di Andrea Cantucci
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Ken Parker Settimanale n. 50 (Mondadori, 2015) |
Mi
sentii alla presenza di esseri superiori; e questi erano i
rappresentanti di una razza che avevo considerato fino a quel momento
senza eccezioni come composta da esseri crudeli, sleali e assetati di
sangue…
il
maggiore Edward Wynkoop a proposito degli Cheyenne nel 1864
La
mia mano non ha mai per prima teso l’arco o sparato un colpo di
fucile contro i bianchi. (…) non abbiamo cominciato noi.
dal
discorso del capo comanche Dieci Orsi (Medicine Lodge, 1867)
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Leggende Indiane di Pratt - Sequoyah e l'alfabeto cherokee (anni '60) |
1962-1972:
Tra Storia e Leggenda
Tra
le quasi trenta Leggende Indiane disegnate da Hugo Pratt sulle pagine
di Pecos Bill dal 1962, si trovano ovviamente storie fantastiche con
le divinità adorate da vari popoli, come il Grande Spirito Manitù,
gli dèi del Sole e della Luna o la Fanciulla del Grano, qui
stranamente chiamata Fanciullo. Sono divinità che l’autore
rappresenta in modo a volte ironico e a volte poetico. Altre di
quelle storie però sono molto più realistiche, parlano di spiriti
identificati con animali o che non rispondono alle invocazioni, per
cui si ha il dubbio che non esistano affatto. E infatti, in certi
racconti, a tenerne in vita la credenza sono dei veri propri
imbrogli.
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Leggende Indiane di Pratt vol. 2 (Fumetto Club) |
Alcune
leggende di Pratt hanno insomma dei toni abbastanza umoristici, che
ricordano un po’ le novelle del Decamerone. In altre ancora invece
si descrivono i conflitti tra nazioni indiane, narrando episodi di
sapore storico, per come la Storia poteva essere tramandata oralmente
tra gli Amerindi. A volte si narra l’inizio di una faida tra due
popoli, o come fu poi superata. In questi casi è facile dedurre
quale nazione indiana sia l’autrice della storia originale, poiché
di certo è sempre quella che vi fa la figura migliore e ne esce
vincitrice.
Infine
un paio delle Leggende Indiane di Pratt descrivono eventi che, benché
romanzati, sono senza dubbio storici, ovvero l’invenzione della
scrittura cherokee da parte di Sequoyah e la Nascita del Popolo
Indiano. In quest’ultima storia, Pratt lascia da parte le leggende
originali degli Indiani e narra la nota teoria secondo cui sarebbero
giunti attraverso lo Stretto di Bering nella preistoria, un’ipotesi
probabile ma che nessuna nazione indiana ha rievocato nelle sue
storie, narrando più poeticamente come i singoli popoli siano giunti
ad abitare il mondo risalendo da abissi sotterranei, o scendendo dai
cieli, o creati direttamente da un mitico antenato.
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Cochise in Blueberry episodio 1 (1964) |
Riferimenti
più precisi alla Storia indiana dell’800, e precisamente alle
guerre contro i bianchi, si riscontrano in una serie più longeva e
di ampio respiro creata nel 1963 dai francesi Jean-Michel Charlier e
Jean Giraud sulle pagine della rivista Pilote, prima col titolo di
Fort Navajo e poi col nome del protagonista Blueberry.
Il
simpatico tenente Mike Steve Donovan detto Blueberry è un ennesimo
ufficiale di cavalleria che si dimostra più obiettivo e rispettoso
nel trattare con gli indiani rispetto a certi suoi superiori fanatici
e intolleranti e che per questo è spesso considerato un rinnegato.
Nel primo episodio gli autori ricostruiscono un’aggressione a
tradimento realmente perpetrata nel 1861 da un tenente dell’esercito
di nome Bascom, ai danni del capo apache Cochise e di alcuni suoi
parenti, durante un incontro per parlamentare in cui furono accusati
ingiustamente di un assalto a un ranch e del rapimento di un bambino,
di cui in realtà era responsabile un’altra tribù apache. Ma come
accadde nella realtà, Cochise riesce fortunosamente a sfuggire
all’arresto.
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Blueberry 2 (Dargaud,1966) |
Quell’episodio
diede davvero il via alla guerra tra Apache e Nord-Americani, anche
se il fumetto è ambientato erroneamente dopo la guerra civile e i
nomi dei popoli apache coinvolti sono citati in modo errato. Ci sono
poi altre imprecisioni, come il fatto che sia Cochise che Bascom
erano più giovani di quanto appaiano qui.
Blueberry
è scandalizzato dalla condotta vergognosa di Bascom e tenta in tutti
i modi di opporsi alle sue spietate scorrettezze verso gli indiani.
Nel secondo episodio, aiutato dall’ex-soldato indiano Crowe,
ritrova il ragazzo rapito per ricondurlo a casa, sperando così di
riportare la pace dimostrando l’innocenza di Cochise. Invece nella
realtà storica, non essendoci mai stato tale eroico intervento, il
bambino restò cogli Apache Coyotero che lo allevarono e da adulto
prese il nome di Mickey Free, diventando uno scout dell’esercito.
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Crowe in Blueberry episodio 2 (1964) |
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Il generale Allister in Blueberry episodio 10 (1968) |
Anche
nel decimo episodio, uscito su Pilote nel 1968, Blueberry si trova di
nuovo agli ordini di un ufficiale guerrafondaio e pieno di odio verso
gli indiani, il generale Allister, certo ispirato alla figura di
Custer. Infatti Allister è al comando del Settimo Cavalleria e muove
contro i Sioux e gli Cheyenne alla fine del 1868. Tra il 1867 e il
1868 anche il vero Settimo agli ordini di Custer partecipò a due
campagne contro quei popoli, ma condotte dal generale Sherman e dal
generale Sheridan. Il primo fu sconfitto e umiliato dagli Indiani,
come accade anche qui. Il secondo sul fiume Washita fece massacrare a
Custer un campo cheyenne di donne, vecchi e bambini, cosa che farebbe
anche Allister se Blueberry non minacciasse di testimoniare contro di
lui.
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Blueberry 18 (Dargaud,1980) |
La
sempre scomoda posizione di Blueberry in seno all’esercito giunge
in seguito agli estremi della vera e propria diserzione quando, dopo
essere stato accusato ingiustamente di furto, è accolto proprio
dagli Apache di Cochise che rifiutano di sottomettersi e con la sua
esperienza militare li aiuta a sfuggire ai soldati e agli
avventurieri senza scrupoli che danno loro la caccia, in una storia
che comprende gli episodi dal 18 al 20.
Qui
gli indiani in questione continuano erroneamente a essere chiamati
Navajo, mentre dovrebbero essere Apache Chiricahua, e anche la morte
del vecchio Cochise in fuga non risponde al vero, poiché
storicamente si spense nel suo villaggio dopo aver accettato di
ritirarsi coi suoi in una riserva, cosa che qui non accade.
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Blueberry 19 (Dargaud,1980) |
In
queste storie molto antiautoritarie di Blueberry uscite intorno al
1980 aveva sempre più voce in capitolo il disegnatore Jean Giraud,
forte del successo riscosso come autore completo col nome di Moebius,
mentre lo scrittore titolare Charlier, data anche l’età avanzata,
per molte cose lo lasciava ormai fare a modo suo.
Charlier
morì nel 1989 e nel ciclo Mister Blueberry, realizzato dal solo
Giraud e costituito da cinque album usciti tra il 1995 e il 2005, il
loro eroe ha ormai smesso i panni del militare e i toni di
smitizzazione e capovolgimento delle vecchie convenzioni western nei
confronti degli indiani sono ancora più marcati.
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Blueberry 26 (Dargaud,1999) |
Nei
ricordi di Mister Blueberry il primo incontro col capo apache
Geronimo è rievocato, non solo col rispetto dovuto a un coraggioso
avversario, ma con la consapevolezza che pur senza speranza era il
guerriero rosso e non il cavalleggero a stare dalla parte giusta in
difesa della propria gente. Tanto è vero che Blueberry aiuta
Geronimo a far fuggire dei bambini apache da una scuola dei bianchi,
in cui sono trattenuti con la forza dopo essere stati sottratti alle
loro famiglie. Come dice il protagonista, era un modo subdolo per
separare i piccoli dalla loro cultura, che avrebbe finito per farne
degli emarginati disprezzati sia dai bianchi che dai rossi.
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Blueberry n. 5 (Aurea, 2013) |
Alla
prima edizione italiana dei primi episodi Blueberry, usciti sui
Classici Audacia di Mondadori nel 1967 col titolo originale di Fort
Navajo, seguirono le storie brevi dedicate alla giovinezza del
personaggio sul Superalbo Audacia e poi varie ristampe e prosecuzioni
della serie presso diversi editori, a partire dalla versione a
puntate sul settimanale Skorpio e da quella in album cartonati nella
Collana Eldorado dell’editrice Nuova Frontiera. Le più recenti
edizioni italiane di Blueberry sono state nel 2013 quella dell’Aurea
Editoriale in bianco e nero e piccolo formato e nel 2014 quella a
colori della Collana Western allegata alla Gazzetta dello Sport, che
ha raccolto in ventisei albi tutte le serie finora dedicate a questo
personaggio.
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Blueberry - Collana Western n. 12 (La Gazzetta dello Sport, 2014) |
Una
serie western ancora più realistica e precisa dal punto di vista
documentario è la Storia del West, che nel 1965 era stata
inizialmente ideata dagli autori Gino D'Antonio e Renzo Calegari come
una vera e propria rivista e in origine avrebbe dovuto contenere
anche delle leggende indiane a fumetti disegnate da Antonio Canale,
ma che, tanto per andare sul sicuro, finì per esordire nel 1967
sulla Collana Rodeo nel classico formato bonelliano. In questa
originale serie, pur ricostruendo tanti eventi reali in modo
romanzato gli autori cercarono sia di divertire che di informare il
più obiettivamente possibile, rappresentando gli indiani con un
rispetto privo di pregiudizi, ma senza celarne colpe o difetti come
l’estrema durezza di molto loro usanze.
A
testimoniare l’equidistanza di tale scelta, il principale
protagonista della serie, l’avventuriero e allevatore Pat
MacDonald, è il figlio di un colono scozzese e di una donna indiana,
per cui la saga finisce per essere caratterizzata, forse non da
posizioni del tutto filo-indiane, ma di certo da un netto e deciso
antirazzismo.
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Storia del West, 1° episodio - Collana Rodeo n. 1 (Araldo, 1967) |
Il
ranch di MacDonald è vicino al territorio dei Comanche coi quali
cerca di avere rapporti amichevoli per quanto possibile, sforzandosi
di comprendere il loro modo di pensare. Anche i suoi figli hanno più
volte a che fare con i nativi, perfino il più piccolo che, in un
episodio di fine 1973, è rapito da alcuni indiani. Mac Donald lo
ritrova dopo un lungo cammino, finendo per indossare un abito che lo
rende simile al futuro Ken Parker.
Invece
il suo figlio adottivo Bill Adams svolge l’attività di agente del
governo, il ché gli permette di essere presente in molti momenti
chiave in cui sono intrecciati rapporti e firmati trattati con gli
indiani, trattati poi spesso compromessi o traditi in breve tempo,
quasi sempre a causa di leggerezze, provocazioni o frodi compiute dai
bianchi, e la serie da questo punto di vista corrisponde
perfettamente alla verità storica.
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Storia del West, 31° episodio - Collana Rodeo n. 70 (Cepim, 1973) |
Nei
73 albi della Storia del West (poi divenuti 75 nella ristampa del
1984), troviamo le oneste descrizioni di molti leader indiani che,
pur dotati di grandi qualità umane, non esitarono a guidare i loro
popoli contro le pretese espansionistiche dei bianchi, dal capo degli
Shawnee Tecumseh al capo apache Cochise, dai capi sioux Nuvola Rossa,
Toro Seduto e Cavallo Pazzo ai capi cheyenne Naso Aquilino, Coltello
Spuntato e Piccolo Lupo, dal capo comanche mezzosangue Quanah Parker
fino a Capo Giuseppe dei Nasi Forati.
In
un paio di episodi della serie di D’Antonio, si vede anche come un
capo che invece cercò sempre la pace coi bianchi, lo cheyenne
Caldaia Nera, fu ripagato dagli ufficiali dell’esercito con due
massacri indiscriminati compiuti ai danni della sua gente, uno sul
fiume Sand Creek e uno sul fiume Washita, nel secondo dei quali fu
ucciso lui stesso mentre stava tentando disperatamente di
parlamentare con i soldati che caricavano.
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Storia del West, 40° episodio - Collana Rodeo n. 90 (Cepim, 1974) |
Ma
la precisione storica degli autori fa sì che di alcuni capi siano
descritte anche le ingenuità e scorrettezze, come nel caso di
Capitan Jack degli indiani Modoc, che mentre stava trattando con un
ufficiale lo uccise dietro l’insistenza dei suoi uomini, o in
quello del capo apache Geronimo, che venne meno alla parola data
fuggendo dopo essersi arreso ai soldati, solo perché aveva creduto
alle bugie di un trafficante d’alcool.
Ma
alla fine nessuno di loro, né i capi più leali e valorosi, né
quelli che usarono anche mezzi vili e crudeli, poté averla vinta
contro il numero preponderante e l’insaziabile fame di sempre nuovi
territori degli invasori bianchi. Nell’obiettiva Storia del West di
D’Antonio, oltre agli scontri e ai massacri compiuti da ambo le
parti, si narrano quindi le tristi tragedie delle forzate
capitolazioni di quei capi e dei loro popoli, fino all’episodio
finale che ricostruisce con amarezza l’ultima strage gratuita di
cui gli indiani furono vittime a Wounded Knee.
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Storia del West, 73° e ultimo episodio - Collana Rodeo n. 162 (Cepim, 1980) |
Ristampata
poi più volte e in diversi formati da vari editori (la Bonelli
stessa, la Hobby & Work, le Edizioni If, e anche in allegato a Il
Sole 24 Ore), la Storia del West di D’Antonio a quel punto si
interrompe, come a dire che il vero West esisteva finché c’erano
dei nativi liberi, e non si addentra a narrare quale fu il successivo
e in gran parte triste declino degli Indiani d’America una volta
confinati definitivamente all’interno delle riserve.
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Storia del West n. 37 (Cepim, 1987) |
A
denunciare almeno in piccola parte i pregiudizi e le ingiustizie a
cui i nativi continuarono molto spesso ad andare soggetti anche dopo
la fine delle guerre indiane, ci pensò nel 1969 un autore americano
che era stato a sua volta perseguitato per vent’anni da un
ostracismo altrettanto ingiusto durante la caccia alle streghe
anti-comunista degli anni ’50, lo scrittore e sceneggiatore
cinematografico Abraham Polonsky.
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Ucciderò Willie Kid, poster originale (1969) |
Col
secondo film da lui diretto, Tell Them Willie Boy is Here (Ucciderò
Willie Kid), interpretato da Robert Redford e Robert Blake, Polonsky
riprese la trama del romanzo omonimo scritto nel 1960 da Harry Lawton
e tratto da fatti reali avvenuti in California nel 1909. La storia è
quella di un indiano paiute, Willie Boy appunto, che per legittima
difesa uccise un bianco e fu quindi oggetto di una spietata caccia
all’uomo senza potersi discolpare né avere scampo. L’inseguimento
si concluse con la sua morte, oggi ricordata da un monumento dedicato
all’Ultima Famosa Caccia all’Uomo del West. Il film fu girato in
California, quindi non lontano da dove si svolsero i fatti, ma il
regista dichiarò che, più che degli indiani, parla di ciò che
accadde a lui stesso. Come spesso accade, sembra si riescano a
comprendere davvero le tragedie che colpiscono altri popoli solo
quando veniamo a nostra volta perseguitati da un destino altrettanto
crudele o in qualche modo simile…
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Vartán n. 1 (Furio Viano Editore, 1969) |
Nel
1969 anche i tascabili per adulti italiani videro l’esordio di un
paio di eroine sexy che, tra un amplesso e l’altro, agivano in
difesa dei Nativi Americani, ovvero le indiane bianche Vartán e
Walalla, entrambe bionde e a capo delle rispettive tribù (Sioux nel
caso di Vartán e Apaches Mescaleros in quello di Walalla).
Le
storie della mezzosangue Vartán erano scritte da Paolo Ghelardini e
dall’editore Furio Viano e disegnate da Sandro Angiolini. Una
relativa cura rispetto ai prodotti analoghi ne decretò un certo
successo, tanto da farne uscire duecento numeri fino al 1977. Ma più
che i contenuti vagamente storico-politici, che vedevano i poveri
indiani vittime di spietati assassini bianchi, dovevano essere di
certo le grazie della protagonista e le sue avventure erotiche,
comprese le torture e violenze carnali a cui veniva continuamente
sottoposta, ad attirare il nutrito pubblico dei voyeurs, anche grazie
ai disegni essenziali ma abilmente delineati di Angiolini.
A
Vartán ha poi dedicato due volumi a colori anche l’Editoriale
Mercury, specializzata in recuperi d’epoca.
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Vartán vol. 1 (Editoriale Mercury) |
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Walalla n. 46 (Elvipress, anni '70) |
Walalla,
eroina di minor successo nata sulla scia di Vartán, fu invece creata
da Mario Gomboli, Vladimiro Missaglia e Tito Marchioro per l’editrice
Elvipress. Il suo abbigliamento era succinto come quello di Vartán
(al confronto le antesignane degli anni ’40 Penna Azzurra e Aquila
Bianca erano vestitissime) e anche lei lottava non solo contro
criminali bianchi, ma anche contro governatori messicani e ufficiali
dell’esercito statunitense.
Entrambe
le serie subirono la decisa influenza degli spaghetti-western di quel
periodo. In particolare al fianco di Walalla apparve un lanciatore di
coltelli messicano di nome Cuchillo (che in spagnolo significa
appunto coltello), chiaramente ispirato all’omonimo e simpatico
personaggio picaresco interpretato da Tomas Milian in due film di
fine anni ’60 diretti da Sergio Sollima, La Resa dei Conti e Corri Uomo Corri.
All’altro
estremo, a un target ben più giovanile erano rivolti i fumetti dello
stesso periodo con protagonisti dei bambini pellerossa. Tra gli anni
’60 e ’70, continuava infatti ad allungarsi la già ampia lista
dei piccoli indiani.
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Yakari e Nanabozo, da Yakari episodio 4 (1978) |
Nel
1969 su una rivista svizzera apparve Yakari, creato dallo
sceneggiatore belga Job e dal disegnatore svizzero Derib (pseudonimi
rispettivamente di André Jobin e Claude de Ribeaupierre). È una
fantasiosa serie comica per ragazzi, in parte ispirata a leggende
indiane e ripresa in seguito sulla rivista francese France-Jeux e sul
settimanale belga Tintin, di cui sono usciti finora trent’otto
album tradotti in diciassette lingue.
Il
protagonista Yakari è un bambino sioux che per la sua bontà riceve
il dono di parlare con tutti gli animali dal suo spirito totem, la
Grande Aquila, l’uccello tonante simbolo del dio supremo per molte
tribù. Yakari è in effetti un bambino saggio, intelligente e
pacifista, che cerca di risolvere ogni conflitto in modo diplomatico.
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Yakari e Piccolo Tuono |
Il
più fedele amico animale di Yakari è il suo pony Piccolo Tuono, che
nel sesto episodio, vincitore di un premio al festival di Angoulême,
vive rischiose avventure spinto dallo spirito dei cavalli. I suoi
migliori amici umani invece sono altri due bambini indiani,
l’aspirante cacciatore Seme di Bisonte e soprattutto la piccola
Arcobaleno, la sola a conoscere il dono segreto di Yakari. Anche
Arcobaleno ha un animale totem, Nanabozo, un grande coniglio dai
poteri magici protagonista del quarto episodio, il cui nome deriva da
uno spirito del folclore degli indiani Chippewa. Altri indiani adulti
della serie hanno poi dei nomi scherzosi che ne indicano qualità e
difetti in modo ironico, come lo sciamano Colui che Sa, o i
pigrissimi Alce Lento e Occhio di Brodo.
Di
Yakari sono state realizzate anche due serie a cartoni animati. In
Italia è stato pubblicato sulla rivista Il Giornalino, su cui ancora
tra il 2015 e il 2016 sono uscite a puntate delle sue storie della
fine degli anni ’70.
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Caster'Bum contro Piccolo Dente; Gli Albi del Giornalino anno 2 n. 1 (EP, 1973) |
Un’altra
serie comica per ragazzi sugli Indiani d’America apparsa sul
Giornalino, dal 1970, ma opera di autori italiani, è quella del
Colonnello Caster’Bum, scritta da Claudio Nizzi e disegnata da Lino
Landolfi. Qui nei rapporti tra bianchi e rossi non ci sono problemi
razziali e tutto potrebbe andare per il meglio. Solo Piccolo Dente,
il pestifero figlio del capo Caldaia Fredda della pacifica tribù
degli Assaibonis, con le sue marachelle e la sua grande forza crea
ogni tanto un po’ di scompiglio. Per il resto i cavalleggeri e gli
indiani vanno d’amore e d’accordo, con due sole significative
eccezioni. Gli unici che vogliono davvero la guerra sono il
colonnello Caster’Bum, che come ogni ufficiale ambizioso e senza
scrupoli la vede come l’occasione per far carriera, e il figlio
maggiore del capo indiano, Puma Rosso, un guerriero che a sua volta
vuole dimostrare il proprio valore in battaglia, ma per quanto
facciano non riescono mai a creare un incidente che dia il via alle
ostilità. Infatti Piccolo Dente, suo padre Caldaia Fredda e il
tenente loro amico Babby Flint intervengono sempre a impedire che la
situazione degeneri. I tormentoni derivati da queste premesse, ben
presto possono anche apparire un po’ ingenui e ripetitivi, ma
quanto sarebbe stato meglio se fosse sempre andata così anche nella
realtà...
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Firehair 1 - Showcase n. 85 (DC, 1969) |
Anche
nei fumetti USA come nei romanzi e nel cinema, l’epopea del West
era ormai vista in modo diverso e, benché il western non fosse più
in voga nei fumetti, ci fu ancora qualche tentativo di produrre nuove
serie sui Nativi Americani. Nel 1969 la DC Comics pubblicò sui
numeri da 85 a 87 dell’albo antologico Showcase tre storie di Joe
Kubert con protagonista un giovane indiano bianco dai capelli rossi
chiamato Firehair ("Capelli di Fuoco"). È l’ennesimo ragazzo
allevato fin da piccolo dagli indiani che avevano sterminato la sua
carovana, in questo caso i Piedi Neri, da cui era stato risparmiato
per intercessione del capo Nuvola Grigia, diventato suo padre
adottivo. Le sue sono storie originali e di stile moderno in cui si
mescolano abilmente elementi western e fantasy, denunciando in certi
punti anche il razzismo verso i diversi in genere, rossi o bianchi
che siano.
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Firehair di Joe Kubert |
Dopo
quelle prime tre storie, di Firehair uscirono solo altri tre brevi
episodi, pubblicati due anni dopo in appendice all’albo Son of
Tomahawk. Per ora solo uno di questi ultimi raccontini è stato
tradotto anche in Italia, sul n. 18 della rivista amatoriale Funnies,
edito nel 1990 dall’associazione Al Fumetto Club di Firenze.
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Lo Spirito del Lupo da Red Wolf e uno spirito coyote da Firehair |
Nel
1970 nacque invece quello che si può considerare il primo super-eroe
nativo americano, a cui ne sarebbero seguiti molti altri. Su un albo
dei Vendicatori, e precisamente Avengers n. 80, Roy Thomas e John
Buscema crearono il giustiziere indiano Red Wolf ("Lupo Rosso"), che
agisce accompagnato dal lupo Lobo e cela sotto un copricapo a forma
di testa di lupo la sua vera identità di William Talltrees. Questo
pellerossa mascherato, poi identificato come uno Cheyenne, qui lotta
contro dei criminali bianchi che vogliono derubare i nativi delle
loro terre con la forza e che si può dire rappresentino, sia pur
rozzamente, la reale avidità con cui i bianchi hanno continuato a
lungo ad appropriarsi di vaste porzioni dei territori assegnati agli
indiani.
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Red Wolf. 1a apparizione come William Talltrees, da Avengers n. 80 (Marvel, 1970) |
Il
giovane Talltrees, dopo che i suoi genitori erano stati uccisi, aveva
evocato in una cerimonia il dio-lupo dei suoi antenati che si diceva
in passato fosse sceso dal cielo per aiutare il suo popolo, e
assuntane l’identità aveva intrapreso la sua missione di vendetta,
portata a termine su Avengers n. 81. In questa prima versione
comunque non è chiaro se il dio-lupo abbia conferito a William
Talltrees delle capacità particolari.
Le
storie dei Vendicatori in cui apparve per la prima volta un Red Wolf
furono pubblicate in Italia dalla Corno nel 1974, sui numeri 95 e 96
de Il Mitico Thor, dopo che era già uscita anche in italiano la sua
serie regolare.
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Red Wolf. 1a apparizione come Johnny Wakely, su Marvel Spotlight n. 1 (Marvel, 1971) |
Red
Wolf infatti fu presto riutilizzato in una sua serie di albi,
all’inizio ambientata nel West di fine ‘800, per cui la sua
identità segreta dovette necessariamente essere un’altra. La prima
storia con protagonista Red Wolf uscì nel 1971 sul n°1 dell’albo
Marvel Spotlight coi testi di Gardner Fox e i disegni di Syd Shores.
Probabilmente
Red Wolf fu affidato a Fox perché poteva ricordare abbastanza
Straight Arrow, un eroe indiano di cui abbiamo già parlato i cui
albi erano scritti da questo stesso autore negli anni ’50. In
effetti le origini del Red Wolf del West furono ideate in modo molto
simile a quelle del suo precursore Straight Arrow.
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Red Wolf / Johnny Wakely, su_Red Wolf n. 1 (Marvel, 1972) |
Colui
che indosserà la maschera del lupo è ora uno Cheyenne scampato da
piccolo al massacro del suo villaggio e allevato da dei bianchi, che
gli hanno dato il nome di Johnny Wakely. Nel suo caso però, visto
che dopo vent’anni molte ipocrisie stavano cadendo, sono stato i
soldati statunitensi a compiere la strage che lo rese orfano e, per
bilanciare le cose, anche i genitori adottivi di Johnny sono a loro
volta uccisi dagli indiani.
Ma
Johnny Wakely, al contrario di Straight Arrow, non nasconde mai le
proprie origini etniche e si arruola nell’esercito come guida
indiana. Intanto, sotto le vesti di Red Wolf e con l’aiuto del
solito lupo, difende dalle ingiustizie sia gli indiani che i bianchi,
lottando soprattutto per salvaguardare la pace tra i due popoli.
Johnny
è stato infatti prescelto per fare giustizia dal dio-lupo Owayodata,
che gli ha conferito forza, vigore e agilità fuori dal comune (o
forse solo un po’ di fiducia in sé stesso) e che tra l’altro
assomiglia molto a uno spirito dalla testa di coyote apparso poco
tempo prima nel Firehair di Joe Kubert. Entrambe le serie avevano
anche in comune il fatto di evidenziare e condannare esplicitamente
il razzismo verso i Nativi Americani.
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Red Wolf. 1a apparizione come Thomas Thunderhead, su Red Wolf n. 7 (Marvel, 1973) |
Subito
dopo il primo episodio, a Red Wolf fu dedicata una propria testata di
cui uscirono nove albi tra il 1972 e il 1973. I primi sei numeri
contengono altre avventure ambientate nel vecchio West con
protagonista Johnny Wakely, gli ultimi tre sono invece ambientati nel
XX secolo e qui a indossare la maschera del lupo è un successore di
Wakely, ovvero Thomas Thunderhead, l’immediato predecessore di
William Talltrees. In pratica il ruolo di Red Wolf passa da un
indiano all’altro, ognuno scelto o ispirato dal dio-lupo Owayodata.
Le
prime otto storie di Red Wolf uscirono anche in Italia tra il 1973 e
il 1974, su quattro numeri della serie Gli Albi dei Supereroi
dell’Editoriale Corno, in cui si alternava con altri personaggi
della Marvel.
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Red Wolf / Johnny Wakely, da Albi dei SuperEroi n. 10 (Corno, 1973) |
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Red Wolf / Johnny Wakely, da Blaze of Glory (Marvel, 2000) |
Sia
William Talltrees che Johnny Wakely avrebbero poi fatto altre
apparizioni in fumetti Marvel successivi, come la miniserie del 2000
di John Ostrander e Leonardo Manco intitolata Blaze of Glory ("Lampi
di Gloria"), dedicata a un gran numero di personaggi western del
passato e tradotta l’anno stesso dalla Marvel Italia in un volume
di grande formato della serie Special Events. In questa strana storia
piena zeppa di protagonisti pittoreschi, Wakely ha ormai perso ogni
speranza che indiani e bianchi possano vivere in pace, avendo infine
capito che ciò che vogliono davvero gli Americani è la
sottomissione dei nativi o il loro completo sterminio. Ora quindi Red
Wolf combatte solo dalla parte dei suoi fratelli rossi e, se decide
di aiutare altri eroi del West contro nemici comuni, non lo fa per
sete di giustizia quanto per il gusto di uccidere un bel po’ di
bianchi…
Intanto
in una storia dei Fantastici Quattro del 1992 realizzata da Mark
Gruenwald e Herb Trimpe, tra i guerrieri al servizio del dittatoriale
viaggiatore del tempo Kang è apparso anche quello che teoricamente
dovrebbe essere il primo dei Red Wolf, un indiano di nome Wildrun
originario del XVIII secolo.
|
Red Wolf / Wildrun |
Nel
1970, oltre a Un Uomo Chiamato Cavallo e Il Piccolo Grande Uomo di
cui abbiamo già parlato, uscì un altro film che ancor più di
quelle due pellicole era indiscutibilmente e del tutto schierato
dalla parte dei nativi. Con Soldier Blue (Soldato Blu) diretto da
Ralph Nelson e tratto dal romanzo Arrow in the Sun (Freccia nel Sole)
di Theodore Olsen, si arrivò infatti al totale rovesciamento di
fronte, con un ingenuo giovane soldato che, grazie a una donna bianca
felice di vivere con gli Cheyenne, arriva pian piano a capire come la
ragione stia dall’altra parte e infine rifiuta di prendere parte al
massacro di un villaggio, subendone le conseguenze.
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Soldato Blu, poster originale (1970) |
Nel
film Soldato Blu insomma gli indiani sono visti per lo più come
vittime e i soldati yankee quasi solo come artefici di stragi
sanguinarie e stupri, il ché in tanti episodi storici non fu per
niente lontano dal vero, come nel caso qui rappresentato della già
citata strage del fiume Sand Creek avvenuta nel 1864, la stessa della
famosa canzone di De André, anche se nel film i nomi di tutti i
personaggi coinvolti sono stati cambiati.
In
effetti le pesanti efferatezze mostrate in Soldato Blu sono
ampiamente superate dalle terribili atrocità che la soldataglia
indisciplinata del colonnello Chivington compì davvero in quella
occasione, torture e mutilazioni che avrebbero poi provocato una
serie di analoghe ritorsioni da parte dei nativi e che furono
denunciate da testimoni oculari non solo indiani. Del resto alla
testimonianza degli indiani a quei tempi non sarebbe stato
riconosciuto nessun valore, dato che le leggi razziste dell’epoca
negavano loro voce nei tribunali.
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Scene dal film Soldato Blu |
In
pratica in Soldato Blu l’unica giacca azzurra a non comportarsi da
mostro sanguinario è il protagonista, mentre in realtà di bianchi o
meticci coinvolti loro malgrado nella strage di Sand Creek e che
testimoniarono poi contro Chivington ce ne furono di più ed è per
questo che sappiamo come andarono le cose. Chivington, volendo
massacrare degli indiani e sapendo i guerrieri a caccia, scatenò
freddamente l’attacco contro donne, bambini e vecchi inermi,
attaccando di sorpresa un villaggio dichiaratosi amico e messosi
sotto la protezione del governo. È storico anche il dettaglio della
bandiera americana che il capo aveva con sé in segno di pace.
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Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, di Dee Brown - edizione Oscar Mondadori (1977) |
Testimonianze
dettagliate del Sand Creek e di altre stragi, insieme ad altre
cronache della lunghissima serie di imbrogli, tradimenti, ingiustizie
ed espropri perpetrati ai danni delle varie nazioni degli Indiani
d’America, su trovano raccolte nel volume Bury My Heart at Wounded
Knee (Seppellite il mio cuore a Wounded Knee), scritto da Dee Brown e
uscito proprio nel 1970. Col successo di quel libro, dal titolo
ispirato a un verso del poeta Stephen Vincent Benét, prese il via
definitivamente il revisionismo storico grazie al quale ancora oggi
si pubblicano continuamente un gran numero di saggi e di antologie
sulle autentiche tradizioni degli Indiani.
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Comanche 2 (Editions Du Lombard, 1972) |
Date
tali premesse, gli western a fumetti degli anni ’70, fossero o meno
calati in un preciso contesto storico, dovevano mutare sempre più
atteggiamento verso gli indiani. Nella serie belga Comanche, scritta
da Michel Regnier, disegnata all’inizio da Hermann Huppen e uscita
dal 1971 su Tintin, oltre alla ragazza proprietaria di ranch che dà
il titolo alla serie e all’ex pistolero Red Dust, tra i
protagonisti c’è anche il giovane cheyenne Macchia di Luna.
Questi, avendo ucciso per errore suo padre, il capo Tre Bastoni,
rinuncia a essere un guerriero, lascia la tribù ed è accolto tra i
cowboys che lavorano per Comanche, pur con delle difficoltà.
I
rapporti tra il ranch di Comanche e la vicina tribù cheyenne
confinata in una riserva e guidata da Cavallo Pazzo, fratello
maggiore di Macchia di Luna, sono improntati alla convivenza
pacifica, ma un paio di volte sorgono gravi problemi, sia per la
solita scorrettezza di certi bianchi che non rispettano i trattati
che per l’impaziente irruenza dei guerrieri più giovani. Macchia
di Luna pare combattuto tra la fedeltà al suo popolo e quella per
gli amici bianchi, ma poi si deve anche al suo intervento se una
crisi è risolta e la pace mantenuta.
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Comanche 6 (Editions Du Lombard, 1976) |
È
solo nel tredicesimo episodio del 1995, che finalmente la giovane
Verna Fremont racconta come ha preso il nome Comanche, dalla nazione
degli indiani che la salvarono quando neonata rischiò di morire nel
deserto e che l’allevarono per dieci anni nel loro villaggio,
dandole il nome di Papoose Yankho ("Bambina Yankee").
Gli
album di Comanche sono stati tradotti in Italia da Vallecchi e Comic
Art. Nel 2012 l’editrice GP Publishing ne ha pubblicati tutti e
quindici gli episodi in una miniserie in formato bonellide e in
bianco-e-nero di sette albi. Ma come in altri casi, l’edizione
italiana di Comanche più integrale e conveniente, per rapporto
prezzo e qualità, è quella uscita nel 2015 in otto albi a colori
della Collana Western allegata alla Gazzetta dello Sport.
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Inserto Romanzo Sport - Intrepido n. 19 del 1972 (Universo) |
A
proposito di Sport, nel 1972 su un inserto della rivista L’Intrepido
della serie Romanzo Sport uscì una breve storia di venti pagine con
protagonista un indiano sioux del XX secolo, che si riscatta da una
vita di espedienti e di comparsate nei film western, ottenendo
un’occasione di rivincita grazie all’attività di giocatore di
Basket. Il titolo del racconto è Lo Chiamavano Muso Rosso, con
riferimento al razzismo ancora diffuso, e i disegni sono ottimamente
realizzati da Gino Pallotti con la tecnica della mezzatinta, che
all’epoca dava ancora un sapore da cineromanzo a certe storie
libere delle riviste della Universo e di Grand Hotel.
La
leale e onesta fierezza del sioux Johnny, che non vuole deludere i
poveri indiani della sua tribù venuti a vederlo giocare, finisce per
esprimersi rifiutando di farsi comprare come tutti gli altri
giocatori della sua squadra, trascinando anche i compagni verso la
vittoria, denunciando gli scandali delle partite comprate nonostante
il pestaggio che subisce, e lo fa diventare un campione che non si
piega a compromessi e non accetta di partecipare agli imbrogli che
spesso caratterizzano la tanto sbandierata civiltà dell’uomo
bianco.
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Jeremiah Johnson, poster originale (1972) |
1972-1975:
Veri indiani e veri trapper
I
matrimoni interrazziali con relativa prole si moltiplicarono nei
fumetti western dopo l'uscita, nel 1972, del film Jeremiah Johnson
(Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!) di Sidney Pollack, in cui
Robert Redford interpreta un trapper realmente esistito, un
ex-soldato che nel 1850 lascia la cosiddetta civiltà per stabilirsi
in solitudine sulle Montagne Rocciose, dove sposa la figlia di un
capo degli indiani Teste Piatte e tenta di vivere in buoni rapporti
con i nativi. Ma quando guida un plotone dell’esercito attraverso
un cimitero sacro agli indiani Corvi, questi si vendicano
massacrandogli moglie e figlio adottivo. Johnson dichiara quindi ai
Corvi una guerra senza quartiere, affrontandoli e uccidendoli uno
alla volta e guadagnandosi così tra loro la fama e il rispetto
dovuti a un grande guerriero, anche se la faida tra lui e gli indiani
sembra non poter più avere fine.
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Il capo dei Corvi in una scena del film Jeremiah Johnson |
La
trama, basata su un racconto e un romanzo ispirati alla vera vita del
trapper "Mangiafegato" Johnson, non sarebbe molto filo-indiana se non
fosse per il matrimonio, che Johnson è costretto ad accettare, e per
il rispetto che col tempo impara ad avere per gli indiani anche
quando li combatte, un po’ per aver sposato una di loro, un po’
perché anche lui lotta per la vita in mezzo a una natura tanto
affascinante quanto ostile.
Inoltre
la scena che chiude il film, col capo dei Corvi che saluta Johnson
invece di attaccarlo e il protagonista che ricambia il saluto, si può
interpretare come una richiesta di tregua tra i due, differenziandosi
nettamente dai tipici finali dei vecchi western in cui l’eroe
bianco doveva sempre eliminare il suo nemico rosso in duello.
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Jeremiah Johnson con la moglie indiana |
In
Jeremiah Johnson troviamo insomma un ritratto abbastanza obiettivo
dei veri indiani, che qui non sono né troppo selvaggi né troppo
edulcorati, ma hanno la fierezza dei cacciatori e guerrieri indomiti,
cioè di uomini che in molti casi si opponevano strenuamente alla
civilizzazione e all’invasione da parte dei bianchi, anche
ricorrendo a mezzi davvero spietati, ma la cui cultura non è per
questo da considerarsi inferiore o negativa.
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Corvo Rosso non avrai il mio scalpo! (Jeremiah Johnson), poster italiano (1972) |
È
stata di certo determinante per il tono epico del film anche la
collaborazione come sceneggiatore di John Milius, che si sarebbe poi
dedicato alla regia perché insoddisfatto per come venivano dirette
le sue storie. Di sicuro, anche per Jeremiah Johnson, Milius avrebbe
preferito una messa in scena maggiormente violenta e incentrata sui
combattimenti, mentre l’approccio poetico di Pollack ne
alleggerisce molto i toni drammatici.
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Jeremiah Johnson nel finale del film |
Il
tono elegiaco è ottenuto dal regista prolungando le scene d’attesa
silenziose, soffermandosi molto sugli scenari naturali e concentrando
invece la maggior parte delle scene d’azione in brevi sequenze di
dissolvenze incrociate che le riassumono. Una tecnica simile sarà
poi usata, adattandola al fumetto, anche da Berardi e Milazzo su Ken
Parker, per sintetizzare dei lunghi periodi di tempo in poche
immagini di rapida lettura.
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Buddy Longway |
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Chinook |
Infatti
dopo l’uscita di Jeremiah Johnson si sposarono con donne indiane
anche tre personaggi dei fumetti che nella loro caratterizzazione
devono di certo molto al protagonista di quel film, ma che degli
indiani cercheranno sempre di essere più amici che nemici: Buddy
Longway - creato in quello stesso anno dal belga Derib -, Jonathan
Cartland - realizzato dal 1974 dai francesi Laurence Harlé e Michel
Blanc-Dumont -, e appunto Ken Parker - ideato nel 1974 da Giancarlo
Berardi e Ivo Milazzo e pubblicato dalla Bonelli a partire dal 1977.
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Buddy Longway 1 (edizione Dargaud, 1974) |
Buddy
Longway è un simpatico trapper protagonista di un fumetto alla cui
realizzazione Derib aveva appena messo mano, con un tratto
semiumoristico simile a quello del tutto comico con cui realizzava
altre serie come Yakari e Go West, quando l’autore andò a vedere
il film di Pollack e ne fu enormemente influenzato.
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Buddy Longway e Chinook |
Così
nel primo episodio anche Buddy finisce per sposare una ragazza
indiana, e precisamente una sioux di nome Chinook (Vento Selvaggio),
che lui stesso aveva salvato due volte, prima da due trapper che
l’avevano fatta prigioniera e poi da un'altra tribù che voleva
renderla schiava e che guarda caso apparteneva proprio alla nazione
dei Crow (i Corvi), ovvero gli stessi nemici di Jeremiah Johnson.
Inoltre lo stile sia dei disegni che delle trame di Buddy Longway col
tempo si fanno sempre più realistici, crudi e dettagliati, mentre il
protagonista del fumetto ben presto si fa crescere una folta barba
bionda, esattamente come quello del film.
Nelle
storie di Derib, pur senza celare certe dure usanze dei nativi,
questi più che altro sono visti di volta in volta come vittime
dell’invasione dei loro territori da parte dei bianchi o delle
novità non sempre positive che i coloni provenienti dall’Est o
dall’Europa portano con sé, come l’alcool e le armi da fuoco.
Nel raccontare tali situazioni, fin dai primi episodi, il fumetto di
Derib si dimostra particolarmente originale e fuori dagli schemi,
tanto da vincere nel 1974 il premio Saint-Michel, che è solo il
primo di una serie di prestigiosi riconoscimenti.
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Buddy Longway 9 (Editions Du Lombard, 1980) |
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Buddy Longway 13 (Editions Du Lombard, 1984) |
In
Buddy Longway non sono messi in scena dei banali scontri tra
personaggi visti ingenuamente come più o meno buoni o cattivi, ma
situazioni di vita vissuta e di lotta per la sopravvivenza, spesso
estreme nella loro difficoltà, affrontate dai componenti della
famiglia costituita dal protagonista, sua moglie Chinook e i loro
figli Jérémie e Kathleen, con tutti i personaggi che crescono e
invecchiano man mano che la serie procede.
Il
nome Jérémie, dato da Buddy al primo figlio, tradisce ulteriormente
il debito che il personaggio ha col film di Pollack, tanto più che
nelle traduzioni italiane è spesso trascritto giustamente
all’inglese come Jeremiah. Nell’economia della serie il nome
deriva da quello dello zio del trapper. Infatti, dopo la morte
prematura della madre di Buddy, suo padre Harold lo aveva affidato
allo zio Jeremiah per poi partire in cerca di fortuna.
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Buddy Longway e famiglia - dal volume Les Saisons D'Une Vie |
Una
volta morto anche lo zio Jeremiah, il giovane Buddy Longway aveva
intrapreso l’attività di cacciatore solitario, come vediamo nel
nono episodio dal titolo Prime Cacce, in cui si narra tra l’altro
di come il trapper strinse le prime amicizie con gli indiani e le
ultime scene si ricollegano al primo episodio, anche nello stile.
Anche
il passato di Chinook prima che i due si incontrassero viene narrato
in flashback, nel tredicesimo episodio in cui è lo stesso Buddy a
narrare la vita di Chinook così come l’ha appresa da lei.
Scopriamo così che Chinook si era smarrita dopo aver tentato di
salvare la madre caduta in un fiume, per poi essere catturata e resa
schiava dai due trapper dalle cui mani Buddy l’aveva liberata nel
primo episodio.
Più
tardi, nel sedicesimo episodio, Buddy scopre cosa ne era stato di suo
padre. Anche Harold Longway, dopo aver vagato per il West, aveva
finito per fare amicizia con una tribù sioux, ma era poi stato
ucciso per un tragico equivoco da un guerriero. È l’anziana
donna-sciamano Saggezza Folle, colei che da giovanissima si innamorò
senza fortuna di Harold, a raccontare tutto a Buddy prima di morire,
in una storia toccante.
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Buddy Longway 15 (Editions Du Lombard, 1986) |
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Buddy Longway 16 (Editions Du Lombard, 1987) |
Buddy
Longway, dati i suoi rapporti di parentela coi Sioux, si schiera
dalla loro parte anche contro l’esercito. Nel dodicesimo episodio
ad esempio si scontra con un capitano razzista irresponsabile e
assassino, che Buddy è costretto a uccidere per impedire la strage
di un villaggio indiano di soli vecchi, donne e bambini.
Anche
nel quindicesimo episodio della serie, il trapper di Derib insiste a
prendere le parti dei suoi fratelli Sioux, nonostante un loro gruppo
che non lo conosceva fosse stato molto vicino a ucciderlo. Del resto
nella stessa storia i soldati trattano Buddy Longway ancor più
duramente, visto che lo considerano un rinnegato, in scene che
anticipano di qualche anno quelle analoghe del film Balla Coi Lupi.
Il fatto poi che qui una battaglia tra i Sioux e i soldati non abbia
superstiti sottolinea il convinto pacifismo dell’autore.
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Buddy Longway 18 (Le Lombard, 2003) |
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Buddy Longway 19 (Le Lombard, 2004) |
Anche
Buddy considererà sempre la guerra una follia insensata da evitare,
ma lo stesso non si può dire di suo figlio. Appartenendo sia al
popolo della madre che a quello del padre, Jeremiah è combattuto tra
due mondi in conflitto ed è colui che nella serie vive i maggiori
turbamenti. Nel diciottesimo episodio vediamo come abbia finito per
essere così disgustato dai pregiudizi e ingiustizie che gli indiani
e lui stesso subiscono, da unirsi a una banda di giovani guerrieri
sioux e partecipando alle loro scorrerie e massacri contro i coloni.
La riunificazione con la famiglia e il dissidio coi più avveduti
genitori, giungono troppo tardi per impedire che il ragazzo rimanga
definitivamente vittima delle incomprensioni tra popoli diversi e dei
suoi stessi errori.
La
perdita di Jeremiah segna la sorella Kathleen, che per un po’ si fa
più cupa e depressa. Ma quando nel diciannovesimo episodio un
cacciatore bianco senza scrupoli distribuisce alcool ai Sioux per
convincerli a massacrare i bisonti per lui, la ragazza si scuote,
prendendo coraggiose iniziative in difesa della sua gente.
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Buddy Longway 20 (Le Lombard, 2006) |
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Buddy Longway Intégrale III (Le Lombard, 2010) |
La
figlia di Buddy Longway, dopo la morte di un giovane guerriero sioux
suo amico, prenderà infine una decisione opposta al fratello. Andrà
a vivere in città, frequenterà le scuole dei bianchi e
intraprenderà la carriera di avvocato, per poter difendere meglio la
propria gente. Kathleen ritorna nei luoghi in cui vivevano i suoi
genitori solo nel finale del ventesimo e ultimo episodio, dopo che
anche Buddy e Chinook sono scomparsi per mano di un vecchio nemico.
Paradossalmente cadono vittime di un indiano rinnegato, proprio loro
che negli ultimi anni si prodigavano ad aiutare gli indiani delle
riserve. Su questa nota tragica la serie si interrompe, col tono
crepuscolare ed elegiaco di un’epoca irripetibile conclusasi per
sempre.
Un
volume celebrativo che riassume l’intera saga di Buddy Longway,
intitolato Le Stagioni di una Vita e illustrato dai begli acquerelli
di Derib, è stato scritto dall’autore dal punto di vista di
Kathleen, proprio come se fosse lei in prima persona, unica
superstite della famiglia, a rievocare gli anni passati con i suoi
cari.
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Buddy Longway 5 - Collana Grandi Eroi n. 14 (ComicArt, 1987) |
In
Italia, tra il 1979 e il 1987, le saltuarie pubblicazioni degli
editori Vallecchi, Nuova Frontiera e Comic Art, tradussero i primi
cinque album di Buddy Longway, mentre l’Eura tra il 1983 e il 1984
ne pubblicò a puntate su Lanciostory i primi undici episodi. Nel
2015 la RW Edizioni avrebbe dovuto pubblicare l’intera serie in
bianco e nero e in formato bonellide, ma l’iniziativa per qualche
motivo si è interrotta al quinto albo e al decimo episodio. Quindi
quasi la metà degli episodi di Buddy Longway sono usciti in italiano
soltanto nell’edizione in dieci albi a colori apparsa sulla Collana
Western, allegata in quello stesso anno alla Gazzetta dello Sport, in
cui per la prima volta sono state tradotte tutte e venti le avventure
del trapper di Derib.
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Les Peaux Rouges 1 (Casterman, 1974) |
Assecondando
il crescente interesse del pubblico per la vera cultura degli
Indiani, nel 1973 iniziò in Olanda una serie in nove album dedicata
ai Nativi Americani e alla loro storia, intitolata Den Indianen-Reeks
e realizzata dal disegnatore locale Hans Kresse, che per il primo
album della serie ricevette il premio per il miglior fumetto
straniero al festival del fumetto di Angoulême nel 1977. Gli Indiani
di Kresse erano infatti stati tradotti in francese dall’editrice
belga Casterman dal 1974, col titolo Les Peaux-Rouges (I Pellirosse).
Anche
ne I Pellirosse gli eventi reali sono ripercorsi attraverso le
vicende di una famiglia, un po’ come accade nella Storia del West
di D’Antonio, solo che in questo caso si tratta di una famiglia
apache, così che la Storia americana è mostrata una volta tanto non
dal punto di vista dei bianchi ma da quello dei nativi, partendo dal
XVI secolo in cui incontrano i primi Conquistadores spagnoli. Negli
anni ’80 tutti e nove gli album della serie di Kresse furono
pubblicati anche in edizione italiana, dall’Editoriale Lo Vecchio,
col titolo I Pellirossa.
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Les Peaux Rouges 2 - retro (Casterman, 1974) |
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Miraggi di Blanc-Dumont - Speciale Protagonisti (L'Isola Trovata,1986) |
Sempre
tra il 1973 e il 1974, il francese Michel Blanc-Dumont disegnò a
fumetti delle leggende indiane molto curate e realistiche, quattro
storie che furono raccolte nel volume Miraggi, pubblicato nel 1985
dalla Dargaud e in Italia l’anno seguente da L’Isola Trovata,
come supplemento alla collana I Protagonisti.
Oltre
a queste vere e proprie leggende, la raccolta Miraggi di Blanc-Dumont
contiene altri racconti disegnati dallo stesso autore, spesso scritti
da Laurence Harlé e dedicati in particolare agli Indiani d’America,
non solo visti come erano in passato ma anche nelle loro condizioni
attuali, su come spesso sono stati umiliati o sterminati dai bianchi
e su come oggi possono ancora tentare di rapportarsi con l’eredità
della loro cultura.
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Jonathan Cartland 1 (1974) da Gli Albi di Pilot n. 5 (Bonelli-Dargaud, 1985) |
Usi
e costumi indiani sono ricostruiti con grande cura e precisione sia
nelle storie brevi di Blanc-Dumont che nella serie Jonathan Cartland,
da lui disegnata dal 1974 sempre su testi di Laurence Harlé. Come
Buddy Longway, anche Cartland è all’inizio un trapper, che nel
primo episodio ambientato nel 1854, intraprende una vendetta contro
degli indiani Crow, perché un suo amico indiano dei Sioux Oglala è
stato impiccato per un furto commesso da loro. Sia la presenza dei
nemici Corvi che gli scenari innevati rimandano a Jeremiah Johnson,
anche se ci si chiede perché il protagonista si vendichi contro gli
indiani Corvi e non contro i bianchi che hanno impiccato il suo amico
senza prove… Comunque, a vendetta compiuta, Cartland passa a
difendere gli Oglala dalle manovre di loschi trafficanti che vogliono
provocare una guerra per spazzar via i nativi.
Alla
fine del primo albo Jonathan è definitivamente adottato dagli Oglala
e, come fece Jeremiah Johnson, sposa poi la figlia del capo e va a
vivere con lei in una capanna sui monti finché un giorno, poco dopo
la nascita di loro figlio, torna alla capanna e trova la moglie
uccisa. La differenza rispetto al film di Pollack è che qui il
colpevole è un indiano shoshone, che solo più tardi Cartland potrà
identificare e affrontare in duello.
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Jonathan Cartland 2 (1975) da Gli Albi di Pilot n. 11 (Bonelli-Dargaud, 1985) |
Intanto
Jonathan abbandona il figlio neonato lasciandolo alla tribù della
madre e per anni vaga per la frontiera, prima ridotto a ubriacone,
poi facendo la guida di carovane e l’esploratore. Questa parte
ricorda certe scene de Il Piccolo Grande Uomo, mentre nel terzo
episodio Cartland sogna, o ricorda, di aver subito la prova della
Danza del Sole come l’Uomo Chiamato Cavallo, ma nel fumetto di
Harlé e Blanc-Dumont tali suggestioni degli allora recenti western
filo-indiani si amalgamano in una serie molto originale e ben
riuscita.
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Jonathan Cartland 3 ristampa (Dargaud) |
|
Jonathan Cartland 3 ristampa (Dargaud) |
Le
avventure di Jonathan Cartland oscillano continuamente tra il mondo
di visioni oniriche degli indiani e quello ben più realistico ma
anche cinico e prosaico dei bianchi. I pellirosse dediti alle loro
magie, siano Sioux, Shoshoni, Mandan, Hopi, Navajo o Cheyenne, sono
qui quasi sempre descritti come più nobili, saggi e leali rispetto
ai bianchi, i cui folli ed egoistici intrighi non fanno che seminare
violenze, morte e disastri.
Tra
gli episodi in cui si descrivono la vita e gli usi indiani ci sono il
quinto, in cui Jonathan è catturato dagli Cheyenne e costretto a
lavorare per una vedova come succedeva all’Uomo Chiamato Cavallo, e
il nono, in cui torna al villaggio oglala per ritrovare suo figlio, a
cui è stato dato il nome Bambino di Luce e che a neanche sei anni
già si considera molto più indiano che bianco. Se col decimo
episodio Jonathan smetterà di girovagare mettendo fine alle sue
avventure, sarà solo per stare con lui nel villaggio in cui il
piccolo è felice.
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Jonathan Cartland 9 (Dargaud,1989) |
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Jonathan Cartland - Cosmo Color n. 6 (Cosmo, 2014) |
In
Italia Jonathan Cartland uscì a puntate tra gli anni ’70 e ’80
sulle riviste Lanciostory e Pilot. Tra il 1985 e il 1987 i primi otto
episodi furono raccolti in altrettanti numeri de Gli Albi di Pilot.
Tra il 2012 e il 2013 tutti gli episodi tranne il primo sono usciti
in quattro albi bonellidi in bianco e nero della GP Publishing. Nel
2014 il primo episodio è riapparso sul n°6 della collana Cosmo
Color dell’Editoriale Cosmo. Tutti e dieci gli episodi sono stati
pubblicati a colori nel 2015, in cinque albi della Collana Western
allegata alla Gazzetta dello Sport.
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I Protagonisti di Albertarelli n. 2: Geronimo (Daim Press, 1974) |
Una
delle opere a fumetti più obiettive, accurate e ben documentate mai
realizzate sul vero West, è la collana I Protagonisti (ne abbiamo parlato anche altrove a partire da qui - n.d.r.), scritta e
disegnata da Rino Albertarelli e pubblicata da Bonelli tra il 1974 e
il 1975 sotto il marchio Daim Press. Della decina scarsa di albi che
l’autore fece in tempo a realizzare, solo due furono dedicati a dei
leader indiani, Geronimo e Toro Seduto. Di certo ciò è dovuto alle
maggiori difficoltà incontrate nel ricostruire con precisione le
vere vite degli indiani, su cui le testimonianze attendibili sono più
scarse.
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I Protagonisti di Albertarelli n. 5: Toro Seduto (Daim Press, 1975) |
Nelle
storie di Albertarelli i due capi sono raffigurati, dal punto di
vista della loro gente, come veri e propri eroi che difendono i
rispettivi popoli. All’inizio del n. 2, si nota che la ferocia
degli Apache come di Geronimo si dovesse ai secoli in cui risposero
colpo su colpo alle terribili violenze perpetrate contro di loro da
Spagnoli e Messicani. Nel n. 5 Toro Seduto è invece descritto come
un capo coraggioso e saggio che cerca di mantenere la pace ma non è
disposto a piegarsi ai ricatti e inganni con cui i bianchi vogliono
sottomettere e derubare la sua gente. Se Geronimo fu infine convinto
ad arrendersi dalle solite false promesse dei bianchi, Toro Seduto
non smise di consigliare gli altri Sioux a opporsi alle imposizioni
del governo, finché non venne ucciso.
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Custer di Albertarelli (1974) - ristampa (Hobby & Work, 1994) |
Dall’altra
parte della barricata, sul n. 1 dedicato a Custer, Albertarelli
descrive come l’esercito era usato per imporre le continue
violazioni ai trattati da parte dei bianchi e come gli indiani
venissero appositamente provocati per sconfiggerli in guerra e
derubarli sempre più dei loro territori. Inoltre cita le parole di
Custer in cui anche lui dice che gli indiani avevano ogni ragione di
ribellarsi contro gli imbrogli e i ladrocini dei bianchi.
La
conoscenza e il rispetto che Albertarelli dimostra per le culture
indiane, fanno rimpiangere che la sua scomparsa, avvenuta proprio nel
1974, gli abbia impedito di disegnare altre biografie di grandi
uomini rossi.
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I Protagonisti di Albertarelli n. 10: Herman Lehmann (Daim Press,1975) |
Il
decimo albo de I Protagonisti, con cui la serie si chiuse nel 1975 e
di cui Albertarelli riuscì a disegnare poco più di quaranta pagine,
fu completato da un altro grande fumettista, Sergio Toppi, con stile
molto diverso anche nella grafica, ma con la stessa passione e
correttezza nel tratteggiare i fieri guerrieri delle praterie.
Quell’ultimo
volume è dedicato a Herman Lehmann, uno dei tanti bianchi catturati
e/o adottati dagli indiani, nel tentativo di rimpiazzare i loro
guerrieri e bambini uccisi negli scontri coi bianchi ma anche con
altre tribù. Nella storia di Herman, figlio di coloni tedeschi
rapito a undici anni dagli Apache nel 1870, si parla infatti anche di
come questo popolo fosse in guerra non solo contro Statunitensi e
Messicani ma anche contro i Comanche e di come, nonostante ciò, fu
stretta un’alleanza contro i bianchi tra nazioni Apache, Comanche e
Kiowa. Si verificava così a Sud-Ovest ciò che tentarono anche le
tribù dell’Est e del Nord-Ovest, per opporsi all’avanzata del
nemico comune, ma in questo caso si riuscirono a superare anche certi
atavici odi tribali.
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I Protagonisti n. 10: Herman Lehmann - disegno di Toppi (Daim Press, 1975) |
Herman
Lehmann, la cui storia è vera come tutte le altre della serie, si
adatta alla dura vita impostagli dagli Apache fino a sentirsi a tutti
gli effetti un indiano e diventa perfino un capo di guerra, il ché
fa sembrare più verosimile anche l’idea di un capo bianco alla
Tex. Inoltre, quando avendo ucciso uno sciamano è costretto a
fuggire per mettersi in salvo dalla vendetta degli Apache, Herman non
torna subito tra i bianchi, ma preferisce diventare un comanche,
finendo per farsi adottare dal famoso capo mezzosangue Quanah Parker.
Anche dopo essere tornato dalla sua famiglia, con enormi difficoltà
di adattamento, Lehmann mantenne la nazionalità comanche, segno che
anziché vergognarsene la preferiva a quella di cittadino americano.
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Finché Vivrai di Toppi - da Il Giornalino n. 16 del 1977 |
Pochi
anni dopo il suo lavoro su quel volume, forse anche ispirato da come
Albertarelli aveva descritto dall’interno e con obiettività la
vera vita dei pellirosse, Sergio Toppi realizzò da solo, per vari
editori, testi e disegni di alcune altre affascinanti storie dedicate
agli Indiani d’America con particolare correttezza e poesia.
Su
Il Giornalino Toppi pubblicò nel 1977 il racconto a colori Finché
Vivrai, in cui un indiano narra come, quand’era ragazzo, dei
bianchi corruppero suo padre provocandone la morte, ma un altro uomo
rosso gli insegnò a cacciare, a vivere nella natura e a disprezzare
ciò che viene dalla cosiddetta civiltà dei bianchi.
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Little Big Horn 1875 di Toppi - da Alter Alter n. 7 del 1978 |
Per
Alter Alter n°7 del 1978, Toppi disegnò un breve fumetto dal titolo
Little Big Horn 1875, dai toni più enigmatici e provocatori, in cui
a una vedova sioux nasce un figlio per intercessione del Grande
Spirito. Da adulto, questi si atteggia a messia con modi arroganti
mostrando disinteresse sia per la morte della madre che per le
opinioni di suo nonno. Poi, in una sorta di visione profetica,
calpesta i cavalleggeri di Custer, ma le sue parole presuntuose e
offensive rivolte anche al Grande Spirito suo padre, che a suo dire
non ha protetto il popolo rosso come invece farà lui, sembrano avere
conseguenze nefaste sia per lui che per la sua gente.
Sempre
nel 1978, sul diciassettesimo volume della collana Un Uomo
Un’Avventura, Toppi realizzò una storia a colori di respiro molto
più ampio, L’Uomo delle paludi, ambientata in Florida intorno al
1840 e dedicata alla resistenza degli indiani Seminole contro
l’esercito statunitense. Il capo Halpatter, realmente esistito,
riceve qui un aiuto prezioso da un sergente che era stato degradato e
arrestato in quanto ex-schiavo fuggitivo.
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L'Uomo delle paludi di Toppi - Un Uomo Un'Avventura n. 17 (Cepim, 1978) |
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Il Collezionista 1 di Toppi - I Protagonisti n. 2 (L'Isola Trovata, 1984) |
Un’altra
lunga storia di Toppi che ha a che fare con gli Indiani d’America è
Il Calumet di Pietra Rossa, primo episodio della serie Il
Collezionista, uscito a puntate sulla rivista L’Eternauta dal n. 7
al n. 9, nel 1982. Il misterioso protagonista racconta come sia
riuscito a entrare in possesso di un rarissimo calumet, rubandolo
nientemeno che a Cavallo Pazzo il giorno prima della battaglia di
Little Big Horn. Nonostante la sua subdola azione, in linea coi
continui ladrocini dei bianchi, il Collezionista dimostra però
un’evidente simpatia per i Sioux e la loro causa, prendendo
opportuni provvedimenti per aiutarli un po’ in occasione di quella
battaglia.
In
tutte queste storie, pur senza indulgere a un buonismo scontato o a
un banale rovesciamento di campo, è abbastanza evidente che anche la
simpatia dell’autore non va certo alla società ipocrita e
opportunistica dei bianchi. Va semmai a quella più dura, ma tutto
sommato anche più vera, onesta e diretta, degli indiani. Eppure i
protagonisti con cui il maestro Toppi potrebbe in qualche modo
identificarsi, il dissimulatore sergente Whiteman o il raffinato e
solitario Collezionista, dopo aver dato assistenza alla parte che più
lo merita riprendono la loro strada, come chi non può essere legato
a un unico popolo, o fidarsi dei cuori umani che troppo facilmente si
riempiono di odio, invidie o desideri di vendetta, qualunque sia il
colore della pelle.
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Amerinde di Toppi - Sulle Rotte dell'Immaginario n. 9 (2010) |
I
quattro racconti di Toppi citati, oltre ad aver trovato posto ognuno
in diverse antologie o ristampe, sono stati raccolti insieme nel
volume intitolato Amerinde, n. 9 della serie Sulle Rotte
dell’Immaginario, uscita nel 2010 allegata alla rivista Il
Giornalino e riproposta più di recente anche in versione cartonata.
Nel 2013 L’Uomo delle paludi è stato pubblicato anche in formato
Bonelli, sull’Almanacco dell’Avventura 2014.
Ma
a colmare in parte il vuoto lasciato dalla morte di Albertarelli, fu
un altro autore dotato di una profonda passione per il vero West,
ovvero Paolo Eleuteri Serpieri, che nel 1975 cominciò a collaborare
con l’appena nato settimanale Lanciostory e che si dedicò presto
alla realizzazione pressoché esclusiva di fumetti western.
La
sua storia Una Stella da Sioux, del 1976, ha già contenuti
antirazzisti e un protagonista che tra Sioux e Yankee non avrà dubbi
sul popolo con cui vivere, dato l’odio dei bianchi per chi è anche
solo creduto diverso.
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Lanciostory anno II, n. 3 - copertina di Eleuteri Serpieri (Eura, 1976) |
Serpieri
iniziò a firmare i suoi disegni dalla storia del 1977 La tana del castoro, in cui a un trapper è data una possibilità di sfuggire
alla morte, grazie alla pietà che aveva mostrato verso alcuni
indiani. Intanto la collaborazione di Serpieri si estese alla testata
gemella Skorpio, nata proprio nel 1977. Sui due settimanali la sua
presenza, spesso annunciata dalle sue preziose copertine, significava
quasi sempre la possibilità di vedere alcuni degli indiani dai
costumi più verosimili, accurati e corretti che si fossero mai visti
nei fumetti.
Tra
quelle di Serpieri non mancano storie in cui dei bianchi hanno
sposato delle indiane, come Battere il colpo del 1978, in cui un
cacciatore si vendica sui soldati che hanno violentato e ucciso sua
moglie, che era una kiowa. A volte gli indiani di Serpieri sono
assoluti protagonisti dei suoi fumetti, spesso sceneggiati da
Raffaele Ambrosio, come nel racconto del 1978 Bastone Tonante, in cui
vediamo come cambia la vita di un capo Chippewa e del suo popolo dopo
che un bianco gli dona un fucile, o nella storia del 1979 Come Coda
di Volpe divenne bandito, in cui un capo cheyenne inizia a compiere
razzie dopo che alcuni bianchi avevano cercato di imbrogliarlo, o
nella storia Takuat dello stesso anno, in cui un indiano viaggia
oltre il tempo e lo spazio sperando di cambiare la storia e fermare
le guerre in cui i bianchi hanno decimato il suo popolo.
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Cavallo Pazzo di Eleuteri Serpieri (1978) |
Tra
le più belle storie di Serpieri nel suo periodo all’Eura, ci sono
le due storie a puntate uscite su Skorpio nel 1978 dedicate alla vita
del capo dei Sioux Oglala Cavallo Pazzo e alla battaglia di Little
Big Horn. La prima è una biografia che per obiettività e
accuratezza storica regge benissimo il confronto con quelle
realizzate quattro anni prima da Albertarelli, con disegni più
dettagliati e qualche concessione in più alla visionaria
spiritualità indiana. Nella seconda Serpieri approfondisce i momenti
finali della vita di Custer e dei suoi soldati, narrando di nuovo la
grande vittoria dei Sioux di Cavallo Pazzo, ma ora dal punto di vista
dei bianchi.
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L'Uomo che non aveva i pollici di Eleuteri Serpieri (1980) |
Serpieri
lasciò Lanciostory e l’Eura nel 1980 con due bellissime storie a
colori scritte da Ambrosio. Ne L’Uomo che non aveva i pollici, si
narra di una donna bianca che ha lasciato volontariamente la sua
famiglia puritana per sposare un guerriero crow, scegliendo così una
vita piena di rischi. Nel racconto Sciamano, un uomo di medicina
sioux che rifiuta di arrendersi ai bianchi viene tradito da uno della
sua gente e impiccato dai soldati, ma il suo spirito vendicativo
sembra poi perseguitare i principali responsabili della sua fine.
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Sciamano di Eleuteri Serpieri (1980) |
Tra
il 1980 e il 1981 Serpieri collaborò alla Histoire du Far West
scritta da J. Ollivier e pubblicata dall’editrice francese
Larousse. In quell’ambito disegnò delle ennesime cronache a
fumetti su grandi capi indiani come Tecumseh, Toro Seduto e Cavallo
Pazzo e sulla magica Danza degli Spiriti insegnata dal profeta dei
paiute Wovoka, l’estrema disperata illusione di riscatto degli
indiani delle pianure, narrando anche come questa esile speranza si
interruppe bruscamente e definitivamente col massacro di Wounded
Knee. Questi racconti in Italia uscirono a puntate sulla rivista
L’Eternauta tra il 1984 e il 1985, sotto il titolo Storie del Far
West. A quel punto i disegni di Serpieri erano ormai del tutto
maturi, raffinatissimi e graficamente sempre più liberi.
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Orient Express n. 13 - copertina di Eleuteri Serpieri (L'Isola Trovata, 1983) |
Nel
1982 Serpieri passò a collaborare alle riviste Orient Express e
L’Eternauta. Sulla prima nel 1983 pubblicò a puntate la sua storia
western più lunga, L’indiana bianca, in cui una famiglia di
pionieri del Texas è alla ricerca della figlia rapita anni prima dai
Comanche. Lo spunto è analogo a quello del film del 1956 Sentieri
Selvaggi di John Ford, ma qui è sviluppato in modo più crudo,
esplicito e violento, usando inoltre un giovane meticcio come
protagonista, così da prendere le distanze dalle connotazioni
razziste di quella pellicola.
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Toro Seduto disegnato da Eleuteri Serpieri (1980) |
Per
L’Eternauta invece Serpieri disegnò nel 1982 il racconto Uomo di
Medicina, in cui un vecchio cheyenne rievoca un più fiero passato,
ricordando quando con altri guerrieri seguiva Naso Aquilino, un capo
di guerra realmente esistito, che con la sua magia li guidò alla
vittoria contro dei soldati. È storico che gli indiani, e in
particolare Naso Aquilino, ritenessero di poter essere resi
invulnerabili da particolari riti o oggetti magici.
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Uomo di Medicina, di Eleuteri Serpieri da L'Eternauta n. 2 (1982) |
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Illustrazione di Eleuteri Serpieri da L'Eternauta n. 19 (1983) |
Sempre
per L’Eternauta, Eleuteri Serpieri realizzò anche una serie di
bellissime illustrazioni a colori, intitolate Mitico West e
pubblicate sul retro della rivista tra il 1983 e il 1984,
raffiguranti precisi personaggi storici o costumi di indiani delle
varie nazioni o scene di frontiera, sempre con una netta prevalenza
di pellirosse.
I
fumetti western di Eleuteri Serpieri sono stati raccolti in varie
serie di album, di solito sotto il titolo generico di Storie del
West, dalle prime edizioni dell’editrice L’Isola Trovata negli
anni ’80 alle attuali delle Edizioni Di. L’Indiana Bianca uscì
in album per la prima volta nel 1984, sul n. 5 della serie Gli Albi
di Orient Express.
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Storie del West - Donne di Frontiera di Eleuteri Serpieri (Edizioni Di) |
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Il West di Eleuteri Serpieri Collezione (Macchia Nera) |
Nel
1996 parte delle sue storie western in bianco e nero è uscita in
formato bonellide nei quattro numeri della miniserie Il West di
Eleuteri Serpieri, dell’editrice Macchia Nera. Una selezione di
cinque storie di cui tre a colori è uscita poi nell’album Serpieri
- I Colori del West, pubblicato nel 2013 dalle Edizioni del
Capricorno.
1975-1977:
Fratelli di sangue bianchi e rossi
A
metà anni ’70 la questione indiana, in particolare riguardo al
rifiuto degli Apache di lasciare le loro terre per entrare nelle
riserve malsane destinate loro dal governo, è affrontata
marginalmente anche nella serie L’Uomo di Richmond disegnata da
Ernesto Garcia Seijas, il cui protagonista, il pistolero Ron Warlock
detto San Francisco, si accompagna all’apache Nikowa soprannominato
Gilè. Nonostante i due siano amici, Ron ha dei pregiudizi verso la
gran parte degli indiani che considera dei vili selvaggi sanguinari
finché Gilè, d’accordo con gli apache, gli fa subire una dura
prova che riproduce simbolicamente le sofferenze inflitte al suo
popolo dai bianchi, così che possa comprendere anche le loro ragioni
e magari intercedere presso le autorità.
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Gilè - da L'Uomo di Richmond - su Lanciostory n°4 del 1977 |
Quando,
nel trentasettesimo e ultimo episodio de L’Uomo di Richmond, gli
Apache finiscono per sollevarsi in massa, Gilè pianta in asso Ron
per unirsi ai suoi fratelli rossi che fronteggiano un esercito molto
meglio armato (una cosa che il Tonto di Lone Ranger non avrebbe
fatto...). La scena finale della storia e dell’intera serie in cui
San Francisco e le sue amiche Polly e Lola si gettano anche loro
nella mischia, senza neanche sapere da quale parte staranno, rimane
del tutto aperta ma risulta un po’ irreale e fin troppo romantica.
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L'Uomo di Richmond - copertina inserti Skorpio (Eura, 1982) |
In
Italia L’Uomo di Richmond è uscito su Lanciostory dai primi numeri
del 1975 ed è stato ristampato in inserti su Skorpio tra il 1981 e
il 1982. In questa romantica serie Gilè è descritto come un indiano
che rifiuta di vivere da emarginato nel mondo dei bianchi, ma vengono
giustificate un po’ troppo facilmente le stragi indiscriminate
degli Apache e si nota un pizzico di razzismo residuo per come i
protagonisti sembrano essere accoppiati. Il biondo Ron infatti si
dimostra affezionato alla bella e bionda giornalista scozzese Polly
Dugan, mentre l’apache Gilè pare intendersela con la messicana
Lola, altrettanto bella ma dall’incarnato più scuro.
In
effetti negli anni ‘70, dopo il film Soldato Blu in cui una donna
bianca difende gli Cheyenne che l’avevano rapita e il suo marito
indiano, i tempi erano ormai maturi perché, nell’ambito delle
unioni interrazziali, non fossero più soltanto gli uomini bianchi a
sedurre e sposare delle donne indiane. Ora potevano apparire anche
storie in cui erano degli uomini indiani a unirsi con donne bianche,
senza che ciò desse troppo scandalo.
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Watami vol 1 (Ediciones Record) |
In
un episodio del 1976, ha quindi una storia d'amore con una ragazza
bianca di nome Kate anche il giovane cheyenne Watami, il protagonista
di una serie creata nel 1962 dal grande sceneggiatore Héctor
Oesterheld sulla rivista argentina Misterix, disegnata da Jorge
Moliterni e ambientata ai tempi di Davy Crockett.
Ma
Kate è la figlia cieca del cacciatore di scalpi Zeb Kirkpatrick,
colui che ha ucciso la madre e il fratellino di Watami e di cui
questi vuole vendicarsi. Per ironia della sorte poi, anche Kate è
uccisa dal proprio padre e dai suoi complici, che tra gli cheyenne
non l’hanno riconosciuta perché in quel momento era in abiti
indiani.
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Watami - da Lanciostory n. 48 del 1976 |
Pur
avendo sempre più motivi per odiare i bianchi, che più volte hanno
sterminato la sua gente, dopo questo ennesimo lutto Watami non cerca
più la vendetta. Lascia in vita Zeb perché soffra per ciò che ha
fatto e, amareggiato dalla perdita dell’amata, vaga per la
frontiera insieme al trapper Orso Duro, suo fratello di sangue. Kate
riappare poi a Watami sotto forma di spettro, salvandolo durante la
battaglia di Alamo.
Questa
serie di Watami uscì dal 1976 anche su Lanciostory. Un’altra serie
del personaggio apparve in Italia sulla rivista Skorpio nel 1982, col
nome cambiato in Shunka, mentre la prima serie di Watami uscì in
italiano sempre su Skorpio solo nel 1985. Sia nelle vecchie che nuove
versioni, oltre che contro i bianchi, Watami combatte spesso anche
contro i Kiowa, anch’essi autori di violenti attacchi e razzie
contro gli Cheyenne.
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Wakantanka su Skorpio n. 1 (Eura, 1977) |
Sia
il dettaglio dell’amata donna bianca che muore e riappare in
spirito, che il conflitto tra nazioni indiane diverse, si ritrovano
anche nella storia Wakantanka, ideata sempre da Oesterheld nel 1977 e
disegnata da Juan Zanotto per la rivista argentina Skorpio. Qui il
protagonista è il giovane Chippewa Nakai, scacciato dalla tribù per
aver fatto l’amore con la donna del capo, all’epoca delle guerre
anglo-francesi del XVIII secolo.
Il
nome Wakantanka, cioè Grande Spirito, è dato al ragazzo dallo
sciamano Wakonda, che vede in lui la presenza divina. Ma i loro due
nomi sono usati da Oesterheld un po’ arbitrariamente, visto che sia
Wakonda che Wakantanka sono termini che esprimono lo stesso concetto
mistico panteistico in lingue diverse.
Comunque,
benché in esilio, il giovane ora chiamato Wakantanka continua a
combattere contro i nemici atavici dei Chippewa, ovvero gli Uroni
alleati dei Francesi. A un certo punto salva dagli Uroni un inglese
in missione di nome Marlon Catlin, che diventa suo fratello di sangue
e con cui vive le successive avventure.
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Wakantanka - Euracomix n. 14 (Eura, 1989) |
Dopo
la vittoria su un capo urone, di cui Wakantanka e Catlin trattano con
rispetto le spoglie, la storia fu interrotta dalla scomparsa di
Oesterheld, desaparecido negli anni terribili della dittatura
argentina. Poco dopo fu ripresa e completata da Zanotto coi testi di
Carlos Albiac, sceneggiatore meno ispirato che abbandonò le
atmosfere poetiche ed evocative tipiche di Oesterheld per narrare
delle battaglie in termini più prosaici.
Wakantanka
uscì a puntate sull’edizione italiana di Skorpio dal n°1 del
1977, fu poi ristampato sulla stessa rivista in forma di inserti nel
1981, e infine raccolto in un album cartonato sul n°14 di Euracomix
del 1989.
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Swea su Corrier Boy n. 5 del 1977 |
Altrettanto
romantica ma per molti versi meno realistica, è Swea Principessa di
Sole, una serie inizialmente scritta da Giovanni Cammarota e
disegnata da Nadir Quinto, uscita dal 1976 sulla rivista Corrier Boy.
Discendente dei Vichinghi sbarcati in America, la bionda Swea Otanka
è un’ennesima donna-sakem come tra i pellirosse se ne erano già
viste in romanzi e fumetti, anche se non sono mai esistite nella
realtà storica.
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Swea sull'inserto di Corrier Boy n. 49 del 1977 |
Rispetto
alle precedenti principesse indiane Swea ha più capacità guerriere,
forza e agilità, può contare sull’aiuto di un lupo e su poteri
medianici di portata imprecisata. Si può dire quindi che, oltre al
revisionismo pro-indiani, il personaggio riflette anche le
rivendicazioni femministe di quegli anni. La principessa Swea è
infatti a capo dei Mohawk e li guida contro tutti quei bianchi che,
al solito, vogliono derubarli delle loro terre, esercito statunitense
compreso. Tra il 1978 e il 1980 Swea è uscita anche in Francia,
sugli albi di Akim.
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Piuma Rossa, 1° episodio su Il Giornalino n. 1 del 1977 |
In
pratica è un indiano dai capelli biondi anche Piuma Rossa,
protagonista dell’omonima serie di Mario Basari e Gino Sorgini
uscita su Il Giornalino dal Gennaio 1977. Infatti il protagonista è
il figlio di un cacciatore bianco e un’indiana, che rimasto orfano
è adottato sia dal capo dei Piedi Neri che da un sergente della
polizia a cavallo. Da ragazzo Piuma Rossa viene quindi allevato tra
gli indiani, che lo chiamano anche Scalpo d’Oro per il colore dei
capelli, mentre da adulto si arruola nelle Giubbe Rosse. In comune
con Swea ha il fatto di essere amico di un lupo che conosce fin da
piccolo e con cui parla, così come parla col suo cavallo Vento.
Si
può notare tra le due serie la drastica differenza di abbigliamento
tra il succinto “bikini indiano” di Swea, e l’abito
accollatissimo che copre dalla testa ai piedi l’indiana Bucaneve,
amica d’infanzia e poi moglie di Piuma Rossa, una differenza dovuta
anche all’anacronistica censura imperante sulla rivista cattolica
Il Giornalino.
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Stray Dog da Il Monello n. 20 del 1977 |
Sempre
dal 1977, l’Editrice Universo pubblicò su Il Monello la serie
Stray Dog (Cane Randagio) scritta da Antonino Mancuso e disegnata da
Lino Jeva, il cui protagonista è figlio di Wild Bill Hickock e di
un’indiana, come se fosse una versione più moderna e antirazzista
del Kansas Kid di trent’anni prima. Stray Dog infatti è un
meticcio emarginato che non si schiera esplicitamente né per gli
indiani né per i bianchi ed è quindi disprezzato un po’ da tutti
come rinnegato. Nonostante ciò agisce come un giustiziere solitario,
mentre passa da un città all’altra, in perenne fuga perché
accusato ingiustamente di un crimine che non ha commesso. Anticipa
così il tema dell’eroe in fuga poi sfruttato anche in serie
televisive o fumettistiche successive, come Renegade o Saguaro,
personaggi che essendo ambientati nel presente sostituiranno il
cavallo di Stray Dog con una moto. Stray Dog è stato pubblicato
anche in Francia, sulla rivista El Bravo, tra il 1981 e il 1983.
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Il logo di Western Family |
Sulla
rivista Blitz, sempre della Universo, tra il 1977 e il 1981 uscì
invece la serie Western Family, scritta da Claudio Cicogna e
disegnata da Ranucci e Santilli, in cui al personaggio di Morrison
che perseguita gli indiani si contrappone il figlio Keith, col volto
di James Stewart, che vive tra i pellirosse e ha sposato una di loro.
Keith ha a sua volta due figli, Saul e Martin. Il primo, ricalcato su
Marlon Brando, si impegna in difesa degli indiani che lo chiamano Due
Pelli, mentre suo fratello diventa, all’opposto, un tenente di
cavalleria.
Western
Family, come dice il titolo, è una saga familiare che riecheggia sia
la Storia del West di D’Antonio che certi sceneggiati televisivi
tipo Alla Conquista del West, il ché spiega perché gli autori
abbiano usato dei volti di attori per i loro personaggi. La
particolarità della serie sta nella contrapposizione dei
consanguinei schierati su fronti opposti, così che si alternano i
due diversi due punti di vista, dei bianchi e dei rossi.
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L'Uomo del Texas di Nolitta e Galep (Cepim, 1977) |
Intanto
nel 1977 la Cepim, ovvero la Bonelli, pubblicò nella collana Un Uomo
Un’Avventura il volume L’Uomo del Texas, scritto da Guido
Nolitta, disegnato da Aurelio Galleppini e ambientato nel 1887,
quando le guerre indiane si erano ormai concluse con la resa di
Geronimo l’anno precedente. Ma il capitano Jerry Vance, che con le
sue truppe insegue una banda di cheyenne ribelli, coltiva ancora dei
sogni di gloria, tanto da ordinare un attacco senza pietà verso un
nemico ormai costituito per lo più da anziani, donne e ragazzi ai
limiti della resistenza umana e che già si stanno arrendendo. Nel
finale della storia, gli autori mettono così in scena un massacro
premeditato del tutto gratuito e inutile, non troppo diverso da
quello che avverrà realmente di lì a tre anni a Wounded Knee.
Questa vena abbastanza revisionista, che non stupisce nel Nolitta
autore di Zagor, spiega forse perché il suo alter ego editore Sergio
Bonelli diede fiducia ai fumetti western dalla concezione obiettiva e
moderna, alternativa ma non ingenua, scritti da un giovane Giancarlo
Berardi, che dopo cinque o sei anni di rodaggio presso altri editori,
nel giugno 1977 esordì alla Bonelli con due albi in contemporanea.
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Terra maledetta - Collana Rodeo n. 121 (Cepim, 1977) |
L’episodio
auto-conclusivo Terra maledetta, disegnato da Antonio Canale, uscì
sul n°121 della Collana Rodeo ed è ambientato nel Canada del XVIII
secolo. Il protagonista, l’inviato inglese Adam Wilson, indaga su
una spedizione dispersa quindici anni prima sperando di ritrovare il
proprio padre. Tradito e poi salvato da gruppi diversi di indiani
Chippewa, Wilson è coinvolto nella loro guerra tribale contro gli
Eskimo, deve smascherare un complotto ordito dal governatore della
regione e intanto sposa una ragazza chippewa, decidendo di restare
con gli Indiani. La storia è interessante soprattutto per
l’equilibrata descrizione degli usi dei nativi tra cui vive il
protagonista, la cui umanità e antirazzismo saranno sviluppati in un
altro personaggio di Berardi.
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Ken Parker - pubblicità sul retro degli albi Bonelli (1977) |
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Ken Parker n. 1 - ristampa a colori in album (L'Isola Trovata,1983) |
Nello
stesso mese del 1977, dopo tre anni di gestazione, esce infatti il
primo albo di Ken Parker, serie ideata da Berardi con l’amico
disegnatore Ivo Milazzo, ispirandosi al Robert Redford del film
Jeremiah Johnson.
Ma
il trapper Ken percorre una strada inversa all’ex-soldato Johnson,
poiché nella prima storia ambientata tra 1868 e 1869 si arruola
nell’esercito come scout per trovare gli assassini del fratello.
All’inizio deve quindi affrontare gli indiani che si ribellano
spinti dalla fame, ma si sente più solidale con loro che con certi
bianchi.
Nel
n. 4 Ken giunge dunque a Washington per perorare la causa dei Sioux
Dakota, provocati dalle compagnie minerarie per derubarli delle loro
terre, e si rivolge al commissario agli Affari Indiani Ely
Donehogawa, un indiano irochese che fu davvero nominato a tale carica
dal presidente Grant. Il discorso al Congresso con cui nel fumetto
Donehogawa difende gli indiani è una sintesi di sue vere
dichiarazioni e certe frasi dei suoi oppositori sono tratte da
comunicati reali degli affaristi che miravano alle terre sioux, o di
altri suoi nemici.
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Ken Parker n. 4, pag. 28 (Cepim, 1977) |
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Ken Parker n. 5 (Cepim, 1977) |
I
rapporti di Ken Parker con gli indiani si fanno più stretti sul n. 5
della serie, in cui è adottato per un anno dai Sioux Hunkpapa e tra
loro sposa una giovane vedova, che viene uccisa poco dopo dai
soldati. Infatti l’esercito attacca il villaggio nonostante ci
fosse un trattato di pace e stavolta Ken combatte dall’altra parte.
L’esperienza gli lascia un figlio adottivo sioux che non vedrà per
molto tempo, anche se dopo questa storia ambientata nel 1871, il
tempo interno alla serie scorre più lentamente e non è più
indicato con precisione.
Queste
sono solo alcune delle varie storie in cui Ken Parker si schiera
decisamente dalla parte dei nativi, che a seconda dei casi lo
chiamano con nomi come Lungo Fucile, Chemako (Colui Che Non Ricorda),
Hunka (Amico Scelto), o nel caso degli Inuit, ovvero gli Eschimesi,
Kenissuaq (il Grande Cacciatore Ken).
Ken
Parker incontra anche i veri capi sioux Toro Seduto e Gall, con cui
collabora nel n. 31 per sventare un complotto dei trafficanti che
fomentano la guerra. Invece alla fine del n. 32, vista la sete di
vendetta suscitata tra i bianchi dalla morte di Custer, Ken lasciare
l’esercito per non prender parte all’eccidio di un popolo e
riprende a fare il cacciatore e la guida in proprio. Nonostante ciò,
sarà ancora costretto a battersi contro degli indiani, che a volte
tenta di risparmiare perfino quando lottano ferocemente, ma non
sempre.
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Ken Parker n. 26 (Cepim, 1980) |
Nel
corso delle sue avventure, Ken Parker fa comunque amicizia con molti
nativi. Tra i più ricorrenti e meglio caratterizzati ci sono il capo
cheyenne Mandan da lui salvato nel n. 1 e che in seguito risparmia a
sua volta una carovana guidata da Ken, il guerriero cree Kamoose che
viaggia con Ken verso in Canada, per sfuggire alla legge che ricerca
entrambi, e l’inuit Oakpeha che accompagna Ken nel suo soggiorno
canadese.
Ma
è coi Sioux, in particolare i Sioux Hunkpapa che l’avevano
adottato, che Lungo Fucile stringe le migliori relazioni. Sul n. 2
della rivista Ken Parker Magazine nata nel 1992, è di nuovo accolto
da un villaggio hunkpapa, di cui vendica i morti dopo che degli
assassini bianchi lo hanno distrutto uccidendo quasi tutti.
Tra
le ultime storie di Ken sul triste destino degli indiani si può
citare L’Epilogo di Orso Nero, del 1994, in cui un capo sioux si
ribella per portare in salvo il suo popolo che muore di stenti, ma
questo accelera la loro fine.
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Ken Parker Magazine n. 2 (Parker Editore,1992) |
In
una storia dell’anno seguente, dal titolo Fuori Tempo, è invece un
villaggio kiowa a subire l’ennesimo sterminio da parte di un gruppo
di bianchi che stava cercando una banda di razziatori, e anche in
questo caso Ken è spinto come sempre dalla sua coscienza a tentare
di difendere con le armi i nativi innocenti.
Una
delle più belle storie di Berardi e Milazzo rimane poi quella uscita
nel 1998 sul quarto e ultimo numero di Ken Parker Speciale,
intitolato Faccia di Rame. Con una sfasatura temporale che anticipa
di trent’anni gli eventi reali e una certa approssimazione, vi si
narra la commovente storia vera dell’ultimo superstite degli
indiani Yahi della California, un altro popolo sterminato dai
bianchi. Il sopravvissuto chiamato semplicemente Ishi (uomo, nella
sua lingua) infine si adattò docilmente a vivere i suoi ultimi anni
presso un museo.
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Ken Parker Collezione n. 11 (SBE, 1997) |
Non
risulta in fondo altrettanto toccante il pur ben sceneggiato episodio
conclusivo in cui Ken Parker muore, uscito nel 2015 alla fine di una
pregevole ristampa settimanale di Mondadori, col protagonista
invecchiato dopo vent’anni di prigione. Chissà perché non è
stato coinvolto nella storia il suo figlio adottivo sioux, o perché
Ken non ha ripreso l’attività di scrittore che svolgeva nelle
ultime storie. Data la tarda ambientazione nel 1908, poteva anche
essere l’occasione per denunciare le tristi condizioni di vita
degli indiani delle riserve.
Ma
Berardi e Milazzo hanno preferito raccontare come il carcere cambia
in peggio le persone, descrivendo un Ken diventato più duro e
disilluso oltre che più debole e incerto per l’età, non più in
pace con sé stesso, né tanto meno in grado di prendere le difese di
popoli nativi ormai vinti, e costretto benché non rassegnato a una
lunga connivenza con criminali senza scrupoli. Se tutto ciò lo rende
ancora una volta più umano e meno prevedibile di altri personaggi
dei fumetti, fa anche essere molto triste e amaro questo tanto atteso
finale.
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Ken Parker Speciale n. 4 (SBE, 1998) |
Con
la fine di Ken Parker non è però ancora terminata la saga quasi
infinita del West filo-indiano a fumetti. Anche se la produzione di
questo genere si diradò molto dopo gli anni ’70, qualche sporadica
serie o breve episodio dalla parte dei Nativi Americani ha continuato
ogni tanto ad apparire anche successivamente, fino ai nostri giorni.
C’è quindi la seria probabilità che sia inevitabile una quarta
puntata di questo interminabile articolo, ma forse può consolare i
lettori più esausti sapere che in quel caso sarà sicuramente
l’ultima…
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Edizioni
più recenti in formato bonellide di alcune delle serie principali
citate nell’articolo:
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Il West di Eleuteri Serpieri vol 1 (Macchia Nera,1996) |
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Il West di Eleuteri Serpieri vol 2 (Macchia Nera,1996) |
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Il West di Eleuteri Serpieri vol 3 (Macchia Nera,1996) |
IL
WEST DI ELEUTERI SERPIERI
Miniserie
di 4 numeri
Testi:
Raffaele Ambrosio e Paolo Eleuteri Serpieri
Disegni:
Paolo Eleuteri Serpieri
Collana:
Almanacco di Lupo Alberto n°10/13
Formato:
96 pag. in bianco e nero
Editore:
Macchia Nera
Periodicità:
mensile
Data
di uscita: 1996
Prezzo
di copertina: £ 3.500 l’uno – la raccolta dei quattro numeri £
7.500
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Ken Parker Collection n. 2 (Panini, 2003) |
KEN
PARKER COLLECTION
Serie
di 45 numeri, di cui i primi 42 dedicati alla ristampa di Ken Parker
Testi:
Giancarlo Berardi
Disegni:
Ivo Milazzo, Giorgio Trevisan e altri
Note:
Giancarlo Berardi, Gianni Di Pietro e Francesco Manetti
Formato
standard: 208 pag. in bianco e nero
Editore:
Panini
Periodicità:
mensile
Date
di uscita: Maggio 2003 – Gennaio 2007
Prezzo
di copertina: da € 4,50 a € 4,90
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Comanche n. 1 - GP Pocket n. 1 (GP Publishing, 2012) |
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Comanche n. 7 - GP Pocket n. 7 (GP Publishing, 2012) |
COMANCHE
Miniserie
di 7 numeri
Testi:
Michel Regnier (Greg), Rodolphe
Disegni:
Hermann Huppen, Michel Rouge
Collana:
GP Pocket n°1-7
Formato:
dal n°1 al n°6, 96 pag. – il n°7, 144 pag. - in bianco e nero
Editore:
GP Publishing
Periodicità:
mensile
Date
di uscita: Marzo - Settembre 2012
Prezzo:
dal n°1 al n°6 € 2,90 – il n°7 € 4,50
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Jonathan Cartland n. 1 - GP Maniac n. 30 (GP Publishing, 2012) |
JONATHAN
CARTLAND
Miniserie
di 4 numeri
Testi:
Laurence Harlé
Disegni:
Michel Blanc-Dumont
Formato:
dal n°1 al n°3, 96 pag. – il n°4, 160 pag. - in bianco e nero
Editore:
GP Publishing
Periodicità:
mensile
Date
di uscita: Settembre 2012 – Giugno 2013
Prezzo:
dal n°1 al n°3 € 2,90 – il n°4 € 4,50
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Buddy Longway n. 1 - Lineachiara Bedé n. 5 (RW Edizioni, 2015) |
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Buddy Longway n. 4 - Lineachiara Bedé n. 8 (RW Edizioni, 2015) |
BUDDY
LONGWAY
Miniserie
di 5 numeri
Testi
e disegni: Derib
Collana:
Lineachiara Bédé n°5-9
Formato:
96 pag. in bianco e nero
Editore:
RW Lion
Periodicità:
mensile
Date
di uscita: Febbraio – Giugno 2015
Prezzo:
€ 2,90
Andrea Cantucci
un ottimo e approfondito articolo, complimenti.
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