di Andrea Cantucci
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Les Peaux-Rouges 9 (Casterman,1982) |
Io
scomparirò, ma
la terra sulla quale oggi cammino rimarrà intatta
Canto
dei Sioux Omaha
Dove
eravamo rimasti…
Come
abbiamo visto nelle puntate precedenti, dalla fine degli anni 1930 e
per tutti gli anni 1940 gli Indiani d’America dei fumetti western
quando non erano visti come malvagi venivano per lo più relegati al
ruolo di spalla dell’eroe bianco, nella dicotomia stile Lone Ranger
e Tonto. Ancora negli anni ’60 e ’70 si ritrovava un’impostazione
simile in personaggi come Daniel Boone, che nei telefilm e nei
fumetti della Gold Key poteva contare sul valido aiuto dell’indiano
cherokee Mingo, o come il Bob Crockett di Mino Milani e Jorge
Moliterni, un immaginario figlio del famoso Davy Crockett a sua volta
accompagnato nei suoi viaggi dal fedele indiano arapaho Axis, in
storie che uscivano su Il Corriere dei Piccoli prima e su Il Corriere
dei Ragazzi poi.
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Bob Crockett e Axis dal Corriere dei Ragazzi n°19 (1975) |
Col
passare del tempo però questi pard indiani cominciavano gradualmente
ad assumere un ruolo ben diverso da quello di amichevole subalterno
che ricoprivano nei fumetti dei decenni precedenti. Mingo a volte
dimostra la sua indipendenza dall’amico bianco, rischiando quasi di
schierarsi contro di lui in nome delle usanze e delle vendette
tribali della sua gente, mentre la figura di Axis è ancora più
lontana da quella di un aiutante subordinato, proponendosi al
contrario come mentore e guida per il giovane eroe della serie.
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Daniel e Mingo da Daniel Boone n°5 (Fratelli Spada,1972) |
Dopo
che nel 1940 il piccolo Hiawatha disneyano aveva dato il via a una
lunga serie di bambini indiani protagonisti di tanti fumetti rivolti
ai più piccoli, tra gli anni 1950 e 1960, complice anche il cinema
che iniziava a dedicare alcune pellicole a eroi indiani come Cochise,
cominciavano a proliferare un discreto numero di fumetti dedicati a
eroi pellirosse adulti, ma per lo più raffigurati ancora in modo
approssimativo, insufficiente a rappresentare correttamente la vera
cultura e i veri costumi amerindi. Intanto alcuni eroi bianchi, come
Tex e Zagor, si schieravano più volte e con decisione anche dalla
parte degli indiani ma con atteggiamenti che per il momento avevano
ancora qualcosa di paternalistico e neocolonialista, come di chi in
quanto bianco si arroga il diritto di regnare sui nativi e quindi non
fa che difendere i propri presunti sudditi.
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Da Jerry Spring n°5 (Dupuis,1958) - edizione italiana Collana Western n°77 (2016) |
In
quegli anni l’eroe di turno per lo più tendeva a offrire il
proprio aiuto come se l’intervento e i consigli di un più saggio,
civile e valoroso uomo bianco fossero indispensabili per far pendere
la bilancia a favore degli indiani dell’una o dell’altra tribù,
cosa che accade più volte anche nella serie del Sergente Kirk. In
questo modo, pur non mettendo in dubbio la buona fede e buona volontà
sia dei protagonisti che dei loro autori, si rischiava ancora di
alimentare involontariamente un pizzico di razzismo nei lettori. Fa
eccezione Jerry Spring, che ha con sé il meticcio messicano Pancho
non come semplice spalla ma come comprimario del tutto alla pari, per
cui i due si pongono come amici e alleati di diverse tribù senza mai
cercare, per così dire, di comandare a casa loro, dimostrandosi una
delle coppie di eroi più sinceramente antirazzisti di quel periodo.
Con
i fumetti western nati tra il 1960 e il 1980, contemporaneamente a
una serie di film sempre più a favore degli indiani, molti
personaggi come Blueberry, Pat Mac Donald, Buddy Longway, Jonathan
Cartland o Ken Parker, dimostrarono fin dall’inizio di avere un
atteggiamento di maggior rispetto verso i nativi. Anche se i
protagonisti delle storie sono degli eroi bianchi e da qualunque
delle due parti si trovino schierati, i rapporti di amicizia che
stringono con gli indiani sono ora su un piano di parità e, anche se
a volte si permettono di dare consigli, non pretendono di comandare
sui vari capi-tribù, che infatti non sempre li assecondano.
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Una tavola con Bob Jason disegnata da Gianni De Luca per il Giornalino (1969) |
Tra
gli anni 1960 e 1970, potevano condividere tale rispetto verso i
Nativi Americani anche i protagonisti di altri western minori, come
il giovane Bob Jason, creato dallo sceneggiatore Mario Basari e dal
disegnatore Gianni De Luca sulle pagine della rivista Il Giornalino e
apparso in appena un paio di storie tra il 1969 e il 1970. Bob Jason,
chiamato dagli indiani Scalpo d’Oro per i suoi capelli biondi e
amico della giovane indiana Fior-di-Vento, è uno dei pochi bianchi a
cui sia permesso assistere alla Festa della Primavera che vede
riunite cinque nazioni delle pianure e, benché le sue storie siano
molto edulcorate, il disegno poetico di De Luca dà dei costumi
indiani una rappresentazione meticolosa e gradevole pur nel suo
idealizzato romanticismo.
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Loup Noir 1° episodio da Pif Gadget n°2 (1969) |
Intanto
altri autori particolarmente esperti e ben documentati sulla materia,
come Hans Kresse, Rino Albertarelli, Paolo Eleuteri Serpieri,
Raffaele Ambrosio e Jean Ollivier, in più occasioni fecero di
indiani veri o del tutto verosimili i protagonisti assoluti delle
loro storie. In particolare lo sceneggiatore francese Ollivier, prima
di dedicarsi alla sua Storia del Far West, creò nel 1969 insieme al
disegnatore Kline il personaggio di Loup Noir (Lupo Nero), il figlio
di un sioux e di una apache che viaggia per la frontiera col suo
cavallo Shinook, il lupo Topee e gli amici Piccola Nuvola e Shorty,
rispettivamente un giovane sioux e un trapper.
Lupo
Nero usciva su Pif Gadget, una rivista per ragazzi caratterizzata da
sempre da idee progressiste di sinistra, diretta erede della testata
Vaillant nata a sua volta, nel 1945, dal giornale illustrato Le Jeune
Patriote (Il Giovane Patriota) che aveva esordito l’anno
precedente, quando essere patrioti francesi significava soprattutto
resistere contro il nazismo dell’occupazione tedesca e dei
collaborazionisti di Vichy.
Accanto
a personaggi a loro modo rivoluzionari come l’ingegnoso uomo
preistorico Rahan o il romantico avventuriero Corto Maltese, la
presenza su Pif di un eroe indiano serviva a fornire anche il punto
di vista dei Nativi Americani, visto che sulla rivista c’era già
un altro western pubblicato su Valliant fin dal 1963 con protagonista
un eroe bianco, il cow-boy Teddy Ted, a sua volta accompagnato da un
amico indiano.
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Loup Noir 1°albo (Pif Editions,2005) |
Ma
se le avventure di Teddy Ted terminarono su Pif nel 1975, quelle di
Lupo Nero proseguirono fino al 1980, per poi essere riprese nella
nuova serie della stessa rivista tra il 2004 e il 2008, periodo in
cui le sue storie iniziarono anche a essere raccolte in una breve
serie di album. È abbastanza chiaro che, tra i due personaggi,
quello che poteva risultare più adatto ai western dei nuovi tempi
fosse l’indiano senza patria Lupo Nero che, pur essendo a volte
costretto a combattere sia contro dei bianchi che contro altri
indiani, vive avventure in cui si sostengono precisi valori umanisti,
ecologici e di tolleranza tra i diversi popoli.
Un’importante
svolta si era verificata con quella che, pur non avendo avuto grande
risonanza in Italia, tra il 1974 e il 1982 era stata forse la serie
sugli Indiani d’America più apprezzata in Olanda e Francia, I
Pellirosse di Hans Kresse, che si svolge in un’epoca poco
frequentata dagli autori western, il XVI secolo che vedeva i primi
incontri e scontri tra Apache e Spagnoli, in quelle che allora erano
le regioni più settentrionali della Nuova Spagna. Se le storie di
Kresse, incentrate su una particolare tribù apache, sono abbastanza
classiche nella concezione narrativa e grafica, la loro accuratezza
sotto l’aspetto della storia, dei costumi e dei tratti somatici
indiani contribuì ad alzare gli standard di accuratezza dei fumetti
western europei, insieme alle storie contemporanee di autori come
Gino D’Antonio e Paolo Eleuteri Serpieri su cui ci siamo già
soffermati.
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La deportazione dei Cherokee in Western Family - da Blitz n°20 (Universo,1978) |
Tra
gli anni ’70 e ‘80 anche i fumetti western popolari non poterono
più evitare di tener conto delle nuove tendenze filo-indiane. Ad
esempio nella serie Western Family, uscita sul settimanale Blitz tra
il 1977 e il 1981, lo sceneggiatore Claudio Cicogna racconta di
soldati statunitensi che, pur con i volti tipici degli attori dei
vecchi film, tiranneggiano e umiliano i nativi scacciandoli
arbitrariamente dalle loro terre e assassinandoli senza pietà alla
minima ribellione, come nel caso della tristemente nota deportazione
del popolo Cherokee in Oklahoma, una tragedia a cui assiste impotente
anche uno dei protagonisti di Western Family, il giovane tenente
fresco di nomina Martin Morrison, che tenta inutilmente di denunciare
gli abusi dei suoi sottoposti.
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Ely Parker com'era in realtà in una foto del 1867 |
Riguardo
agli eroi western più classici, adeguarsi ai nuovi tempi fu
relativamente facile per quelli che, come Tex, un po’ filo-indiani
erano in fondo sempre stati fin quasi dalle loro origini. Tanto per
fare un esempio, in mezzo a tanti incontri tra Aquila della Notte e
altri capi indiani realmente esistiti, come Cochise o Geronimo, nel
1979 poteva succedere di vedere su Tex n°119 e 120 un personaggio
storico come il capo seneca Ely Parker, che era stato nominato
commissario agli Affari Indiani dal presidente Grant. Come abbiamo
già detto, lo stesso personaggio era apparso due anni prima anche su
Ken Parker, dove era chiamato col nome indiano, Donehogawa,
probabilmente per non rischiare di confonderlo col quasi omonimo
protagonista.
Ma
a differenza del personaggio tratteggiato da Ivo Milazzo su Ken
Parker n°4, perfettamente somigliante al vero Ely Parker, quello
disegnato da Guglielmo Letteri nella storia di Gianluigi Bonelli
intitolata Agguato a Washington, ha il volto di un nativo americano
più generico e anonimo, forse in considerazione del fatto che i
lettori di Tex non sono abituati a vedere indiani con barba e baffi.
In quell’episodio, Tex si preoccupa di sventare un complotto
politico che potrebbe mettere a rischio la carica di Ely Parker, la
cui presenza in quel ruolo è in pratica l’unica cosa che impedisca
ai soliti affaristi di mettere le mani sulle terre navajo.
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Ely Parker disegnato da Letteri su Tex n°220 (DaimPress,1979) |
Ely
Parker sarebbe poi riapparso su Tex anche nel 2000, in una storia di
Claudio Nizzi e Victor De La Fuente pubblicata sui numeri 471 e 472 e
dedicata ancora di più alla questione indiana. Nella vicenda
iniziata nell’albo La Collina della Morte e proseguita col titolo
Testimoni d’Accusa, Tex si impegna per aiutare Ely Parker nella sua
missione, che storicamente compì davvero, di far ottenere giustizia
agli indiani delle riserve rimuovendo molti funzionari corrotti che
li derubavano. Il compito che Tex si assume consiste nel condurre a
Washington dei capi indiani che possono testimoniare su tale stato di
cose e, anche se la storia è del tutto romanzesca, non è campato in
aria che ci fossero pezzi grossi interessati a mettere i bastoni fra
le ruote alla riuscita di una tale operazione politico-giudiziaria,
che si potrebbe chiamare Riserve Pulite. Anche nella realtà Ely
Parker subì ogni sorta di pressioni e di campagne diffamatorie, che
lo costrinsero infine a dimettersi.
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Ely Parker in un disegno di De La Fuente su Tex n°471 (SBE,2000) |
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Tex tra i Navajos da Tex n°473 (SBE,2000) |
Dalla
fine degli anni 1970 le nuove serie western iniziarono a diradarsi
sempre più e dal 1980 in poi proseguì la tendenza di avere per
protagonisti soprattutto dei nativi americani, dei meticci, o al
limite dei bianchi da loro adottati, in un contesto storico
ricostruito in modo sempre più accurato, con la creazione di eroi
indiani che quindi, pur essendo immaginari, risultavano ora molto più
plausibili che in passato…
1980-1984:
indiani consapevoli, nuovi sciamani e super-guerrieri
Sul
settimanale Lanciostory, in contemporanea alla pubblicazione a
puntate della serie di Jonathan Cartland di cui abbiamo già parlato,
apparve nei primi anni ‘80 la serie Old America, disegnata da Paolo
Ongaro su testi di Mantelli e ambientata durante la Guerra
d’Indipendenza americana. Tra i protagonisti, oltre al poco
entusiasta capitano inglese Jim Hartword e al patriota John Updike,
spicca l’indiano seneca Volpe Rossa, che ha già compreso con che
atteggiamento di conquista i visi pallidi intendono trattare la sua
terra e i suoi fratelli nativi. In un episodio di Old America si vede
infatti anche una sanguinaria ritorsione con cui gli Inglesi
puniscono un villaggio di Irochesi, colpevoli di essersi rifiutati di
combattere con loro contro i coloni ribelli.
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Volpe Rossa nella serie Old America - da Lanciostory n°14 (1981) |
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Una storia di Ambrosio e Saudelli - da Lanciostory n°41 (1982) |
Nello
stesso periodo lo sceneggiatore Raffaele Ambrosio, anche senza poter
più contare sulla collaborazione di Paolo Eleuteri Serpieri,
all’epoca impegnato a disegnare la Storia del Far West per la
Larousse, continuò a narrare sui settimanali Eura le sue accurate
storie sugli Indiani d’America, disegnate ora da Franco Saudelli,
con stile certo meno accurato di quello del predecessore ma comunque
dotato di una felice sintesi grafica.
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Mestizo da Lanciostory n°43 (1982) |
Un’altra
serie pubblicata in quegli anni su Lanciostory fu Mestizo, creata nel
1981 dallo sceneggiatore Carlos Echevarría e dal disegnatore Luis
Bermejo sulla rivista spagnola Hunter. Il protagonista è un
pistolero mezzosangue il cui soprannome in spagnolo significa
letteralmente meticcio, un uomo che quindi ha precisi legami di
consanguineità e amicizia con varie tribù indiane, non sempre
identificate con precisione.
Si
sa che Mestizo era figlio di un indiano di nome Orso Bruno, alla cui
morte era stato adottato da un capo. Quando poi muore quest’ultimo
è proprio Mestizo ad assistere e consigliare per il meglio il
proprio fratello adottivo, per aiutarlo a diventare la nuova guida
della tribù. Mestizo è in genere piuttosto restio a usare le armi e
la forza, ma finisce poi per non poterne fare a meno di fronte alla
violenza che lo circonda.
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Jon Khe detto Victorio disegnato da Juan Bermejo |
È
degli stessi autori anche la serie Jon Khe, disegnata da Bermejo
alternativamente a Josè Ortiz, uscita dal 1982 sulla versione
spagnola della rivista Sargento Kirk e pubblicata in Italia su
Skorpio. Il protagonista è un Navajo che appena nato viene gettato
giù da una rupe a causa di una profezia funesta. Caduto in un nido
d’aquila e trovato dagli Apache, è da loro adottato e gli viene
dato il nome Jon Khe (Uccello Strano), ma poi sarà chiamato Victorio
a causa di una cicatrice a forma di V lasciatagli sul petto da un
frammento di brace.
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Il vero Victorio in una foto d'epoca |
Da
adulto Jon Khe lotta come una sorta di giustiziere in difesa del
popolo apache contro gli invasori bianchi, combattendo alla guida di
altri guerrieri o da solo, contro pionieri, militari o politicanti.
Il secondo nome del personaggio è evidentemente ispirato a quello
del capo Victorio degli Apache Mimbres, realmente vissuto nell’800
e anch’esso impegnato a combattere l’esercito con la guerriglia,
anche a causa dell’avidità degli agenti governativi corrotti che
derubavano il suo popolo. In effetti nel volto del Jon Khe disegnato
da Bermejo si può intravedere qualche vaga rassomiglianza col vero
Victorio delle foto d’epoca.
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Celui qui Est Né Deux Fois 1 (Editions du Lombard,1983) |
In
quegli stessi anni il fumettista svizzero Derib, dopo il successo
riscosso con le già citate serie dedicate al trapper Buddy Longway e
al piccolo sioux Yakari, cominciava a sviluppare un ciclo ancora più
ambizioso, raffinato e impegnativo composto da due ennesime serie
filo-indiane collegate tra loro e sempre pubblicate dalle Éditions
du Lombard. La prima parte, intitolata Celui qui Est Né Deux Fois
(Colui che È Nato Due Volte) e ambientata nel XIX secolo, iniziò a
uscire a puntate nel 1981 ed è stata poi raccolta in tre album
pubblicati tra il 1983 e il 1985. Racconta la storia di un bambino
indiano nato durante un temporale e per questo chiamato inizialmente
Pluie d’Orage (Pioggia di Tempesta). Il piccolo dimostra precoci
doti magiche avendo la capacità di toccare il fuoco senza bruciarsi
e, dopo che la sua gente è stata massacrata da una tribù nemica,
viene adottato ed educato da uno sciamano sioux, fino a diventare a
sua volta un uomo-medicina.
La
vocazione di Pioggia di Tempesta si manifesta definitivamente con un
altro temporale. Colpito da un fulmine resta per vari giorni tra la
vita e la morte e ha delle visioni in cui le forze del Fuoco gli
conferiscono il potere di guarire e di leggere il futuro nelle
fiamme. Quando si riprende è completamente guarito dalle bruciature
e lo sciamano suo maestro gli dà appunto il nuovo nome di Colui che
È Nato Due Volte.
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Celui qui Est Né Deux Fois 3 (Editions du Lombard,1985) |
La
seconda parte di questa saga indiana di Derib si intitola Red Road
(Strada Rossa), si snoda in altri quattro album usciti tra il 1988 e
il 1998 e a differenza della prima parte è ambientata nel presente,
sul finire del XX secolo. Ne è protagonista un discendente di Colui
che È Nato Due Volte, Amos Lambert, che all’inizio della storia ha
sedici anni e vive nella riserva dei Sioux Oglala di Pine Ridge, nel
Sud-Dakota.
Tentando
di superare le difficoltà della vita nella riserva, che anche per
lui come per molti della sua gente rischia di trascinarsi tra
precarietà e alcolismo, Amos partecipa a rodei, è coinvolto in
affari poco puliti e conosce brevemente anche il carcere, ma alla
fine si lascerà convincere a seguire le orme del suo antenato,
prendendo coscienza a sua volta delle proprie doti di guaritore e
dell’aiuto che può dare al suo popolo.
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Red Road 1 (Cristal BD,1988) |
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Red Road Intégrale (Le Lombard,2007) |
Intanto
alla fine del 1981, sulla versione italiana della rivista Pilot
pubblicata dall’editrice Nuova Frontiera, iniziò a uscire a
puntate una storia western scritta e disegnata da Milo Manara
intitolata L’Uomo di Carta.
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Un'illustrazione di Manara usata come copertina de L'Uomo di Carta nel 1992 |
Dapprima
l’eroe del racconto sembra essere un anonimo giovanotto bianco che
all’inizio rimira di continuo la foto della sua innamorata, ma alla
fine la vera protagonista risulterà essere Coniglia Bianca, una
ragazza indiana appartenente ai Sioux Oglala che si dimostra
particolarmente sveglia e maliziosa. Insieme al giovane, che essendo
innamorato di una donna di carta lei ribattezza Uomo di Carta, a un
anziano e coraggioso reduce inglese, a un predicatore che va soggetto
ad attacchi di furia omicida quando piove e a un indiano contrario
(di quelli che fanno tutto a rovescio per acquistare magia in
battaglia), Coniglia Bianca tenterà disperatamente di impedire uno
dei soliti indiscriminati massacri compiuti dai soldati ai danni
della sua gente.
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Quattro Dita - L'Uomo di Carta (Edizioni Del Grifo, anni '80) |
In
questa storia, conosciuta anche col titolo di Quattro Dita, pur con
toni leggeri e scherzosi Manara evidenzia il razzismo diffuso tra la
gran parte dei bianchi del vecchio West, soldati o coloni che
fossero, mentre i personaggi di quel piccolo ed eterogeneo gruppo da
lui posto al centro dell’azione sono i soli a cercare d’avvertire
i nativi del pericolo e proprio per questo rischieranno d’essere
messi a morte dall’esercito.
Il
racconto di Manara risente chiaramente dell’influenza di certi film
filo-indiani come Il Piccolo Grande Uomo e Soldato Blu, sia pure
filtrata a un decennio di distanza dalla maliziosa vena erotica
dell’autore.
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Tutto Ricominciò con un'Estate Indiana (1983) |
Dopo
circa due anni Milo Manara tornò a occuparsi degli Indiani
d’America, questa volta in una storia sceneggiata per lui da Hugo
Pratt e ambientata nel XVII secolo, in una delle prime colonie
puritane del Nord-America. Tutto Ricominciò con un’Estate Indiana
avrebbe dovuto essere pubblicata sulla rivista belga (A Suivre), con
cui Manara aveva già collaborato, ma in quel periodo la Milano Libri
lanciò una rivista di fumetti avventurosi d’autore che
nell’impostazione ricordava quelle d’Oltralpe e che fu intitolata
al marinaio di Pratt.
L’Estate
Indiana uscì quindi su Corto Maltese fin dai primi numeri del 1983.
Il lungo racconto di oltre 140 pagine, un vero romanzo a fumetti,
prende l’avvio dallo stupro di una ragazza bianca da parte di due
ragazzi indiani, poi uccisi da un membro della famiglia Lewis, che
vive emarginata fuori della colonia di New Canaan.
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Tutto Ricominciò con un'Estate Indiana (1983-1984) |
L’inevitabile
conseguenza di tali tragici fatti non potrà essere che lo scatenarsi
di una feroce battaglia tra gli indiani e il villaggio. Ma pur nel
caos della battaglia il guerriero Natan, figlio del capo, fa di tutto
per salvare i Lewis, in nome della vecchia amicizia che fino a poco
prima li legava a lui e agli altri indiani della zona.
Come
loro solito Pratt e Manara non raffigurano i Nativi Americani come
degli indigeni ingenui o ignoranti, ma come personaggi attenti e ben
informati di tutto ciò che li circonda, con caratteri anche
piuttosto pettegoli e scherzosi. Ciò non impedisce che ci siano pur
sempre delle insanabili e fatali differenze tra il loro modo di
pensare e quello dei bianchi, che spesso si dimostrano molto più
subdoli, ipocriti e corrotti.
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La Grande Traversata pag 4 (Nuova Frontiera,1983) |
Negli
stessi anni l’illustratore e fumettista belga Jean Torton, alias
Jeronaton, col suo elaborato stile pittorico realizzò l’album
auto-conclusivo La Grande Traversata, in cui una ragazza comanche
alla ricerca del proprio fratello compie un lungo e difficile viaggio
attraverso l’intero continente americano, dalle praterie del Nord
alle Ande, un’enorme distanza che riesce a coprire solo usufruendo
dell’aiuto di potenti visioni e metamorfosi magiche. Durante il
cammino la bella e coraggiosa Topsanna entra così in contatto con
vari popoli, i Navajo dell’Arizona, i Chichimechi, Toltechi e Maya
del Messico, i Quetchua del Perù governati dagli Incas, e con le
relative divinità adorate da quei popoli, non si sa però se tutto
ciò le accada realmente o solo in sogno.
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La Grande Traversata - Collana Metal n°14 (Nuova Frontiera,1983) |
Pur
essendo dotata di un certo fascino, questa storia di Jeronaton sembra
essere soprattutto una scusa per permettere all’autore di
illustrare minuziosamente costumi e architetture dei vari popoli
delle Americhe.
La
Grande Traversata è stata pubblicata in Italia da Nuova Frontiera
nel 1983, sul n°14 della Collana Metal.
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Les Pionniers du Nouveau Monde 7 (Glénat,1994) |
Nel
1982 esordì invece la serie francese, tutt’ora in corso, Les
Pionniers du Nouveau Monde (I Pionieri del Nuovo Mondo), creata da
Jean François Charles, proseguita coi disegni di Erwin Sels (in arte
Ersel) e giunta ormai al ventesimo episodio, a cui abbiamo già
dedicato una puntata dell’Angolo del Bonellide.
Qui
è comunque il caso di sottolineare come gli indiani del Nord-Est del
XVIII secolo, luoghi e epoca in cui è ambientata la serie, siano
rappresentati in modo abbastanza obiettivo, mostrandone ora gli
aspetti più violenti e ora quelli più pacifici e umani, anche se,
poiché autori e protagonisti sono francesi, si può notare come gli
indiani di cui sono qui mostrate le maggiori efferatezze sono
soprattutto quelli alleati degli Inglesi, come Irochesi e Chippewa.
Nonostante ciò uno dei protagonisti, il trapper Billy le Nantais
(tradotto in italiano come Billy il Bretone), dimostra fin
dall’inizio di nutrire grande rispetto per i nativi, anche quando è
costretto a combatterli. Inoltre dal terzo episodio uno dei
principali personaggi è il grosso irochese sempliciotto Bee Bee Gun,
che diventa amico del piccolo gruppo di coloni francesi di cui la
serie segue le gesta.
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Les Pionniers du Nouveau Monde 9 (Glénat,1996) |
Le
nazioni indiane con cui i Francesi erano in buoni rapporti qui sono
viste invece in modo generalmente più positivo e non mancano i
rapporti multirazziali, che in quelle lande sterminate erano spesso
inevitabili. Così Billy il Bretone mette su famiglia con una ragazza
Delaware di nome Piccola Treccia e questa gli dà un figlio che
chiamano Scoiattolo, destinato a diventare di recente uno dei nuovi
protagonisti al centro della saga.
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Il capo dei Cree Skakehanska da Les Pionniers du Nouveau Monde |
Un’altra
dei protagonisti de I Pionieri del Nuovo Mondo, Louise Dieudonné,
figlia di un colonnello francese, a un certo punto stringe rapporti
di amicizia con una tribù di indiani Cree dopo aver salvato la vita
a Grida nel Vento, una principessa indiana dall’abbigliamento molto
succinto, figlia del capo Skakehanska.
Entrambe
le ragazze in effetti tendono a vestirsi e a comportarsi in modo
molto simile ai cacciatori o ai guerrieri maschi, un po’ come se si
trattasse di due femministe ante litteram, tanto che gli indiani
danno a Louise il nome di Piccolo Uomo. Il villaggio dei Cree suoi
amici sarà poi uno di quelli contagiati e sterminati dal vaiolo, per
mezzo di coperte infette donate loro proditoriamente e vigliaccamente
dai bianchi.
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Les Pionniers du Nouveau Monde 10 (Glénat,1997) |
Tra
i veri personaggi storici di questa serie, nel nono episodio fa la
sua apparizione Pontiac, un famoso capo degli Ottawa alleato dei
Francesi, di cui tra il quindicesimo e il diciassettesimo episodio
viene ricostruito il tentativo di costituire una confederazione
indiana per opporsi con decisione all’avanzata degli Inglesi.
Louise
ha tra l’altro una relazione con un guerriero Cree, da cui nasce
una delle sue figlie, mentre Scoiattolo sposa una ragazza bianca e
dopo la prematura morte di lei si unisce a una ex-schiava
afro-americana. Anche qui, come nella Storia del West di D’Antonio,
assistiamo quindi a una ricostruzione storica da cui è bandito ogni
razzismo, che viene anzi denunciato riportando le parole e le azioni
di certi fanatici, anche religiosi.
I
primi episodi de I Pionieri del Nuovo Mondo uscirono in Italia in
formato album e a colori dal 1988, nella collana Le Avventure della
Storia pubblicata dalla Glénat Italia. Dal 2013 l’intera serie è
stata ripubblicata dall’inizio in formato bonellide in bianco e
nero dall’Editoriale Cosmo, sull’albo West – Fumetti di
Frontiera.
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Les Pionniers du Nouveau Monde 17 (Glénat,2009) |
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Bella & Bronco n°1 (1984) |
Più
leggera e scanzonata è la serie di Gino D'Antonio del 1984 Bella
e Bronco, su una coppia mista di simpatici avventurieri del West:
un indiano civilizzato e una sensuale bionda. Questa, nel primo albo,
supera i pregiudizi razziali rendendosi conto che il sesso non è per
niente diverso anche se fatto con un pellerossa. Ma la simpatia dei
due protagonisti non impedirà che questa originale serie si
interrompa con il n°16 per il suo scarso successo, probabilmente
dovuto proprio alla sua impostazione così poco convenzionale.
A
proposito di D’Antonio, nel 1965 il disegnatore Antonio Canale
doveva collaborare con delle leggende indiane a fumetti alla sua
Storia del West, che in origine doveva uscire in forma di rivista.
Quando però fu riorganizzata e pubblicata in forma di albi nella
Collana Rodeo, l’idea di quei brevi racconti fu accantonata.
In
seguito però Canale disegnò ugualmente alcune di quelle leggende
per conto proprio, con una grafica e dei testi piuttosto sintetici
chiaramente rivolti a un pubblico di ragazzi, alternandole con altre
leggende popolari dei coloni anglosassoni. Queste storie brevi di
Canale, tratte in parte dal folclore indiano, nel 1985 furono
raccolte dall’Editoriale Lo Vecchio in un singolo album dal titolo
Leggende della Vecchia America.
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Leggende della Vecchia America - Collana Zodiaco n°2 (LoVecchio,1985) |
Intanto
negli Stati Uniti, tra gli anni ’70 e ’80 del ‘900 i fumetti
western ormai erano poco più che un ricordo e negli USA qualche
nuovo personaggio indiano si poteva vedere quasi soltanto sugli albi
dei supereroi, o comunque in contesti molto più fantastici rispetto
alle vecchie ambientazioni della frontiera americana.
In
pratica si invertì la tendenza degli anni ’50, in cui erano i
supereroi a essere sostituiti dagli eroi western.
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Strong Bow sull'albo All-Star Western n°62 (DC,1952) |
L’editrice
DC Comics, fin dai primi albi della testata All-Star Western che
aveva sostituito la collana di supereroi All Star Comics a partire
dal n°58 del 1951, pubblicò anche le storie di un eroe indiano più
o meno tradizionale di nome Strong Bow (Forte Arco), da non
confondere con l’omonimo eroe indiano di produzione inglese dello
stesso periodo. La sua serie era scritta da David Wood e disegnata da
Frank Giacoia ed aveva la particolarità di svolgersi nell’America
precolombiana, che Strong Bow percorreva in lungo e in largo in
groppa a un bisonte, visto che i cavalli non erano ancora stati
importati nel continente dagli Europei. Aveva quindi a che fare nel
corso dei suoi viaggi con ogni sorta di popoli antichi, come per
esempio gli Aztechi.
Dieci
anni dopo la tendenza cominciava a invertirsi e su All-Star Western
n°117 del 1961 esordì Super-Chief (Super-Capo), creato da Gardner
Fox e Carmine Infantino, il primo vero supereroe indiano protagonista
di una serie, anche se non di una propria testata, con una decina
d’anni d’anticipo sul Red Wolf della Marvel.
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Super-Chief alla sua 1°apparizione - da All-Star Western n°117 (DC,1961) |
Il
Super-Chief originale è l’irochese Flying Stag (Cervo Volante),
vissuto nel XV secolo, che caduto in una trappola chiede aiuto al
Grande Spirito ed è esaudito dalla caduta di un minuscolo meteorite.
Indossandolo a mo’ di medaglione acquista super-forza,
super-velocità e la capacità di volare per un’ora, oltre a una
notevole longevità. Prende quindi il nome di Saganowahna, che
dovrebbe significare Super-Capo in irochese, e indossando una
maschera a forma di testa di bisonte che gli cela il volto, si dedica
ad aiutare il prossimo.
In
anni più recenti hanno indossato la pietra amuleto di Super-Chief
altri tre nativi americani di epoca contemporanea, tra cui quello che
ha fatto più apparizioni è l’irochese Jon Standing Bear (Jon Orso
in Piedi), che ha esordito nel 2006 sul n°22 della serie 52,
dedicata a una delle tante rielaborazioni dell’universo DC. Jon
eredita dal nonno il copricapo dei suoi antenati e l’amuleto, e con
esso i poteri di Super-Chief, per poi entrare a far parte di
un’ennesima versione della Lega della Giustizia, il principale
gruppo di supereroi DC.
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Super-Chief nuova versione - da 52 n°24 (DC,2006) |
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Thomas Kalmaku alla 1°apparizione su Green Lantern n°2 (DC,1960) |
Dagli
anni ’60 qualche nativo americano cominciò ad apparire anche in
fumetti puramente supereroistici.
È
il caso del meccanico eschimese Thomas Kalmaku, creato nel 1960 da
John Broome e Gil Kane in una storia di Lanterna Verde e diventato un
comprimario fisso di quella serie, o dell’indiano dell’Oklahoma
Wyatt Wingfoot (Wyatt Piede Alato), creato nel 1966 da Stan Lee e
Jack Kirby, che ha condiviso varie avventure coi Fantastici Quattro
anche senza avere da parte sua nessun superpotere ma contando solo
sulle sue doti atletiche, essendo un personaggio ispirato al campione
di decathlon nativo americano Jim Thorpe.
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Wyatt Wingfoot alla 1°apparizione su Fantastic Four n°50 (Marvel,1966) |
Con
questo personaggio siamo passati agli albi Marvel, su cui, dopo il
giustiziere indiano Red Wolf di cui abbiamo già parlato, vari
supereroi amerindi iniziarono ad apparire tra gli anni ’70 e ’80,
in particolare nelle storie dei gruppi mutanti improntati alla
multi-etnicità, scritte dallo sceneggiatore inglese Chris Claremont.
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Il 1° Thunderbird alla 1°apparizione su Giant Size X-Men n°1 (Marvel,1975) |
Già
nel 1975 Il mutante apache John Proudstar, col nome di battaglia di
Thunderbird (Uccello del Tuono), fece parte brevemente degli X-Men
ma, nonostante la sua superforza e supervelocità, ebbe il triste
primato d’essere stato tra i primi supereroi a morire su un albo
americano, molto prima che la cosa diventasse di moda. Il motivo pare
essere stato che il suo carattere somigliava troppo a quello di
Wolverine e la decisione di sopprimerlo sarebbe stata presa dal suo
stesso creatore, l’allora supervisore della la serie Len Wein.
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Il 1° Thunderbird in costume - da Giant Size X-Men n°1 (Marvel,1975) |
In
un’altra storia degli X-Men opera di Claremont e del disegnatore
anglo-canadese John Byrne, esordirono nel 1979 gli Alpha Flight, il
primo supergruppo canadese la cui serie sarà poi realizzata dal solo
Byrne dal 1983 e di cui fanno parte tre supereroi nativi americani.
Anzitutto il dottor Michael Twoyoungmen, che non avendo potuto
salvare la propria moglie morente con la scienza medica dei bianchi,
alla fine ha accettato il suo retaggio e, col nome di Shaman
(Sciamano), usa il potere della magia indiana ereditato da suo nonno.
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Sciamano alla 1°apparizione su Uncanny X-Men n°121 (Marvel,1979) |
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La nascita di Snowbird da Alpha Flight n°7 (Marvel,1984) in italiano su Speciale Alpha Flight (StarComics,1989) |
Figlia
adottiva di Sciamano è poi una ragazza dalle origini divine di nome
Narya, che lui stesso fece nascere magicamente assistendo nel parto
sua madre, la dea eschimese Nelvanna. Tale giovane semidea indiana,
che può assumere la forma di qualsiasi animale canadese, volare e
disporre di altre facoltà divine, fa a sua volta parte degli Alpha
Flight col nome di Snowbird (Uccello delle Nevi), essendo il gufo
artico la principale incarnazione che ha scelto. In seguito anche la
vera figlia di Sciamano, Elizabeth, avendo ereditato poteri magici
analoghi a quelli del padre, si unì a sua volta al loro gruppo
facendosi chiamare Talisman.
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Danielle Moonstar da New Mutants n°18 (Marvel,1984) |
Claremont
inserì nelle sue storie altri supereroi nativi americani, forse
rimpiangendo d’aver fatto morire Thunderbird dopo due soli episodi.
La mutante cheyenne Danielle Moonstar apparve nella sua serie The New
Mutants (I Nuovi Mutanti) fin dai primi episodi, nel 1982, e in
seguito prese il nome di Mirage dato il suo potere di proiettare
telepaticamente illusioni che danno forma a paure e desideri. Col
tempo affinò le sue facoltà imparando, da buona cheyenne, a
comunicare mentalmente con gli animali e a lanciare una sorta di
frecce o dardi mentali, dando perfino consistenza fisica a questi o
ad altri oggetti creati dalla sua mente.
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Forge alla 1°apparizione su Uncanny X-Men n°184 (Marvel,1984) |
Nel
1984 fu la volta di un altro mutante cheyenne, Forge, apparso nelle
storie degli X-Men dal n°184, prima quasi come avversario, dato che
lavorava per l’esercito americano, e in seguito come membro del
gruppo.
Dotato
di poteri mistici empatici, che ha affinato sotto la guida di uno
sciamano ma che ha poi deciso di applicare alla tecnologia, Forge è
un inventore capace di creare apparecchiature avanzatissime coi mezzi
più scarsi e di comunicare con le macchine che inventa
controllandole per empatia, il ché deve tornargli utile dato che lui
stesso è in parte cyborg, avendo perso una gamba e una mano nella
guerra del Vietnam.
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Forge in versione guerriero (Marvel) |
Col
tempo Forge, in mano ad altri autori, si sarebbe allontanato
dall’iniziale caratterizzazione raffinata con cui lo aveva
concepito Claremont, adeguandosi abbastanza alla moda degli eroi
nerboruti e violenti tipici degli anni ’90, il ché gli permise di
sfoggiare un look quasi da guerriero indiano che inizialmente non
aveva.
Sempre
nel 1984, sul n°16 de I Nuovi Mutanti, Claremont rimediò all’aver
eliminato Thunderbird nove anni prima facendone comparire un fratello
minore dai poteri simili ma con forza e resistenza maggiori, James
Proudstar. Quest’altro apache mutante esordì, col nome di
Thunderbird II e un costume simile al defunto, come nemico degli
X-Men, incolpandoli della morte del fratello, ma poi non diede corso
alla propria vendetta.
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Il 2° Thunderbird da Uncanny X-Men n°193 (Marvel,1985) |
Tempo
dopo, essendo tornato al suo villaggio solo per trovare la sua gente
massacrata, James Proudstar prese il nome di Warpath (Sentiero di
Guerra) e per potersi vendicare stavolta passò dalla parte dei
“buoni” entrando nei Nuovi Mutanti, presto diventati X-Force. Poi
Warpath ha fatto parte anche degli X-Men e col tempo i suoi poteri
sono stati ulteriormente incrementati. Tra l’altro, come ogni
indiano che si rispetti, ha i sensi enormemente sviluppati e usa come
armi dei grossi coltelli. Nel 2014 si può dire che Warpath sia stato
scelto a rappresentare i supereroi nativi americani al cinema, nel
film X-Men – Giorni di un Futuro Passato.
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Warpath da Uncanny X-Men n°488 (Marvel,2007) |
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Dawnstar della Legione dei Super-Eroi (DC) |
Anche
sulle pagine dei gruppi di supereroi della DC avevano cominciato ad
apparire nel 1977 dei membri nativi americani, sotto forma di un paio
di affascinanti eroine volanti dalle evidenti origini amerinde.
La
bella Dawnstar (Aurora), entrata quell’anno a far parte del gruppo
del futuro chiamato Legione dei Super-Eroi, per fisionomia e
abbigliamento è immediatamente riconoscibile come una ragazza
indiana, se non fosse per un bel paio d’ali angeliche che le
permettono di viaggiare nello spazio alla velocità della luce e che
ne rendono altrettanto chiara la natura extraterrestre, peraltro
comune a quasi tutti i membri della Legione.
Si
sarebbe poi chiarito come gli abitanti del pianeta di cui Dawnstar è
originaria, il cui nome Starhaven in inglese suona come Paradiso
delle Stelle, fossero discendenti degli indiani Anasazi, rapiti da
degli alieni e sottoposti a mutazioni genetiche. Tali esperimenti
spiegherebbero, anche se in modo estremamente semplicistico e comodo,
come Dawnstar possa respirare e volare nello spazio senza tuta e
seguire facilmente le tracce di qualunque astronave attraverso il
vuoto cosmico, da buona discendente dei pellirosse…
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Owlwoman (DC) |
Ha
caratteristiche almeno in apparenza più umane la giovane kiowa
Wenona Littlebird, che col nome di Owlwoman (Donna Gufo), esordì
come supereroina al fianco di Hawkman (l’Uomo Falco) sull’albo
Super Friends n°7. Anche i suoi poteri, che consistono soprattutto
nel volare cavalcando i venti e nella capacità di vedere al buio,
sarebbero dovuti alla magia indiana, più o meno come quelli di
Sciamano. Owlwoman trovò poi una sua collocazione nel gruppo
internazionale denominato Global Guardians (i Guardiani Globali).
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Arak Son of Thunder n°1 (DC,1981) |
Perfino
sulla serie fantasy The Warlord (Il Signore della Guerra) ambientata
nel mondo perduto di Skartaris, con cui la DC riuscì a fare
concorrenza al Conan della Marvel, nel 1981 lo sceneggiatore Roy
Thomas e il disegnatore Ernie Colón inserirono un comprimario nativo
americano. Il personaggio in questione, un nerboruto guerriero
chiamato Arak, sembra quasi una versione indiana proprio di quel
Conan il Barbaro di cui Thomas è stato a lungo sceneggiatore e
divenne subito dopo protagonista a sua volta di una serie di albi dai
contenuti altrettanto fantasy, Arak Son of Thunder, durata cinquanta
numeri fino al 1985. Figlio di un dio del Tuono e appartenente
all’immaginaria tribù dispersa dei Quontauka, Arak è originario
dell’epoca corrispondente al nostro Medioevo e fu condotto nel
continente europeo da dei predoni vichinghi.
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Coyote da Alien n°1 (Labor,1985) |
È
stato invece fin da subito protagonista di una propria serie
personale l’eroe mistico Coyote, creato anch’esso nel 1981, le
cui storie contengono dei riferimenti molto precisi alle leggende su
questo spirito animale particolarmente importante nelle tradizioni
indiane di quasi tutto il Nord-America.
La
prima storia di Coyote, opera dell’originale scrittore Steve
Englehart e del raffinato disegnatore Marshall Rogers uscì a puntate
sulla rivista Eclipse e fu ristampata dallo stesso editore nell’album
I Am Coyote (Io Sono Coyote). Subito dopo Coyote fu protagonista di
una serie di sedici albi edita dal 1983 dalla Epic, l’etichetta con
cui all’epoca la Marvel si rivolgeva al pubblico più maturo. I
testi erano sempre di Englehart, mentre i disegni dei primi due
numeri furono affidati alla sapiente pennellata di Steve Leialoha.
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I Am Coyote (Eclipse,1983) |
Il
protagonista di Coyote non è lo spirito delle leggende ma un orfano
allevato nel deserto da uno sciamano folle e da una specie di
vampira, che gli fecero sviluppare il potere di viaggiare tra il
mondo fisico e quello delle ombre, di separarsi dal proprio corpo,
rendersi invisibile o assumere le fattezze di chiunque. In pratica
sono facoltà simili a quelle del Coyote mitico e a volte nel mondo
invisibile i due omonimi si incontrano.
I
nemici principali di Coyote sono i membri del Consiglio delle Ombre,
una setta segreta che usa a sua volta analoghi poteri magici per
influenzare la politica internazionale infiltrandosi nei governi
nordamericani.
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Coyote disegnato da Leialoha (Marvel-Epic) |
È
invece slegata dal mondo dei supereroi la pregevole serie Timespirits
(Spiriti del Tempo), scritta da Steve Perry, splendidamente disegnata
da Tom Yeats e edita dalla Epic in otto numeri, tra il 1984 e il
1986.
I
protagonisti sono l’anziano ma arzillo sciamano Cusick dei
Tuscarora, che grazie ai suoi viaggi extratemporali ha vaste
conoscenze di epoche diverse e culture lontanissime tra loro, e un
ragazzo di nome Doot, fratello del capo degli indiani Wawenoc, che
dimostra di possedere notevoli poteri mistici naturali.
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Timespirits n°1 (Marvel-Epic,1984) |
Nel
primo episodio di Timespirits, ambientato nel Nord-America del XVII
secolo e incentrato sui conflitti tra i primi coloni e gli indiani,
Doot e Cusick si incontrano e iniziano a viaggiare insieme per magia
nei luoghi e nelle epoche più disparate, con l’anziano che educa
il più giovane a diventare uno “spirito del tempo”, sempre in
azione per tentare di migliorare il corso della storia e l’evoluzione
spirituale dell’Umanità, rovinando i piani di quanti invece
vorrebbero farla regredire controllando e asservendo gli altri esseri
umani.
Sul
n°6 di Timespirits, ambientato nel Guatemala del 1980, si descrivono
le miserevoli condizioni di vita degli indios, dovute allo
sfruttamento capitalistico delle loro terre da parte delle compagnie
nordamericane, appoggiate da una guardia nazionale che massacra tutti
coloro che osano ribellarsi a tale stato di cose.
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Timespirits n°6 (Marvel-Epic,1985) |
La
denuncia degli autori, anziché fermarsi ai soli genocidi del
passato, si fa qui ben più attuale, mostrando esplicitamente anche
le ingiustizie e le stragi del presente, gli odierni soprusi
sull’Uomo e la Natura. Tra l’altro i protagonisti hanno portato
con loro dal futuro una donna aliena seminuda, dalla pelle azzurrina
striata e dalle orecchie a punta, che, nelle scene in cui attacca i
soldati governativi lanciandosi dagli alberi, anticipa con sospetta
precisione scene analoghe che sarebbero apparse nel film Avatar di
James Cameron…
Sul
n°7 di Timespirits invece i due viaggiatori del tempo incontrano dei
vittoriosi guerrieri sioux, apparendo brevemente nel bel mezzo della
battaglia di Little Big Horn, per impossessarsi dello spirito morente
di Custer.
I
primi episodi della serie regolare di Coyote e di Timespirits sono
usciti in Italia nel 1985 sulla rivista Alien edita dalla Labor
Comics, purtroppo con traduzioni sinceramente pessime e in certi
punti quasi inventate.
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Timespirits n°7 pag4-5 (Marvel-Epic,1985) |
1984-1997:
fine e rinascita del genere indian western
A
metà anni ’80 il filone delle storie di indiani sembrava esaurito
insieme a quello western e ciò valeva sia per il cinema che per il
fumetto. Infatti tra il 1985 e il 1995 è difficile trovare una nuova
serie a fumetti dedicata ai Nativi Americani. Perfino un autore
specializzato nel genere come Paolo Eleuteri Serpieri in quel periodo
interruppe la produzione di storie a fumetti sui pellirosse per
dedicarsi all’erotismo fantascientifico di Druuna (è intermedia
tra i due generi la sua storia La Bestia, uscita su L’Eternauta
n°22 del 1984).
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La Bestia di Eleuteri Serpieri, da L'Eternauta n°22 (1984) |
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Gli indiani di Andrea Pazienza da Corto Maltese n°1 del 1984 |
Invece
Andrea Pazienza, sempre in controtendenza, nel 1984 pubblicò sulla
rivista Corto Maltese una Piccola Guida del West in cui naturalmente
dedicò qualche pagina anche agli Indiani, dividendoli
provocatoriamente in “abominevoli” e “evoluti”, in base ai
ruoli loro assegnati nei vecchi film di una volta. Questa sua parodia
sembrava comunque il sigillo definitivo di un’epoca, visto che
anche nelle edicole italiane, per decenni consacrate soprattutto al
genere western, a parte gli inossidabili e ancor oggi vitali Tex e
Zagor, a fine anni ’80 di fumetti sul West uscivano ormai quasi
solo delle ristampe, come quella della Storia del West di Gino
D’Antonio o altre dedicate a vecchie glorie del passato come
Capitan Miki. Il settecentesco Comandante Mark dal 1990 continuò per
qualche anno a uscire sotto forma di speciali annuali, mentre
l’antieroe filo-indiano Ken Parker per sopravvivere era dovuto
migrare su riviste come Orient Express e Comic Art. Insomma anche il
fumetto italiano risentiva del fatto che di film western ormai non se
ne facevano più neppure negli USA.
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Balla coi Lupi, edizione originale del romanzo di Michael Blake (1988) |
Contemporaneamente
si stava però preparando un inatteso rilancio dell’intero genere
western, innanzitutto cinematografico, ad opera di un relativamente
oscuro scrittore. Michael Blake aveva al suo attivo il testo di una
sola pellicola quando all’inizio degli anni ’80 scrisse il
soggetto del film Dances with Wolves (Balla coi Lupi). Ma visto che
il cinema western era ormai dato per morto e sepolto, all’inizio
nessun produttore volle acquistarlo (tutti quelli che l’hanno avuto
tra le mani, ora saranno ancora lì a mordersele dalla rabbia…).
Fu
Kevin Costner, l’attore protagonista del precedente film scritto da
Blake, a incoraggiare l’autore a trasformare quel soggetto in un
romanzo nel 1986, in modo che ci fossero poi maggiori possibilità di
farne un film. Ci vollero altri due anni per trovare un editore che
pubblicasse il libro, ma lo stratagemma funzionò oltre le
aspettative, visto che divenne subito un best seller (tradotto anche
in italiano da Sperling e Kupfer).
Poiché
Costner era stato abbastanza previdente da opzionare i diritti di
Balla coi Lupi, fu lui stesso a dirigerne e interpretarne la versione
cinematografica, ovviamente sceneggiata da Blake, che uscita nel 1990
fece incetta di premi, tra cui ben sette Oscar. Eppure a ben vedere
non era poi una storia originalissima…
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Paul Newman è John Russel nel film Hombre (1967) |
L’idea
del bianco adottato dagli indiani non era per niente nuova, neanche
per il cinema. Una parte simile fu interpretata per esempio anche da
Paul Newman, nel film del 1967 Hombre, in cui è appunto un bianco
che vive con gli Apache e che cerca di fare gli interessi dei suoi
fratelli rossi contro coloro che li derubano, mentre la trama rievoca
in parte quella di Ombre Rosse, solo che qui gli aggressori sono dei
banditi bianchi.
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Balla coi Lupi, poster originale (1990) |
Ma
soprattutto Balla coi Lupi ricalca da vicino la trama de Un Uomo
Chiamato Cavallo, anch’egli adottato dagli indiani da adulto,
sposatosi tra di loro e schieratosi al loro fianco per difendere il
villaggio da un attacco di indiani nemici. Ad accentuare
ulteriormente il parallelo c’è il fatto che gli indiani di Balla
coi Lupi, che in origine nel libro erano dei Comanche, al cinema
divennero Sioux, proprio come nel modello precedente.
Ma
la nuova pellicola aveva uno stile più moderno e accattivante, oltre
che più furbo. Gli elementi duri e violenti della cultura Sioux, che
caratterizzavano Un Uomo Chiamato Cavallo, in Balla coi Lupi sono
molto ammorbiditi, quasi a rappresentare gli indiani in modo un po’
edulcorato. Certi dettagli truci, che per la verità nel romanzo di
Blake sono presenti, nel film passano sotto silenzio, come gli scalpi
appesi alle maniche degli indiani, che se ci si fa caso ci sono anche
al cinema ma qui non sembrano essere notati dal protagonista.
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Kevin Costner è Balla coi Lupi nel film omonimo del 1990 |
Soprattutto
dalla versione più diffusa del film fu tagliata la scena in cui si
scopre che gli indiani hanno torturato e ucciso certi cacciatori di
bisonti… Nel libro quindi il protagonista sa bene di unirsi a dei
nativi che hanno l’abitudine di massacrare i bianchi, se compiono
quelli che ai loro occhi appaiono dei crimini, mentre nel film dopo
il taglio di quella scena sembrano una tribù che coi bianchi non ha
avuto quasi mai a che fare.
Nel
romanzo anche la strage della famiglia della futura sposa di Balla
coi Lupi è stata compiuta da quegli stessi indiani Comanche che
l’hanno adottata da bambina, mentre nel film è attribuita ai loro
nemici Pawnee.
Inoltre
in Balla coi Lupi, Blake e Costner hanno l’accortezza di rendere
ogni scena più comprensibile e facile da seguire, traducendo in
sottotitoli l’autentica lingua Sioux Lakota parlata dagli indiani e
facendo raccontare la storia dalla voce fuori campo del protagonista.
Altrimenti molte scene avrebbero dovuto essere mute o poco chiare,
date le iniziali difficoltà di comunicazione con gli indiani. Come
risultato, anche se il film di Costner dura tre ore, è molto più
scorrevole del suo precursore del 1970 che di ore ne durava meno di
due.
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Balla coi Lupi, un'edizione italiana del romanzo (1991) |
Rispetto
a Un Uomo Chiamato Cavallo, la principale novità di Balla coi Lupi
sta nel fatto che chi si converte al modo di vivere indiano prendendo
il nome del titolo è un ufficiale dell’esercito, il tenente John
Dunbar.
Tale
novità comunque può valere per il cinema ma non certo per il
fumetto, visto che, come abbiamo già notato in una precedente
puntata, una scelta molto simile era già stata compiuta oltre
trentacinque anni prima dal Sergente Kirk, l’eroe rinnegato creato
in Argentina da German Oesterheld e Hugo Pratt.
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Graham Greene è lo sciamano Uccello Scalciante in Balla coi Lupi |
Un’altra
differenza è che Balla coi Lupi, come Kirk, non è fatto prigioniero
dagli indiani ma si unisce a loro spontaneamente. Poi però si sposa
con una donna bianca da loro adottata, mentre l’Uomo Chiamato
Cavallo sposava una donna sioux. Almeno dal punto di vista
dell’integrazione razziale, pare quindi che certi film filo-indiani
precedenti potessero riuscire ad apparire più progressisti rispetto
a un film dei 1990…
Inoltre
Un Uomo Chiamato Cavallo aveva più coerenza storica, essendo
ambientato in un XVIII secolo in cui veramente i Sioux potevano non
aver mai visto un bianco, e ricostruiva con maggior cura e precisione
i loro usi, riti e costumi. In Balla coi Lupi, anche se ci si
preoccupa di far parlare ad attori indiani di vari popoli la vera
lingua Lakota, gli autori commettono errori storici madornali
considerando Comanche e Sioux quasi interscambiabili. Tutto il
discorso del capo Dieci Orsi sui passati rapporti con Spagnoli,
Messicani e Texani nel libro poteva benissimo attenere alla storia
dei Comanche, che vivevano ai confini del Texas, ma nel film non è
più molto verosimile perché gli indiani sono diventati Sioux, e i
Sioux vivevano molto più a Nord…
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Bocca del Diavolo - edizione italiana - da Comic Art n°72 (1990) |
Nei
fumetti intanto gli indiani erano ancora abbastanza in letargo, a
parte qualche saltuaria apparizione di indiani moderni, come il
medium Godfrey su Dylan Dog n°30 o gli operai nativi americani che
lavorano sui grattacieli in costruzione nel bel romanzo a fumetti
francese Bocca del Diavolo, scritto e disegnato in modo splendido
rispettivamente da Jerôme Charyn e François Boucq e pubblicato nel
1989 dall’editrice Casterman.
In
questa storia l’anziano indiano Red Eagle (Aquila Rossa) ha un
ruolo importante innanzitutto nel condividere alcuni riti della sua
cultura per contribuire all’evoluzione interiore del protagonista,
la giovane spia sovietica Yuri, alias Billy Budd, che in missione
negli Stati Uniti decide infine di tradire la sua vecchia causa,
avendo preso gradualmente coscienza dei metodi violenti e spietati
dei suoi superiori.
Red
Eagle, da buon guerriero indiano, nel finale aiuterà Yuri-Billy
anche ad affrontare fisicamente i suoi avversari, ovvero i suoi
ex-capi che ormai hanno intenzione di eliminarlo. In un paio di punti
particolarmente enigmatici e affascinanti della storia, sembra
addirittura che l’anziano pellerossa usi la magia indiana.
Bocca
del Diavolo è uscito in Italia a puntate su Comic Art dal n°71 al
73, nel 1990, e poco dopo in volume.
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La strage di Wounded Knee da Martin Mystère n°125 (SBE,1992) |
Sulla
scia del successo di Balla coi Lupi, un altro piccolo parziale
disgelo si ebbe anche nel 1992 su Martin Mystère n°125, con
l’episodio Neve d’Agosto scritto da Michelangelo La Neve e
disegnato da Giancarlo Caracuzzo. La storia rievoca direttamente la
strage di Wounded Knee, l’ultima compiuta dagli Americani ai danni
dei nativi, tirando in ballo complotti che potrebbero provocare di
nuovo qualcosa di simile.
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Martin Mystère n°125 (SBE,1992) |
Mystère
e Java compiono in pratica una sorta di percorso iniziatico, un vero
e proprio viaggio sciamanico che dovrebbe realizzare una precisa
visione e che sarebbe stato profetizzato in degli antichi dipinti
indiani. In un Agosto innevato come quello che ci fu nel Sud Dakota
nel 1890, poco dopo il centenario di quella strage, i due
protagonisti accompagnano sul luogo in cui avvenne alcuni giovani
discendenti dei superstiti, per aiutarli a chiudere il cerchio e
ripristinare l’equilibrio perduto. In pratica devono riuscire a
rendere di nuovo integra l’anima spezzata di un popolo, anche se,
per quanto sia poetico, cosa significhi di preciso tutto ciò e come
sia possibile rimane molto vago e viene spiegato solo richiamandosi
genericamente alla magia indiana.
Neve
d’Agosto è un racconto a tratti fantastico, con Mystère che
grazie alla suggestione indiana spinge oltre i limiti la resistenza
del suo corpo al freddo e alla fatica. Gli autori rievocano il
genocidio compiuto dai bianchi schierandosi totalmente dalla parte
dei Nativi Americani e mostrando come possibile il ripetersi di quel
tipo di violenze (cosa che negli anni del terrorismo globale non
appare più nemmeno come una gran forzatura…).
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L'Ultimo dei Mohicani (versione del 1992), poster originale |
Con
l’inatteso successo di Balla coi Lupi non ci volle molto perché
apparissero anche altri film western, in alcuni casi con la cultura
indiana messa nuovamente in primo piano e vista con più rispetto che
in passato.
Uno
dei primi fu l’ennesima versione cinematografica del romanzo
L’Ultimo dei Mohicani, diretta da Michael Mann nel 1992. Del resto
anche Occhio di Falco, il protagonista del ciclo della frontiera di
Fenimore Cooper qui ottimamente interpretato da Daniel Day-Lewis, è
un bianco adottato dagli indiani proprio come Balla coi Lupi, anche
se dimostra di essere dotato di ben maggiore esperienza e abilità
guerresca. L’urone Magua, il cattivo della storia, è invece
interpretato da Wes Studi, lo stesso attore nativo americano che in
Balla coi Lupi era il capo degli indiani Pawnee nemici dei Sioux e
che qui ha modo di farsi notare molto di più.
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L'urone Magua da The Last of the Mohicans n°3 (Marvel,2007) |
In
fondo la vecchia tendenza a dividere gli indiani in buoni e cattivi
resisteva, ma la discriminante non era più nel vedere come indiani
buoni quelli alleati dei bianchi. Anzi, visto che i bianchi e i
soldati erano ormai visti per lo più come cattivi, ora gli indiani
loro nemici potevano più spesso essere considerati come i buoni…
La
conseguenza fu che una volta tanto, nel 1993, si poté vedere un film
abbastanza obiettivo su uno dei più importanti capi apache,
considerato a lungo in molti film e fumetti solo alla stregua di un
sanguinario assassino, anche a causa di molte menzogne ed
esagerazioni diffuse sul suo conto dai giornali americani.
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Geronimo in una foto del 1898 |
Nel
film scritto da John Milius e diretto da Walter Hill intitolato
Geronimo: an American Legend (e in italiano più semplicemente
Geronimo), per la prima volta la parte del titolo andò a un nativo
americano autentico. Nei film precedenti questi potevano interpretare
ogni ruolo tranne essere i protagonisti… e anche qui vari
personaggi rilevanti interpretati da attori bianchi hanno quasi più
spazio di Geronimo. Comunque l’onore toccò proprio a Wes Studi,
che al terzo film in quattro anni poté infine scrollarsi di dosso il
ruolo stereotipato del cattivo per interpretare un eroe indiano molto
più sfaccettato e dotato giustamente di luci e ombre.
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Geronimo, poster originale del film del 1962 |
In
realtà non era la prima volta che Geronimo era visto sotto una luce
un po’ più positiva. Già nel 1962 il capo apache era stato
protagonista di un film intitolato Geronimo!, diretto da un certo
Arnold Laven, ma naturalmente ai quei tempi era stato interpretato da
un attore anglosassone, Chuck Connors.
Ma
il film di Hill, ambientato nell’ultimo anno prima della resa di
Geronimo, a parte poche concessioni romanzesche è storicamente ben
più accurato di ogni altra pellicola precedente in cui questi sia
mai apparso. Le violenze del protagonista non sono nascoste ma
neanche sbandierate e si spiegano come vendette per le stragi che i
bianchi compirono per primi contro gli Apache, anche per fomentare la
guerra per i loro scopi.
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Geronimo interpretato da Wes Studi nel film del 1993 |
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Geronimo, poster italiano del film del 1993 |
Si
mette anche l’accento sull’amicizia di Geronimo verso un
ufficiale che tratta gli indiani con rispetto e che gli ruba un po’
la scena, il tenente realmente esistito Charles Gatewood, che gli
Apache chiamavano Grande Naso Capitano e che fu davvero colui che
alla fine riuscì a convincere Geronimo ad arrendersi.
Ma
il miglior attore del film è Robert Duvall nel ruolo del cacciatore
di indiani Al Sieber, personaggio storico che sembra uscito da un
episodio di Blueberry e che paradossalmente muore per difendere un
apache.
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Geronimo, poster originale del film del 1993 |
Nel
finale, oltre a far notare come le promesse dei bianchi non furono
mantenute, visto che a Geronimo e ai suoi non fu permesso mai più di
tornare nelle loro terre, si vede anche come non furono arrestati ed
esiliati in Florida solo i membri della sua banda ma tutti gli Apache
Chiricahua della zona, anche quelli che non avevano combattuto contro
gli Americani ed erano rimasti più o meno pacificamente nelle
riserve.
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Il vero Chato in una foto d'epoca |
Tra
gli Apache ingiustamente esiliati c’è anche il capo guerriero
Chato, anch’egli realmente esistito, che dopo aver accettato la
pace con gli Americani aveva aiutato il generale Crook a ritrovare
Geronimo quando fuggì in Messico. Per una semplificazione narrativa
nel film Chato è trasformato da capo apache in una delle guide
indiane dell’esercito che accompagnano poi da Geronimo anche il
tenente Gatewood. Comunque anche le guide apache in questione furono
premiate dai bianchi per i loro servigi con la prigionia e l’esilio
in Florida…
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Floyd Red Crow Westerman è il capo Dieci Orsi in Balla coi Lupi. Ritroviamo l'attore anche in Jonathan degli Orsi. |
Nel
1993 arrivò anche un Balla coi Lupi nostrano, ovvero Jonathan degli
Orsi, film italo-russo rispettivamente diretto e interpretato da due
veterani degli spaghetti-western, Enzo Castellari e Franco Nero.
Quest’ultimo è Jonathan Kowalsky che, rimasto orfano da bambino, è
stato allevato prima da un orso e poi dagli indiani.
Un
legame diretto con Balla coi Lupi è costituito dalla presenza anche
qui dell’attore Floyd Red Crow Westerman, che in entrambe le
pellicole interpreta un capo sioux e per la precisione il capo Dieci
Orsi dei Lakota nel film di Costner e il capo Tawanka dei Dakota nel
film di Castellari. Alla distinzione tra queste due nazioni sioux, i
Lakota che vivevano nelle vaste praterie dell’Ovest e i Dakota che
invece vivevano presso le foreste del Nord, corrisponde correttamente
l’ambientazione abbastanza diversa dei due film.
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Franco Nero e Melody Robertson nel film Jonathan degli Orsi |
Anche
in Jonathan degli Orsi la cultura indiana è rappresentata con
rispetto, con prese di posizione non solo antirazziste (con Jonathan
che tra l’altro sposa una sioux, benché interpretata da un’attrice
anglosassone) ma anche ecologiche, visto che i “cattivi” di turno
vogliono impossessarsi delle terre indiane per il petrolio.
Per
trovare un ambiente abbastanza incontaminato Jonathan degli Orsi fu
girato in Russia e, non disponendo di altri attori Nativi Americani
oltre a Westerman, molti indiani sono interpretati da comparse di
stirpe mongola, ma nonostante lo sforzo produttivo nell’insieme
trama e messa in scena risultano un po’ antiquate.
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Jonathan degli Orsi, poster italiano (1993) |
In
effetti il barbuto personaggio di Jonathan Kowalsky impersonato da
Franco Nero, somiglia molto a quello di Keoma da lui interpretato nel
film omonimo del 1976, sempre diretto da Castellari che dichiarò di
considerarlo il suo capolavoro. Keoma, al contrario di Jonathan, è
un mezzosangue allevato dai bianchi ma bistrattato e umiliato dai
fratellastri, in un film che non mostra nulla dei veri Nativi
Americani ed esprime solo una generica denuncia contro il razzismo,
ma che sotto molti aspetti risulta più evocativo e coinvolgente,
anche grazie all’incalzante colonna sonora di Guido e Maurizio De
Angelis che ricorda le ballate di Joan Baez.
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Franco Nero è Keoma nel film omonimo del 1976 |
Tra
i due film, oltre all’aspetto di Franco Nero, ci sono anche altri
punti in comune, con entrambi gli eroi che a un certo punto vengono
crocifissi, in scene simboliste degne di un film o un fumetto di
Jodorowski.
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Pocahontas nel film Disney del 1995 |
Anche
la Disney seguì la nuova tendenza, producendo come suo 33°
lungometraggio d’animazione il film Pocahontas, diretto da Mike
Gabriel e Eric Goldberg e uscito nel 1995, il cui stile sotto molti
aspetti è molto più realistico e accurato dal punto di vista
storico ed etnologico di tutti i film disneyani precedenti.
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Una scena dal film Pocahontas (1995) |
La
pellicola però si basa solo a grandi linee sulla vera storia
dell’omonima giovane “principessa” degli indiani Powhatan, che
agli inizi del XVII secolo salvò veramente la vita del capitano John
Smith catturato dal suo popolo, intercedendo presso il capo suo padre
e impedendo in extremis che venisse giustiziato.
Tale
scena ne avrebbe ispirate altre analoghe in tanti racconti
dell’immaginario western, da Salgari a Tex.
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Pocahontas in un ritratto del 1616 |
Pocahontas
è la trascrizione inglese del soprannome Pokahantesù, che in
algonchino significa Colei che si Diverte con Qualcosa, ma il vero
nome indiano della protagonista era Matoaka (Colei a cui Piace
Giocare). Sono evidentemente nomi appropriati per una bambina e tale
era Pocahontas all’epoca degli avvenimenti, visto che a detta del
capitano Smith quando lo salvò nel 1608 aveva solo undici anni,
mentre secondo altre fonti poteva averne al massimo tredici. Invece
nel film, come nella leggenda che col tempo travisò quei fatti, la
principessa indiana è una ragazza in età da marito, il ché rende
possibile la famosa storia d’amore con John Smith che nella realtà
non sembrerebbe esserci mai stata, data anche la sua tenera età.
Comunque non avendo la vera Pocahontas lasciato nessuno scritto,
poiché non sapeva leggere né scrivere, nessuno può sapere con
certezza quali fossero i suoi veri sentimenti verso lo straniero che
aveva salvato.
Anche
i contrasti tra i Powhatan e la prima colonia della Virginia nel film
Disney sono molto semplificati. In realtà i Powhatan erano una
confederazione di almeno trenta tribù diverse suddivise in circa
duecento villaggi. Quindi se avessero voluto avrebbero potuto
sterminare con facilità la piccola colonia di Jamestown.
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Pocahontas nel film The New World del 2005, interpretata da Q'orianka Kilcher |
Molto
più fedele alla realtà storica è il bel film dal vero diretto con
la consueta sensibilità poetica da Terrence Malick nel 2005
intitolato The New World (Il Nuovo Mondo), con Colin Farrell nella
parte di John Smith.
Anche
qui Pocahontas all’inizio sembra un po’ troppo grande, visto che
per tutto il film è interpretata dalla stessa attrice, la cantante
peruviana allora quindicenne Q'orianka Kilcher, ma almeno in questo
film si comporta più da bambina sognatrice che da vera e propria
amante innamorata. Inoltre nel film di Malick si mostra come i
Powhatan rifornirono di cibo gli invasori bianchi quando rischiavano
di morire di fame…
Si
racconta inoltre il seguito della vicenda dopo la partenza di John
Smith, con Pocahontas che a diciassette anni è presa in ostaggio a
tradimento dai coloni e a diciannove sposa il gentiluomo inglese John
Rolfe (qui interpretato da Christian Bale), che la porta con sé in
Inghilterra dove muore di vaiolo a soli ventidue anni.
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Tie My Bones to Her Back di Robert F. Jones - copertina originale (1996) |
Naturalmente
anche in campo strettamente letterario non mancarono gli emuli di
Balla coi Lupi.
Per
esempio lo scrittore americano Robert F. Jones narrò a sua volta di
un uomo e di una donna bianchi adottati dagli indiani nel romanzo del
1996 Tie My Bones on Her Back ("Legate le Mie Ossa al Dorso di Lei"),
poi ribattezzato più semplicemente The Buffalo Runners ("I
Contrabbandieri di Bisonti") e pubblicato invece in Italia col titolo
Sulle sue Tracce Vanno i Lupi Bianchi. I protagonisti sono due
americani d’origine tedesca fratello e sorella, Otto e Jenny
Dousmann, che inizialmente vanno insieme a caccia di bisonti in
territorio indiano, in totale dispregio dei trattati che a quei tempi
praticamente nessun bianco osservava.
Nelle
loro cacce alle mandrie delle praterie Otto e Jenny sono accompagnati
tra gli altri dal mezzosangue Tom Shields, il cui vero nome è Two
Shields (Due Scudi), che paradossalmente usa i soldi che guadagna con
la caccia ai bisonti per comprare in segreto dei fucili a ripetizione
destinati ai suoi fratelli Cheyenne.
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Tie My Bones to Her Back, edizione italiana (Rizzoli,1998) |
Dopo
che Jenny è stata violentata da altri due cacciatori e Otto ha perso
un braccio e quasi tutte le dita in una tormenta di neve, i due
fratelli si rifugiano presso la famiglia cheyenne di Tom e in breve
si integrano nella vita del villaggio, diventando due veri cacciatori
e guerrieri indiani, nonostante l’una sia una donna e l’altro un
mutilato, al punto da essere altrettanto spietati dei veri cheyenne
verso i loro nemici bianchi. Il romanzo di Jones è infatti molto più
crudo e realistico rispetto al relativamente edulcorato Balla coi
Lupi.
Gli
indiani qui appaiono sotto due punti di vista opposti e
complementari, quello di un popolo ridotto alla fame dai bianchi, al
punto che certe madri sono costrette a sopprimere in segreto i figli
appena nati per aumentare le possibilità di sopravvivenza degli
altri, e quello di chi li considerava dei feroci selvaggi, che tra
l’altro smembravano i nemici uccisi cosicché i loro spiriti così
mutilati non fossero in grado di vendicarsi.
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Magico Vento 1 (SBE,1997) |
L’anno
dopo l’uscita del romanzo di Jones apparve in un fumetto un
ennesimo bianco adottato dagli indiani, che combatterà dalla loro
parte senza farsi troppi scrupoli nell’uccidere i soldati americani
in battaglia.
Nel
1997, con la serie della Bonelli Magico Vento scritta da Gianfranco
Manfredi, toccò ancora una volta a un militare, un uomo che ha perso
la memoria di nome Ned Ellis, unirsi alla Nazione Sioux, stavolta
diventando un loro sciamano. La faccenda dell’ex-soldato che
diventa sioux può ricordare Balla coi Lupi, ma il volto del
protagonista è ispirato all’attore Daniel Day-Lewis come appare
nel film L’Ultimo dei Mohicani.
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Magico Vento 16 - disegno a china della copertina (SBE,1998) |
Soprattutto
all’inizio in Magico Vento si fondono western e horror e in questo
senso è anche significativo che come spalla dell’eroe sia stato
scelto proprio un giornalista soprannominato Poe, praticamente
identico al famoso scrittore americano che fu al tempo stesso uno dei
più grandi autori di storie gotiche e il precursore di quelle
d’ambientazione western. Western e horror sono anche i generi con
cui la Bonelli aveva riscosso in precedenza i maggiori successi
grazie al classico Tex e al nuovo eroe Dylan Dog.
Una
simile commistione poteva ricordare troppo Zagor, ma la precisione
nella ricostruzione di un’epoca e nei riferimenti alla vera cultura
indiana, rendono la serie di Manfredi più moderna e originale, in
particolare dal punto di vista storico-etnologico, mentre i temi
trattati si spostano dall’horror alla vera vita degli indiani.
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Magico Vento e Poe - illustrazione di Goran Parlov |
Va
detto che Zagor, pur abbondando di citazioni cinematografiche e
letterarie e avendo subito col tempo un’evoluzione, resta un
personaggio tutto sommato classico, che pur senza essere infallibile
affronta conflitti in cui buoni e cattivi sono abbastanza distinti e
i personaggi citati mantengono le caratteristiche originarie.
Invece
in Magico Vento, come in Ken Parker prima di lui, ruoli e trame
risultano molto più sfumati e complessi e le storie si possono
definire veramente postmoderne, poiché rielaborano gli archetipi
narrativi delle avventure senza pretese del passato in racconti molto
più introspettivi e con ambizioni di maggior spessore letterario
(non va dimenticato che Gianfranco Manfredi è anche un autore di
romanzi…).
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Nuvola Rossa in Magico Vento n°16 - da Classici del Fumetto di Repubblica Serie Oro n°64 del 2005 |
Un
aspetto fondamentale della saga di Magico Vento, essendo questi uno
sciamano, è di addentrarsi a fondo nella spiritualità e nella
mitologia indiana, sviscerandoli come nessun fumetto seriale aveva
mai fatto prima.
Nel
n°16, disegnato da Goran Parlov, Ned inizia a incontrare famosi capi
sioux come Nuvola Rossa e Cavallo Pazzo, anche se per il momento solo
in delle visioni, in cui rivive in prima persona episodi del loro
passato.
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Cavallo Pazzo da Magico Vento n°100 (SBE,2005) |
È
curioso che in Magico Vento i capelli di Cavallo Pazzo siano biondi.
Forse siccome da giovane i suoi nomi erano Capelli Chiari e Ricciuto,
l’autore ha pensato fosse un mezzosangue. In realtà sia suo padre
che sua madre erano dei Sioux e, ammesso che avesse del sangue
bianco, è più facile che fosse al massimo castano.
Col
tempo Manfredi lasciò gradualmente sempre più da parte gli iniziali
elementi horror per concentrarsi di più sugli eventi storici,
riguardanti in particolare i conflitti tra indiani e bianchi, con
Magico Vento che combatte contro i soldati al fianco di Cavallo Pazzo
nei numeri 39 e 45, in cui appare anche Toro Seduto.
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Toro Seduto da Magico Vento n°39 (SBE,2000) |
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Magico Vento - La Guerra delle Black Hills (SBE,2016) |
Il
culmine epico della saga fu raggiunto col ciclo contenuto nei numeri
dal 97 al 101 (e ora raccolto dalla Bonelli in volume col titolo La
Guerra delle Black Hills). In quei cinque episodi Magico Vento
combatte nel corso di tutto il 1876 insieme a Toro Seduto e Cavallo
Pazzo, nella guerra in cui i Sioux e i loro alleati Cheyenne
ottennero importanti vittorie sul fiume Powder, sul Rosebud e
soprattutto sul Little Big Horn, con la sconfitta e la morte di
Custer. Quest’ultima battaglia in particolare, alimentando la sete
di vendetta dei bianchi che trovò sfogo in sistematici massacri dei
villaggi indiani, segnò però anche l’inizio di un declino sempre
più inarrestabile per la cultura e la nazione sioux, come si
comincia a vedere già nel corso del n°100.
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Cavallo Pazzo in una foto d'epoca (figurina de il Monello,1973) |
Il
n°101 di Magico Vento si conclude con la morte di Cavallo Pazzo, che
qui sembra essere ucciso alle spalle da un sioux della polizia
indiana, forse per non smentire la leggenda che potesse essere
colpito solo da quelli del suo popolo. In realtà sembra che a
colpirlo a un fianco con la baionetta fu un soldato d’origine
irlandese, mentre era tenuto fermo dal suo ex-amico sioux Piccolo
Grande Uomo. Comunque è un ennesimo fatto storico che gli autori non
possono che registrare e cercare di raccontare in modo coinvolgente,
ma che dovette determinare uno shock nei lettori dato che da quel
momento le vendite subirono un netto calo.
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Magico Vento 98 (SBE,2005) |
Ciò
portò alla decisione di mettere in atto un piano di chiusura della
serie, che diventata bimestrale si concluse nel 2010 col n°130, a
cui seguì uno speciale in cui si recuperarono storie in precedenza
scartate. Nell’ultimo numero, dopo aver assistito alla definitiva
sconfitta del popolo Sioux e aver vissuto altre avventure, Ned Ellis
rinuncia infine alle sue doti sciamaniche per vivere una vita più
tranquilla e pacifica.
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Magico Vento 1 - versione a colori in inglese (Epicenter Comics,2013) |
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Magico Vento n°8 in versione croata (Panini) |
A
distanza di appena tre anni dalla chiusura, nel 2013 si tentò in
qualche modo un rilancio con la ristampa a colori Magico Vento
Deluxe, pubblicata dalla Panini in contemporanea all’edizione
americana edita dalla Epicenter Comics col titolo tradotto in Magic
Wind (Magico Vento è stato inoltre pubblicato anche in paesi come
Francia, Croazia, Brasile e India). Ma evidentemente in Italia era
presto per un’operazione simile, considerato anche che i contrasti
in bianco e nero erano adeguati al tono cupo della serie e quindi
l’aggiunta del colore, almeno in questo caso, non era
particolarmente indicata. È quindi comprensibile che la serie a
colori di Magico Vento da noi non abbia venduto granché e si sia
conclusa dopo appena due anni col n°25.
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Magic Wind n°6 (EpicenterComics,2013) |
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Magic Wind - anteprima di Magico Vento versione USA |
1995-2015:
Nativi Americani di ieri e di oggi
L’idea
di trattare il tema dei moderni indiani delle riserve, ambientando
nel XX secolo delle storie a fumetti sulle loro condizioni, prima
ancora che dallo svizzero Derib era già stata partorita negli anni
1970 dal genio ancora grezzo del nostro Andrea Pazienza, addirittura
in un paio dei suoi primi racconti giovanili, purtroppo però mai
finiti né pubblicati all’epoca e rimasti senza titolo. Il primo,
di cui Pazienza realizzò nel 1976 solo le nove grandi tavole
iniziali, è stato pubblicato per la prima volta nel 1995 in un
portfolio di Art Core Edizioni.
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Lo cheyenne Leonardo Da Vinci da un portfolio di Andrea Pazienza (Art Core,1995) |
È
una storia ambientata durante la II Guerra Mondiale di cui è
protagonista tra gli altri un indiano cheyenne dal curioso nome di
Leonardo Da Vinci. Questi, vista l’inutilità delle dimostrazioni
pacifiche facilmente sedate dalla violenza poliziesca, per
rivendicare l’indipendenza del suo popolo e attirare l’attenzione
mondiale si reca in Africa alla ricerca di un’arma segreta, in
competizione con agenti di vari paesi tra cui un italiano fascista.
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Santi Numi da Tutto Pazienza vol.12 (Gruppo L'Espresso,2016) |
Il
secondo racconto parla delle proteste di uno studente indiano di nome
Santi Numi, in cui si riconosce la condizione del giovane Andrea
Pazienza di allora, venuto dal Sud a studiare a Bologna, ma di quella
storia disegnò solo due pagine, nel 1977, in quello stile lisergico
che caratterizzava il contemporaneo Pentothal.
Questo
piccolo frammento è stato pubblicato per la prima volta soltanto
nell’agosto del 2016, sul volume 12 della collana Tutto Pazienza,
attualmente in corso di pubblicazione allegata a La Repubblica e
L’Espresso.
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Plume aux Vents 2 (Dargaud,1996) |
Da
fine anni 1990 in poi le nuove storie a fumetti dalla parte dei
Nativi Americani hanno per lo più carattere episodico, di singoli
volumi o miniserie. Come succede al cinema, gli autori che tornano a
trattare il tema, cercano di affrontarlo da punti di vista inediti,
per non ripetere i logori e ingenui archetipi del passato né cadere
in un loro troppo semplicistico rovesciamento, coinvolgendo quindi
anche generi diversi dal western.
Tra
il 1995 e il 2002 la saga storica di cappa e spada seicentesca de Le
Sette Vite dello Sparviero, dei francesi Patrick Cothias e André
Juillard, fu dirottata dai due autori in un sequel conclusivo
costituito da quattro album ambientati nelle Americhe e intitolato
Plume aux Vents (Piuma al Vento). Il titolo si riferisce al nome dato
dai Nativi Americani alla protagonista, la giovane baronessa Ariane
de Troïl, che giunge tra i Irochesi in uno stato confusionale a
seguito di una serie di tragici eventi. È alla ricerca dell’uomo
che ha da poco scoperto essere il suo vero padre e che presso quel
popolo è ora considerato l’incarnazione dello spirito del Falco
Tonante, il loro dio delle tempeste, perché è dotato come lui di un
solo occhio e di un solo braccio.
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Plume aux Vents 3 (Dargaud,2001) |
Dopo
aver umiliato un capo guerriero degli Onondaga che la voleva come
propria moglie e aver ucciso un emissario di quello stesso popolo che
voleva riportarla indietro dopo la sua fuga, Ariane è praticamente
adottata da una famiglia di indiani Mohawk che per proteggerla è
costretta a lasciare la propria gente e a rifugiarsi presso i nemici
Mohicani. Gli indiani le danno il nome di Piuma al Vento quando la
sua mente vaga come assente e di Leonessa di Montagna quando cade
improvvisamente in preda a una furia incontrollata.
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Plume aux Vents 3 (Dargaud,2001) |
In
pratica tutti i personaggi positivi di Piuma al Vento si schierano
dalla parte della cultura indiana.
Ariane
per un periodo vive felice tra gli indiani e grazie a loro riesce a
liberarsi dai demoni interiori che la perseguitano, mentre suo padre
Gabriel, pur essendo un francese, per un po’ cerca di convincere i
nativi a combattere per difendersi dall’invasione dei bianchi,
ricacciandoli in mare finché sono ancora in tempo.
Anche
lo spadaccino Germain Grandpin, destinato infine a diventare il
compagno di Ariane, prende le difese degli indiani contro chi
vorrebbe convertirli con la forza e distruggerne la cultura e anche
per questo rischia seriamente di essere impiccato insieme al suo
maestro Gabriel de Troïl. Ma è semplicemente impossibile riassumere
la bellezza di questa storia truce e coinvolgente, dove sono mostrate
anche le torture e altre usanze violente degli indiani, senza che ciò
riesca a offuscare il fascino del loro modo di vivere. Piuma al Vento
è un vero fumetto postmoderno in cui tutti i luoghi comuni del
feuilleton sono ancora presenti ma vengono al tempo stesso superati,
grazie da una messa in scena progressista, sensibile e priva di
censure.
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Alcuni dei personaggi di Piuma al Vento - da Plume aux Vents 4 (Dargaud,2002) |
Il
principale personaggio indiano della storia, che resta fino alla fine
al fianco di Ariane, Germain e Gabriel è un mohawk omosessuale di
nome Bello, che ama e difende Ariane, dimostrando infine uno spirito
così acuto da acquisire col tempo un’enorme cultura e compiere le
stesse osservazioni astronomiche di Galileo.
Piuma
al Vento è stata pubblicata in Italia per la prima volta in quattro
album delle Edizioni Lizard e poi raccolta in un unico volume
cartonato sul n°13 della collana Historica, pubblicato dalla
Mondadori nel 2013.
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Wyoming Doll (Dargaud,1999) |
È
molto originale e umanamente toccante anche il singolo album
intitolato Wyoming Doll (Bambolina del Wyoming), scritto e disegnato
da Franz Drappier e pubblicato in Francia dalla Dargaud nel 1999. Qui
un guerriero sioux e un ragazzo bianco finiscono per diventare amici,
poiché tutti e due hanno deciso di salvare e proteggere una bambina
irlandese rapita dagli indiani Corvi che ne avevano sterminato la
famiglia. La piccola, appena condotta in salvo, praticamente adotta
entrambi come suoi tutori e, anche dopo che l’hanno condotta al
sicuro presso una famiglia irlandese, i due continuano a vegliare da
lontano su di lei.
Wyoming
Doll è stato pubblicato in Italia dall’Editoriale Cosmo nel 2014,
sul n°12 della collana Cosmo Color.
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Black Hills 1890 vol 2 (Glénat,2000) |
Sempre
nel 1999 iniziò la serie in quattro album Black Hills 1890, scritta
da Yves Swolfs, disegnata da Marc-Renier e pubblicata anch’essa in
Francia dalla Glénat. Ne abbiamo già parlato in un paio di Angoli
del Bonellide, ma è d’obbligo citarla anche qui, essendo una delle
serie recenti più schierate in difesa dei Nativi Americani,
attraverso la realistica rievocazione dell’anno che segnò la fine
delle loro speranze di riscatto.
Nei
primi due numeri di Black Hills assistiamo alla ribellione armata di
alcuni giovani guerrieri sioux eccitati da certi aspetti della nuova
religione, peraltro di per sé del tutto pacifica, incentrata sulla
Danza degli Spiriti diffusa dal profeta Wovoka. Pur non approvando la
condotta di quei ragazzi, ad aiutarli a sfuggire all’esercito
saranno i due bianchi protagonisti, la guida Lewis Kayne, marito
vedovo di una donna sioux perseguitato dallo spettro della moglie
morta, e il fotografo francese Armand Lebon, membro di
un’associazione di Amici degli Indiani. Quest’ultimo si trova di
fronte a una realtà ben diversa da quella che si aspettava, una
realtà fatta di miseria e di continui ladrocini ai danni di popoli
una volta fieri e ormai ridotti a elemosinare o morire.
|
Black Hills 1890 vol 3 (Glénat,2003) |
L’acme
della serie si raggiunge nel n°3, in cui, dopo il racconto
dell’uccisione di Toro Seduto, è ricostruita in modo altrettanto
realistico l’ultima strage in cui i soldati sterminarono quasi
trecento Sioux Miniconjou, tra uomini, donne e bambini, compreso il
capo Alce Maculata detto Piede Grosso, nella valle del torrente
chiamato in sioux Cankpe Opi Wakpala (Dove il Ragazzo si Ferì al
Ginocchio), o in inglese Wounded Knee.
Nel
quarto e ultimo numero, vediamo ancora qualche arbitrario omicidio di
nativi da parte di un assassino bianco che Armand cerca per vendicare
l’amico Lewis e la sua famiglia indiana. La nota di speranza su cui
la serie si chiude è l’amore tra il fotografo francese e la
giovane sioux Piccola Colomba, da lui salvata dalla strage di Wounded
Knee, un idillio che però potrà essere vissuto liberamente e senza
problemi solo quando i due innamorati si saranno lasciati
definitivamente alle spalle le terre del West per trasferirsi in
Europa…
Black
Hills 1890 è stata pubblicata in Italia direttamente in due albi
formato bonellide dall’Editoriale Cosmo.
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Alce Bianco da Bouncer 5 (Les Humanoides Associés, 2006) |
Abbiamo
già parlato in un apposito Angolo del Bonellide anche della serie
Bouncer (letteralmente Fanfarone ma anche Buttafuori), nata nel 2001
dalla fantasia di Alejandro Jodorowski e dall’espressivo estro
grafico di François Boucq ed edita in Francia da Les Humanoïds
Associés. Qui va citato il fatto che il protagonista è un
mezzosangue, figlio della prostituta Lola e dell’indiano White Elk
(Alce Bianco), e che alla morte del padre, essendo l’ultimo della
tribù dei Nacache, eredita il ruolo di custode delle terre sacre su
cui sorge Barro City, una violenta cittadina del West che fu fondata
proprio sterminando gli indiani che abitavano in quella zona.
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La strage dei Nacache da Bouncer 5 (Les Humanoides Associés, 2006) |
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Alce Bianco da giovane - frontespizio di Bouncer 4 (Les Humanoides Associés, 2005) |
Nel
sesto episodio si verifica un ennesimo massacro compiuto ai danni
degli Apache di una vicina riserva, compiuto da un gruppo di soldati
simili a volgari tagliagole. Sola superstite è la figlia del capo,
che Bouncer salva e accoglie nel suo saloon, impegnandosi poi a
vendicare con lei gli assassini dei loro fratelli indiani.
In
Italia Bouncer è stato pubblicato dal 2002 da Grifo Edizioni, per
poi essere ristampato e proseguito dalla Magic Press. Gli albi dal
terzo al quinto, che svelano il passato del padre indiano di Bouncer,
sono stati anche raccolti in volume da Mondadori nel 2009, sul n°33
della collana I Maestri del Fumetto allegata a Panorama. Dal 2013 la
Cosmo ne ha pubblicato la riedizione integrale in quattro albi
formato bonellide in bianco e nero.
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La strage degli Apache da Bouncer 6 (Les Humanoides Associés, 2008) |
È
iniziata nel 2001 ed è stata poi pubblicata in italiano in formato
bonellide dalla Cosmo anche un’altra serie edita in Francia da Les
Humanoïds Associés, Mille Visages (Mille Volti), scritta da
Philippe Thirault, disegnata da Marc Malès e conclusasi nel 2010
dopo cinque album, di cui l’ultimo disegnato con una grafica
particolarmente realistica e dinamica dal nostro Mario Janni, già
collaboratore di Nathan Never e Nick Raider.
La
storia si svolge tra il 1832 e il 1861 ed è ambientata in parte
presso una tribù sioux, il cui capo Cavallo Rosso, dopo essere stato
gravemente ferito da un puma, viene salvato dal chirurgo inglese
Frank Quinn, che si trovava misteriosamente sperduto e solo in quelle
terre selvagge. Quinn è quindi accolto tra gli indiani, che per il
suo impeto nella caccia lo chiamano Asunka (Focoso), e sposa poi
Aloona, la figlia del capo.
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Mille Visages 1 (Les Humanoides Associés, 2001) |
Intanto
dei flashback chiariscono un po’ per volta il passato di Quinn, che
è fuggito dall’Inghilterra perché perseguitato da un essere che
può possedere con la mente qualunque altra creatura vivente a cui
imponga il suo marchio, un essere le cui incarnazioni seguono Quinn
in America e che gli indiani chiamano Mille Volti.
Ma
Mille Volti, di cui pure scopriamo in flashback le origini, non è
l’unico personaggio di questa strana serie a essere dotato di
particolari poteri. Se si era interessato al dottor Quinn era per le
proprietà guaritrici del suo sangue e la sua minacciosa presenza è
percepita in sogno anche dallo sciamano sioux Chenmack. Appare poi
anche un ragazzo bianco dotato di poteri mentali, un ragazzo di nome
William Forrester che Quinn adotta dopo averlo salvato dal massacro
di una carovana compiuto dai suoi amici Sioux. Quando William grazie
a una visione riesce a salvare e a riportare indietro la figlia dello
sciamano che era stata rapita da Mille Volti, anche i Sioux lo
accettano definitivamente tra loro, dandogli il nome di Wanyanke
(Colui che Vede).
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Mille Visages 2 (Les Humanoides Associés, 2002 |
Sarà
appunto il giovane Wanyanke a portare avanti la lotta contro Mille
Volti, alla cui maligna e invincibile influenza gli autori alla fine
sembrano voler imputare praticamente quasi tutte le violenze, le
stragi, le ignominie e i tradimenti compiuti dai bianchi contro gli
Indiani d’America e non solo.
Benché
la storia sia narrata in modo complesso e sapiente, l’idea di tale
enorme responsabilità concentrata in un solo essere appare troppo
semplicistica, quasi una versione moderna del comodo alibi a cui
ricorrono i superstiziosi quando attribuiscono le loro colpe a
qualche demone che avrebbe controllato la loro volontà.
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Mille Visages 5 (Les Humanoides Associés, 2010) |
È
sempre nel 2001 che una giovane agente dell’FBI d’origine nativa
americana di nome Jessie Wingo appare con un ruolo di primo piano
nella storia L’Etrange Rendez-Vous (Lo Strano Appuntamento), 15°
volume della prestigiosa serie belga Le Avventure di Blake e
Mortimer, rispettivamente scritto e disegnato da Jean Van Hamme e Ted
Benoit, continuatori dei due personaggi creati da Edgar Jacobs. In
quell’albo alla fine sarà proprio la bellicosa Jessie ad
affrontare coraggiosamente e arrestare il loro arcinemico, il
colonnello Olrik.
Per
la verità, considerato che la storia in questione è ambientata
negli U.S.A. del 1954, quindi prima di tante lotte per i diritti
civili, la presenza di una donna e per di più mezzo indiana con un
grado piuttosto elevato all’interno del Federal Bureau of
Investigation statunitense potrebbe apparire leggermente
anacronistica.
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Mortimer incontra Jessie Wingo - da Les Aventures de Blake et Mortimer 15 (Dargaud-Lombard,2001) |
Potremmo
dire che gli autori abbiano voluto immaginare degli Stati Uniti un
po’ più illuminati e progressisti di quanto non fossero in realtà
negli anni 1950. In ogni caso il personaggio di Jessie Wingo riappare
anche nel 19° e nel 20° volume di Blake e Mortimer, sempre scritti
da Van Hamme e pubblicati tra il 2009 e il 2010, con la bella indiana
che nel secondo minaccia più volte di uccidere o di torturare il
perfido Olrik.
Tutti
e tre gli episodi in Italia sono stati pubblicati da Alessandro
Editore e ristampati nel 2016 sulla Collana Avventura allegata alla
Gazzetta dello Sport, che nei primi ventitre numeri ha ripubblicato
l’intera serie.
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Ethan Ringler (Dupuis) |
Chissà
che in qualche modo l’agente Jessie Wingo non abbia in parte
ispirato la serie belga Ethan Ringler Agent Fédéral, pubblicata
dall’editrice concorrente Dupuis tra il 2004 e il 2009, in cinque
album scritti da Denis-Pierre Filippi e disegnati da Gilles Mezzomo.
Anche il protagonista di questa serie è infatti un meticcio, figlio
illegittimo di un padre inglese produttore di armi e di una domestica
nativa americana che nel 1879, a diciassette anni, lascia la natia
Inghilterra per sbarcare a New York alla ricerca delle sue radici
indiane.
Ethan
nell’abbigliamento ricorda vagamente Bouncer, mentre lo stile dei
disegni riecheggia quello dell’ultimo Moebius, ma la sua principale
particolarità sta nel fatto d’essere un indiano del tutto
civilizzato che fino a quel momento ha conosciuto solo la vita in
Inghilterra e nulla della terra e della cultura di sua madre, tanto
che non sa neanche il nome della nazione e tribù a cui apparteneva,
il ché complica molto le sue ricerche.
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Ethan Ringler Intégrale (Dupuis,2010) |
È
molto ben scritta la narrazione in soggettiva con cui l’Ethan
Ringler futuro, che ha assunto il nome indiano Tecumska (Due Uomini),
racconta le sue avventure giovanili, di come diventa agente della
Polizia Federale ma anche guardia del corpo di un boss mafioso, un
pericoloso doppio gioco che il ragazzo accetta soprattutto nella
speranza di scoprire informazioni e indizi che gli facciano ritrovare
la tribù di sua madre.
Qualche
traccia in proposito arriva innanzitutto dall’aver stretto amicizia
con l’indiano Passo di Piuma, così chiamato perché uccide senza
far rumore. La tribù di Ethan alla fine costituisce l’elemento più
fantasioso della serie perché i suoi membri, chiamati Uomini Nebbia,
sarebbero diventati capaci di apparire e sparire a piacimento per non
essere né sottomessi ai bianchi né costretti a combattere contro di
loro. I nativi che invece vivono nelle baracche e tende del
cosiddetto quartiere indiano, anche in una città dell’Est come New
York sono ancora esposti agli attacchi violenti e sanguinari dei
bianchi, come si vede nel quinto episodio.
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Ethan Ringler n°3 - Collana_Western n°64 allegato_a_La Gazzetta dello Sport (2015) |
Ethan
Ringler in Italia è stato pubblicato per la prima volta a puntate
sulla rivista Skorpio e poi raccolto integralmente nel 2015 in tre
album della Collana Western allegata a La Gazzetta dello Sport.
Ha
mostrato le tristi condizioni in cui versano molte riserve indiane
nel mondo basato sul profitto dell’uomo bianco, anche lo
sceneggiatore scozzese Grant Morrison, specializzato in ripescaggi e
rielaborazioni di vecchi personaggi. Questi nel 2007, mentre scriveva
la serie regolare di Batman, tra le varie imitazioni apparse nelle
storie più ingenue e disinvolte degli anni ’50 rispolverò anche
una versione nativa americana dell’uomo pipistrello con tanto di
giovane aiutante, apparsa in precedenza in un singolo albo di Batman
del 1954.
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Man of the Bats alla sua 1°apparizione su Batman n°86 (DC,1954) |
I
due personaggi, inseriti da Morrison nel Club degli Eroi composto dai
Batman di Ogni Nazione risalente allo stesso periodo, sono il medico
William Grande Aquila e suo figlio, due sioux che con costumi simili
a quelli di Batman e Robin diventano Man of the Bats (Uomo dei
Pipistrelli) e Little Raven (Piccolo Corvo), tentando a loro volta di
opporsi a ingiustizie, violenze e sofferenze umane nella riserva
indiana del Sud-Dakota. Nella nuova storia del 2007, uscita su Batman
dal n°667 al n°669, il disegnatore J. H. Williams III li riveste
con nuovi costumi meno simili a quelli dei due famosi eroi e ispirati
allo stile decorativo dei popoli amerindi.
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Man of the Bats nuova versione da Batman Inc. n°7 (DC,2011) |
Sul
n°7 della serie Batman Inc., sempre scritto da Morrison e disegnato
da Chris Burnham nel 2012, si evidenzia come l’attività di
giustizieri di Uomo dei Pipistrelli e di suo figlio (che ora vuole
essere chiamato Corvo Rosso) debba svolgersi in un ambiente da terzo
mondo, senza poter minimamente contare su mezzi simili a quelli del
miliardario Bruce Wayne ma affrontando ogni evenienza arrangiandosi
alla meno peggio. L’episodio sarebbe potuto sembrare una parodia,
se non fosse stato carico di toni da denuncia sociale.
Batman
n°667, 668 e 669 sono usciti in Italia nel 2008, su Batman n°12
della Planeta De Agostini, mentre Batman Inc. n°7 è uscito nel 2012
su Batman n°56, l’ultimo della stessa serie, pubblicato dalla RW
Lion, per poi essere ristampato l’anno seguente sul volume Batman
Incorporated 2, sempre della RW Lion.
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Loup de Pluie 1 (Dargaud,2012) |
Nel
corso del 2012 sono apparsi anche altri tre più o meno effimeri
personaggi indiani a fumetti, prodotti in tre diversi paesi e molto
diversi anche nelle loro caratteristiche, sia dal punto di vista
narrativo che grafico.
In
Francia lo sceneggiatore Jean Dufaux e il disegnatore spagnolo Ruben
Pellejero hanno pubblicato presso Dargaud il primo dei due album
della loro breve serie Loup de Pluie (Lupo della Pioggia),
caratterizzata tra l’altro da una bellissima colorazione
espressionista e di cui la seconda parte è uscita l’anno seguente.
La
vicenda ha inizio con l’uccisione di un bianco, per legittima
difesa, da parte dell’indiano Lupo della Pioggia, figlio del capo
Nuvola Rossa. Da qui prende il via a una vera e propria faida,
nonostante i rapporti amichevoli che la potente e illuminata famiglia
McDell era riuscita a intrecciare con la tribù di Nuvola Rossa.
Gli
amici dell’ucciso, capitanati dal vecchio e spietato Cody,
minacciano e uccidono chi rifiuta di consegnare o dire dove si trovi
Lupo della Pioggia, che intanto è stato liberato e nascosto dal suo
amico Bruce McDell.
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Loup de Pluie Intégrale (Dargaud,2014) |
Il
giovane indiano viene poi inviato lontano da suo padre, che spera che
ciò lo metta al sicuro e contribuisca a calmare gli animi. Invece,
mentre Lupo della Pioggia intraprende la caccia al Bisonte Bianco,
perché in base una leggenda se uccide quell’animale potrà sposare
la ragazza che ama, Cody attacca i McDell, uccide Nuvola Rossa e
rapisce Blanche, la sorella di Bruce, pretendendo che gli sia
consegnato Lupo della Pioggia.
In
mezzo ad amori più o meno tragici, che vedono i fratelli McDell
trovare le loro compagne ideali fuori da ogni convenzione, come il
giovane Jack che ama l’indiana Piccola Luna, inevitabilmente gli
eventi precipitano verso lo scontro finale tra gli indiani che
vogliono vendicare il loro capo e la banda del vecchio Cody. Altri
bianchi invece restano in disparte a guardare, sperando segretamente
che i Cody facciano il lavoro sporco per loro sterminando gli
indiani. I due episodi di Lupo della Pioggia in Italia sono stati
raccolti nel 2016 in un singolo albo, corrispondente al n°87 della
Collana Western allegata a La Gazzetta dello Sport.
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Tomahawk da All-Star Western n°13 (DC, 2012) |
Sempre
tra il 2012 e il 2013, sui numeri da 13 a 16 della nuova serie della
collana All-Star Western pubblicata dalla DC Comics, è uscita in
quattro puntate una storia su un indiano di nome Tomahawk, scritta da
Justin Gray e Jimmy Palmiotti e molto ben disegnata e colorata ad
acquerello da Phil Winslade.
La
storia si svolge alla fine del XVIII secolo in Ohio, all’epoca in
cui il capo shawnee Tecumseh e suo fratello Tenskwatawa il Profeta
riunirono in una federazione molte tribù dell’Est per opporsi
all’avanzata dei coloni americani. Tomahawk è un guerriero mezzo
irochese e mezzo shawnee alleato di Tecumseh e del Profeta, che come
loro lotta selvaggiamente ma anche eroicamente in difesa della sua
terra e della sua gente. È ironico che il suo nome sia derivato da
quello di un vecchio personaggio della DC che, in origine, era invece
un bianco a capo di un gruppo di irregolari americani che
combattevano contro gli Indiani e gli Inglesi. È un ennesimo segno
del rovesciamento di ottica verificatosi nei fumetti di oggi rispetto
a quelli di un tempo.
|
Tomahawk da All-Star Western n°13 (DC,2012) |
Tra
l’altro questo nuovo Tomahawk indiano si comporta in modo veramente
spietato con i soldati americani che cadono nelle sue mani. Del resto
in questa breve serie le milizie statunitensi inviate da Washington
sono ancora più spietate quando attaccano i villaggi indiani
massacrando donne e bambini e ciò può spiegare l’odio di Tomahawk
e degli altri indiani verso i bianchi, tanto più che nella prima
puntata questi uccidono anche sua moglie e suo figlio. È
interessante, ma in fondo anche inquietante, che degli autori
americani si siano qui immedesimati totalmente col punto di vista dei
nativi, che in effetti furono continuamente aggrediti e scacciati dai
coloni, fino a comprenderne e accettarne anche le vendette più
violente, feroci e sanguinarie.
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Saguaro n°2 (SBE,2012) |
Intanto
in Italia, nel Giugno 2012 la Bonelli pubblicava il n°1 della serie
Saguaro, creata dallo sceneggiatore Bruno Enna e ambientata nel XX
secolo. Il protagonista è il navajo Thorn Kitcheyan, detto appunto
Saguaro, un reduce della guerra del Vietnam che non monta un cavallo
come i suoi antenati ma una moderna moto e che nel 1972 ritorna a
casa, nella Grande Riserva Navajo che, come sa ogni lettore di Tex,
si trova tra l’Arizona e il Nuovo Messico. Proprio nei pressi del
confine tra questi due stati sorge la città a cui Saguaro ritorna
nel n°1, Window Rock, che è realmente la capitale della Nazione
Navajo e non è molto distante dalla località di Fort Defiance che i
lettori di Tex ben conoscono. Il fatto di trovarsi su quel confine,
fa sì che Saguaro resti coinvolto in una questione di contrabbando
di droga, diventando poi un agente federale.
La
serie di Saguaro è infatti ispirata ai veri agenti federali nativi
americani detti Shadow Wolves (Lupi-Ombra), che operano ancora tra
l’Arizona e il Messico. Il protagonista del fumetto fa parte di
un’unità simile ma denominata Falchi-Lupo. In quanto agente, deve
affrontare spesso criminali bianchi ma anche i suoi stessi fratelli
navajo, quando ricorrono alla violenza per far valere i propri
diritti. Durante una di tali rivolte, guidata proprio da un suo
fratello di sangue, Saguaro finirà però per aiutare quest’ultimo
lasciando i federali.
|
Saguaro n°35 (SBE,2015) |
Saguaro
insomma, nel corso della serie, da inseguitore si ritrova a volte
nelle vesti di fuggitivo, come quando viene incastrato con l’accusa
di un duplice omicidio. In un tale clima di complotti, i suoi
rapporti coi superiori o gli amici navajo si faranno alla fine più
difficili e ambigui, non sapendo più di chi potersi fidare
veramente.
Nonostante
cercasse di coniugare in qualche modo un personaggio grintoso alla
Tex con un’ambientazione moderna che strizzava l’occhio allo
stile di certi telefilm d’azione, la serie di Saguaro, pensata
inizialmente come singolo romanzo a fumetti e poi lanciata invece
come collana senza una fine prevista, ha riscosso però molto meno
successo di quanto editore e autori avevano sperato, concludendosi
infine nel 2015 col n°35.
|
Cuore di Lupo e il lupo suo amico - da Le Storie n°14 (SBE,2013) |
È
ambientato in buona parte in una riserva indiana moderna anche l’albo
singolo Cuore di Lupo, scritto e disegnato da Carlo Ambrosini e
pubblicato dalla Bonelli nel 2013, come n°14 della collana Le
Storie.
Il
protagonista, il giornalista Jeff Cardiff, ha una nonna sioux,
appartenente alla tribù Miniconjou della Nazione Lakota, a cui era
molto legato e che muore all’inizio della storia, il ché lo porta
a tornare per un po’ nella riserva del Montana in cui era
cresciuto. Il nome indiano di Jeff è appunto Cuore di Lupo, avendo
fatto amicizia a otto anni con un lupo, il cui spirito continua ad
accompagnarlo anche da adulto, invisibile a tutti tranne che a lui e
allo sciamano Malakawe. Se nel racconto principale Jeff aiuta un paio
di ragazzi indiani rimasti coinvolti in dei loschi affari, tutto
l’insieme fa pensare a un episodio pilota di una possibile serie.
|
Cuore di Lupo-Jeff Cardiff e sua nonna Luna che Ride - da Le Storie n°14 (SBE,2013) |
L’autore
mostra infatti in flashback degli eventi chiave del passato del
protagonista e presenta una serie di personaggi di contorno ben
caratterizzati. Anche il fatto che alla fine Jeff resti almeno
provvisoriamente nella riserva, farebbe pensare alla possibilità di
una prosecuzione lasciata intenzionalmente aperta. Peccato che di
Cuore di Lupo non sia stata realizzata almeno una miniserie, poiché
il racconto è confezionato con sensibilità poetica senza rinunciare
all’azione e il personaggio, dato il carattere progressista che
coniuga riflessività e forza d’animo, poteva prefigurare anche
nell’aspetto una sorta di Ken Parker contemporaneo.
|
Mohawk River - da Speciale Le Storie n°2 pag16 (SBE,2015) |
Nella
stessa collana Le Storie, ma nel n°2 della serie speciale a colori
uscito nel 2015, lo sceneggiatore Mauro Boselli e il disegnatore
Angelo Stano hanno invece realizzato con Mohawk River un racconto a
fumetti in cui si respirano le stesse atmosfere de L’Ultimo dei
Mohicani o della saga di Wheeling di Hugo Pratt, per cui gli indiani
inizialmente appaiono come amici o nemici a seconda dell’esercito
inglese o francese con cui sono schierati, durante la guerra feroce e
sanguinosa che divise le due nazioni alla metà del XVIII secolo.
In
principio il protagonista sembra essere il cacciatore di indiani
inglese Riley Black, chiamato dai nativi Corvo Nero, che combatte
insieme a due mohawk contro i Francesi e i loro alleati indiani. In
seguito gli eroi principali diventano il tenente francese Alain
Rivière, che diserta per non essere complice di stragi e omicidi, e
il giovane colono inglese Daniel Chapman, i cui genitori sono stati
massacrati dagli indiani Abenaki, che hanno invece adottato sua
sorella Abbie e suo fratello minore Nick, cosa che poi creerà
qualche problema…
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Mohawk River - da Speciale Le Storie n°2 pag16 (SBE,2015) |
Mentre
Stano riproduce la luce delle diverse ore o stagioni in cui si svolge
l’azione con un’accorta scelta di toni cromatici, Boselli
sviluppa la trama come l’intreccio di un romanzo, con personaggi
positivi o negativi che si possono trovare schierati in entrambi i
campi. Anche tra gli indiani nemici degli Inglesi si trovano infatti
figure dignitose e benevole come il capo abenaki Tabid “Grand Ours”
o il guerriero delaware Hopocan, mentre tra gli Inglesi non fanno
bella figura i rangers del maggiore Rogers, che a loro volta
massacrano donne e bambini di un villaggio abenaki, operazioni che
anche per loro rientravano ampiamente nella norma.
Concludiamo
così con una storia i cui autori non si schierano né per gli
indiani né contro, ma mostrano le violenze compiute da tutti, con
personaggi che possono essere amici o nemici indipendentemente dal
colore della pelle e con dei protagonisti che alla fine prendono le
distanze da ogni guerra e conflitto, una scelta senz’altro felice e
auspicabile ma che, almeno per ora, mette fine alla loro e alla
nostra avventura…
Edizioni
recenti in formato bonellide di alcune delle serie e storie citate
nell’articolo:
|
Saguaro n°1 (SBE,2012) |
SAGUARO
Serie
di 35 numeri
Testi:
Bruno Enna
Disegni:
Autori Vari
Formato:
96 pag. in bianco e nero
Editore:
Bonelli
Periodicità:
Mensile
Date
di uscita: da Giugno 2012 a Aprile 2015
Prezzo:
da € 2,90 a € 3,20
|
Black Hills 1 - West n°1 - Serie Gialla n°5 (Cosmo,2013) |
BLACK
HILLS
Miniserie
di 2 numeri
Testi:
Yves Swolfs
Disegni:
Marc-Renier
Testata:
WEST – STORIE DI FRONTIERA n°1/2
Collana:
Cosmo Serie Gialla n°5/6
Formato:
96 pag. in bianco e nero
Editore:
Cosmo
Periodicità:
mensile
Date
di uscita: Febbraio/Marzo 2013
Prezzo:
€ 2,90
|
I Pionieri del Nuovo Mondo stagione 3 n°2 - West n°16 - serie Gialla n°25 (Cosmo,2014) |
I
PIONIERI DEL NUOVO MONDO
Serie
di cui finora sono usciti dieci numeri divisi in 4 stagioni
Testi:
Jean-François Charles e Maryse Charles
Disegni:
Jean-François Charles e Erwin Sels (Ersel)
Testata:
WEST – FUMETTI DI FRONTIERA n°5/7, n°9/11, n°15/17, n°27
Collana:
Cosmo Serie Gialla n°11/13, n°18/20, n°24/26, n°39
Formato:
96 pag. in bianco e nero
Editore:
Cosmo
Date
di uscita: da Agosto 2013 a Dicembre 2015
Prezzi:
da € 2,90 a € 3,20 l’uno
|
Magico Vento Deluxe n°1 (Panini,2013) |
MAGICO
VENTO DELUXE
Serie
interrotta di 25 numeri
Testi:
Gianfranco Manfredi
Disegni:
Autori Vari
Formato:
96 pag. a colori
Editore:
Panini
Periodicità:
mensile
Date
di uscita: da Marzo 2013 a Maggio 2015
Prezzo:
€ 3,50
|
Bouncer n°2 - Serie Gialla 15 (Cosmo,2013) |
BOUNCER
Serie
di 4 albi
Contenuti:
Bouncer vol. 1-9
Testi
Alejandro Jodorowsky
Disegni:
François Boucq
Collana:
Cosmo Serie Gialla n°14/16, n°27
Formato:
128 pag. - 192 pag. il n°2 – in bianco e nero
Editore:
Cosmo
Date
di uscita: da Novembre 2013 a Dicembre 2014
Prezzi:
il n°1 e 3 € 3,20 – il n°2 € 4,90 – il n°4 € 3,90
|
Mille Volti 1 - West n°19 - Serie Gialla n°29 (Cosmo,2015) |
|
Mille Volti 2 - West n°20 - Serie Gialla n°30 (Cosmo,2015) |
MILLE
VOLTI
Miniserie
di 2 numeri
Testi:
Philippe Thirault
Disegni:
Marc Malès, Mario Janni
Testata:
WEST – STORIE DI FRONTIERA n°19/20
Collana:
Cosmo Serie Gialla n°29/30
Formato:
il n°19, 96 pag. – il n°20, 160 pag. – in bianco e nero
Editore:
Cosmo
Periodicità:
mensile
Date
di uscita: Febbraio/Marzo 2015
Prezzo:
il n°19 € 3,20 – il n°20 € 5,00
|
Cuore di Lupo - Le Storie n°14 (SBE,2013) |
CUORE
DI LUPO
Numero
singolo
Testo
e disegni: Carlo Ambrosini
Collana:
Le Storie n°14
Formato:
112 pag. in bianco e nero
Editore:
Bonelli
Data
di uscita: Novembre 2013
Prezzo:
€3,50
|
Mohawk River - Speciale Le Storie n°2 (SBE,2015) |
MOHAWK
RIVER
Numero
singolo
Testi:
Mauro Boselli
Disegni:
Angelo Stano
Collana:
Speciale Le Storie n°2
Formato:
128 pag. a colori
Editore:
Bonelli
Data
di uscita: Luglio 2015
Prezzo:
€ 6:00
Andrea Cantucci