sabato 5 dicembre 2020

"A CASA PRIMA DEL BUIO" DI MORICONI & ALBANO: IL MOVIMENTO FINALE, DAL 23 NOVEMBRE SU "LANCIOSTORY"!

di Francesco Manetti


La collaborazione, con la presentazione e un testo redazionale, al secondo volume di “A casa prima del buio - Secondo movimento: scherzo" (Aurea Books, 2019) di Francesco Moriconi & Emiliano Albano è stata uno dei momenti più entusiasmanti del mio ultimo (e spero non finale) vagare nel mondo dell'editoria fumettistica. Difficilmente negli anni più recenti mi era capitato di leggere un'opera della nuova narrativa italiana per immagini così curata da un punto di vista del soggetto, della sceneggiatura e del disegno. Inoltre, da parte degli autori, si osserva un'estrema padronanza di tutti i codici del linguaggio “fumetto”, codici che tanto hanno a che spartire, fin dalla fine dell'800, con il linguaggio “cinema”. Il cinema è costantemente citato nell'opera dell'Aurea - nella fattispecie il film "Destino" di Fritz Lang.



E non a caso le inquadrature, il montaggio, i “movimenti della macchina da presa” e – soprattutto! - la colonna sonora entrano di prepotenza in “A casa prima del buio”. Senza dimenticarci l'uso di volti familiari dello spettacolo, dei film, della musica; e anche questo ha un piacevole sapore di antica lezione. La precisione è fondamentale: lo sceneggiatore Moriconi invia al disegnatore Albano non soltanto la sceneggiatura "classica", con la descrizione di ciò che dovrà apparire in ogni singola vignetta (personaggi, ambienti, oggetti, inquadrature, etc.) e i dialoghi, ma pure un layout con la gabbia della tavola.


Frontespizio del "III Movimento"


Progetto per la copertina del terzo volume di "A casa prima del buio"

Oggi, avendo avuto il privilegio di poter leggere in anteprima e in versione integrale  il “III movimento - Marcia al supplizio” (in uscita a puntate su "Lanciostory" a partire dal 23 novembre 2020 e prossimamente raccolto in volume) della saga di Hofmann, non posso che riconfermare quelle impressioni che ebbi nel 2019, quando lessi le prime due parti della composizione.



Basterebbe quasi commentare la prima pagina, che vede muto protagonista Padre Haas. Una “splash panel” grande mezza tavola (scelta grafico-stilistica più volte ripetuta), con inquadratura a figura intera del protagonista, di spalle; il resto della pagina è diviso in ottavi; controcampo, campo lungo; e poi sette piani americani, come le sette note, dove il prete gesticola nel silenzio della Natura. Seguono tavole più classiche nel senso della “gabbia”, con l'efficace, poeticamente ritmato, alternarsi di vignetta stretta - vignetta larga - vignetta larga - vignetta stretta (o viceversa). Anche le sequenze notturne con i chiaroscuri e le potenti “masse nere” rimandano al grande schermo; basti considerare le silhouette, che non sono mai “perfette”, visto che un contorno chiaro suggerisce un'illuminazione frontale, dove la fonte luminosa (un immaginario riflettore) è celata al lettore-spettatore.




Il notturno del ventinovesimo capitolo (anno 1942), che apre il "III movimento", contrasta violentemente con la luce (il bianco) accecante del trentesimo (ambientato in parte nel 1951); è la metafore della fine di un periodo oscuro. Ma nel capitolo 30, il gusto del “classico”, si rompe quasi per incanto, in una doppia tavola. Nella sequenza del processo vignette grandi come thumbnails esplodono nella pagina dall'assenza di gabbia e poi si ricompongono nella ben nota forma della Svastica – che qui diventa un marchio d'infamia (processuale). Nel Dopoguerra K.V.H. è l'ombra di se stesso; lo salva soltanto il passato artistico, quando il passato umano rischia di dannarlo per sempre.



Più avanti, di nuovo nel 1942, salta agli occhi l'origami magico dove quattro grossi maiali pezzati su un foglio di carta diventano, se il foglio stesso è opportunamente piegato lungo linee tratteggiate, il volto truce di Hitler; l'imbarazzante cartoncino viene dato alle fiamme, ma l'esistenza stessa della pericolosa caricatura indica che un incantesimo si è rotto; è iniziato il riflusso; lo “spazio vitale” a Est è un osso più difficile del previsto da strappare alle fauci di Stalin; il fuoco del camino anticipa i roghi di una Berlino devastata dai sovietici nella primavera del 1945.




Gigante o essere infimo, Hofmann campeggia lungo tutta la narrazione. In una vignetta a tutta pagina, il protagonista è di spalle, impermeabile al vento, bavero rialzato, con una teoria di lenzuoli freschi di bucato che ondeggiano nell'aria mossa, come sipari o quinte teatrali, per svelare un'inattesa apparizione… tutto quanto comunica un senso di eroico, di eroico e di tragico, quasi wagneriano (e non potrebbe essere altrimenti).



La fine? La fine qui non può essere ancora raccontata. Dev'essere scoperta passo dopo passo, leggendo un capitolo, e attendendo l'uscita del nuovo su "Lanciostory", come ai tempi gloriosi dei feuilleton - fra colpi di scena, confessioni, pentimenti e regolamenti di conti. E poi, come in ogni capolavoro che si rispetti, non c'è – non ci sarà – un'unica fine, ma una serie di finali, incastonati l'uno dentro l'altro. E la speranza sarà l'ultima a morire.




Francesco Manetti

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