giovedì 11 marzo 2021

VITA E OPERE DI HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT - SETTIMA PARTE (1924)

di Sergio Climinti


Lovecraft visto da David Garcia Forés (2014)




1924




SOTTO LE PIRAMIDI

(UNDER THE PYRAMIDS, febbraio-marzo)

Scritto per conto di Harry Houdini, che appare come autore ufficiale del racconto.


I


Il mistero attrae il mistero. Più si accresceva la mia notorietà come realizzatore di numeri magici ‘inspiegabili’, più mi capitava d’imbattermi in episodi fantastici o resoconti di fatti straordinari che, in seguito alla fama da me acquisita, l’opinione pubblica collegava con i miei interessi e le mie attività. Alcune di queste avventure si sono rivelate del tutto insignificanti, altre profondamente drammatiche e coinvolgenti, altre ancora mi hanno indotto a dedicarmi ad ampie ricerche di carattere scientifico e storico. Dei molti episodi che ho vissuto in prima persona ho parlato e continuerò a parlare in maniera estremamente libera; ma ce n’è uno che ricordo con molta riluttanza e che mi decido a dare alle stampe soltanto adesso, dopo un’attiva opera di persuasione da parte degli editori di questa rivista, i quali ne hanno sentito parlare da altri membri della mia famiglia. L’argomento, finora gelosamente protetto dal silenzio, è collegato a un viaggio che feci in Egitto per scopi non professionali quattordici anni fa. Avevo evitato di parlarne per diverse ragioni, ma innanzitutto perché sono contrario a divulgare fatti indubbiamente reali e tuttavia ignorati dalle migliaia di turisti che si affollano intorno alle piramidi, e che le autorità del Cairo, pur essendone al corrente, preferiscono tenere nascosti. In secondo luogo, non mi piace raccontare un episodio in cui la mia fervida immaginazione deve aver giocato un ruolo determinante. Ciò che ho visto (o che ho creduto di vedere) certamente non è avvenuto; piuttosto, dev’essere considerato il risultato delle letture d’egittologia e relative speculazioni che avevo fatto in quel periodo, e che la meta del mio viaggio rinfocolò. Tali stimoli fantastici, ampliati dall’eccitazione di un avvenimento reale già di per sé abbastanza tremendo, stanno all’origine dell’orrore che si scatenò in quella notte allucinante, ma che ormai appartiene a un lontano passato.”


Port Said, Rue du commerce (1890-1910 ca.)


Nel gennaio del 1910, Houdini deve raggiungere l’Australia per una serie di rappresentazioni da tenere in vari teatri. Decide così di visitare con sua moglie il basso Egitto, prima di imbarcarsi a Porto Said per il continente australe.

Eravamo andati in Egitto alla ricerca di avventure pittoresche e del tocco dell’occulto, ma quando il piroscafo si fermò nella rada di Porto Said e scaricò i passeggeri su piccole scialuppe, avemmo una cocente delusione. Piccole dune di sabbia, boe che dondolavano nell’acqua torbida, una squallida cittadina in stile europeo la cui principale attrattiva era costituita dalla grande statua di De Lesseps, ci convinsero a raggiungere una destinazione più interessante. Dopo qualche discussione decidemmo di proseguire immediatamente per il Cairo e le piramidi.”


Statua di Ferdinand De Lesseps, diplomatico e imprenditore francese, artefice del Canale di Suez

Dopo un viaggio in treno della durata di quattro ore e mezzo, i due coniugi giungono alla stazione centrale della città, la quale delude le loro aspettative, perché “tutto quello su cui posavamo gli occhi era europeo”. Dopo aver soggiornato nel loro albergo, il giorno successivo la coppia si infila nelle vie tortuose dei quartieri popolari, dove si imbatte in Abdul Reis el Drogman, un misterioso cicerone che si offre come guida alla scoperta della città.

Godeva di un particolare ascendente su quelli della sua razza, ma in seguito la polizia dichiarò che l’uomo era assolutamente sconosciuto, che nella terminologia locale reis è una parola con cui si definisce qualsiasi individuo rivestito di una certa autorità e che drogman altro non è che la versione plebea e illetterata di ‘guida turistica’.

Comunque, Abdul ci scortò fra le meraviglie di cui avevamo solo fantasticato o al massimo letto. Il vecchio Cairo è già di per sé un libro di storia e un sogno… labirinti e vicoli inondati da profumi segreti; terrazzini in stile arabo e balconcini a bovindo che si sfiorano sull’acciottolato delle viuzze; rumori di traffici orientali punteggiati da strane grida, schiocco di frustini, rotolar di carretti, tintinnare di monete, ragliare di asini; caleidoscopi d’abiti policromi, veli, turbanti e fez; portatori d’acqua e dervisci, cani e gatti, negromanti e barbieri; e, al di sopra di tutto, l’incessante lamento dei mendicanti accucciati negli angoli e il richiamo dei muezzin dall’alto dei minareti che si stagliano contro un cielo di un azzurro intenso, immutabile.”


Una strada interna del Cairo


Houdini e la moglie non si risparmiano, visitano la moschea del sultano Hassan, il museo egizio, le tombe-moschee dei Califfi e la turrita porta di Bal-el-Azab, oltre la quale salgono lungo la salita che porta alla cittadella, fatta costruire dal Saladino con le pietre di piramidi dimenticate. “Era il tramonto quando scalammo l’altura, effettuammo il periplo della moschea di Muhammad Ali e guardammo dalla vertiginosa balaustra l’incredibile città che si stendeva ai nostri piedi… Il Cairo mistico e d’oro, con le cupole istoriate, i minareti eterei e i giardini fiammeggianti.”


Le tombe-moschee dei Califfi (Il Cairo)

Il giorno dopo ancora, i due sono pronti per scoprire l’Egitto dei faraoni e si dirigono, cavalcando un paio di cammelli, verso le tre piramidi assieme a una comitiva di turisti.


“A un certo punto scendemmo verso la Sfinge e ci sedemmo in silenzio sotto la magia di quei terribili occhi ciechi. Sull’ampio torace di pietra distinguemmo vagamente l’emblema di Râ-Harakhte, perché durante una delle ultime dinastie il colosso fu scambiato per la sua effige, e sebbene la sabbia coprisse il cartiglio in mezzo alle zampe, ricordammo ciò che vi fece scrivere Thutmosis IV e il sogno che ebbe quando era soltanto principe. Forse fu per questo che il sorriso della Sfinge ci sembrò vagamente sgradevole, e il nostro pensiero corse alle leggende dei passaggi sotterranei che si aprirebbero sotto la mostruosa creatura: corridoi che sprofonderebbero in basso, sempre più in basso, verso abissi che la mente non osa immaginare ma collegati a misteri più antichi dell’Egitto dinastico riportato alla luce dagli scavi… misteri che hanno a che fare con la millenaria permanenza di divinità mostruose, con la testa d’animale, nel pantheon nilotico. In quel momento mi posi una domanda, apparentemente oziosa, il cui significato mostruoso era destinato ad apparirmi chiaro soltanto dopo diverse ore.”




La Sfinge e, sullo sfondo, le piramidi



Con l’arrivo di altri turisti il gruppo si sposta, visita le piramidi e altri siti archeologici nell’area circostante, ma rinuncia a entrare nei cunicoli interni delle enormi costruzioni, sia per la stanchezza che per il baccano sollevato da alcuni arabi. Così tornano in albergo, ma la sera Houdini decide di addentrarsi di nuovo nel pittoresco quartiere arabo guidato da Abdul Reis.

Pur avendolo già visto di giorno, volevo osservare i vicoli e i mercati al crepuscolo, quando dense ombre e luci ammiccanti avrebbero aggiunto un nuovo elemento di fascino esotico. Gli abitanti del luogo si stavano diradando, ma erano ancora molto rumorosi; a un tratto ci imbattemmo in un gruppo di beduini che si davano ai bagordi nel Suken-Nahhasin, ovvero il bazar dei calderai.”


Quartieri popolari del Cairo


Il capo dei beduini, tale Ali Ziz, comincia a provocare Abdul Reis. Dopo uno scambio di offese i due vengono alle mani e ne nasce una rissa. Houdini si frappone ai due e riesce a separarli, ma solo per una breve tregua. Infatti gli egiziani sono intenzionati a dirimere la questione con una scazzottata notturna in cima alla Grande Piramide, secondo un’antica tradizione locale, la quale prevede anche un certo numero di secondi che assistano i lottatori. Così, dopo aver girovagato tra le bettole della città alla ricerca di un sufficiente numero di uomini, il gruppo attraversa il Nilo a dorso di alcuni asini e si avvia verso la sua destinazione.


Lungo il fiume Nilo


Il tragitto richiese circa due ore, al termine delle quali superammo l’ultimo gruppo di turisti di ritorno dalle escursioni archeologiche, incrociammo l’ultima corsa d’autobus e rimanemmo soli con la notte, il passato e la luna spettrale. Infine scorgemmo le piramidi, enormi e gravide di un senso atavico di minaccia che non mi sembrava di aver notato alla luce del sole. Anche la più piccola era soffusa dalla stessa aura magica: non era lì che avevano sepolta viva la regina Nitokris, durante la sedicesima dinastia? L’astuta regina che una volta aveva invitato tutti i suoi nemici a una grande festa in un tempio sotto il livello del Nilo, e poi li aveva affogati facendo aprire le chiuse? Ricordai che gli arabi sussurrano strane dicerie a proposito di Nitokris e che evitano la Terza piramide durante certe fasi della luna. Thomas Moore doveva aver pensato a questo, quando scrisse la cantilena che i barcaioli della zona di Menfi canticchiano ancora:


La ninfa sotterranea che dimora

tra gemme senza sole e glorie nascoste,

la signora della Piramide!”


Copertina di un audiobook


I due gruppi raggiungono finalmente la cima della Grande Piramide.

Come la maggior parte dei viaggiatori ben sa, da tempo il vertice della piramide è stato eroso dall’azione dei secoli: ciò che rimane è una piattaforma più o meno regolare del diametro di circa dodici metri quadri. Su questo incredibile pinnacolo venne formato una sorta di ring, e dopo pochi minuti la luna beffarda illuminò un corpo a corpo che, se non fosse stato per la qualità delle urla ai bordi del quadrato, avrebbe potuto svolgersi in una qualsiasi palestra americana.”

Alla fine della tenzone viene proclamato vincitore Abdul Reis e i due gruppi cominciano a fraternizzare. Poco dopo Houdini nota che l’attenzione si sposta su di lui e, dal poco arabo che comprende, capisce che stanno parlando delle sue capacità di liberarsi da ogni tipo di legaccio. Poi all’improvviso, a un cenno di Abdul, tutti i beduini gli saltano addosso e cominciano a stringerlo con delle robuste funi.


Numero di 'Weird Tales' che contiene il racconto scritto da HPL per Houdini (1924)


Mi legarono le mani dietro la schiena, mi piegarono al massimo le ginocchia e strinsero polsi e caviglie insieme con robustissimi nodi. Mi ficcarono in bocca un bavaglio e qualcuno mi bendò gli occhi. Poi, mentre gli arabi mi trasportavano a spalla e cominciava la discesa a balzelloni della piramide, sentii gli insulti dell’ex guida Abdul che mi prendeva in giro con voce cavernosa e rideva di gusto, assicurandomi che presto i miei ‘poteri magici’ sarebbero stati sottoposti a una prova suprema e che mi sarei liberato di qualsiasi presunzione avessi maturato in Europa e in America grazie alla mia abilità. L’Egitto, mi ricordò, è molto antico e brulica di misteri e forze secolari che gli esperti dei nostri giorni non possono nemmeno immaginare; per questo, fino a quel momento, i congegni degli occidentali non erano riusciti a mettermi in trappola.”

Houdini viene trasportato in un luogo poco distante, disteso su una superficie sabbiosa e, dopo essere stato assicurato a una fune che gli viene passata attorno al petto, calato lentamente in un pozzo naturale dalle pareti rocciose.


Harry Houdini in una foto del 1900 ca.


Secondo dopo secondo l’orrore aumentava. Che una discesa del genere potesse continuare senza raggiungere il nucleo stesso del pianeta, o che una corda fabbricata dall’uomo potesse srotolarsi tanto a lungo da seguirmi in quell’abisso vertiginoso e apparentemente senza fine, erano fatti così straordinari che era più facile dubitare dei miei sensi piuttosto che accettarli.”

Nonostante la drammatica situazione in cui si trova, l’uomo non perde la sua lucidità, anche quando la fune comincia a essere calata più rapidamente e il suo corpo urta contro le pareti del pozzo procurandogli delle ferite.

Avevo i vestiti a brandelli e il sangue mi scorreva per tutto il corpo; avvertivo che i dolori aumentavano sempre di più. Le mie narici erano assalite da odori misteriosi. Un miasma che sapeva di umido e di chiuso, diverso da tutto ciò che avevo provato fino a quel momento. Vaghi aromi di incenso e di spezie aggiungevano al tutto un elemento di beffa. Poi venne lo shock insopportabile. Fu orrendo, più di quanto si possa dire a parole, perché era una sensazione dell’anima e non ci sono elementi concreti da descrivere. Fu il trionfo dell’incubo e del terrore, e venne all’improvviso come l’apocalisse. L’attimo prima precipitavo nel pozzo angusto e costellato di mille spuntoni, l’attimo dopo volavo su ali nere nel cielo dell’inferno. Andai in caduta libera per chilometri di spazio umido e sconfinato; mi sollevai ad altezze vertiginose, poi sprofondai nei vortici nauseanti del baratro abissale… Ringrazio Dio per avermi sottratto alle furie della coscienza che mi avevano fatto rischiare la follia, aggrappandosi al mio spirito come arpie. Lo svenimento, per quanto breve, fu come un attimo di respiro e mi diede la forza di sopportare i più tremendi vortici di terrore cosmico che si nascondevano nella strada davanti a me.”


Under the Pyramids by Eric Lofgren (2018)

II


Solo gradualmente ripresi i sensi dopo l’incredibile volo nello spazio. Il processo fu doloroso e costellato di sogni fantastici, in cui la mia condizione di uomo legato e imbavagliato assunse un ruolo preminente. La natura dei sogni, molto chiara nel momento in cui li vivevo, si offuscò subito dopo, e ben presto si ridusse a poco più d’un contorno a causa degli avvenimenti terribili (reli o immaginari) che seguirono. Sognavo di essere nella morsa di una zampa enorme, giallastra e pelosa che era emersa dalla terra per schiacciarmi. Quando mi soffermai a riflettere sulla sua natura, ebbi l’impressione che la risposta fosse: lo stesso Egitto. Nel sogno riandai agli avvenimenti delle settimane precedenti e mi vidi invischiato e attirato in trappola a poco a poco, sottilmente e insidiosamente, dallo spirito infernale della stregoneria del Nilo: uno spirito che aleggiava sull’Egitto prima della comparsa dell’uomo e che sarebbe rimasto quando la razza umana fosse scomparsa.

Vidi l’orrore e l’inafferrabile antichità del paese, il macabro legame che costantemente lo univa alle tombe e ai templi dei defunti. Vidi processioni fantasma di sacerdoti con la testa di toro, falco, gatto e ibis; cortei di spettri che marciavano senza fine attraverso i labirinti sotterranei e viali dai propilei giganteschi, in confronto ai quali un uomo si riduce alle proporzioni di una mosca, per offrire sacrifici innominabili a divinità indescrivibili. Colossi di pietra avanzavano nelle notti senza fine alla testa di androsfingi che ghignavano lungo gli argini di fiumi stagnanti, incredibilmente profondi. E dietro tutto ciò vidi la perfidia della magia che risale alla notte dei tempi, negromanzia impenetrabile e amorfa che mi inseguiva nel buio per vendicarsi dello spirito temerario che l’aveva irrisa nel tentativo di emularla. Nella mia mente addormentata prese forma un sinistro, implacabile inseguimento; vidi l’anima nera dell’Egitto rincorrermi e chiamarmi con incomprensibili sussurri, adescarmi con gli splendori della superficie araba pur continuando a trascinarmi verso il basso, nelle vetuste catacombe e negli orrori del suo cuore abissale, faraonico.


Under the pyramids visto da Malakia La Gatta (2015)

Poi i volti del sogno assunsero sembianze umane e vidi la mia guida Abdul Reis nei paludamenti di un re, i lineamenti alterati dal sogghigno della Sfinge. Mi resi conto che erano quelli di Chefren il grande, il costruttore della Seconda piramide, colui che fece intagliare il volto della Sfinge a somiglianza del suo e costruì il titanico tempio d’ingresso dai mille corridoi, che ingenui archeologi pensano d’aver portato totalmente in superficie dalla sabbia multiforme e dalla roccia viva. E continuavo a guardare la mano lunga, affusolata di Chefren, la mano rigida ed esangue che avevo visto nella statua di diorite del Museo del Cairo… la stessa che avevano ritrovato nel tempio d’ingresso. Mi meravigliai di non essermi messo a urlare quando l’avevo rivista in fondo al braccio di Abdul Reis. Quella mano! Era mostruosamente fredda e mi schiacciava: era la morsa del sarcofago, la gelida costrizione dell’antichissimo Egitto… era l’Egitto stesso, tutt’uno con le sue necropoli e le sue notti… la zampa giallastra… Si mormorano strane cose sul conto di Chefren…”

Il famoso mago comincia a risvegliarsi dal torpore profondo in cui è caduto. Si trova su un terreno roccioso e umido, percorso da una corrente d’aria fredda. Attraverso una strattonata data alla corda alla quale è assicurato, capisce di essere ancora collegato alla superficie. Le ferite gli dolgono ed è avvolto dalla più completa oscurità. Si convince che potrebbe trovarsi all’interno della piramide, forse in una stanza segreta, e mentre medita di liberarsi senza farlo capire agli arabi che tengono l’altro capo della corda, accade un fatto che spazza via le sue supposizioni. La corda, mollata dai suoi aguzzini, comincia ad ammucchiarsi al suo fianco. “Il fenomeno divenne sempre più notevole, finché la pila assunse le dimensioni di una vera e propria valanga di spire gigantesche che si accumulavano sul terreno, rischiando di soffocarmi.”

Houdini si trova bloccato, a corto di fiato, ferito, ma soprattutto terrorizzato dalla situazione in cui si trova. “I sensi stavano per venirmi meno una seconda volta, e inutilmente tentai di respingere una sensazione di angoscia disperata e ineluttabile. Non si trattava del semplice fatto di essere torturato al di là di ogni umana sopportazione, né di avere la sensazione che vita e respiro mi venissero meno inesorabilmente: ma l’innaturale lunghezza della corda aveva implicazioni tremende, mi costringeva a prendere coscienza degli abissi sconosciuti e incalcolabili che mi circondavano. Dunque la discesa interminabile e il volo nello spazio erano stati reali: in quel momento mi trovavo, assolutamente inerme, nel cuore di una caverna sconosciuta verso il centro del pianeta.”

L’escapista, oppresso da tale situazione, cade in un oblio popolato di incubi, dove si materializzano alcune credenze dell’antico Egitto. Come la concezione della doppia anima: la prima pesata e valutata dal dio Osiride e destinata a dimorare nella terra degli eletti, la seconda, il ka, capace di vagare tra i mondi superiori e quelli inferiori, in grado di incarnarsi nei corpi mummificati riportandoli in vita. O come la perversa pratica sacerdotale risalente a un periodo di decadenza, durante il quale si realizzavano mummie composite, unendo arti umani a parti di corpi animali. A questa è legata quella che vede Chefren, il faraone della Sfinge, vivere nelle viscere della terra insieme alla sua crudele consorte, la regina Nitokris, per governare insieme su un popolo di mummie che non sono né umane né animali.


Sotto le piramidi by Daandrico (2018)

Risvegliatosi, Houdini fa appello a tutta la sua abilità per riuscire a liberarsi dalle funi. Dopo numerosi sforzi riesce finalmente a divincolarsi e decide di seguire la direzione della provenienza della corrente d’aria fredda avvertita in precedenza, alla ricerca di una via d’uscita. Striscia lungo uno stretto budello per molto tempo, fino a quando, immerso completamente nelle tenebre, urta con la testa contro la base di una colonna gigantesca. Cosa che stabilisce grazie al tatto, sfiorando la sua superficie ricoperta di geroglifici.

Continuai a strisciare e toccai altre colonne titaniche, situate a distanze inverosimili l’una dall’altra; poi, all’improvviso, la mia attenzione fu attratta da qualcosa che aveva sollecitato il mio udito inconscio prima di essere captata dal senso reale. Da uno strato ancor più profondo delle viscere della terra venivano suoni ritmati e precisi, diversi da tutto ciò che avevo udito in vita mia. Mi resi conto, intuitivamente, che dovevano essere l’accompagnamento di un cerimoniale antichissimo ma ben definito, e le mie letture d’egittologia mi portarono ad associarli con il flauto, il sambuco, il timpano e il sistro. In quel pulsare ritmico, cacofonico, si esprimeva il senso di un terrore che andava al di là di quelli terreni, una paura diversa dal timore personale e che si poteva definire una sorta d’oggettiva pietà per il nostro pianeta, costretto a nascondere nel suo seno gli orrori annunciati dal terribile concerto. I suoni aumentavano gradatamente di volume ed ebbi l’impressione che si stessero avvicinando. Le divinità di tutti i pantheon intercedano affinché nulla di simile giunga più alle mie orecchie: perché un momento dopo percepii, debole e distante, il morboso e millenario scalpiccio delle creature in marcia.

Tendendo l’orecchio, Houdini percepisce in quella strana marcia andature diverse, le quali riescono a procedere però con perfetto sincronismo.

Lo scalpiccio si faceva sempre più vicino. Il cielo mi salvi dal rumore di quei piedi, zampe, zoccoli, pinne, artigli: si faceva sempre più distinto! In fondo all’infinita distesa del pavimento senza luce, nel vento maleodorante, brillò una scintilla che m’indusse ad acquattarmi dietro l’enorme circonferenza di una colonna, nella speranza di sfuggire almeno temporaneamente all’orrore che avanzava verso di me con un milione di zampe e in mezzo a uno scenario la cui architettura sovrumana trasudava terrore e agghiacciante antichità. I bagliori aumentarono, lo scalpiccio e il ritmo dissonante si fecero sempre più forti. Nella tremula luce arancione mi apparve una scena così grottesca che dal terrore e dalla repulsione passai a uno stato di pura meraviglia. Basi di colonne il cui punto mediano svettava oltre la portata dell’occhio umano… semplici basi, al cui confronto la Torre Eiffel sembrava una nana… geroglifici incisi da mani inimmaginabili, in caverne dove la luce del giorno è soltanto una remota leggenda…


Illustrazione di Pixelatedsailor (2015)

Non avrei guardato quelle cose in movimento. Questo decisi disperatamente mentre sentivo lo scricchiolare delle giunture, il refolo di tomba che accompagnava la musica e lo scalpiccio di passi che gelavano il cuore. La misericordia volle che quegli orrori ambulanti non parlassero… ma, mio Dio! Le torce impazzite proiettavano ombre sulla superficie delle incredibili colonne. Che il cielo metta fine all’incubo! Gli ippopotami non dovrebbero avere mani e reggere torce… Gli uomini non dovrebbero avere la testa di coccodrilli…”

Poi un coro si leva dalle numerose creature ibride, che si sistemano a formare un’unica e lunga fila, adoranti davanti a una gigantesca apertura nera, fiancheggiata da due enormi scalinate, dalla quale proviene l’aria fredda, e fetida, avvertita in precedenza.

Proprio di fronte alla voragine ciclopica le entità in processione avevano cominciato a lanciare oggetti: a giudicare dai gesti, sacrifici e offerte religiose. Chefren era il capo, il sogghignante re Chefren alias Abdul Reis: la testa coronata, assorto in interminabili litanie che intonava con la voce cavernosa dei morti. Al suo fianco era inginocchiata la bella e perfida regina Nitokris, che per un attimo vidi di profilo, notando che aveva la metà sinistra del volto divorata dai topi o da altre creature immonde. Quando mi resi conto di quali oggetti venissero gettati nella tremenda apertura, forse alla divinità che vi abitava, dovetti chiudere gli occhi. Riflettei che a giudicare dalla solennità del rito la divinità nascosta doveva essere di notevole importanza. Osiride o Iside, Horus o Anubis, o un Dio sconosciuto dei morti ancora più potente e supremo… C’è una leggenda secondo la quale altari e colossi di terrificanti dimensioni furono eretti a una misteriosa Divinità Sconosciuta prima che venissero adorati gli altri dei…”

FINALE: Houdini progetta la fuga approfittando del buio: vuole raggiungere una delle due scalinate – comprende infatti cha da una delle due è stato calato con la fune – e risalire verso la superficie. Strisciando sulla pancia raggiunge le scale di sinistra e comincia a salire rasentando la parete, scolpita con motivi ornamentali raccapriccianti, con l’intenzione di raggiungere un terrazzo che sovrasta la colossale apertura.


Sotto le piramidi visto da Zach McCain (2011)

Una volta raggiunta la balconata avrei proseguito immediatamente, servendomi della scala che partiva da lì, e mi proposi di non fermarmi a gettare un’occhiata agli abominii che borbottavano, zampettavano e si genuflettevano una trentina di metri più sotto… Ma il ripetersi improvviso del rantolo del coro, che arrivò quando ero quasi in cima alla rampa e che, per la sua inequivocabile natura cerimoniale, mi fece escludere che si trattasse di un segnale d’allarme a indicare che ero stato scoperto, mi indusse a fermarmi e a sbirciare prudentemente di sopra la balaustra.

Le mostruosità salutavano qualcosa che era emersa dall’apertura per afferrare l’orribile tributo che le veniva offerto. Si trattava di un essere molto grosso, anche osservato da quell’altezza; una figura giallastra e pelosa, caratterizzata da una specie di movimento nervoso. Aveva la stazza di un grande ippopotamo, ma con una forma del tutto peculiare. Sembrava non avesse collo, ma dal tronco più o meno cilindrico sbucavano cinque teste separate e ciondolanti: la prima molto piccola, la seconda di medio calibro, la terza e la quarta identiche e più grandi di tutte, l’ultima più piccola ma non come la prima. Dalle teste sbucavano strani tentacoli rigidi, che afferravano enormi quantità di cibi immondi posti dinanzi all’apertura. Di tanto in tanto il mostro faceva un balzo in avanti, per poi ritirarsi con uno strano scatto nella tana. Il modo di muoversi era talmente strano che restai lì a guardare impietrito, nella speranza che la schifosa creatura emergesse ancora dalla caverna che si apriva sotto di me.

E in effetti emerse… emerse, e a quella vista diedi in una corsa pazza nelle tenebre, come chi ha smarrito del tutto la ragione: su per la scala che si snodava davanti a me, su per incredibili gradoni e piani inclinati di dimensioni irreali, senza essere guidato né dalla vista né dalla logica umana, come in un sogno. Non ho prove che si sia trattato d’altro, e se così non fosse l’alba mi avrebbe trovato a respirare sulle sabbie di Giza davanti al volto sardonico della Sfinge, baciato dai primi raggi del sole. La grande Sfinge! L’interrogativo ozioso che mi ero posto quella mattina inondata di sole… quale immensa e orribile mostruosità rappresentava originariamente la Sfinge? Maledetta sia la visione che, in sogno o no, mi rivelò l’orrore supremo… il Dio Sconosciuto dei Morti che lecca enormi carogne nell’abisso ed è nutrito disgustosamente da anomalie senz’anima che non dovrebbero esistere. L’oscenità a cinque teste che intravidi… il mostro grande come un ippopotamo… l’orrore a cinque teste, e ciò di cui questo è soltanto la zampa anteriore…

Ma sono sopravvissuto e so che è stato soltanto un sogno.”

Harry Houdini su una locandina che pubblicizza la sua attività contro lo spiritismo (1924)

In una lettera datata 14 febbraio 1924 inviata al suo amico Frank Belknap Long, Lovecraft scrive: “…Weird Tales sta inondando di lavoro il tuo arcaico nonnino! Si tratta di un incarico nuovo: riscrivere un racconto misterioso che il mago Houdini ha riferito oralmente a Henneberger [fondatore ed editore della rivista Weird Tales]; io dovrò ampliarlo e stenderlo materialmente, poi verrà pubblicato come una collaborazione fra me e il mago [invece verrà firmato dal solo Houdini]. Henneberger mi ha chiesto di dargli una risposta per telegrafo e promette PAGAMENTO IMMEDIATO alla consegna! Gli ho mandato un telegramma accettando l’incarico e adesso sto cercando di familiarizzare con i particolari geografici della regione del Cairo e Giza, dove è ambientata la pretesa avventura del mago; in particolare sto studiando il sotterraneo che si trova fra la Sfinge e la seconda piramide, nota come ‘tomba di Campbell’. A quanto pare, Houdini è stato al Cairo con la moglie per un viaggio di piacere e non di lavoro, e la guida araba che li accompagnava è rimasta coinvolta in una rissa con un altro arabo.


Prima pagina del manoscritto di HPL


Secondo i costumi del paese, gli egiziani hanno deciso di risolvere la questione quella notte, con un combattimento fra i due rivali in cima alla Grande piramide; la guida di Houdini, conoscendo l’interesse del suo cliente per tutto ciò che è esotico, lo ha invitato a unirsi al gruppo dei suoi secondi e sostenitori. Houdini ha accettato e ha assistito a un incontro pugilistico piuttosto blando, seguito da un’altrettanto meccanica riconciliazione. In tutta la faccenda c’era qualcosa di falso e preparato, e il mago non si è sorpreso affatto quando l’inganno è stato svelato ed egli si è trovato legato e imbavagliato dai due arabi che avevano finto di affrontarsi. Era tutto previsto: gli abitanti del luogo avevano sentito parlare di lui come di un grande mago occidentale e volevano mettere alla prova i suoi poteri in un paese dove un tempo i maghi avevano regnato incontrastati. Senza cerimonie l’hanno portato a un’apertura che si spalanca nel tetto del Tempio del Faraone (la tomba di Campbell), dove la distanza dal suolo della cripta perennemente buia è poco inferiore ai venti metri. C’è un solo ingresso normale, un tortuoso corridoio molto lontano dall’apertura nel tetto. Assicurato Houdini a una lunga corda, lo hanno calato in quel regno di tenebre e morte lasciandolo senza mezzi di risalita: era legato e imbavagliato in mezzo ai morti principeschi e ignorava il modo di trovare un’uscita. Ore dopo il mago è emerso, barcollando, dall’ingresso normale, libero ma scosso fin nella più intima fibra da un’esperienza inquietante di cui esita a parlare. Il mio compito sarà inventare questo episodio e colorirlo delle più macabre sfumature. Al momento non so quanto potrò spingermi lontano, perché a giudicare dal racconto di Houdini che Henneberger mi ha mandato come campione vedo che il mago tenta di far passare queste avventure degne di un Münchausen come vicende vissute. Basta un’occhiata per rendersi conto che è un uomo estremamente pieno di sé. In ogni caso, credo di poter inventare qualcosa di abbastanza infernale… cavità sotterranee di cui nessuno immaginava l’esistenza, una lampada che brucia fra i morti imbalsamati, o il terribile destino che consumò le due guide arabe che avevano cercato di spaventare il Nostro Eroe. Forse le trasformerò in due mummie per far venire un colpo a Houdini, ma è certo che più libertà d’azione mi daranno, meglio potrò sviluppare il racconto. Chiederò a Henneberger il permesso di scostarmi il più possibile dal versatile showman.”


Prima pagina del racconto, dal titolo diverso (1924)

Come si capisce dalla missiva, il racconto sembra partire da un’esperienza realmente vissuta – o presunta tale – del famoso principe delle fughe. Salvo poi ribaltare tutto nel finale, rivelando che si tratta soltanto di un sogno. Al momento della stesura della lettera, Lovecraft non ha ancora ben chiaro in mente come sviluppare la vicenda, però è sicuro di dover trascinare Houdini nei sotterranei della piana di Giza.

Il racconto viene pubblicato su "Weird Tales" con un titolo diverso da quello ideato dal suo autore: Imprisoned with the Pharaohs.


Houdini a Providence (affacciato alla finestra evidenziata dal cerchio rosso) accolto da circa 50.000 persone (1917)


Erik Weisz (questo il vero nome del mago) nasce nel 1874 in Ungheria, all’epoca facente parte del’Impero Austro-Ungarico, e dopo quattro anni la famiglia si trasferisce negli Stati Uniti. Inizia a esibirsi da giovane, appena diciassettenne, come illusionista, senza però riscuotere molto successo. Solo quando diventa escapologo - capace cioè di liberarsi dalle costrizioni fisiche della più diversa natura, come catene, camicie di forza, cordami vari, manette, ecc. - comincia a costruire la sua fama. Sceglie il nome d’arte di Harry Houdini in omaggio a Jean Eugène Robert-Houdin, celebre illusionista francese, nome che legalizzerà come proprio nel 1913. Durante i primi due decenni del ‘900 si esibisce con successo in tutti gli Stati Uniti. Negli anni Venti si dedica con tenacia allo smascheramento di numerosi medium e parapsicologi svelando, grazie alla sua preparazione tecnica, i loro trucchi e le loro frodi. A causa di questa attività parallela, si inimicherà il celebre inventore del razionalista Sherlock Holmes, ovvero Sir Arthur Conan Doyle il quale, dopo essergli stato amico, gli si oppose fermamente, in quanto noto sostenitore dello spiritismo.


Houdini in compagnia di Sir Arthur Conan Doyle


Houdini era uno degli azionisti della rivista "Weird Tales" e rimase entusiasta del lavoro svolto da HPL, tanto che la collaborazione tra i due sembrava dovesse continuare, sia con altri racconti, sia con vari articoli volti a confutare le superstizioni e le convinzioni soprannaturali dell’epoca. Animati entrambi da un solido scetticismo riguardo a tutto ciò che veniva considerato miracoloso o paranormale, avevano progettato di scrivere una serie di articoli. Di questi ne uscì soltanto uno, sull’astrologia, pagato ben 75 dollari a Lovecraft, e nel 1926 avevano progettato di scrivere addirittura un saggio dal titolo eloquente, “Il cancro della superstizione”. Fino a poco tempo fa si riteneva che il progetto fosse solo allo stato embrionale, ma nel 2016 è stato ritrovato un manoscritto di ben 31 pagine, redatto da Lovecraft con l’aiuto del suo amico e collega scrittore C. M. Eddy. Purtroppo nessuno di questi progetti andò in porto, perché proprio nel 1926 Houdini morì per un banale incidente. Pare infatti che un giovane pugile, per testare la fama dei suoi noti muscoli addominali, lo andò a trovare nel suo camerino dopo uno spettacolo e gli sferrò alcuni pugni all’addome. Sembra che il mago permettesse questo tipo di prove nei suoi confronti, ma quella volta, colto di sorpresa, non fece in tempo a prepararsi per ricevere i colpi. Morì due settimane dopo di peritonite, a causa della rottura dell’appendicite.


Le pagine che compongono Il Cancro della Superstizione (1926), ritrovato incompleto nel 2016


Un simpatico aneddoto riguarda la stesura del manoscritto di questa storia: Lovecraft in quel periodo si stava sposando con Sonia H. Greene e terminò di battere a macchina il racconto solo qualche giorno prima del 3 marzo, data fissata per il matrimonio. Purtroppo però, nel trasferirsi a New York con la moglie smarrì il manoscritto in stazione. A causa di ciò, per poterlo consegnare in tempo, i due furono costretti a passare la loro prima notte di nozze a lavorare: Sonia dettava il manoscritto e Lovecraft ribatteva di nuovo tutto a macchina!

Una curiosità: quando nel racconto Houdini e la moglie si fermano a riposare sotto la Sfinge, Lovecraft fa riferimento a una nota leggenda incisa su una stele che si trova ai piedi della scultura, fatta realizzare dal faraone Thutmosis IV: “Sull’ampio torace di pietra distinguemmo vagamente l’emblema di Râ-Harakhte, perché durante una delle ultime dinastie il colosso fu scambiato per la sua effige, e sebbene la sabbia coprisse il cartiglio in mezzo alle zampe, ricordammo ciò che vi fece scrivere Thutmosis IV e il sogno che ebbe quando era soltanto principe.” Sembra infatti che quest’ultimo, quando era ancora giovane, nel corso di una partita di caccia si fosse addormentato vicino alla testa della Sfinge, all’epoca ricoperta di sabbia fino al collo. Il ragazzo sognò allora Râ-Horakhti (divinità nata dalla fusione fra quella di Râ e di Horakhti - una delle molteplici rappresentazioni del dio Horus - durante il corso della XVIII dinastia, ovvero tra il 1523 e il 1292 a.C.), il quale gli predisse che sarebbe diventato faraone, ma solo se avesse liberato l’enorme scultura dalla sabbia che la ricopriva.


Riproduzione della Stele del Sogno


Un altro riferimento alla storia dell’antico Egitto è rappresentato dalla figura di Nitocris (già citata dall’autore nel racconto L’estraneo, del 1921), figura sulla cui esistenza non vi è un’assoluta certezza, sebbene venga citata da Erodoto a proposito dell’aneddoto che la vuole protagonista dell’uccisione dei cospiratori responsabili della morte del fratello: “L’astuta regina che una volta aveva invitato tutti i suoi nemici a una grande festa in un tempio sotto il livello del Nilo, e poi li aveva affogati facendo aprire le chiuse.”


Luoghi. Egitto: il Cairo e la Piana di Giza.

Personaggi. Harry Houdini e sua moglie; Abdul Reis el Drogman, guida locale.



Marzo. Lovecraft e Sonia Haft Greene si sposano il 3 marzo a New York, distretto di Manhattan, nella cappella di St Paul. In una lettera datata 9 marzo - scritta dalla sua nuova abitazione, al numero 259 di Parkside Avenue, a Brooklyn - e spedita alla zia Lillian Delora Phillips Clark - con la quale fino a quel momento ha vissuto sotto lo stesso tetto, a Providence - lo scrittore spiega, con una certa dose d’ironia, perché non è stata avvisata dell’avvenimento. Dalle sue parole emerge chiaramente la scossa che l’incontro con Sonia gli ha provocato: non solo lo scrittore mette in discussione la sua vita passata, ma la considera anche un legaccio dal quale è sinceramente intenzionato a liberarsi. C’è tutto il trasporto dell’innamorato, questo è evidente, ma c’è anche la voglia di affrontare con entusiasmo una nuova vita.


259 Parkside Avenue, Brooklyn, oggi


Qui di seguito alcuni estratti della lunga missiva.

Cara zia Lillian, non so dirti quanto mi abbia fatto piacere ricevere la tua bellissima lettera e l’altro materiale. Ma ti prego, non sentirti sola, perché è certo che tu verrai a stare qui. Benedette le mie vecchie ossa! Pensavi che il Vecchio Gentlemen cambiasse la residenza di famiglia senza tener conto della sua primogenita? Qui ti sentirai meglio e più attiva, e vorrei che potessi vedere il tuo nonnino questa settimana: mi alzo regolarmente al mattino, mi do da fare in giro e sono perfino riuscito a rimpiazzare la vecchia tecnica delle pinzette con un rapido, semplice e onesto Gillette. E come se non bastasse, ho la prospettiva di un lavoro letterario continuativo! Nel frattempo – e qui preparati a novità rivoluzionarie – non devi stare in pensiero per il mio alloggio o per chi mi accudisca (benché io sia un malconcio trisavolo): quando arriverai vedrai. Al n. 259 di Parkside mi sento come a casa: ho un bello scrittoio coloniale sgombro e adibito a mio uso e quando tu stessa e le mie cose mi avrete raggiunto, questo sarà ancora più vero.


Lovecraft di fronte alla sua abitazione newyorchese (1924)


Ma ormai ti sarà chiaro dove questa ponderosa epistola vuol andare a parare. La scelta di questo indirizzo come mia residenza e base permanente, nonché successore dei civici nn. 454 e 598, è in verità l’unica soluzione matura e logica, oltre che dettata dal buonsenso, del problema che si è creato con il collasso delle mie finanze e l’impossibilità di restare sotto il Vecchio Tetto: sono costretto a ‘rinunciare’ alle mie notti insonni e inquiete, al mio vano isolamento e ad abbracciare una vita più attiva. Ora, a uno del mio temperamento questa vita attiva richiede molte cose di cui potevo fare a meno quando mi limitavo a vagabondare inerte e semiaddormentato nel vecchio ambiente, tenendomi alla larga da un mondo che mi disgustava o esauriva e non avendo altra prospettiva che una fiala di cianuro da usare quando gli ultimi spiccioli si fossero esauriti. Un tempo avevo deciso di seguire questa strada, ed ero pronto a darmi l’oblio quando non avessi avuto più denaro o la noia si fosse fatta insopportabile; ma ecco, tre anni fa, affacciarsi al cerchio delle mie conoscenze il nostro angelo benefattore Sonia Haft Greene, la quale cominciò a combattere questa mia determinazione con due armi: innanzitutto quella dell’impegno, e in secondo luogo quella del piacere della vita che deriva dal premio dei nostri sforzi. […]


Sonia H. Greene e Howard P. Lovecraft in una foto del 1921


L’amicizia intellettuale ed estetica che risaliva al 1921 e un periodo di tre mesi trascorso insieme nel 1922, quando la nostra congenialità era stata messa alla prova e risultata perfetta sotto un’infinità di punti di vista, dimostravano abbondantemente che non solo S.H.G. costituiva la più ispirata e incoraggiante influenza che si potesse esercitare su di me, ma che lei stessa aveva cominciato a trovarmi più congeniale di chiunque altro, ed era arrivata al punto di dipendere dalla mia corrispondenza e dalle conversazioni che facevamo di persona per nutrire il suo spirito e soddisfare le sue esigenze di godimento artistico e filosofico. Come me è fortemente individualista e nell’intelletto medio trova solo motivo d’irritazione e sconforto; quanto alla media delle persone, pensa che siano una noia da evitare. […] Il vecchio sonno era finito, e a meno che non volessi affidarmi volontariamente al sonno perpetuo dovevo garantirmi un ambiente stabile e tonificante che fosse capace di trasformare un vecchio pantofolaio ingrassato, privo di ambizioni e mezzo addormentato come me in un uomo vero e professionalmente capace. New York, naturalmente! In quale altro luogo può vivere chi non ha vitalità propria e ha bisogno del pungolo magico di quella esterna per condurre un’attività normale e laboriosa? […] A questo punto (ma forse l’hai già fatto, o lo farai tra un minuto) ti chiederai senz’altro perché non ti abbia parlato prima di tutto questo. S.H.G. era ansiosa di farlo e avrebbe desiderato che tu e zia Annie foste presenti all’avvenimento che sto per descrivere.


Passeggiata sul Ponte di Brooklyn in direzione dell'isola di Manhattan (anni '10)


Ma qui è intervenuto di nuovo l’odio del vecchio Theobald per ogni mistificazione di tipo sentimentale e per quell’irresoluta e interminabile tendenza a ‘parlarne’ che ogni passo radicale induce fra i mortali, e che supera di molto la necessaria quantità di ragionamento e sobria valutazione del problema. Lunghissime discussioni, esclamazioni incredule, sospiri del genere ‘non l’avrei mai creduto’ e tutto ciò che vi assomiglia sono infinitamente logoranti per una personalità sensibile, soprattutto dopo che la ragione ha già riflettuto a sufficienza e ha preso la decisione più logica. Mi sono convinto che, tenuto conto del mio ben noto carattere, nessuno avrebbe potuto sentirsi minimamente ferito dal gesto decisivo e drammatico che stava per spazzar via in me ogni residuo di pudibonderia e cieca o reazionaria tendenza alla stagnazione. Il quale gesto, una volta ponderato, ha rivestito per entrambi un carattere molto individuale, e la notizia si diffonderà negli ambienti del giornalismo dilettante solo dopo che questo più importante messaggio sarà stato completato. Il vecchio Nonno non ha avvertito neppure il piccolo Belknap! E così, per epocale e stupefacente che sembri (ti prego, non svenire, o avrò l’impressione che i precedenti paragrafi di artistico preambolo non siano serviti a niente!) l’incredibile è realtà. Il vecchio Theobald è finalmente un capofamiglia e (tieni i sali a portata di mano) un fedele compagno della più ispirata, congeniale, intelligente, educata, premurosa e devota fra i mortali e i collaboratori, S.H.G., alla quale si è unito nella venerabile e veramente classica istituzione del Santo Matrimonio!”



CIECO, SORDO E MUTO

(DEAF, DUMB AND BLIND)

in collaborazione con Clifford M. Eddy (r. p.)


Il 28 giugno 1924, poco dopo mezzogiorno, il dottor Morehouse e altre tre persone arrivano in auto alla residenza dei Tanner. Si tratta di un edificio in pietra situato vicino alla strada, con un bel prato all’ingresso e una palude alle spalle. Gli uomini entrano con qualche timore, ma non appena sentono il ticchettio della macchina da scrivere di Richard Blake si tranquillizzano. Un’ora prima Dobbs, il domestico della casa, era uscito dall’edificio urlando di terrore e farfugliando poche parole: casa, buio, palude e stanza. Blake è un noto scrittore e poeta di Boston il quale, tornato dal fronte semiparalizzato, cieco, sordo e muto, si è stabilito nella vecchia casa, fonte di leggende sovrannaturali che l’artista ha trovato affascinanti e dunque utili alla sua scrittura.


Copertina del numero di 'Weird Tales' dove venne pubblicato il racconto Cieco, sordo e muto (Aprile 1925)


Aveva sorriso delle previsioni fatte dalla gente superstiziosa del posto, ma adesso che il suo unico compagno era fuggito in un parossismo di terrore, e che lui stesso era rimasto senza alcun aiuto a fronteggiare ciò che l’aveva provocato, Blake non avrebbe più sorriso né si sarebbe rallegrato tanto! Questo, almeno, pensava il dottor Morehouse quando aveva affrontato il problema del fuggiasco insieme al proprietario della magione che aveva chiesto il suo aiuto per chiarire la faccenda. I Morehouse erano un’antica famiglia di Fenham, e il nonno del dottore era stato uno di coloro che avevano bruciato il cadavere dell’eremita Simeon Tanner nel 1819. Nonostante fosse passato tanto tempo, il medico non poté reprimere un brivido al ricordo di quei fatti terribili e delle ingenue illazioni fatte dai contadini a causa di una leggera e insignificante deformità del defunto. Morehouse, tutttavia, sapeva di essersi turbato per niente, perché lievi protuberanze ossee nella parte anteriore del cranio sono irrilevanti e spesso osservabili in persone calve.”

Fra i quattro uomini che si apprestano a visitare l’interno della casa, avviene un vicendevole scambio di confidenze sulle vecchie leggende tramandate dalle rispettive nonne. Alcune di queste risalgono addirittura al 1692, quando un membro della famiglia Tanner era stato giustiziato a Salem per stregoneria, ma per molto tempo, per quanto bizzarri fossero gli elementi di questa antica famiglia, non girarono più maldicenze, almeno fino all’ultimo membro della famiglia: Simeon Tanner.

Costui aveva ampliato la casa (ereditata in modo orribile, secondo la gente del posto) e aveva fatto murare le finestre della sala a sud-est, la cui parete orientale era prospiciente la palude. Era il suo studio-biblioteca, e aveva una porta a doppio spessore rinforzata da fasce di ferro. Quella terribile notte dell’inverno 1819 si era dovuto abbatterla a colpi di scure, quando dal camino era uscito un fumo nauseabondo e gli uomini del villaggio avevano fatto irruzione in casa e avevano trovato il cadavere di Tanner con un’orrenda espressione sul volto. Era stato a causa di quell’espressione – non delle due protuberanze ossee sotto i folti capelli bianchi – che avevano bruciato il cadavere, i libri e i manoscritti che si trovavano nella stanza.”


Prima pagina del racconto (illustrazione di Andrew Brosnatch)


Non appena il gruppo entra nella casa viene accarezzato da una folata di aria fredda, mentre il rumore della macchina per scrivere udito poco prima si interrompe. Guidati dal dottor Morehouse, gli uomini si recano nello studio-biblioteca. Blake è seduto davanti alla sua macchina da scrivere, ma quando il dottore si avvicina per vederlo in viso, fa cenno agli altri di rimanere indietro.

Il defunto Richard Blake aveva visto qualcosa, pur essendo cieco, e ne era rimasto sconvolto. L’espressione del volto non aveva più nulla di umano, né quella dei grandi occhi azzurri, iniettati di sangue e chiusi da sei anni alle immagini di questo mondo. Nella vitrea fissità delle pupille brillava ancora una visione spaventosa: immote, fissavano la porta aperta del vecchio studio di Simon Tanner, dove il sole splendeva sulle pareti un tempo immerse nelle tenebre a causa delle finestre murate. E il dottor Arlo Morehouse vacillò, incredulo, quando si accorse che a dispetto dell’abbagliante luce del giorno le pupille color inchiostro erano dilatate in modo incredibile, come quelle di un gatto nell’oscurità.”

I capelli dell’uomo sono scarmigliati e i fogli a terra fanno pensare a una folata di vento proveniente dalla porta chiusa, verso la quale è rivolta la testa di Blake. Il dottor Morehouse, esaminando il corpo, scopre che la morte deve essere avvenuta almeno mezz’ora prima del loro arrivo. Poi, dopo aver letto qualche parola sul foglio che è ancora nel rullo della macchina da scrivere, raccoglie tutti gli altri fogli sparsi e se li infila rapidamente in tasca. Gli uomini perlustrano il resto della casa, poi si decidono a chiamare le autorità della Contea. Appena lo sceriffo e il medico legale giungono sul posto, il dottor Morehouse si reca nella casa nella quale si è rifugiato il domestico, per interrogarlo. L’uomo ricorda solo che, mentre si trovava nello studio insieme al suo padrone, gli era sembrato che la stanza vicina si oscurasse, quella stanza in cui la luce del sole aveva sostituito da più di cent’anni il buio delle finestre murate.


Uno scorcio di Gallows Hill (Salem) dove nel 1692 vennero impiccate 19 persone per stregoneria


Giunto a casa, il dottore riordina i fogli e comincia a leggerne il testo con una certa apprensione. Nella casa dello scrittore, quando si è chinato sul foglio che si trovava nel rullo, ha infatti notato una diversa pressione nella battitura delle lettere che compongono le ultime frasi. Qualche tempo dopo, la moglie e il figlio lo trovano svenuto per ciò che ha letto.

Nel dattiloscritto, lo scrittore confessa una strana inquietudine che lo ha colto durante l’assenza del suo domestico. Dopo aver sentito la casa tremargli tutt’attorno, ha cominciato a percepire l’odore del fumo. Inizialmente ha pensato che potesse trattarsi di un incendio, ma il suo ipersensibile odorato ha avvertito un altro odore, quello di carne umana che brucia. Poi, così come era apparso, improvvisamente l’odore svanisce, ma un ronzio incessante comincia a martellare le sue orecchie. Blake si domanda se non sia impazzito. Poco dopo ha la netta sensazione che qualcuno si trovi nella stanza, e non si tratta di Dobbs.

“… il tambureggiare nei miei orecchi è cessato improvvisamente e un fievole sussurro ha richiamato la mia attenzione… Il significato sconvolgente di questo fatto è stato appena registrato dal mio cervello sbalordito… Io sento! Non è una voce sola che sussurra, ma molte! Ronzio orrendo di tafani schifosi… svolazzare diabolico di api frenetiche… sibili di rettili osceni… Un coro sommesso che nessuna gola umana potrebbe cantare!”


La fessura rocciosa vicino al luogo dell'esecuzione (Gallows Hill, anni '20)

Le voci si fanno più insistenti e vicine, mentre un freddo anormale invade la biblioteca-studio. Lo scrittore continua a battere i tasti della sua macchina per scrivere più per alleviare l’insopportabile tensione che per lasciare una testimonianza.

FINALE: “Dita invisibili mi stringono in una morsa… dita spettrali che tuttavia non posseggono la forza fisica di strapparmi alla macchina da scrivere… dita di gelo che mi trascinano in un vortice abbietto, vizioso… dita demoniache che mi spingono in una fogna d’eterna iniquità… dita di morte che mi tolgono il respiro, facendomi dolere gli occhi al punto che mi sembra stiano per scoppiare. Punte di ghiaccio premono contro le mie tempie… duri, ossuti apici simili a corna… l’alito frigido di una cosa morta da tempo bacia le mie labbra febbricitanti, devasta la mia gola ardente di gelide fiamme… È buio… non l’oscurità retaggio dei miei ciechi anni… l’impenetrabile tenebra della notte annegata nel peccato… la tenebra, nera come la pece, del Purgatorio… Vedo… spes mea Christus! È la fine… Non è per la mente normale opporsi a una forza al di là dell’umana immaginazione. Non è dato all’anima immortale soggiogare ciò che ha sondato l’abisso e fatto dell’immortalità un momento transitorio. La fine? No! È solo il principio benedetto…


Prima pagina della lettera di Lovecraft spedita a C. M. Eddy, dove si cita anche il loro racconto


Secondo foglio della lettera spedita a C. M. Eddy

Racconto che riesce a mantenere la tensione in maniera costante, alimentata dall’attesa di arrivare all’epilogo e, dunque, a una spiegazione della vicenda. Cosa questa non completamente soddisfatta, poiché ai due autori preme più riuscire a descrivere l’indicibile che ad appagare le aspettative del lettore. Si astengono, dunque, dal narrare cosa abbia provocato la morte dello scrittore, preferendo raccontare le sue ultime sensazioni. Un esercizio niente affatto facile, ma che può considerarsi riuscito. È l’ultimo dei racconti di Clifford M. Eddy revisionato da Lovecraft.


Luoghi. Vecchia casa dei Tanner; Boston, Fenham, Bayboro e Gallows Hill a Salem, luoghi soltanto citati.

Personaggi. Simeon Tanner, eremita morto bruciato nella sua casa nel 1819; Dottor Arlo Morehouse; Richard Blake, scrittore; Dobbs, domestico di Blake; Floyd Morehouse, figlio del dottore.



Aprile. Jacob Henneberger, editore di "Weird Tales", colpito dalla qualità della scrittura di Lovecraft, ma soprattutto dalla sua capacità critica, gli offre la guida della rivista, la cui direzione è stata appena lasciata da Edwin Baird. La sede del periodico si trova però a Chicago e HPL è arrivato a New York da appena un mese, dove si è sposato, e prevede di trovare qui un lavoro. Non se la sente di sobbarcarsi un altro trasferimento, così decide di rinunciare. Il suo posto verrà occupato da un altro collaboratore, Farnsworth Wright, che rivestirà il ruolo di direttore del periodico fino al 1940.


A sinistra, Farnsworth Wright (1888-1940), direttore della rivista Weird Tales dal novembre 1924 al marzo 1940


La vita della coppia Lovecraft-Green, dopo appena cinque mesi, comincia a incontrare le prime difficoltà economiche. Sonia, che si era messa in proprio, vede fallire le sue ambizioni imprenditoriali, mentre Howard, che cerca lavoro anche in ambiti che non lo attirano particolarmente, non riesce a trovarne uno dignitoso. Eppure, come dimostra la lettera scritta alla zia Lillian datata 1° agosto, non gli manca entusiasmo e voglia di darsi da fare.

Mia cara figlia Lillian, confido che le mie sporadiche cartoline abbiano dissipato l’impressione prodotta dal mio prolungato silenzio epistolare, e cioè che Nonno Theobald sia morto e sepolto del tutto! In realtà morte e sepoltura sono soltanto parziali: la causa è l’affanno, la fatica connessa alla ricerca di un’attività lucrosa che la nostra drammatica situazione finanziaria ci ha costretto ad accelerare. Le ripetute profferte di lavoro letterario non si sono concretizzate, e questo, unito al crollo pressoché disastroso dell’attività indipendente di S. H. nel campo della modisteria, ha determinato una certa carenza di fondi; di modo che mi è sembrato consigliabile indagare per conto mio quali prospettive commerciali mi si offrissero, in qualsiasi campo, ma i risultati sono altamente negativi. Sembra che una persona priva di esperienza non possa ottenere alcun tipo di lavoro, e il materiale che ti accludo – solo una piccola parte dei tentativi che ho fatto – racconta la storia di una ricerca che finora non mi ha ripagato neppure dell’inchiostro e delle suole di scarpe consumate. L’unica prospettiva che è sembrata sul punto di concretizzarsi è stata quella di Newark, le cui interessanti vicissitudini mi inducono a dedicarle un plico a parte.”


Vecchia stazione Penn di Newark, New Jersey (1911 ca.)


Lovecraft prosegue il racconto, nel quale descrive dettagliatamente alla zia di aver risposto a un annuncio e di essersi recato a Newark per scoprire che si trattava di un posto come piazzista per pubblicizzare i servizi offerti da una società di Boston, la quale si occupa di recuperare crediti scaduti da poco, prima che assumano una notevole entità. Lovecraft, incontrando il direttore delle vendite, tale signor Ott, si fa subito notare per ciò che sa fare meglio, ovvero scrivere. “A prima vista la situazione sembrava chiara: chiara a tal punto che ho riscritto la strategia d’approccio iniziale in modo da presentare i fatti al cliente con la massima efficacia.”

Tre giorni dopo lo scrittore partecipa a una riunione dei venditori, dove viene presentato con un certo orgoglio dal signor Ott, il quale afferma che il testo vergato da Lovecraft, vista la sua chiarezza ed efficacia, sarebbe diventato quello ufficiale.


Queensboro Bridge, New York (1910-1920)

Purtroppo però, nonostante faccia diversi tentativi, Howard depone le armi. “È un ramo in cui bisogna essere miracolosamente magnetici e accattivanti oppure insistenti e cinici, al punto da abbandonare qualsiasi condotta decente e imporre la propria conversazione a una vittima seccata, ostile e recalcitrante.” Per poi aggiungere: “Inutile negarlo: se ho un forte, è nella capacità di scrivere o mettere a posto gli scritti altrui. L’impiego migliore che possa capitarmi è quello che mi consenta di adoperare la penna. Confido nel Tempo e negli Dèi perché mi offrano una simile opportunità!” Lo scrittore non manca però di approfittare di queste estenuanti ricerche lavorative per visitare alcuni luoghi della città di New York: “Domenica tredici è stato un altro giorno dedicato a rispondere agli annunci economici – ugh! – e al mattino sono uscito per rispondere di persona alle inserzioni che lo richiedevano.


Alcuni eleganti palazzi schierati sul lato est di Sutton Place, NYC


È stata una sfibrante e detestabile camminata: porta a porta, un rifiuto dopo l’altro. A sera ero pronto a voltare pagina, benché fossi riuscito a inserire nei miei giri alcune esplorazioni artistiche e antiquarie. Ho risalito Madison Avenue, dove si trovano i migliori empori di cose rare e belle, e mi sono perduto fra le grandi vetrine piene di antichi vasi e orologi, modelli navali e miniature, e scrittoi intagliati secondo il gusto classico su cui avranno riposato penne d’oca e polsini adorni di pizzi. Poi sono tornato nelle strette e tortuose strade coloniali di Manhattan bassa, nella spaziosa Sutton Place e fin quasi ai pilastri del Queensboro Bridge, dove ricchezza e buon gusto hanno reclamato un piccolo tratto della squallida Avenue A, trasformandola in un paradiso di giardini georgiani e facciate londinesi, con antiche terrazze che guardano l’East River molto più in basso.”

A New York si incontra spesso con i suoi amici: Frank Belknap Long, Samuel Loveman e Rheinhart Kleiner.


Vista del Quennsboro bridge dalla zona di Sutton Place, NYC

LA CASA SFUGGITA

(THE SHUNNED HOUSE, 16-19 ottobre)


I


È raro che l’ironia sia assente anche dagli orrori più grandi: a volte entra direttamente nella composizione degli avvenimenti, a volte si riferisce piuttosto alla relazione che si stabilisce per caso fra certi luoghi e persone. Uno splendido esempio di quest’ultimo tipo è dato da un evento che si verificò nell’antica città di Providence, dove intorno alla metà del secolo scorso Edgar Allan Poe soggiornava spesso durante l’infruttuoso corteggiamento della poetessa Sarah Helen Whitman. In genere Poe si fermava alla Mansion House in Benefit Street – l’ex Golden Ball Inn che aveva ospitato sotto il suo tetto Washington, Jefferson e Lafayette – e amava fare una passeggiata lungo la stessa strada, verso nord, per arrivare a casa della signora Whitman e al cimitero di St. John che sorge sul fianco della collina. Per lui quella distesa un po’ nascosta di tombe del XVIII secolo aveva un fascino particolare.


Edgar A. Poe (1809-1849) in un dagherrotipo realizzato nel 1848


L’ironia sta in questo: durante la passeggiata, sempre la stessa e ripetuta tante volte, il grande maestro del macabro e del fantastico era costretto a passare davanti a una certa casa sul versante orientale della strada; un edificio antiquato, male in arnese, appollaiato sul fianco della collina, che in quel punto sale improvvisamente, e circondato da un giardino a cui nessuno badava più da tempo, ma che datava dall’epoca in cui quella parte della città era ancora aperta campagna.


Disegno pubblicitario dell'albergo dove soggiornò E. A. Poe a Providence


Sembra che Poe non ne abbia mai parlato e mai scritto, e non ci sono prove che abbia notato la costruzione in modo particolare; eppure essa, per chi sia in possesso di certe informazioni, eguaglia e supera in orrore le più sfrenate fantasie del genio che tante volte ci passò davanti senza vederla, e ancor oggi si leva come un simbolo beffardo di tutto ciò che è repellente e mostruoso. Si trattava – anzi, si tratta ancora – di un edificio fatto apposta per attirare l’attenzione dei curiosi: originariamente, e almeno in parte, era una fattoria costruita nello stile medio del New England settecentesco. Aveva il tetto appuntito e spiovente, due piani più un attico senza camere da letto, la porta d’ingresso georgiana e l’interno rivestito in legno secondo il gusto del tempo. Era rivolta a sud, con un abbaino che sovrastava le finestre più basse di fronte al fianco ripido della collina e l’altro che dava sulla strada. La costruzione, che risale a più di un secolo e mezzo fa, aveva visto la nascita e la trasformazione della via che le passava accanto, perché Benefit Street, una volta chiamata Back Street, era stata concepita inizialmente come un viottolo di campagna che serpeggiava fra le tombe dei primi coloni, ed era stata raddrizzata solo quando, trasferiti i cadaveri nel North Burial Ground, si era potuto tagliare attraverso gli antichi lotti di famiglia senza commettere sacrilegio.”

Nel tempo la casa subisce alcune modifiche, una delle quali riguarda le fondamenta, messe a nudo dopo l’allargamento di Benefit Street ai tempi della Rivoluzione. A causa di ciò fu costruito un muro di mattoni per proteggerle. Lo stesso muro che avrebbe in seguito impedito a Poe di osservare l’edificio nella sua interezza.


Sarah Helen Whitman (1803-1878)


Quel che avevo sentito in gioventù a proposito della Casa sfuggita era che la gente vi moriva in gran quantità e in modo allarmante. Per questo, mi dissero, i primi proprietari si erano trasferiti una ventina d’anni dopo averla costruita: è evidente che non faceva bene alla salute, e forse la colpa era dell’umidità delle cantine ammorbate dai funghi, dell’odore poco piacevole che le permeava, degli spifferi nei corridoi e della qualità dell’acqua prelevata dal pozzo o dalla cisterna.

Erano motivi più che sufficienti, e in generale la gente credeva che le cause fossero queste. Solo i diari di mio zio, l’appassionato di storia locale dottor Elihu Whipple, mi rivelarono infine le più oscure, fantastiche speculazioni che pesavano sulla casa e che costituivano un motivo ricorrente del folklore locale; di queste ipotesi, vociferate dalla gente più umile e dai domestici di un tempo, nessuna ebbe larga diffusione, e quando Providence divenne una metropoli moderna, con una popolazione che si rinnovava continuamente, furono del tutto dimenticate.”

Queste dicerie non avevano nulla a che vedere con le solite caratteristiche delle case infestate: catene tintinnanti, correnti d’aria gelida, luci che si accendevano e spegnevano improvvisamente. L’edificio era considerato semplicemente ‘sfortunato’. Le persone vi erano morte per diverse ragioni, però tutte avevano visto gradualmente consumare la loro vitalità. L’ultima vittima era morta una sessantina di anni prima. Da allora, nessuno era più andato ad abitare nella casa.


Casa della poetessa Sarah H. Whitman, a Providence


Questo è ciò che sapevo prima che, dietro mia insistenza, lo zio Whipple mi mostrasse le sue carte e insieme ci imbarcassimo in una vera e propria indagine.”

Il narratore rievoca i tempi in cui era un ragazzo, quando assieme ai suoi amici si avventurava nei paraggi della casa. Talvolta qualcuno di loro, per mettere alla prova il proprio coraggio, si azzardava a salire le scale che portavano alla soffitta. Uno stanzone illuminato dalle piccolissime finestre degli abbaini, pieno di bauli, sedie e filatoi.


La casa della poetessa oggi


La parte più terribile della casa però non era la soffitta, ma la cantina. Un sotterraneo umido, profondo, che per qualche ragione esercitava su di noi un potere repulsivo benché sul lato della strada fosse al di sopra del livello del suolo. Solo una porticina e un sottile muro di mattoni interrotto da una finestra lo separavano dal marciapiede e dal traffico. Non sapevamo se esplorarlo, affascinati dai suoi misteri, o evitarlo per il bene delle nostre anime e della nostra sanità mentale. Innanzitutto il cattivo odore che permeava la casa era qui più forte che altrove; in secondo luogo, le escrescenze fungose che spuntavano biancastre sul pavimento di terra battuta nei pomeriggi piovosi d’estate non ci piacevano affatto. Quelle muffe, paradossalmente simili alla vegetazione malata del giardino esterno, avevano un aspetto veramente orribile. Erano una detestabile parodia di funghi velenosi e pipe indiane, e non ne avevamo mai visti di simili. Marcivano rapidamente e a tratti diventavano fosforescenti, sicché i passanti notturni parlavano a volte di fuochi delle streghe che brillavano dietro i vetri rotti delle finestre, e di sgradevolissime esalazioni. Non avemmo mai il coraggio di scendere in cantina di notte, nemmeno quando eravamo infiammati dal sacro fuoco di Halloween, ma durante certe visite diurne, specialmente se il cielo era buio e stava per piovere, vedemmo noi stessi la fosforescenza. A volte ci parve di osservare un fenomeno più strano, ma si trattava di una cosa davvero labile. Alludo a una specie di macchia biancastra sul pavimento di terra: un contorno incerto e cangiante che stava a indicare un deposito di muffa e salnitro, e che a volte credevamo di individuare tra i funghi che crescevano nella cucina del seminterrato, vicino al grande camino. Di tanto in tanto fantasticavamo che la macchia avesse una straordinaria somiglianza con una figura umana piegata in due, anche se il più delle volte questo non si notava e talora il deposito era del tutto invisibile.”


Copertina del numero di 'Weird Tales' nel quale venne pubblicato il racconto (Ottobre 1937)

Illustrazione di Virgil Finlay che accompagnava il racconto (Ottobre 1937)

Tra i fenomeni notati dai ragazzi vi era anche quello di una strana esalazione giallastra; particolare che si riscontrava anche nei racconti folkloristici delle classi umili.


II


Solo una volta diventato adulto lo zio permette al protagonista di leggere i suoi appunti sulla misteriosa casa, perché prima di allora non intendeva incoraggiare i pensieri del nipote verso l’insolito.

Per lunga e tediosa che fosse, con una quantità di particolari genealogici e statistici, la cronaca adombrava un filo ininterrotto d’orrore e di malvagità costante preternaturale, che mi impressionarono più di quanto avessero impressionato il buon dottore. Avvenimenti separati formavano un quadro unico e misterioso, particolari che sembravano irrilevanti suggerivano orribili possibilità. Nacque in me una nuova e bruciante curiosità, a paragone della quale quella che provavo da ragazzo era infantile e poco sviluppata. La prima rivelazione ci spinse a intraprendere un’ampia ricerca, a cui seguì la terrificante esplorazione che si sarebbe rivelata disastrosa non solo per me ma anche per il mio parente: in ultima analisi mio zio insisté per unirsi alle indagini che avevo incominciato da solo e dopo una notte trascorsa in quella casa non fece più ritorno. Sono stato privato dell’anima gentile i cui lunghi anni furono riempiti solo di onore, virtù, buongusto e cultura.”


Benefit Street in una cartolina del 1908

Benefit Street oggi


Le note dello zio sono molto dettagliate e compilate con cura. Partono dalla fondazione della casa, avvenuta nel 1763, e contengono i nomi di tutti gli abitanti che l’hanno occupata nel corso del tempo. Febbri infantili, debolezza cronica, casi di follia, bambini nati morti, sono solo alcune delle morti verificatesi fra le pareti della casa nel corso di un secolo. Fino all’ultima serie di decessi, avvenuti nel 1861, anno dal quale nessun’altro ha più abitato l’edificio. Almeno fino a quando il protagonista e suo zio non riescono a risolvere il mistero.

Finché non gli parlai delle mie esperienze, Carrington Harris, ultimo discendente in linea maschile, sapeva solo che la sua proprietà era un pittoresco centro di leggende. Aveva pensato di demolirla e costruire nello stesso luogo un condominio, ma dopo quello che gli raccontai decise di abbandonare il progetto. La lasciò dov’era, fece installare tubature moderne e l’affittò: non ha mai avuto difficoltà a trovare inquilini, perché l’orrore è ormai scomparso.”


III


Consultando la documentazione del dottor Whipple, soprattutto guardando fra le testimonianze rilasciate dai domestici durante le annate 1860-61, il nipote scopre che la cantina era malvista dal personale di servizio, che la considerava il centro dell’influenza malefica, con i suoi funghi e i suoi cattivi odori.


Litografia di R. de Moraine, The Vampire (1864)


Anne White, la superstiziosa di Exeter, aveva diffuso il racconto più stravagante e particolareggiato: sosteneva infatti che sotto la casa fosse sepolto un vampiro, uno di quei morti che mantengono intatta la forma corporea e si nutrono del sangue e dell’alito dei vivi, e le cui orrende schiere si diffondono sulla terra durante la notte per cacciare.”

Le sue strampalate teorie avevano comunque conquistato un certo uditorio, poiché la casa sorgeva su un terreno usato un tempo per le sepolture, ma anche perché alcune vittime si erano ammalate di anemia, seguita da una follia che le aveva portate ad attentare alla vita dei propri parenti incidendone il collo o i polsi. Altra cosa piuttosto bizzarra era il fatto che le ultime vittime, persone di ceto basso perché la casa non riusciva a essere affittata ad altri, avevano cominciato a bestemmiare in francese, lingua che non avevano mai avuto modo di studiare. Dopo una approfondita ricerca fra le cronache cittadine e la documentazione accumulata dallo zio, suo nipote trova un documento.

Fu a quel punto che, per puro caso, mi imbattei in un documento che risvegliò tutto il mio interesse: dico per caso perché non si trovava nei carteggi principali e avrebbe potuto facilmente passare inosservato, ma era la chiave ad alcuni dei punti più bizzarri della vicenda. Si trattava della cessione temporanea, stipulata nel 1697, di un piccolo tratto di terreno a un certo Etienne Roulet e a sua moglie. Finalmente appariva l’elemento francese, e con esso qualcosa di più orribile che il nome risvegliò nella mia mente satura di letture fantastiche ed eterogenee. Studiai con fervore la planimetria del posto prima che fosse attraversato da Back Street e che la strada venisse raddrizzata fra il 1747 e il 1758. Scoprii quello che mi ero in parte aspettato, e cioè che dove oggi sorgeva la Casa sfuggita i Roulet avevano stabilito il loro cimitero dietro un cottage a un piano con soffitta, e che non esistevano documenti relativi a uno spostamento delle tombe.”


La casa sfuggita a Providence, in Benefit Street n. 135

Indagando sulla famiglia Roulet, si viene a scoprire che la famiglia francese non era ben vista, non tanto per le dispute fra inglesi e francesi per il possesso del territorio, piuttosto comuni a quei tempi, quanto per alcune strane vicende di stregoneria. “Mi chiesi quanti di coloro che conoscevano le leggende della Casa avessero saputo del nuovo e sinistro tassello che le mie letture mi avevano permesso di scoprire, in particolare per ciò che riguardava l’uomo conosciuto come Jacques Roulet di Caude, la cui storia costituiva uno dei punti più oscuri negli annali dell’orrore. Nel 1598 costui era stato condannato per stregoneria, ma salvato dal rogo per intervento del parlamento di Parigi e rinchiuso in manicomio. Lo avevano trovato in un bosco, coperto di sangue e brandelli di carne, poco dopo l’uccisione e lo smembramento di un ragazzo da parte di una coppia di lupi. Una delle due belve era stata vista allontanarsi, indisturbata.”

Dopo aver fatto numerosi sopralluoghi nella casa a tutte le ore del giorno, dietro suggerimento dello zio, che ha intenzione di accompagnarlo, il nipote si decide a passare una notte nella mefitica cantina.


IV


Il 25 giugno 1919, dopo una doverosa comunicazione a Carrington Harris in cui, tuttavia, non specificavamo ciò che pensavamo di trovare, mio zio e io portammo nella Casa sfuggita due sedie da campo, un letto pieghevole e certe pesanti apparecchiature scientifiche.”

Il vitale zio Whipple prende le redini della situazione, procurandosi i macchinari scientifici dalla Brown University e dall’Armeria di Cranston Street. I due stabiliscono di rimanere svegli fino a tardi, per poi proseguire con turni di guardia da due ore.


Uno degli edifici della Brown University, Providence


L'Armeria situata in Cranston Street, Providence


Affermare che non eravamo nervosi, in quella piovosa notte di veglia, sarebbe una ridicola e grossolana esagerazione. Come ho detto non avevamo superstizioni infantili, ma lo studio della scienza e le nostre riflessioni ci avevano insegnato che l’universo tridimensionale a noi noto costituisce soltanto una piccolissima frazione dell’energia e della materia cosmiche. In questo caso, le prove fornite da numerose e accertabili fonti dimostravano l’esistenza di forze e poteri che da un punto di vista umano si potevano definire senz’altro malvagie; dire che credessimo alla lettera in vampiri e lupi mannari sarebbe, d’altra parte, un’affermazione inesatta e grossolana. L’approssimazione migliore è questa: non avevamo intenzione di negare la possibilità di straordinarie e ignote alterazioni nella materia e nell’energia vitale, cioè di fenomeni infrequenti nello spazio tridimensionale a causa delle sue stesse limitazioni, ma possibili in sfere d’esistenza abbastanza vicine alla nostra da dare luogo a occasionali manifestazioni che noi, per mancanza di un punto d’osservazione vantaggioso, forse non capiremo mai.


Xilografia di un lupo mannaro a opera di Lucas Cranach il Vecchio (1512 ca.)


In breve, mio zio e io sapevamo che una serie di fatti incontrovertibili indicava la presenza, nella Casa sfuggita, di un’influenza costante nel tempo e che risaliva all’uno o all’altro dei due sospetti coloni francesi di due secoli prima; influenza ancora attiva in virtù di rare e ignote leggi del movimento atomico ed elettronico. Che la famiglia Roulet avesse posseduto un’anormale familiarità con sfere d’esistenza ulteriori, mondi oscuri di cui la gente normale aveva solo terrore e repulsione, sembrava provato dalla storia. Ma questo non significava forse che le violenze del 1730 avevano messo in moto, nel cervello di uno o più di loro (in particolare il sinistro Paul Roulet), un meccanismo, un modello cinetico e mostruoso che era sopravvissuto al linciaggio della folla e all’assassinio dei corpi fisici, per continuare a funzionare nello spazio multidimensionale secondo le stesse direttrici di odio assoluto per la comunità?”

Due sono le armi sulle quali contano zio e nipote: un lanciafiamme e un grande tubo di Crookes. Quest’ultimo nel caso l’essere misterioso sia suscettibile alle sole radiazioni, il primo se sia in parte composto da materia tangibile. Dopo aver piazzato strategicamente la loro strumentazione, iniziano la veglia alle dieci della sera, ma nulla accade fino alle ore piccole, quando il nipote resta sveglio per il primo turno.

Mio zio respirava pesantemente e le sue profonde aspirazioni e inspirazioni erano accompagnate dal rumore di pioggia all’esterno e all’interno da uno snervante sgocciolio d’acqua; la casa era insopportabilmente umida anche quando non pioveva, e durante un temporale come quello sembrava trasformarsi in un pantano. Osservai le pietre sconnesse delle antiche mura alla luce dei funghi e ai deboli raggi dei lampioni che piovevano dalla strada, e improvvisamente, quando l’atmosfera inquietante del posto stava per sopraffarmi, aprii la porta che dava sulla strada e guardai nell’una e nell’altra direzione, riposando gli occhi alla vista di cose familiari e inalando qualche boccata d’aria buona.”


Audiolibro del racconto di HPL (2019)


Poi l’attenzione del giovane viene attirata dall’agitarsi dello zio nel sonno, il quale respira con forte irregolarità. Avvicinatosi, si accorge che la sua testa è rovesciata all’indietro, mentre la sua espressione è completamente stravolta. Poi comincia a blaterare alcune parole in francese.

D’un tratto la fronte gli si coprì di sudore e fece un balzo, mezzo sveglio. L’impasto di francese si tramutò in urlo in inglese, e con voce rauca gridò: ‘Il fiato, il fiato!’. Poi il risveglio fu completo e mentre l’espressione della faccia tornava allo stato normale, lo zio mi prese la mano e cominciò a raccontare un sogno il cui significato profondo potei intuire con terrore.”

L’anziano racconta di essere passato attraverso una normale sequenza di sogni, fino ad arrivare a vedere una serie di immagini sovrapposte l’una all’altra, dove il tempo e lo spazio sembravano dissolversi e mescolarsi. In questo vortice caleidoscopico di visioni-fantasma, l’uomo si è trovato poi all’interno di una buca scavata nel terreno, circondato da volti irati acconciati con boccoli e cappelli a tre punte. Alcuni di questi gli ricordavano i lineamenti dei membri della famiglia Harris.


Illustrazione di Brawnyink (2020)

V


Arrivato il turno dello zio, il giovane si addormenta, ma ben presto anch’egli viene perseguitato da incubi inquietanti, e solo un urlo improvviso lo risveglia dal sonno.

Alle mie orecchie risuonava l’eco dell’urlo agghiacciante e le mie narici si erano riempite di un puzzo disgustoso che riempiva l’ambiente. La mia mente, all’erta come i sensi, capì che la situazione era peggiorata in modo straordinario; quasi senza rendermene conto balzai in piedi e mi preparai a usare uno dei due strumenti che avevamo sistemato sulla chiazza ammuffita davanti al camino. Mi girai temendo quello che avrei visto: l’urlo era quello di mio zio e non sapevo da quale minaccia avrei dovuto difendermi. Ma ciò che vidi era peggio di quello che avevo immaginato. Ci sono orrori supremi, e io mi trovavo di fronte a uno di quei grumi d’incubo assoluto che il cosmo riserva a una minoranza di infelici e dannati. Dalla terra disseminata di funghi filtrava un vapore cadaverico, un colore giallastro e malato che si innalzava in complesse volute fino al soffitto, e che assumeva sembianze in parte umane e in parte mostruose attraverso le quali vedevo perfettamente la cappa e il camino più oltre. Era tutto occhi, crudele e beffardo come una belva, e la testa rugosa che ricordava quella di un insetto si dissolveva in cima a un sottile filamento di nebbia che, dopo essersi ripiegato orrendamente, scomparve su per il camino. Ho detto che vidi quell’essere, ma è solo con uno sforzo di memoria che posso ricostruire il suo esecrabile tentativo di prendere forma; al momento non fu per me che una nube fosforescente, una cosa che filtrava dalla disgustosa putredine dei funghi, avviluppando e poi lasciando con orrenda plasticità l’essere su cui era concentrata la mia attenzione. Alludo a mio zio, il venerabile Elihu Whipple, che rideva sguaiatamente e singhiozzava scuro in volto, coi lineamenti che sembravano disfarsi; e a un tratto allungò le mani adunche per attirarmi nell’alone di violenza suscitato dall’orrore.”

Seppur attanagliato dal terrore, il giovane ha un momento di lucidità e capisce di trovarsi davanti a qualcosa di immateriale. Ignora dunque il lanciafiamme, afferra il tubo di Crookes e colpisce la “cosa” con un fascio di radiazioni. A un lampo azzurro segue uno sfrigolio, poi la nebbia giallastra comincia ad attenuarsi. Quello che accade poi fa fuggire a gambe levate il povero protagonista.


Un tubo di Crookes

Nella vaga mescolanza di alone giallo e azzurro la figura di mio zio aveva cominciato a liquefarsi in un modo che sfida ogni possibilità di descrizione. Tuttavia, nello scomparire, il volto rifletté una serie di cambiamenti di identità degna della più assurda follia: era contemporaneamente un demone e una moltitudine, un cimitero popolato di cadaveri e un corteo trionfale. Illuminato dai raggi misti e incerti, il volto molle assunse dieci, venti, cento aspetti diversi, e quando affondò nella pozza del corpo che si scioglieva a terra come cera, esprimeva un ghigno, sorta di beffarda caricatura, le sembianze di gruppi eterogenei ma non del tutto estranei.”

I volti sono quelli dei componenti della famiglia Harris e poi, via via, tutti quelli delle vittime del passato che si sommano e sovrappongono in un vortice cangiante, come se fossero impegnati in una lotta per il sopravvento dell’uno sull’altro.

Il giovane Whipple vaga a piedi per chilometri sotto la pioggia, fino all’alba. Quando torna a varcare la soglia della casa, la chiazza dalla forma umana che la muffa e l’umidità avevano disegnato sul pavimento è scomparsa.

Seduto, cercai di immaginare quel che era accaduto senza compromettere la mia sanità mentale e di decidere quel che potevo fare per poter mettere fine all’orrore. Non mi era sembrato né di materia, né di qualunque altra sostanza concepibile dall’uomo. Dunque si trattava di una emanazione estranea, un vapore vampiresco simile a quello che i contadini di Exeter sostengono librarsi su certi camposanti… Sì, questa era la chiave, e di nuovo guardai il pavimento davanti al camino dove muffa e depositi di umidità avevano preso forme così grottesche.”


Illustrazione di SammaeL89 (2014)


L’uomo decide di ordinare per telefono un badile, un’ascia, una maschera antigas militare e sei contenitori di acido solforico, da consegnare il giorno dopo davanti alla casa. Si concede un lungo riposo e il giorno seguente torna nella cantina dell’edificio.

FINALE: “Mentre spalavo la terra maleodorante davanti al camino, e il badile tranciava i funghi facendo scorrere un icore giallognolo, il pensiero di quello che avrei potuto scoprire mi diede i brividi. Ci sono segreti del profondo della terra che non fanno bene all’umanità, e questo mi sembrava uno di essi.

La mia mano tremava visibilmente ma ancora scavavo, e dopo un po’ riuscii a stare in piedi nella grande buca che avevo fatto. Man mano che la fossa diventava più profonda (la larghezza era di circa due metri) il cattivo odore aumentava e non ebbi più alcun dubbio che tra poco sarei entrato in contatto con la cosa infernale le cui emanazioni avevano infestato la casa per un secolo e mezzo. Mi chiesi a che cosa avrebbe somigliato, quali fossero la sua forma e sostanza e quanto grande l’avessero resa i lunghi anni in cui aveva succhiato la vita altrui. Dopo un pezzo salii in cima alla buca, livellai la terra che avevo spalato e sistemai due grossi contenitori di acido sui lati, in modo che al momento opportuno avrei potuto rovesciarli in rapida successione. Poi spalai la terra sugli altri due lati, lavorando con calma e indossando la maschera antigas quando il puzzo si fece insopportabile. Ero snervato dal pensiero di trovarmi a pochi centimetri dall’orrore sconosciuto che si trovava in fondo alla fossa.


Interpretazione della casa da parte di Leothefox (2015)


All’improvviso il badile colpì qualcosa di più morbido della terra. Rabbrividii e fui tentato di uscire dalla buca, nella quale ero immerso ormai fino al collo, poi mi tornò il coraggio e alla luce della torcia elettrica spalai altro terreno. La superficie che misi a nudo era scivolosa come la pelle di un pesce, semi-vitrea: una sorta di gelatina in parte imputridita e pressoché opaca. Continuai a scavare e vidi che aveva una forma ben definita, e che la materia era ripiegata intorno a una specie di fessura. La parte esposta era grande, più o meno cilindrica, come un’immensa canna fumaria da stufa di color biancoazzurro, piegata a gomito e larga settanta centimetri nella parte più ampia. Continuai a scavare, finché tutta a un tratto balzai fuori dalla fossa e cercai di allontanarmi dalla cosa spaventosa: senza perdere tempo rovesciai due contenitori di acido solforico e il liquido corrosivo precipitò nella buca sepolcrale, sull’inimmaginabile mostruosità di cui avevo visto il gomito.

Non dimenticherò mai il vortice accecante di vapori giallo-verdastri che uscirono dalla fossa mentre l’acido precipitava. La popolazione della collina ricorda quel giorno come ‘il giorno giallo’ perché orribili e virulenti fumoni si sprigionarono dagli scarichi delle fabbriche nel Providence River, ma io so che la provenienza dei vapori era un’altra. Si racconta, inoltre, che un orrendo boato si levò da una condotta d’acqua difettosa dal gasdotto, ma ancora una volta avrei potuto raccontare la verità se ne avessi avuto il coraggio. Fu un’esperienza assolutamente terrorizzante, e quasi non mi rendo conto di come ne sia uscito vivo. Dopo aver versato anche il quarto contenitore d’acido svenni: avevo dovuto maneggiarlo da solo e i vapori cominciavano a infiltrarsi nella maschera antigas. Quando mi ripresi vidi che dalla fossa non uscivano più miasmi.


La Casa Sfuggita vista da Giuseppe Diaz (2017)


Vuotai i due contenitori che restavano senza particolari risultati, e dopo qualche tempo cominciai a riempire la fossa con la terra che avevo ammucchiato. Finii verso il crepuscolo, ma ormai il terrore aveva abbandonato la vecchia casa. L’umidità non aveva il fetore di prima e gli strani funghi si erano essiccati, riducendosi a una sorta di polverina grigia che somigliava a cenere. Uno degli orrori profondi della terra era perito per sempre, e ammesso che ci sia un inferno deve aver finalmente ricevuto l’anima maledetta di quell’essere. Livellando l’ultima palata di terra piansi la prima delle molte lacrime che ho versato alla memoria del mio caro zio.

La primavera successiva il giardino della Casa sfuggita non presentava più tracce di erba pallida e vegetazione abnorme; poco dopo Carrington Harris la affittò. È ancora un posto che mette i brividi, ma la sua stranezza mi affascina e al mio sollievo si mescola una strana tristezza quando penso al giorno in cui verrà abbattuta per far posto a un chiassoso negozio o a un volgare condominio. I vecchi alberi spogli nella corte hanno cominciato a dare piccole, dolci mele, e l’anno scorso gli uccelli sono tornati a fare i nidi in mezzo ai loro rami contorti.”


La casa vista da un'altra angolazione


Lovecraft parla della casa protagonista del suo racconto in una lettera spedita a sua zia Lillian, datata 6 novembre 1924: “Mercoledì 15 sono stato a pranzo con Sonia in città, in quel pittoresco ristorantino che si trova tra Madison e la 36ma strada. Rientrando a casa con la metropolitana mi è tornato con forza alla mente il ricordo delle strane cose che avevo visto al crepuscolo a Elizabethtown. All’angolo nord-est di Bridge Street ed Elizabeth Avenue si trova una casa terribilmente vecchia - un luogo infernale in cui devono essere state compiute chissà quali azioni notturne all’inizio del diciassettesimo secolo - con una superficie nerastra, non verniciata, un tetto innaturalmente ripido e una rampa di scale esterna che conduce al secondo piano, soffocata da un groviglio di edera così fitta da poter essere soltanto maledetta o nutrita di cadaveri. Mi ricorda Casa Babbit a Benefit Street… Successivamente la sua immagine mi si è ripresentata con rinnovata vividezza, tanto da spingermi a scrivere una nuova storia dell’orrore, ma ambientandola a Providence, nella Babbit House.”

L’autore conosceva molto bene la casa, perché proprio sua zia Lillian, destinataria di questa missiva, vi aveva abitato negli anni 1919 e 1920 come dama di compagnia della signora H. C. Babbit.

Lo stesso edificio aveva già ispirato Lovecraft per la scrittura di una poesia, La Casa, pubblicata per la prima volta in "The Philosopher" n. 1, del dicembre 1920. La versione illustrata riportata qui sotto è apparsa invece nel 1948, sul numero di marzo della rivista "Weird Tales". Autore del disegno fu Boris Dolgov.


Versione illustrata della poesia The House apparsa sul numero di "Weird Tales" del marzo 1948


In questo racconto, ritenuto da molti critici come uno fra i più riusciti dell’autore di Providence, HPL non sente il bisogno di inventare uno pseudo-Rhode Island per trovare un luogo adatto alle spaventose vicende da lui immaginate - come ha fatto con Il Terribile Vecchio, L’illustrazione nella casa e Herbert West, rianimatore - ma utilizza come location un posto che gli è familiare.

La parte introduttiva, con il richiamo alle vicende biografiche di Edgar A. Poe, è un affettuoso omaggio a un autore che Lovecraft amava molto, mentre la minuziosa e lunga ricostruzione degli eventi succedutisi nell’ampio arco di tempo dell’esistenza della casa - se si ha la pazienza di leggerla tutta – è di un enorme fascino storico, e contribuisce a dare una certa plausibilità alla vicenda narrata. Espediente, questo, che Lovecraft usa di frequente: creare un contesto realistico nel quale l’elemento soprannaturale irrompe improvviso a incrinare la quotidianità.

In questo racconto però, abbiamo una particolarità. Alcune vicende accadute nel Rhode Island e accennate nella parte dedicata all’excursus storico della casa, sembrano inventate di sana pianta, invece sono accadute davvero: “Fu Ann White che per prima diede forma definita alle chiacchiere del popolino. Mercy avrebbe dovuto astenersi dall’assumere una donna della regione di Noosneck Hill, perché quel remoto angolo di foresta era allora, come adesso, il covo delle peggiori superstizioni. Non più tardi del 1892 la comunità di Exeter ha provveduto all’esumazione di un cadavere per bruciarne il cuore ritualmente, e tutto per evitare che continuassero certe pretese ‘visite’ nocive alla salute e alla quiete pubblica. Si può immaginare quali fossero le idee della stessa contea nel 1768.”


Vecchio cimitero della famiglia Tillinghast

Storicamente, nella seconda metà del Settecento, nel Rhode Island scoppiò una epidemia di "peste vampirica" che non ebbe niente da invidiare a quelle contemporanee verificatesi in Europa centrale. In alcune contee dello stato divenne addirittura legge la pratica di bruciare il cuore dei defunti prima del loro seppellimento. Piuttosto nota è la vicenda della famiglia Tillinghast, iniziata nell’autunno del 1796. I due coniugi avevano quattro figli, la cui primogenita di 19 anni morì in poche settimane a causa della febbre. Purtroppo la seguirono gli altri tre fratelli più piccoli, non prima però di aver confessato ai loro genitori che la sorella era solita andarli a visitare durante la notte. Dopo la morte della moglie, il capofamiglia si decise a scoperchiare la bara della figlia e non esitò a trafiggerle il cuore, per poi bruciarlo.


Lapide di Stutley Tillinghast, il capofamiglia


Gianfranco Manfredi, cantautore, sceneggiatore, attore e scrittore, sia di romanzi che di fumetti, inserì questa vicenda all’interno di in un ciclo di storie dedicato al suo personaggio western-horror Magico Vento (1997), collegandola sia al mito pellerossa degli Antichi che a quello rielaborato da HPL. All’interno delle rubriche, dedicate agli approfondimenti delle tematiche affrontate di volta in volta nelle pagine del fumetto, l’autore si sofferma a lungo sia sulla vicenda Tillinghast che sul racconto di Lovecraft. Vale la pena leggere quello che scrive Manfredi, non soltanto, come vedrete, per le osservazioni strettamente riguardanti la narrativa di HPL.


Copertina del n. 103 di Magico Vento, disegno di Corrado Mastantuono (2006)

Casa abbandonata nei dintorni di Exeter


[…] I casi parlano di una misteriosa infezione epidemica e di morti (soprattutto giovani donne) che tornano dalla tomba per reclamare l’affetto dei loro cari e per trascinarli con sé. Il Rhode island è indubbiamente lo Stato più gotico d’America. I puritani che vi sbarcarono provenienti dall’Inghilterra portarono con sé la loro cultura e i loro miti. Oltre ai vampiri, anche le streghe, i lupi mannari e altre figure della tradizione europea si riversarono con loro nel Nuovo Mondo e qui si mescolarono ad altre tradizioni di origine indiana, come quella degli Old Ones (gli Antichi), molto radicata tra gli shawnee del mitico capo Tecumseh e di suo fratello, il Profeta Laulewasika. Queste popolazioni indiane si trovavano in realtà in Ohio, ma l’influenza della loro cultura era largamente penetrata (dai primi dell’Ottocento) nei territori del Nord Est, Rhode Island incluso. Da tutto questo terreno di cronache oscure, storie misteriose e leggende prenderà le mosse, nel secolo successivo, la narrativa di H. P. Lovecraft, uno degli scrittori più stravaganti e originali dell’horror moderno. Anche se Lovecraft è famosissimo, quasi del tutto sconosciuto è il retroterra culturale in cui è vissuto e che lo influenzò profondamente. […] La storia narrata in questo episodio fa riferimento al caso di Sarah Tillinghast e della sua famiglia (caso che fu anche commentato da Lovecraft) che occorse nel 1796, in una contea del Rhode Island. Per quanto il caso sembri totalmente inventato e frutto di una fantasia particolarmente accesa, si basa su cronache dell’epoca ed è documentato in molti dettagli. Il cimitero di famiglia dei Tillinghast si trova ancora oggi nei pressi della città di Exeter, e lo si può rintracciare seguendo l’autostrada 1028 Victory Highway. Nel 1994 una troupe televisiva del programma Encounters visitò questo luogo accompagnata da Michael Bell, uno studioso del folclore locale. La troupe usò un equipaggiamento particolare per individuare la posizione di numerosi corpi sepolti senza lapidi e senza contrassegni di alcun tipo. I resti di uno dei corpi rivelarono tracce piuttosto anomale al petto, come se il cadavere fosse stato profanato violentemente, nell’ipotizzabile intento di strappargli il cuore […]” ("Blizzard Gazette" – Il Mondo di Lovecraft, "Magico Vento" 103, aprile-maggio 2006).


Un ritratto di Gianfranco Manfredi



Cripta nel cimitero di Chestnut Hill, a Exeter, dove fu temporaneamente collocato il corpo di Mercy Brown

[…] Il racconto in cui Lovecraft parla, seppur di sfuggita, delle cronache vampiriche del Rhode Island, si intitola The Shunned House ed è stato scritto nel 1924. […] È un testo davvero fondamentale per comprendere le profonde influenze della storia di Providence e del Rhode Island nella formazione del giovane Lovecraft. Il racconto non si riferisce specificamente alla storia dei Tillinghast, fa solo un più generale riferimento alle storie di vampiri contemporanee della contea di Exeter e all’uso di estrarre il cuore dei presunti vampiri per bruciarlo. La tesi di Lovecraft è che la peste vampirica origini dalle esalazioni mefitiche di un misterioso fungo in grado di addensare memorie, immagini e presenze malefiche. Queste esalazioni produrrebbero una sensazione di soffocamento, di perdita di fiato, simile a quella prodotta dalla tubercolosi, unita a visioni allucinogene. Così si giustifica ‘razionalmente’ che molte vittime del misterioso morbo siano decedute per ‘consunzione’ oppure divenute pazze. Ci sono poi, nel racconto, riferimenti non solo ai puritani, ma anche alla limitata influenza locale dell’immigrazione secentesca di eretici di origine Catara dalla Francia (con costumi che si presumono opposti a quelli dei puritani, cioè pre-libertini). Il racconto è di enorme interesse sotto il profilo dello studio della ‘filosofia’ di Lovecraft, delle origini (locali) della sua poetica e dei suoi collegamenti con altri autori. […]


Copertina del romanzo di Gianfranco Manfredi ambientato nel Rhode Island di fine '700 (2008)


Lovecraft si sofferma a lungo nella descrizione della casa spettrale che emanava un puzzo intollerabile, invasa nelle stagioni piovose da mefitici e velenosi funghi biancastri, davvero orribili a vedersi e che marcendo diventavano ‘quasi fosforescenti’. Chi si era ritrovato a passare nei pressi di notte aveva riferito di luminescenze stregate che scintillavano attraverso i pannelli rotti e le finestre maleodoranti. Come si vede, c’è in questa prosa allucinata già tutto l’immaginario ‘alieno’ del cantore di Cthulhu e delle Antiche Divinità sotterranee. Attraverso la vicenda di questa casa infestata, Lovecraft ricostruisce la storia del Rhode Island, dai primi coloni fino ai suoi giorni. Le cronache vampiriche cui accenna di sfuggita, più che a quello di Sarah Tillinghast, fanno riferimento a un caso successivo, ma collegato, anche perché occorso nella stessa contea nel 1892: il caso di Mercy Brown. Anche in questa storia, come in quella di Sarah, si parla di una prole numerosa (sei figli) e di morti a catena ‘per consunzione’. Le notti delle vittime di questa ‘peste’ erano funestate da crisi di soffocamento e da incubi spaventosi. Al risveglio esse si sentivano svuotate da ogni energia, ‘come dissanguate’.


Alcuni estratti dal "Providence Journal" del 1892


Una cronaca del tempo, pubblicata dal Providence Journal, ci riferisce i dettagli dell’esumazione di tre cadaveri della famiglia Brown. Titolo a tinte forti: ESUMATI I CORPI / LA VERIFICA DI UNA ORRIBILE SUPERSTIZIONE NELLA CITTÀ DI EXETER / CORPI DI PARENTI DEFUNTI ESTRATTI DALLE LORO TOMBE. Di contro, l’articolo si guarda bene dall’accreditare le interpretazioni fantastiche. All’esame, si riferisce, due dei cadaveri riesumati non rivelarono nulla di particolare, se non i semplici resti della decomposizione. Ma il corpo di Mercy Brown, defunta nove anni prima, per quanto a prima vista non segnalasse caratteristiche diverse, rivelò all’esame del dottor Metcalf, un cuore quasi intatto e parzialmente pieno di sangue. Il dottore non ritenne la cosa particolarmente prodigiosa, neppure anormale, ma ovviamente l’occasione offrì il destro al giornale per rispolverare una lunga serie di precedenti vampirici nella storica regione. Queste cronache del Providence Journal sono state recentemente ritrovate dagli studiosi tra le carte di Bram Stoker, l’autore di Dracula, opera pubblicata cinque anni più tardi e cioè nel 1897. Evidentemente Stoker si era avvalso di questa documentazione per il suo romanzo. Ne troviamo una traccia indiretta quando il Conte Dracula cita l’uomo che gli sta procurando una nuova casa a Londra: il mio amico Peter Hawkins di Exeter. Le famiglie Tillinghast e Brown erano dell’omonimo centro/contea di Exeter. Se ora riprendete The Shunned House, potete facilmente rintracciare il sottile filo rosso che lega, attraverso Lovecraft, Edgar A. Poe a Bram Stoker, e capire quanto le cupe cronache di Providence siano state importanti per la rifondazione del mito del Vampiro […]” ("Blizzard Gazette" – Le Cronache di Providence, "Magico Vento" 105, agosto-settembre 2006).


Bram Stoker (1847-1912)

Prima edizione del Dracula di Bram Stoker (1897)


Dunque, i casi di vampirismo di fine ottocento registrati nel Rhode Island (sebbene privi di quegli elementi che caratterizzeranno la classica figura del non-morto nel ventesimo secolo: denti aguzzi, mantelli svolazzanti, aglio e quant’altro) avrebbero contribuito a dare forma al vampiro per antonomasia: il conte Dracula.

C’è anche un altro evento storico, accennato solo di sfuggita, ed è quello riguardante il licantropo Jacques Roulet. “L’episodio di licantropia citato da Lovecraft è ‘autentico’, nel senso che viene citato nell’annalistica del Soprannaturale. Jaques Rickins, nel suo Discours de la lycantropie (1601) descrive la vicenda di Jacques Roulet (o Raollet, a seconda della grafia usata nei documenti giudiziari), nei termini riportati dal racconto. Quando Roulet venne catturato – scrive – aveva capelli ricadenti sulle spalle, gli occhi tenebrosi e incassati nel cranio, le narici dilatate, le unghie lunghe come artigli; emanava un tale fetore che era impossibile stargli vicino. L’episodio venne ripreso da Collin de Plancy nel suo Dictionnaire Infernal (1818), e da lì fu tratto da Lewis Spence per la sua Encyclopedia of Occultism, che fu verosimilmente la fonte di Lovecraft.” (G. Pilo, S. Fusco, a cura di, Lovecraft. Tutti i romanzi e i racconti, 4ª edizione, Newton Compton Editori, 2011, nota a pag. 264).


Un altro tubo di Crookes

Fra gli strumenti che i due Whipple si procurano per affrontare l’orrore celato nella cantina della casa, troviamo anche il tubo di Crookes. Ideato tra il 1869 e il 1875 dal chimico e fisico britannico William Crookes (1832-1919), questo strumento servì per studiare l’interazione tra elettricità e materia, più precisamente per osservare i fenomeni associati al passaggio della corrente in presenza di un gas rarefatto. Quest’ultimo veniva chiuso in un contenitore di vetro alle cui estremità venivano fissate due placche di metallo (chiamate elettrodi) collegate a un generatore elettrico. Quella fissata al polo negativo venne definita “catodo”, mentre quella al polo positivo “anodo”. Il passaggio dell’elettricità generava un’emissione di luce, e questo era già noto già prima del 1850 grazie a esperimenti precedenti, ma nel tubo di Crookes venne introdotta una pompa in grado di creare un vuoto spinto. Quando la pressione del gas raggiungeva il milionesimo di atmosfera (un’unità usata in passato per indicare la pressione) non si manifestava più un’emissione di luce, bensì una macchia fluorescente sulla parte di vetro di fronte al catodo. Questi raggi vennero definiti “raggi catodici” e gli scienziati formularono diverse ipotesi sulla loro natura, ma solo nel 1897 il fisico inglese Joseph J. Thomson riuscì a stabilire che non si trattava né di onde, né di atomi o molecole, bensì di particelle subatomiche cariche negativamente e “portatrici di elettricità”, come le definì lui stesso. In pratica, scoprì gli elettroni. Dal nome dato ai raggi invece, qualcuno avrà intuito che ulteriori studi in questo settore porteranno in seguito anche all’invenzione del tubo catodico, fondamentale per la realizzazione di molteplici apparecchi, tra cui il più noto è senz’altro la televisione.

Ma perché Lovecraft fa utilizzare questo strumento ai suoi personaggi, quando al tempo della scrittura del racconto la natura dei raggi era già stata codificata dalla scienza, trovando peraltro numerose applicazioni, ad esempio per la scoperta dei raggi X? Forse più che allo strumento in sé bisogna indagare nella biografia del suo inventore. In un’epoca in cui la scienza muoveva passi da gigante, parallelamente cresceva un profondo interesse per lo spiritismo e l’esoterismo. Molti allora pensarono che si potesse indagare su questi strani fenomeni proprio grazie alle nuove possibilità offerte dalle scoperte scientifiche. William Crookes fu presidente della Society for Psychical Research (Società per la Ricerca Psichica) dal 1896 al 1897, un’organizzazione fondata nel 1882 da tre membri del Trinity College di Cambridge che si proponeva, appunto, di studiare i fenomeni medianici e paranormali con piglio scientifico e imparziale.


William Crookes (1832-1919)

Scrivono G. Pilo e S. Fusco: “Il Tubo di Crookes, oltre a diventare componente essenziale di ogni televisore e oscilloscopio, fu uno strumento fondamentale per la ricerca fisica a cavallo tra ‘800 e ‘900. Ne approfittarono altri fisici però, e non Crookes, perché gli interessi di quest’ultimo virarono inopinatamente nel campo dello spiritismo, e lo scienziato (che pure ebbe il Premio Nobel nel 1909) consumò le proprie risorse intellettuali intorno ai tavolini girevoli dei medium. Cercò anche di verificare gli effetti del suo ‘tubo’ sugli ectoplasmi medianici” (G. Pilo, S. Fusco, a cura di, Lovecraft. Tutti i romanzi e i racconti, 4ª edizione, Newton Compton Editori, 2011, nota a pag. 268). Se ciò corrispondesse al vero, quella effettuata da Lovecraft allora potrebbe rappresentare, seppur occultata, la sua ennesima manifestazione di scetticismo nei confronti di questo genere di argomenti.

Un’altra curiosità è legata al cognome dei protagonisti: Whipple. Un chiaro omaggio alla figura del nonno materno di Lovecraft, Whipple Van Buren Phillips, per il quale lo scrittore aveva nutrito un forte affetto e che si era rivelato fondamentale per la sua formazione letteraria. Nella finzione del racconto viene trasformato in uno zio del protagonista, diventato adulto, col quale condivide la macabra avventura, mentre nella realtà il nonno di Lovecraft morì quando Howard aveva 14 anni. Forse un espediente per fargli vivere qualche anno in più, al suo fianco, in un’avventura di quelle a lui tanto care, visto che era un appassionato di letteratura gotica. “Sono stato privato dell’anima gentile i cui lunghi anni furono riempiti solo di onore, virtù, buongusto e cultura”. Come non ravvisare la sua figura in questa frase estrapolata dal testo?

Per finire, a dispetto delle pessimistiche previsioni espresse dallo scrittore nella conclusione del racconto (È ancora un posto che mette i brividi, ma la sua stranezza mi affascina e al mio sollievo si mescola una strana tristezza quando penso al giorno in cui verrà abbattuta per far posto a un chiassoso negozio o a un volgare condominio), al posto della casa non è sorto né un negozio, né un condominio. Providence, rispetto a cento anni fa, ha radicalmente cambiato il suo volto, ma la Casa sfuggita si può ancora ammirare dietro agli alberi che sfilano ai lati di Benefit Street.


Skyline di Providence (2017)

Luoghi. Providence: Town Street; Hope Street; Cranston Street, sede dell’Armeria; College Hill: Benefit Street, dove si trova la Casa Sfuggita; la Mansion House, hotel dove alloggiava E. A. Poe quando corteggiava Sarah H. Whitman; il Cimitero di St. John; Wheaton Street; North Court Street, dove abita il dottor Elihu Whipple; Brown University; Hopkins Street.


Personaggi. Edgar A. Poe; Sara H. Whitman; Dottor Elihu Whipple (deceduto); io narrante, ovvero il nipote di Elihu Whipple; Archer Harris, proprietario della casa fino alla sua morte, nel 1915; Alice Harris, sorella nubile di Archer; Carrington Harris, ultimo discendente della famiglia e attuale proprietario della casa.

Altri personaggi compaiono nella ricostruzione della storia dell’edificio, riportata di seguito.


RICOSTRUZIONE DEGLI EVENTI DELLA CASA SFUGGITA

IN ORDINE CRONOLOGICO


1636.

Primi insediamenti dei coloni nella regione. All’epoca il terreno apparteneva a un tale John Throckmorton, ma in seguito viene suddiviso in vari lotti.


1697.

Uno dei lotti viene concesso a Etienne Roulet e consorte. Questi decidono di usare lo spazio dove attualmente sorge la casa per seppellire i loro morti.

I Roulet erano degli ugonotti arrivati da East Greenwich nel 1696 e il consiglio degli abitanti di Providence aveva opposto una forte resistenza prima che gli venisse consentito di stabilirsi in città. Etienne Roulet era un tipo cupo che leggeva strani libri e disegnava diagrammi incomprensibili.

Quarant’anni dopo la morte di Etienne, suo figlio Paul e la sua famiglia vengono cacciati via dalla popolazione di Providence.


La casa vista da Jacen Burrows per la copertina del n. 9 di "Providence" (2016)


1763.

Data della costruzione della casa a opera della famiglia Harris. William Harris è un ex marinaio che si era arricchito grazie a un florido commercio avviato con l’India. Divenuto in seguito comandante del brigantino Prudence, sceglie come luogo per la costruzione della casa il nuovo quartiere residenziale di Back Street (vecchio nome della via che poi sarebbe diventata Benefit St.), sorto in seguito allo spianamento di una collina.

Rhoby Dexter è sua moglie, la quale al momento dell’inizio dei lavori gli ha già dato quattro figli: Elkanah, nato nel 1755, Abigail nel 1757, William jr. nel 1759 e infine Ruth, classe 1761. La famiglia si trasferisce nella casa poco prima della nascita del quinto figlio, avvenuta a dicembre. Purtroppo il piccolo nasce morto.


1764.

Ad aprile si ammalano d’improvviso tutti gli altri figli: Abigail e Ruth muoiono entro la fine del mese. Se sia febbre infantile, come afferma il dottor Job Ives, oppure deperimento organico, di sicuro è una malattia contagiosa, perché a giugno Hannah Bower, la domestica, si ammala e muore della stessa malattia. L’altro servitore, Eli Liddeason, accusa una continua debolezza e muore l’anno seguente.


1765.

Oltre a Eli, durante l’anno muore anche William Harris, il capofamiglia.


1767.

Mercy Dexter decide di venire ad abitare nella casa della sorella, rimasta vedova, per prendersi cura di lei e dei suoi figli. Purtroppo la donna, già messa a dura prova dalla morte del marito, subisce un altro duro colpo: la morte del primogenito Elkanah. La follia in cui precipita Rhoby costringe i suoi familiari a confinarla al piano superiore della casa.

Nell’arco di cinque anni muoiono altre sette persone, tutti domestici, mentre si acuisce la pazzia della vedova. Durante le sue numerose crisi isteriche, talvolta grida per lungo tempo in francese, una lingua che non conosce.


Locandina, per il mercato estero, del film diretto da Ivan Zuccon nel 2003

1775.

Scoppia la guerra contro la Gran Bretagna e il giovane William Harris, benché sedicenne, si arruola volontario. La sua salute, fino a quel momento cagionevole, lontano da casa migliora notevolmente. Durante la guerra si copre di medaglie a raggiunge il grado di Capitano nel 1780.


1781.

William Harris sposa Phoebe Hetfield, una ragazza di Elizabethtown e la porta con sé a Providence. Nella casa natale lo aspettano la zia Mercy, ormai invecchiata, e Maria, unica domestica rimasta.


1782.

A maggio muore l’anziana zia mentre in autunno, alla giovane coppia, nasce una bambina già morta. William si convince dell’insalubrità della casa, dunque decide di trasferirsi in un’altra zona della città. Qui nascerà il loro secondo figlio, Dutee.


1797.

A causa di un’epidemia di febbre gialla muoiono William e sua moglie Phoebe. Dutee viene allevato dal cugino Rathbone il quale, dotato di senso pratico, contrariamente all’opinione del giovane che vuole che la casa di famiglia resti abbandonata, decide di affittarla.


1804.

I decessi continuano a ripetersi, così il Consiglio Comunale, in seguito alla morte di quattro affittuari, obbliga il proprietario a disinfettare la casa con canfora, zolfo e catrame.


1861.

A questa data risalgono le ultime vittime della Casa sfuggita, passate inosservate a causa dello scoppio della guerra di secessione. Pare che anch’essi, in preda ai deliri, avessero pronunciato bestemmie in francese.


1919.

Dopo aver studiato a fondo la storia della casa grazie alle notizie raccolte da suo zio Elihu, il giovane Whipple risolve il mistero delle misteriose morti. Inoltre, dopo aver trascorso un’intera nottata nella cantina dell’edificio, riesce a eliminare il male che si annida da secoli sotto le sue fondamenta.


Ancora una foto della casa, sopravvissuta fino a oggi

(fine 7° parte)


Sergio Climinti


Note.

Per stilare la seguente biobibliografia ho fatto riferimento ai quattro volumi editati dalla Mondadori tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, Tutti i racconti (più volte ristampati) e il volume Lettere dall’altrove (1993), una selezione di lettere estratte dal vasto epistolario dell’autore, tutti curati da Giuseppe Lippi. Più il poderoso mammut dedicato a Lovecraft dalla Newton Compton, Lovecraft Tutti i romanzi e i racconti (2011, quarta edizione) a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco. Oltre naturalmente a una serie di siti sul web, su tutti The H. P. Lovecraft Archive, consultato per una più precisa cronologia delle sue opere.

- La sottolineatura che appare nei titoli dei racconti originali (tra parentesi), sta ad indicare il filo comune che li lega al famoso “Ciclo di Arkham”, o “Miti di Cthulhu”.

- I titoli dei racconti non in grassetto sono quelli giovanili, quelli scritti in collaborazione e quelli che destinava ai suoi corrispondenti, che non era interessato a pubblicare.

- La data che compare, a volte, dopo il titolo in lingua originale (che si trova tra parentesi) si riferisce a quella di stesura.

- I racconti scritti in collaborazione sono divisi fra “revisioni primarie” (r. p.) per quei lavori scritti per la maggior parte dall’autore, e “revisioni secondarie” (r. s.) fatte di interventi tesi per lo più a migliorarli. Tali sigle sono riportate tra parentesi, dopo il nome dell’autore che ha lavorato con Lovecraft.

- Il corsivo usato all’interno dei racconti ne individua il testo originale, nella traduzione offerta dai quattro volumi della Mondadori sopra indicati, nella maggior parte dei casi di Giuseppe Lippi.

- Al termine di alcuni racconti la parola FINALE avverte il lettore che nelle prossime righe viene svelato il finale della storia.

(s.c.)



N.B. Trovate i link alle altre puntate della Vita di HPL sulla Biblioteca di Altrove e su Lovecraftiana & kinghiana!

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