamato il vasto
sistema fluviale Mississippi-Missouri-Ohio.
Tex Color n. 5, agosto 2014. Disegno di Villa |
Questo
servizio di trasporto di emigranti e di mercanzie veniva effettuato
con imbarcazioni di vario tipo; alcune, avendo la chiglia piatta, potevano navigare in acque poco profonde, altre erano lunge fino a
trenta metri e pescavano un metro e mezzo o due.
Zagor n. 370, maggio 1996. Disegno di Ferri |
I "barconi piatti" erano i più usati per il trasporto degli emigranti che discendevano la corrente; costruiti con rozze assi appena squadrate, s’innalzavano come fortezze sul pelo dell’acqua e viaggiavano spesso in grosse flottiglie per proteggersi reciprocamente e per guidarsi l’un l’altro lungo l’insidioso corso del fiume. L’intero viaggio da Pittsburgh fino a New Orleans su natanti di questo genere richiedeva cinque o sei settimane. I barconi piatti però erano troppo rozzi e pesanti per fare il viaggio di ritorno risalendo la corrente: all'arrivo i proprietari trovavano più conveniente demolirli e servirsi della legna per il fuoco.
I
cosiddetti "barconi a palo”, vere e proprie navi fluviali, erano
più maneggevoli di quelli piatti. Il
loro scafo, stretto e allungato, permetteva una maggiore velocità e
spesso l’uso dei remi e delle vele.
Tex n. 352, febbraio 1990. Disegno di Galep |
Sui barconi a palo un viaggio di andata e ritorno fra Pittsburgh e New Orleans durava circa sei mesi, di cui la maggior parte era spesa per il viaggio di ritorno, dovendosi risalire la corrente. In questo caso, se non era possibile servirsi delle vele e dei remi, gli equipaggi spingevano il barcone contro corrente puntando lunghi pali sul fondo melmoso del fiume e camminando sul bordo del ponte in senso contrario alla marcia: nella loro fatica guidati dalle ritmiche grida di un capociurma che intonava a volte una canzone di cui i barcaioli cantavano il ritornello.
I
battellieri e i piloti dell’Ohio, Missouri e del Mississippi, per
forza fisica, resistenza alle fetiche, coraggio, capacità di
ingerire liquori e raccontar frottole, possono essere paragonati al
cacciatori e ai cowboy, per noi storici.
Il
viaggio lungo la grande pista d’acqua era infatti un’avventura
ricca d’imprevisti e di pericoli come una traversata della
prateria.
I
fiumi erano così larghi che in molti tratti, viaggiando nel centro
della corrente, le rive erano quasi invisibili; i bassifondi
cambiavano spesso posizione, e quindi gli incagli erano frequenti;
causa le modeste qualità nautiche dei barconi, lo scatenarsi di una
tempesta in mezzo al Padre delle Acque era per i barcaioli un
rischio grave.
Tex n. 353, marzo 1990. Disegno di Galep |
Inoltre
c’erano gli Indiani, che nelle zone più selvagge attendevano al
varco le pesanti imbarcazioni, e i terribili pirati del fiume che,
celandosi fra gli isolotti, riuscivano a sorprendere gli equipaggi
con improvvisi abbordaggi, degni degli antichi filibustieri. I
barcaioli però conoscevano ed amavano la grande pista d’acqua e
non temevano né gli Indiani né i pirati.
Samuel
Langhorne Clemens detto Mark Twain (1835 – 1910), il grande umorista Americano che trascorse la sua infanzia sulle rive del
Mississippi, descrive così i battellieri:
Tipi
rudi, villani, selvaggi, ma capaci di sopportare allegramente le più
temibili difficoltà, bevitori formidabili, rissosi, pazzi, ignari di
ogni regola di decenza e di morale, prodighi del loro denaro, sempre
senza un soldo in tasca, bugiardi prodigiosi, eppure fondamentalmente
onesti, fedeli alle promesse e attaccati al dovere e spesso
pittorescamente magnanimi.
Mike
Fink (1770/80 – 1823) era il loro re, il Giasone di questa folla
di barbari Argonauti.
In
piedi sul ponte del suo barcone, Fink gridava alle atterrite
popolazioni rivierasche, che egli poteva “battere nella corsa”,
nel tiro con il fucile, nella lotta a mani libere o col pugnale,
nelle bevute e nelle risse, ogni singolo uomo che vivesse sulle rive
dei grandi fiumi da Pittsburgh a New Orleans, e anche tutti assieme.
La
leggenda disse che da bambino Mike Fink rifiutasse una bottiglia di
latte per chiedere una pinta di whiskey; da adulto poteva annegare,
sputando, un’intera tribù d’Indiani o legarsi al collo come una
cravatta il più grande alligatore del Mississippi.
Una
volta - e questa non è più leggenda - portò via con due colpi di
fucile i calcagni a un nero e si giustificò - guarda caso! - dicendo
di averlo fatto perché altrimenti il poveretto non avrebbe mai
trovato un paio di scarpe adatte ai suoi piedi.
Storie da Altrove n. 4, ottobre 2001. Disegno di Alessandrini |
Il
suo divertimento preferito era quello di un selvaggio Guglielmo Tell con la sua mela; messosi invece sulla testa una tazza di whiskey
sfidava gli amici a colpirla purché a loro volta fossero disposti a
subire altrettanto da parte sua.
Venne
ucciso per vendetta da uno dei suoi "sudditi", un barcaiolo che gli
scaricò la pistola nella schiena.
Da
allora Mike Fink è divenuto l’eroe di tutte le storie e le
leggende che i vecchi narrano sugli uomini che aprirono e percorsero
le grandi piste d’acqua trasportando gli emigranti e i materiali
necessari ala Conquista del West.
Ancora oggi,
nella voce delle onde del Mississippi, i bambini dei villaggi
rivieraschi riconoscono le grida di Mike Fink, e i battellieri
invocavano questo “dio” del fiume perché li guidi fra i fondali bassi e li protegga dalle tempeste...
N.B. trovate i link alle altre puntate della Storia del West su Cronologie & Index!