Bonelli news from Craven Road
di Erik Lucini
Con questo articolo - incentrato sui dubbi e sulle perplessità che può suscitare il nuovo corso di Dylan Dog nel lettore - Erik Lucini inizia a collaborare a Dime Web. Gli diamo un caloroso benvenuto! (s.c. & f.m.)
Dylan Dog n. 342, febbraio 2015. Disegno di Stano |
Una delle qualità più interessanti di Dylan Dog è sempre stata quella di stimolare la riflessione. Ogni volta che si finiva un albo, che la storia fosse piaciuta o meno, questa induceva pensieri nei lettori - magari riflettendo su un argomento verso il quale si sapeva poco o non si era dato una giusta attenzione.
Gli ultimi albi, compreso Il cuore degli uomini (il n. 342 del febbraio 2015), continuano su questa via ma vanno oltre: inducono a riflettere sul personaggio Dylan Dog. Il rapporto tra l’Indagatore dell’Incubo e l’amore è sempre stato fonte di profonda riflessione; non ho mai creduto, per esempio, che il passare da una ragazza a un’altra fosse il segno di un Dylan affetto da sindrome adolescenziale o da incapacità nel prendersi le proprie responsabilità. Ho sempre pensato e sentito che ci dovesse essere di più.
Per proporre un'analisi diversa e forse più attenta, voglio lanciare un giochino filosofico: metterò Dylan Dog a testa in giù!
Ribaltando Dylan si può intravedere molto di questo personaggio e, in particolar modo sull’amore, si può intuire come per lui sia un punto di forza. L’amore rappresenta il suo punto di equilibrio tra un universo esterno e uno interno, una sorta di catarsi che lo aiuta ad affrontare gli incubi rimanendo sempre in piedi. Ma soprattutto lo aiuta a restare ancorato alla realtà: se ci pensate è un totale cambiamento di fronte rispetto alla visione dell’amore che si è avuta dal Dolce Stil Novo in avanti - un amore che ti solleva da terra e ti fa girare la testa - ed è qui che Dylan si è mostrato diverso. L’amore in lui è la scintilla di quel “quinto senso e mezzo” - spero non sparirà mai - che ricorda il motore immobile di aristotelica memoria: si sviluppa in potenza e in atto, ma l’atto non è il gesto fisico, il rapporto, il cercare sempre una nuova donna, ma è l’esistenza stessa dell’amore. Quando Dylan crede di amare tutte le sue donne, e in parte così è, sa che quelle donne sono il punto di contatto con la realtà. Proprio per questo non può farne a meno e proprio per questo le cambia sempre: perché per ogni donna c’è una realtà diversa.
In lui l’amore è concretezza, sopravvivenza e, in alcuni casi, anche ricerca di aiuto. È quindi fuorviante chiedersi se Dylan ami tutte le sue donne, perché in lui tale sentimento non solo ha una accezione diversa, ma una sua funzionalità che lo rende non effimero ma completo; gli permette di poter vedere la realtà sociale per quella che realmente è: un insieme di ansie e angosce che cercano uno sviluppo, un modo di essere. Ed è proprio qui che il Dylan di Sclavi era innovativo - primo perché rendeva l’orrore una dimensione mentale e non fisica; poi perché spostava lo spavento sull’intimo delle persone e non sul gesto fisico.
Ed è proprio per questo che non ho mai visto Dylan come una critica sociale, ma come una coscienza collettiva. Una coscienza varia, quasi palpabile, che si preparava ad affrontare un cambiamento sociale di cui non si intuiva il dispiegarsi.
Lo stesso, tenendolo sempre a testa in giù, si può intuire nel rapporto con gli antagonisti. Se si guarda in profondità, in tutti i suoi avversari vi è una parte delle sue angosce, delle sue paure, vi è l’ineluttabilità della vita. Come se Dylan si guardasse dentro e capisse la sua diversità grazie al fatto di aver fatto scelte diverse, di aver incontrato luoghi e persone diverse.
Il suo rapporto con gli antagonisti è quindi simmetrico e duale; perché un personaggio sia davvero un suo avversario devono trovarsi all’opposto in maniera quasi speculare, ma soprattutto quasi dei pari. Dylan non è l’eroe che parte lancia in resta, non è Tex o Zagor che possono affrontare la moltitudine. Dylan affronta la dualità, una dualità sulla quale si apre una profonda solitudine nella quale si confronta lui e il suo avversario.
Questo porta a un'enorme quantità di universi narrativi, dalle infinite ramificazioni, che possono dispiegarsi e declinarsi in varie forme, a patto che si mantenga sempre un equilibrio di tipo duale: Dylan e l’amore, Dylan e la musica, Dylan e l’antagonista, Dylan e la dualità, Dylan e…
Chiarisco subito una cosa: non sono un nostalgico. Credo che la nostalgia a piccole dosi possa rendere la vita più gradevole e rassicurante, ma in maniera più forte diventa un freno all’evoluzione e al cambiamento.
Quello che gli ultimi albi di Dylan Dog mi fanno intuire è che vi è in atto una destrutturazione del personaggio; quello che non comprendo bene è il senso di questa destrutturazione. Di solito si tende a fare ciò per avere un nuovo inizio, una sorta di ritorno alle origini che dia nuova linfa e slancio, non solo al personaggio, ma alla realtà sociale nella quale si muove, avendo cura di conservare quelli che sono i suoi punti fermi; questo perché Dylan è un conservatore, e rivoluzionarlo vuol dire snaturarlo. In conclusione mi chiedo: destrutturare Dylan, per andare dove?
Gli ultimi albi, compreso Il cuore degli uomini (il n. 342 del febbraio 2015), continuano su questa via ma vanno oltre: inducono a riflettere sul personaggio Dylan Dog. Il rapporto tra l’Indagatore dell’Incubo e l’amore è sempre stato fonte di profonda riflessione; non ho mai creduto, per esempio, che il passare da una ragazza a un’altra fosse il segno di un Dylan affetto da sindrome adolescenziale o da incapacità nel prendersi le proprie responsabilità. Ho sempre pensato e sentito che ci dovesse essere di più.
Dylan Dog n. 341, gennaio 2015. Disegno di Stano |
Per proporre un'analisi diversa e forse più attenta, voglio lanciare un giochino filosofico: metterò Dylan Dog a testa in giù!
Ribaltando Dylan si può intravedere molto di questo personaggio e, in particolar modo sull’amore, si può intuire come per lui sia un punto di forza. L’amore rappresenta il suo punto di equilibrio tra un universo esterno e uno interno, una sorta di catarsi che lo aiuta ad affrontare gli incubi rimanendo sempre in piedi. Ma soprattutto lo aiuta a restare ancorato alla realtà: se ci pensate è un totale cambiamento di fronte rispetto alla visione dell’amore che si è avuta dal Dolce Stil Novo in avanti - un amore che ti solleva da terra e ti fa girare la testa - ed è qui che Dylan si è mostrato diverso. L’amore in lui è la scintilla di quel “quinto senso e mezzo” - spero non sparirà mai - che ricorda il motore immobile di aristotelica memoria: si sviluppa in potenza e in atto, ma l’atto non è il gesto fisico, il rapporto, il cercare sempre una nuova donna, ma è l’esistenza stessa dell’amore. Quando Dylan crede di amare tutte le sue donne, e in parte così è, sa che quelle donne sono il punto di contatto con la realtà. Proprio per questo non può farne a meno e proprio per questo le cambia sempre: perché per ogni donna c’è una realtà diversa.
Dylan Dog n. 340, dicembre 2014. Disegno di Stano |
In lui l’amore è concretezza, sopravvivenza e, in alcuni casi, anche ricerca di aiuto. È quindi fuorviante chiedersi se Dylan ami tutte le sue donne, perché in lui tale sentimento non solo ha una accezione diversa, ma una sua funzionalità che lo rende non effimero ma completo; gli permette di poter vedere la realtà sociale per quella che realmente è: un insieme di ansie e angosce che cercano uno sviluppo, un modo di essere. Ed è proprio qui che il Dylan di Sclavi era innovativo - primo perché rendeva l’orrore una dimensione mentale e non fisica; poi perché spostava lo spavento sull’intimo delle persone e non sul gesto fisico.
Ed è proprio per questo che non ho mai visto Dylan come una critica sociale, ma come una coscienza collettiva. Una coscienza varia, quasi palpabile, che si preparava ad affrontare un cambiamento sociale di cui non si intuiva il dispiegarsi.
Lo stesso, tenendolo sempre a testa in giù, si può intuire nel rapporto con gli antagonisti. Se si guarda in profondità, in tutti i suoi avversari vi è una parte delle sue angosce, delle sue paure, vi è l’ineluttabilità della vita. Come se Dylan si guardasse dentro e capisse la sua diversità grazie al fatto di aver fatto scelte diverse, di aver incontrato luoghi e persone diverse.
Dylan Dog n. 339, novembre 2014. Disegno di Stano |
Il suo rapporto con gli antagonisti è quindi simmetrico e duale; perché un personaggio sia davvero un suo avversario devono trovarsi all’opposto in maniera quasi speculare, ma soprattutto quasi dei pari. Dylan non è l’eroe che parte lancia in resta, non è Tex o Zagor che possono affrontare la moltitudine. Dylan affronta la dualità, una dualità sulla quale si apre una profonda solitudine nella quale si confronta lui e il suo avversario.
Questo porta a un'enorme quantità di universi narrativi, dalle infinite ramificazioni, che possono dispiegarsi e declinarsi in varie forme, a patto che si mantenga sempre un equilibrio di tipo duale: Dylan e l’amore, Dylan e la musica, Dylan e l’antagonista, Dylan e la dualità, Dylan e…
Chiarisco subito una cosa: non sono un nostalgico. Credo che la nostalgia a piccole dosi possa rendere la vita più gradevole e rassicurante, ma in maniera più forte diventa un freno all’evoluzione e al cambiamento.
Quello che gli ultimi albi di Dylan Dog mi fanno intuire è che vi è in atto una destrutturazione del personaggio; quello che non comprendo bene è il senso di questa destrutturazione. Di solito si tende a fare ciò per avere un nuovo inizio, una sorta di ritorno alle origini che dia nuova linfa e slancio, non solo al personaggio, ma alla realtà sociale nella quale si muove, avendo cura di conservare quelli che sono i suoi punti fermi; questo perché Dylan è un conservatore, e rivoluzionarlo vuol dire snaturarlo. In conclusione mi chiedo: destrutturare Dylan, per andare dove?
Dylan Dog n. 338, ottobre 2014. Disegno di Stano. Il primo albo del "nuovo corso" |
Erik Lucini
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