di
Jari Padoan
Nel 2020, per la precisione il 20 di agosto, sono stati celebrati in tutto il mondo i 130 anni della nascita di Howard Phillips Lovecraft, il Sognatore di Providence al quale "Dime Web" dedica da anni un certo spazio (nei limiti di un sito principalmente fumettistico-bonelliano), soprattutto grazie alla straordinaria e minuziosa bio-bibliografia che Sergio Climinti sta scrivendo per noi. Nel post precedente vi avevamo segnalato un articolo di Priarone apparso su "La Stampa", che in qualche modo aveva a che fare con noi. Il pezzo che leggerete qui è molto più esteso ed stato originariamente scritto da Jari Padoan per EreticaMente, rivista online di tradizione, storia, letteratura e cultura in genere: con il beneplacito dei curatori lo pubblichiamo anche su "Dime Web", sicuri di suscitare il vostro interesse e certi di non creare se non casuali e minime sovrapposizioni con il lavoro di Climinti in fieri. Si tratta, questo di Padoan, di un vero e proprio "saggio breve" ma completo, preciso e appassionante sulla vita, le opere, la fortuna (non vengono tralasciati i film, i giochi, la musica e i fumetti) e la "visione del mondo" dell'immenso scrittore americano. (s.c. & f.m.)
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HPL secondo Battaglia |
Il
20 agosto dovrebbe essere ricordato come un giorno a dir poco
rilevante per il Fantastico contemporaneo, nelle sue varie accezioni
letterarie, cinematografiche, fumettistiche e quant’altro: fu
proprio questo giorno, ben 130 anni fa, che vide la luce Howard
Phillips Lovecraft ovvero l’indiscusso maestro del Terrore del XX
secolo, la cui importanza come autore (e teorico) dell’Immaginario,
si è detto spesso, è oggi paragonabile soltanto a quella di altri
giganti del settore come i ben noti Poe, Sheridan le Fanu, Gustav
Meyrink, Arthur Machen o John Ronald Reuel Tolkien. A tutt’oggi,
l’ammirazione per Lovecraft e l’interesse per la sua opera (da
parte di un pubblico entusiasta costituito soprattutto da giovani)
sono un fenomeno in costante crescita, per quanto la grandezza di
questo autore sia stata progressivamente riconosciuta, da ambienti
che non fossero quelli degli appassionati, solo nel corso degli
ultimi decenni dopo un lungo periodo di indifferenza o snobismo nei
suoi confronti da parte di certa “critica togata”.
La
questione è in realtà più complessa di quanto comunemente si
pensi, perché ad una analisi anche superficiale dell’opera di HPL
emergono i tratti di una figura di scrittore e intellettuale tra le
più singolari ed influenti emerse dalla letteratura dell’ultimo
secolo; infatti, è la stessa eccezionale figura dell’uomo
Howard Phillips Lovecraft ad essere divenuto a sua volta un
personaggio al centro di un culto che ha trasceso i decenni
successivi alla sua scomparsa. Il suo nome, parafrasando Richard
Matheson, è ormai letteralmente leggenda.
Come
hanno scritto due tra i massimi studiosi di Lovecraft in Italia,
Sebastiano Fusco e Gianfranco de Turris (1), il più evidente segnale
della consacrazione di un autore si ha quando il nome di quell’autore
diviene un aggettivo qualificativo.i
Accennando a una bolgia “dantesca”, a un personaggio
“shakespeariano” o “pirandelliano”, oppure a una situazione
“kafkiana” sappiamo bene di cosa stiamo parlando; e il termine
“lovecraftiano” è da tempo familiare e usitato quando si deve
trovare una definizione per concetti le cui caratteristiche
spaventose travalicano di molto i confini del senso comune.
Una palese dimostrazione, insomma, di come l’importanza esercitata
da HPL appare oggi come un dato di fatto inconfutabile, nonostante ci
siano voluti decenni per rendersene conto e per accettarlo (basti
dire che attualmente in Italia i suoi racconti sono editi da
prestigiose case editrici come Feltrinelli, Bompiani e Mondadori).
Come si va ad esaminare, se si ripercorrono gli ultimi
quaranta/cinquant’anni si può infatti notare come questa
innegabile “impronta” lasciata dallo scrittore emerga non solo
dall’ambito specifico delle nuove espressioni della narrativa
fantastica, ma, come si è accennato, le idee e il gusto della
narrativa lovecraftiana sono state ampiamente riprese nel linguaggio
del cinema fantastico e dell’orrore, dei fumetti e altro ancora:
emerge quindi in modo palese come Lovecraft abbia direttamente o
indirettamente influenzato anche e soprattutto quei media che
nel corso dell’ultimo secolo hanno segnato la cultura popolare.
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Gianfranco di Turris (in giacca chiara), uno dei massimi esperti di HPL, con uno dei fondatori di "Dime Web", Francesco Manetti (Pietrasanta, "Libropolis" 2018) |
Dati
tutt’altro che indifferenti, quindi. Ma, anche alla luce di tutto
ciò, definire chi sia stato Lovecraft, oltre che un maestro della
narrativa fantastica, rimane un’impresa tutt’altro che semplice,
come sanno bene i numerosi critici letterari e studiosi che, tra gli
Stati Uniti e l’Europa (da Dirk W. Mosig a S.T. Joshi, da Jacques
Bergier a de Turris e Fusco), si sono occupati della questione da
molti decenni a questa parte.
HPL: la vita, l’opera, la leggenda
La
vita di HPL fu, prima di tutto, quella di un sognatore e di un
nostalgico di altri tempi: nato alla fine dell’Ottocento a
Providence (nel più piccolo Stato americano, il Rhode Island) figlio
unico del rappresentante di commercio di origine inglese Winfield
Scott Lovecraft e di Sarah Susan Phillips, lo scrittore resterà
visceralmente legato per tutta la vita alla sua città natale, che
non lascerà mai se non per la sua breve parentesi matrimoniale a
metà degli anni Venti, quando si trasferirà con la moglie Sonia
Haft Greene a New York City. Pur essendo un rampollo dell’agiata
borghesia, Lovecraft si troverà a vivere un’infanzia singolare e
alquanto tormentata, funestata molto presto dalle ombre della pazzia
e della morte: già nel 1893, infatti, il padre viene ricoverato per
esaurimento nervoso all’ospedale di Providence, dove morirà cinque
anni dopo. Il piccolo Howard e la madre (la quale manifesterà
sempre, nei confronti del figlio, un eccesso di attenzioni e di
apprensioni al limite del patologico) si trasferiscono quindi presso
i nonni materni. Tra le ombre della vecchia casa dei nonni Phillips
non ci sono soltanto mobili d’antiquariato, quadri, arazzi e vecchi
ninnoli: ci sono scaffali di libri. Proprio qui infatti, imparando a
leggere, il bambino avrà i primi approcci con la vasta biblioteca
del nonno; antologie di autori classici, pandette, trattati di
scienze naturali, romanzi e dizionari gli spalancano orizzonti di
conoscenze.
Non
sorprende quindi che già dall’infanzia Lovecraft si era intanto
dedicato alla scrittura di racconti fantastici e del terrore, e di
questa sua prima produzione ne sopravvivono una mezza dozzina,
scritti tra la fine degli anni Novanta e il primo decennio
successivo. Come la sua infanzia, anche la giovinezza di HPL prosegue
su toni non esattamente “regolari”: nel 1896 muore nonna
Phillips, e il piccolo Howard, impressionato dall’atmosfera di
lutto famigliare, sarà perseguitato per anni da incubi ricorrenti.
Nel 1904 scompare anche il nonno, privando Lovecraft di un’altra
figura insostituibile. Nel 1911 la famiglia subisce un serio rovescio
economico, e l’adolescenza dello scrittore sarà caratterizzata da
frequenti esaurimenti nervosi, instabili frequentazioni delle scuole
pubbliche e una convivenza famigliare con una madre iperprotettiva ed
emotivamente squilibrata. È nel 1917, in un periodo di particolare
depressione, che HPL decide di arruolarsi nella Guardia Nazionale del
Rhode Island. Sia a causa della salute cagionevole, sia per
l’ennesima intromissione della madre nelle sue iniziative,
Lovecraft viene respinto.
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Altri due grandi esperti di HPL: Sebastiano Fusco (secondo da sx) e Giuseppe Lippi (terzo da sx), nel 1976. |
Come ha sottolineato il grande e compianto
Giuseppe Lippi (2), è in questo momento che HPL sembra prendere una decisione
irrevocabile: se, giunto all’età di 27 anni, non è riuscito ad
affermarsi nella vita “normale”, quella che conduciamo alla luce
del Sole, allora trionferà nelle tenebre, nei sogni e negli incubi.
È da qui che, se vogliamo, facendo suo il «Dreaming dreams
no mortal ever dared to dream before …» (3) del suo grande maestro Poe, Lovecraft torna alla produzione di
narrativa (dopo nove anni in cui si era occupato soltanto di poesia e
giornalismo scientifico) e il suo lato macabro prende il sopravvento,
scrivendo di getto il racconto The Tomb. La storia è un
esordio, se possibile, già maturo e consapevole nell’ambito del
Fantastico più macabro; l’impianto della storia risente
sicuramente degli influssi del romanzo gotico e dello stile onirico
di E.A. Poe, per quanto presenti già quei tratti e quelle idee che
saranno assolutamente caratteristici della narrativa lovecraftiana.
Il racconto si apre infatti con una indicativa citazione dal VI libro
dell’Eneide: Sedibus ut saltem placidis in morte
quiescam, e già il titolo rivela l’animo “classicista” di
HPL (si utilizza il termine di origine latina tomb anziché il
più usitato grave anglosassone). In The Tomb, l’autore
racconta in prima persona le singolari esperienze giovanili
dell’aristocratico Jervas Dudley, il quale, da quando scopre nelle
vicinanze della propria residenza la presenza di una cripta
famigliare vetusta di secoli, comincia a frequentarla nottetempo,
ispirato da inquietanti visioni che sembrano quelle delle vite
precedenti dei defunti ivi sepolti. Si fa cominciare dalla scrittura
di questo racconto il cosiddetto “Ciclo dell’orrore puro” di
HPL, con i racconti di poco successivi The Outsider e The
statement of Randolph Carter, che mette in scena il principale
alter ego letterario di HPL, ovvero il sognatore Randolph Carter.
Ma
rieccoci alla questione principale: come e perché uno scrittore come
HPL ha radicalmente rinnovato la narrativa fantastica? Nel periodo di
passaggio tra la seconda metà del XIX secolo e il successivo, il
Fantastico moderno passa attraverso ulteriori e profondi sviluppi,
soprattutto in area britannica e americana: basti pensare alla
nascita della moderna narrativa fantasy, grazie ad autori come
Lord Dunsany e William Morris, fino al texano Robert E. Howard. In
questo lungo periodo, un importantissimo mezzo di diffusione della
narrativa fantastica contemporanea furono le riviste popolari:
analogamente alla consuetudine europea del cosiddetto feuilleton,
il romanzo pubblicato a puntate in appendice a quotidiani e riviste,
nei primi decenni del Novecento si vendono negli Stati Uniti i
cosiddetti pulp magazines, riviste vendute a pochi centesimi
di dollaro. Ogni collana di riviste pulp era solitamente
improntata a un tema tipico: basti ricordare le celebri testate
poliziesche Black Mask e Detective Fiction Weekly,
oppure a Amazing Stories e Astounding Stories, le prime
riviste specializzate in fantascienza; ma ancora più importante fu
l’uscita di Weird Tales, nel marzo 1923, la prima rivista in
assoluto ad occuparsi solamente di narrativa fantastica. A parte
questo dettaglio non indifferente, Weird Tales non si
distingueva dalle altre collane del settore, ma l’importanza di
questa testata editoriale è evidente se si considera che dagli anni
Venti agli anni Cinquanta (la rivista chiuderà le pubblicazioni nel
1954) Weird Tales pubblica racconti di autori come Isaac
Asimov e Ray Bradbury, autentici colossi della fantascienza del
Novecento, oltre che un vasto campionario delle opere di giovani
scrittori horror e fantasy come Robert E. Howard,
Robert Bloch, Clark Ashton Smith, Frank Belknap Long, E. Hoffman
Price, Fritz Leiber, Catherine L. Moore e August Derleth. Il vero
maestro di tutti questi autori, che a sua volta fu una delle firme di
punta della rivista, era ovviamente HPL.
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Un'edizione di "Weird Tales" dei primi anni '80: Lovecraft è sempre presente! |
Nessuno
è profeta in patria, dice il vecchio adagio, e sicuramente per molti
versi è anche il caso di Lovecraft e dei suoi racconti: la sua era
un tipo di narrativa fantastica decisamente particolare per il
pubblico americano medio degli anni Venti e Trenta, e nel suo essere
originale ed innovativa, nella sua personale “teoria dell’orrore”
venne perlopiù tacciata di astrusità. Nei racconti di HPL, infatti,
non ci si imbatte così facilmente nelle figure più classiche della
narrativa fantastica, gotica e orrorifica come vampiri, streghe, lupi
mannari e gli inossidabili demoni e fantasmi; o meglio, nelle storie
del Lovecraft più giovane, ad esempio i racconti risalenti agli anni
Venti, tali soggetti sono in realtà ben presenti e anzi spesso
rivestono ruoli di primo piano, come accade in racconti come The
Hound, The dreams in the Witch’s house, The Outsider
e altri ancora. Ma del tutto particolare è il modo in cui vengono
reinterpretate queste figure archetipiche, introducendo l’idea che
i mostri siano a loro volta una manifestazione di oscure forze
sconosciute di cui la ragione umana può solo percepire le minime
propaggini; se, in qualche modo, l’uomo apre la via su ciò che
giace oltre la soglia dell’ignoto, non può che venirne schiacciato
ed azzerato.
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E. A. Poe |
È
in questo punto che si può dire che il Fantastico di Lovecraft
prende le distanze da quello di Poe. L’autore dei Tales of
horror and imagination, a differenza del più giovane HPL nato
alla fine del XIX secolo, aveva ereditato in buona parte le
concezioni dell’Idealismo romantico tedesco (4), e la sua opera narrativa porta all’apoteosi il tema dell’orrore
che emerge dagli abissi della psiche umana («Il terrore non è della
Germania, è dell’anima…» sostiene Poe a chi lo accusava di
plagio hoffmaniano). La situazione spaventosa, nei più oscuri
racconti del bostoniano, non è mai narrata e accettata come mero
dato oggettivo ma viene vissuta in prima persona dal soggetto; in
questo modo, regna sovrana l’incertezza e l’impossibilità di
stabilire se l’orrore sia reale o incubo o allucinazione. È, in
linea di massima, il meccanismo classico del conte fantastique
settecentesco e ottocentesco, da E.T.A. Hoffmann a Gautier, da Nerval
a Villers de l’Isle-Adam, fino alla narrativa “nera” degli
Scapigliati. Nei racconti di Lovecraft, invece, l’orrore è cosmico
in quanto scatenato dalla obiettiva consapevolezza dell’esistenza
di inconcepibili mostruosità intergalattiche, che scardinano le
certezze antropocentriche.
Le
pagine dei migliori racconti di HPL abbondano di passaggi che
dichiarano questa concezione, quella del cosiddetto «orrore cosmico»
(definizione utilizzata dallo stesso Lovecraft nelle parole di uno
dei protagonisti di At the Mountains of Madness, il grande
romanzo scritto nel 1931, da più parti considerato il capolavoro di
Lovecraft) che suggerì a Fritz Leiber la definizione del Lovecraft
narratore: quella di essere stato un “Copernico letterario”.
Scrive infatti lo stesso HPL, come si può leggere oggi nella
raccolta Teoria dell’orrore: «Il punto di vista
antropocentrico mi riesce insopportabile, perché non riesco a
condividere quella primitiva miopia che esalta il mondo trascurando
ciò che vi sta dietro. Il mio piacere è la meraviglia,
l’inesplorato, l’inaspettato e ciò che è nascosto e
quell’alcunché d’immutabile che si cela dietro l’apparente
mutevolezza delle cose». E anche nel suo Notes on the writing of
Weird Fiction, pubblicato postumo, HPL ribadisce che nei racconti
dell’orrore il concetto principale sia l’immissione
dell’inspiegabile e dello sconosciuto, un punto centrale che non
mancherà di sottolineare negli anni Cinquanta il celebre critico del
Fantastico Roger Caillois. Ancora, nel saggio di Lovecraft
Supernatural horror in literature leggiamo: «Il sentimento
più forte e antico dell’animo umano è la paura, e la paura più
grande è quella dell’ignoto». E lo scrittore, con i suoi racconti
più potenti, eleva alla massima potenza consentita per la sua epoca
questo concetto. Un racconto come Dagon, il primo pubblicato
dall’autore nel 1920 sulla rivista The Vagrant, darà il via
alla grande serie di storie che HPL scriverà nei quindici anni
successivi: la serie di racconti che viene ancora oggi indicato come
il «Ciclo di Cthulhu», sicuramente il più celebre ciclo narrativo
di Lovecraft che si estende dal 1921 con The nameless city
fino a The thing on the doorstep del 1935. La serie di
racconti prende il nome dalla terribile entità spaziale protagonista
del racconto The Call of Cthulhu del 1926, forse il racconto
di HPL più celebre e sicuramente uno dei suoi capolavori narrativi.
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La celebre raccolta di scritti lovecraftiani curata da De Turris, nell'ultima edizione Bietti |
Nel
Ciclo di Cthulhu incontriamo in modo ricorrente il celebre
Necronomicon, scritto dal folle Abdul Alhazred, studioso arabo
del VIII secolo dopo Cristo, con il titolo di Al Azif, ovvero
«Il suono degli esseri striscianti nella notte», a sua volta
trascritto da obsoleti testi ritrovati da Alhazred nella città di
Irem, sperduta nel deserto dello Yemen. Testi risalenti ad ere
inconcepibilmente remote, e contenenti i segreti dei Grandi Antichi.
Queste entità, che Lovecraft definisce the Ancient Ones, o
meno frequentemente the Ones who came before, «Gli antichi»
o «Quelli che vennero prima», erano divinità spaziali
infinitamente potenti e malvage, provenienti da dimensioni sottili
oltre la nostra galassia e la nostra dimensione, e che avevano
condotto guerre di proporzioni cosmiche contro altre tipologie di
esseri e civiltà che a loro volta avevano preceduto di milioni di
anni l’avvento dell’uomo sulla Terra. Il Necronomicon è
infatti ritenuto il libro di magia evocatoria più potente mai
compilato, una sorta di Chiave di Salomone incredibilmente più
antica e pericolosa. Sia Abdul Alhazred che il Necronomicon,
ricordiamo, sono semplici invenzioni letterarie del buon Lovecraft,
che, da grande scrittore qual era, aveva creato una vera e propria
mitologia fantastica su Cthulhu, Dagon, gli Shoggoth e quant’altro
(in realtà i primi, ci racconta l’autore, sono entità
“subalterne” e celate negli abissi degli oceani sulla Terra
milioni di anni dopo la conclusione di tremende battaglie cosmiche,
mentre ben più potenti sono i vari, ineffabili Azathoth, Shub
Niggurath e Yog-Sototh, residenti nello spazio interstellare). Abdul
Alhazred e il suo Necronomicon facevano parte di questa
mitologia inventata, proprio come, per fare un esempio, Il libro
rosso dei Confini Occidentali e i canti epici degli Elfi fanno
parte delle tradizioni della Terra di Mezzo nella saga de Il
signore degli Anelli.
Il
pantheon orrorifico di Lovecraft ha radici probabilmente nella
lettura di Dunsany e Arthur Machen (5), di cui si avverte l’influenza soprattutto nei racconti
lovecraftiani più vicini al fantasy come The outer Gods,
The quest for Iranon, The doom that came to Sarnath senza
dimenticare le storie “oniriche” di Randolph Carter (Through
the gates of the silver key e The dream quest of the unknown
Kadath). Dietro la figura di Abdul Alhazred, invece, vi è
evidentemente la passione infantile di Lovecraft per Le Mille e
una notte; come fa notare il critico inglese Malcolm Skey, lo
stesso nome del personaggio parrebbe uno “scherzo” letterario,
suonando come All has red, «Colui che lesse tutto» (6), epiteto che ricorda il titolo dello Sha Nagma Imuru, ovvero
«Colui che vide tutto», altrimenti noto come l’Epopea di
Gilgamesh, l’antichissimo poema epico babilonese che Lovecraft
ovviamente conosceva. L’idea di un leggendario “libro maledetto”,
invece, ha una lunga tradizione all’interno della narrativa
fantastica, quella dei cosiddetti pseudobiblia, letteralmente
“falsi libri”. Questo termine greco è stato utilizzato nel 1947
dal critico e scrittore statunitense Lyon Sprague de Camp (7) (studioso dell’opera di Robert Howard e di HPL) per indicare quei
libri il cui titolo, e oltre ad esso magari qualche estratto del loro
contenuto, è spesso citato in altre opere di narrativa (o anche
saggistica), pur non essendo libri esistenti né mai scritti, se non
nella fantasia dei rispettivi autori. Nonostante questo particolare,
sono testi alquanto famosi e ad essi si fa spesso riferimento, perché
la loro popolarità e la credenza nella loro effettiva realtà li ha
in un certo sensi resi “veri” nell’immaginazione di
innumerevoli generazioni di scrittori e lettori. Il più antico ed
illustre caso di pseudobiblium proviene addirittura dal
racconto antico egiziano noto come Storia di Setne
Khaemuaset: il testo fa riferimento a un misterioso testo magico
ovvero il Libro di Thot, ovviamente mai rinvenuto, che viene
ad esempio citato nel classico del cinema horror La Mummia con
Boris Karloff, risalente al 1932.
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Una fantasiosa ricostruzione del "Necronomicon" di HPL |
Alla
base dell’idea del Necronomicon, quindi, ci sono molto
probabilmente la raccolta The king in yellow di Robert William
Chambers e le Stanze di Dzyan della Società Teosofica,
assieme alla Chiave di Salomone conosciuta da Lovecraft
nell’edizione di A.E. Waite del 1898. Il Necronomicon
rientra quindi pienamente (e con enorme successo) nella categoria
degli pseudobiblia, rivestendo peraltro il curioso primato di
essere probabilmente il libro inesistente più discusso e più
“diffuso”. Questo anche perché ad intorbidire le acque ci hanno
pensato, a cominciare dagli anni Sessanta e Settanta, scrittori come
Sprague de Camp, John Hay e Colin Wilson; dal nucleo originario dei
racconti lovecraftiani in cui viene citato il Necronomicon,
hanno mano a mano contribuito a dare una credibilità al leggendario
tomo scrivendo vere e proprie versioni del suddetto.
HPL
è morto, viva HPL
A
riconoscere la cultura letteraria e scientifica del proprio mentore
furono soprattutto i moltissimi “amici di penna” di Lovecraft.
Quello costituito dalle missive da lui scritte nel corso dei suoi 47
anni di vita è letteralmente un mare sterminato, testimonianza di
una vasta e attivissima cerchia di amici, scrittori, intellettuali e
ammiratori a cui l’autore spedì un numero incredibile di lettere
che oggi si stimano più di 100.000 (e si parla soltanto di ciò che
si è finora riuscito a recuperare e ricostruire). All’interno di
questo che si rivela come uno dei più giganteschi epistolari
registrati dalla storia della letteratura, si trovano in molti casi
interi saggi e racconti e, in linea di massima, argomentazioni che
vanno a coprire uno spettro estremamente vasto dello scibile umano,
dalla filosofia alle più attuali teorie scientifiche, dalla
letteratura all’economia, dall’antropologia alla religione fino
alla storia dell’arte e in particolare quell’architettura alla
quale HPL si diceva particolarmente sensibile. Oggi, in tempi di
comunicazioni telematiche onnipresenti e onnipotenti, dati come
questi relativi all’immensità della corrispondenza di HPL possono
lasciare indifferenti o spingere all’ilarità, ma non possono fare
a meno di colpire la sensibilità di taluni e rendere decisamente
l’idea della vastissima, non comune attività intellettuale e
letteraria dello scrittore statunitense. In particolare, tra i suoi
numerosi corrispondenti si ritrovano i giovani scrittori del
Fantastico attivi sulle pagine di Weird Tales e delle riviste
affini. Tra questi, vanno ricordati il grande Robert Ervin Howard,
autore estremamente prolifico e padre del celebre personaggio di
Conan il Barbaro, e il californiano Clark Ashton Smith, altro
significativo autore del Fantastico novecentesco dalla sensibilità
particolarmente vicina a HPL, a Poe e a Dunsany.
Nonostante
l’esaltata venerazione che i giovani ammiratori testimoniarono con
la citata messe spaventosa di lettere, per una serie di circostanze
(la costante precarietà economica che non era mai riuscito a
superare e non ultima, evidentemente, la sua proverbiale riservatezza
e discrezione), HPL morì solo ed indigente nel 1937, ricoverato al
Butler Hospital di Providence per un tumore allo stomaco. La tomba di
Lovecraft, nello Swan Point Cemetery di Providence, rimase anonima
per decenni, fino all’erezione di una lapide con l’iscrizione «I
am Providence» (tratta da una sua lettera) fortemente voluta da Dirk
W. Mosig con la collaborazione di appassionati da tutto il mondo.
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La tomba di Lovecraft a Providence |
A
differenza di autori come Poe, che nella sua breve e tormentata vita
ottenne comunque un certo successo di pubblico, di Conan Doyle e
Wells che divennero vere glorie nazionali ancora viventi, o di Bram
Stoker che con Dracula segna indelebilmente la storia del
Fantastico e ogni successiva variazione sul tema vampirico (oltre a
rappresentare notevoli entrate economiche per tutta la vita
dell’autore), il nome di Lovecraft rientra così tra i numerosi
casi nella storia della letteratura, fantastica e non, di scrittori
che non conobbero mai un vero successo di pubblico o di critica,
poiché questo sarebbe arrivato soltanto postumo. Ma, come è
ricordato nella nota biografica riportata sui volumi della collana
del «Fantastico economico» edita dalla Newton & Compton negli
anni Novanta, il 15 marzo 1937 moriva l’uomo chiamato Howard
Phillips Lovecraft, ma contemporaneamente nasceva il suo mito.
Come
si sviluppò questo mito? Il merito iniziale della cura e della
diffusione del corpus lovecraftiano, poco dopo la scomparsa
dell’autore, va sicuramente a Donald Wandrei e August Derleth, che
fondano la casa editrice Arkham House nel 1939. Questi erano due
giovani letterati e a loro volta collaboratori di Weird Tales,
nonché tra i maggiori “discepoli” di HPL: la loro iniziativa era
volta alla pubblicazione in volume della narrativa del maestro di
Providence, oltre che a preservare la sua preziosa e sterminata
corrispondenza.
In
Italia, la narrativa di Lovecraft apparirà tradotta solo nel 1960,
grazie a Bruno Tasso che pubblica I ratti nel muro (The
rats in the wall) nell’antologia Un secolo di terrore,
mentre nel 1963 Colui che sussurrava nelle tenebre (The
whisperer in the darkness) vede la luce sul num.310 di «Urania».
Negli anni Quaranta, Weird Tales, attiva ancora per poco,
proponeva sulle sue pagine le ultime ristampe dei più noti racconti
di HPL, mentre la Arkham House si occupava finalmente di una
promozione decorosa dei suddetti; è nel decennio successivo che le
prime ombre lovecraftiane cominciano, progressivamente, a stagliarsi
anche sullo schermo cinematografico.
HPL
e il cinema
L’ultimo
mezzo secolo di cinema dell’orrore e del fantastico ha un grande
debito con l’opera di H.P. Lovecraft. In realtà, le autentiche
trasposizioni filmiche dei suoi racconti rimangono a tutt’oggi
alquanto scarse (e pressoché nessuna davvero fedele ai testi
di riferimento, ammesso che sia possibile realizzare una pellicola
che restituisca lo straordinario potere evocativo delle pagine dello
scrittore di Providence), ma è ben noto come la filmografia di molti
registi storici del cinema horror internazionale, tra i quali vanno
ricordati soprattutto John Carpenter e Lucio Fulci, denota più di
qualche esplicito omaggio con l’immaginario lovecraftiano.
Come
accennato, le prime avvisaglie si hanno già negli anni Cinquanta,
con pellicole di fantascienza horror che, sebbene non dichiarino
ufficialmente nessuna particolare ispirazione allo scrittore di
Providence (del resto, all’epoca ancora alquanto sconosciuto al
“grande pubblico”), rivelano in realtà palesi riferimenti a
varie idee e motivi tipiche della sua narrativa. Uno dei primi casi
che viene allo scoperto è il celebre Mostro della Laguna Nera del
1954: il suddetto mostro che unisce caratteristiche umanoidi e
ittiche, manco a dirlo, a qualsiasi lettore di Lovecraft non può che
apparire come uno stretto parente di Dagon e degli abitanti della
città di Innsmouth.
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"The Blob", locandina originale del 1958 |
Altro
caso alquanto evidente è un altro celebre b-movie della
fantascienza orrorifica, ovvero Blob del 1958, in cui il
mostro gelatinoso proveniente dallo spazio (oltre che simboleggiare,
si è detto, terrori di matrice politica evidenti nel suo colorito
rosso…), dimostra tipici connotati lovecraftiani: proviene
dall’interno di un meteorite piovuto dagli abissi spaziali,
esattamente come la terrificante entità invisibile di cui si narra
in The Colour out of space, che rimane uno dei racconti più
emblematici per il concetto di “orrore cosmico”. Dello stesso
periodo è il film Caltiki il mostro immortale, girato nel
1959 da quel pioniere dell’horror italiano che fu Riccardo Freda
(con l’ausilio dell’altro grande maestro del genere, Mario Bava),
in cui ritroviamo un analogo mostro informe e gelatinoso, anche in
questo caso giunto sulla Terra dallo spazio ma in epoca preistorica,
che dorme un sonno eterno nei fondali di un lago sperduto nella
giungla messicana. L’incoscienza di una spedizione esplorativa
risveglierà la temibile creatura, non a caso dopo avere ritrovato un
antico idolo di pietra in quella che sembra una citazione da The
call of Cthulhu e da The doom that came to Sarnath.
Ma
è nel 1963, con The Haunted Palace di Roger Corman e Vincent
Price che i riferimenti cinematografici a HPL si fanno (quasi)
diretti ed espliciti. Il film, uscito in Italia come La città dei
mostri, è impropriamente annoverato alla sua uscita come
appartenente al ciclo di film di Corman ispirati alla narrativa di
E.A. Poe e in realtà palese e riuscita trasposizione del racconto
The case of Charles Dexter Ward. Negli anni seguenti vi
saranno altri tentativi ufficiali o semiufficiali di riportare sul
grande schermo la narrativa lovecraftiana, ma in realtà saranno
perlopiù deludenti e ricordati come pellicole di basso profilo, tra
le quali The Dunwich Horror, Daniel Haller, 1970, ispirato (ma
non così fedelmente) all’omonimo racconto del 1929. Degno di nota
è il caso di un film fondamentale per il cinema fantastico italiano,
ovvero il fantascientifico Terrore nello spazio (1966) di
Mario Bava, nel quale si potrebbe ritrovare qualche indiretta eco
lovecraftiana (le rovine dell’antica civiltà spaziale, le
possessioni aliene che ricordano The whisperer in the darkness),
per quanto ispirato al racconto Una notte di 21 ore (1960) di
Renato Pestriniero. È comunque negli anni Ottanta che l’ispirazione
lovecraftiana si fa esplicita e ricorrente in numerose pellicole
dell’horror internazionale. In particolare, diviene centrale in
molti film l’idea della trasformazione del corpo umano in orribili
forme aliene, una costante dei racconti lovecraftiani più riusciti
ed inquietanti come The shadow over Innsmouth, The Dunwich
horror, The colour out of space, The thing on the
doorstep, The whisperer in the darkness e altri ancora.
Già
a partire dall’Alien di Ridley Scott del 1979 (si vocifera,
ispirato al citato Terrore nello spazio di Bava) il mostruoso
alieno protagonista potrebbe essere considerato a pieno diritto un
erede della progenie dei Grandi Antichi, anche grazie alla sua
realizzazione grafica ideata dall’artista svizzero H.R. Giger,
illustratore dallo stile decisamente “lovecraftiano”.
Paura
nella città dei morti viventi, girato nel 1980 da Lucio Fulci,
regista di culto che non ha bisogno di presentazioni, è ambientato
nella città di Dunwich, in cui si verificano atrocità varie e
sorgono orde di mostruosi zombie; le stesse atmosfere macabre
tornano nel film …E tu vivrai nel terrore! L’Aldilà
dell’anno successivo, scritto con il grande sceneggiatore del
cinema fantastico italiano Dardano Sacchetti, in cui è centrale
nientemeno che il Libro di Eibon. Come Fulci, anche Dario
Argento si dichiara da sempre appassionato di Poe e Lovecraft, e nel
film Inferno risalente a questi anni se ne può percepire una
certa ispirazione: nel film infatti, oltre ai palesi riferimenti al
Suspiria de profundis di de Quincey, abbiamo il libro
maledetto e il mito “nero” delle Tre Madri. Seguendo la linea del
Necronomicon, va ricordato ovviamente il celebre horror La
Casa (Evil Dead) di Sam Raimi, 1984, che mette in scena il
libro maledetto e cita i Grandi Antichi.
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Locandina originale del 1980 |
Nel
1985, Stuart Gordon e Brian Yuzna, coppia interscambiabile di regista
e produttore molto attivi nelle produzioni dell’horror americano
indipendente, realizzano Re-animator. Si tratta di una
esplicita trasposizione, in ambientazione contemporanea, della serie
di racconti di HPL che vedono protagonista il dr. Herbert West,
giovane e folle medico che, con diabolica freddezza, dedica le sue
forze alla creazione di un siero per rianimare i cadaveri con esiti
spiacevoli. Con il film di Gordon siamo ovviamente in pieno ambito
horror-splatter, come giustamente ci si attende da una
trasposizione di alcuni tra i più macabri racconti scritti da
Lovecraft tra il 1921 e il ‘22. Necronomicon, girato da
Yuzna nel 1993, come e più di Re-animator è molto
liberamente ispirato solo in parte ad alcuni racconti, e si tratta in
realtà di un puro pretesto per la messa in scena di splatter
selvaggio, nonostante la simpatica interpretazione di Jeffrey Combs
(già nel ruolo di Herbert West) nei panni di un divertito HPL.
Ma
è soprattutto con John Carpenter, e ai suoi capolavori di horror
moderno, che vediamo sullo schermo una riuscita e convincente
ispirazione alle pagine di HPL. Il regista statunitense dimostra
questo già a partire da Fog del 1981 (una macabra storia di
fantasmi che cita Poe ma che probabilmente guarda anche al racconto
di HPL The doom that came to Sarnath, per elementi analoghi
come la nebbia spettrale e l’antica maledizione), girando l’anno
dopo il celebre The Thing. Il film è ufficialmente il
rifacimento di The Thing from anther world di Jack Arnold
(1951) a sua volta tratto da un racconto di John W. Campbell, ma il
mostro alieno proteiforme e tentacolato che assale una base
scientifica isolata in Antartide (l’ambientazione delle Montagne
della follia…) pare uscito direttamente dai peggiori incubi
spaziali di HPL. Con Prince of darkness, del 1987 e In the
mouth of madness del 1994, Carpenter realizza sullo schermo
grandi affreschi di horror allucinato e macabro, in cui l’ispirazione
alle opere lovecraftiane è palese, e che proprio in quest’ultimo
film si dipana in una divertita serie di citazioni e di riflessioni
meta-letterarie e meta-cinematografiche. Nel 2001 Stuart Gordon torna
a HPL girando Dagon, ovvero una libera trasposizione di The
shadow over Innsmouth ambientata sulle coste spagnole anziché
quelle del New England tanto care a Lovecraft. Recentissima è
l’uscita della trasposizione filmica ufficiale di The colour out
of space (2019), con Nicholas Cage, i cui notevoli effetti
speciali tentano di ricreare le agghiaccianti descrizioni del
racconto del 1927, già liberamente portato sullo schermo ben due
volte (e con esiti decisamente risibili, che avranno fatto sobbalzare
nel cimitero di Swan Point i poveri resti del Solitario di
Providence) nel 1965 da Daniel Haller e nel 1987 da David Keith.
Dell’ultima ora è la notizia dell’imminente uscita (prevista per
fine estate 2020) della serie televisiva statunitense, ovviamente
horror, dall’accattivante titolo di Lovecraft Country,
che tutti i lettori “lovecraftiani” attendono incuriositi.
Musica
lovecraftiana
Da
quanto risulta, HPL non era un grande appassionato di musica e non
amava le nuove espressioni musicali della sua epoca come il jazz,
come sottolinea Michel Houellebecq nel suo saggio Contre le monde,
contre la vie dedicato al Gentiluomo di Providence.
Ciononostante, sono significativi i riferimenti musicali che si
incontrano tra le sue pagine e proprio il tema della musica come
ponte tra il nostro mondo e l’altrove, come in certi
racconti di Hoffmann, è alla base del celebre racconto The music
of Erich Zann scritto nel 1921. Alla luce di ciò, viene da
chiedersi cosa direbbe HPL nel venire a sapere che, oggi, la sua
opera rimane una importante fonte di ispirazione per numerosissimi
gruppi musicali, in quanto l’”impronta lovecraftiana” si rivela
profonda e significativa anche nell’ambito di una parte
considerevole della musica contemporanea. Espliciti riferimenti alle
opere di HPL si ritrovano nella produzione di numerosissimi gruppi
musicali attivi nel corso degli ultimi cinquant’anni, dal rock
primordiale risalente a quel fondamentale decennio che furono gli
anni Sessanta, passando (soprattutto) attraverso la galassia
dell’heavy metal e dei suoi sottogeneri più oscuri,
arrivando fino ai territori dell’elettronica e dell’ambient
(è il caso dell’etichetta discografica statunitense Cryo Chamber,
responsabile in tempi recenti della singolare operazione di
pubblicare una serie di album a tema, ciascuno dedicato a un
rispettivo Grande Antico!).
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L'album di esordio dei Black Sabbath |
Il
primo ed esplicito segnale viene proprio dagli U.S.A. e si tratta
dell’uscita del primo disco del gruppo rock psichedelico che
intende esplicitamente omaggiare il grande scrittore di Providence,
fin dall’atto stesso di battezzarsi con il suo stesso nome. Nei
primi due album degli H.P. Lovecraft (appunto), usciti
rispettivamente nel 1967 e nel ’68, ritroviamo infatti vari brani
dedicati alla narrativa dell’autore, da The White Ship a At
the Mountains of Madness. Nello stesso periodo, in Inghilterra,
avviene l’epocale esordio discografico dei Black Sabbath: il gruppo
di Birmingham (com’è risaputo, uno dei più influenti in assoluto
della storia del rock) inserisce nel disco omonimo del 1969 il brano
Beyond the wall of sleep, il cui testo, però, di
autenticamente lovecraftiano ha soltanto il titolo, preso in prestito
dal racconto del 1919.
Con
l’attività dei Black Sabbath e le cupe sonorità da loro ideate,
il dado dell’heavy metal è tratto, ed è soprattutto nei
sottogeneri più oscuri ed estremi sviluppati negli anni Settanta e
Ottanta che i riferimenti a HPL si fanno ancora più espliciti,
frequenti ed approfonditi, inseriti da un notevole numero di band
nelle proprie composizioni. Quella che rimane forse la formazione
heavy metal più celebre di sempre, ovvero gli inglesi Iron Maiden,
riporta sulla copertina dell’album dal vivo Live after Death,
uscito nel 1985, il celebre distico tratto dal Necronomicon
che viene citato in The call of Cthulhu e The nameless
city: «That is not dead which eternal lies / And with strange
aeons even death may die …». L’anno precedente, gli
altrettanto famosi Metallica avevano pubblicato il secondo album Ride
the lightning, che si concludeva con il grandioso ed evocativo
brano strumentale intitolato proprio The call of Ktulu (sic).
Nel 1986 la band pubblica il terzo disco, Master of puppets,
in cui troviamo The thing that should not be, un pezzo il cui
testo parrebbe ispirato a The shadow over Innsmouth e ancora
una volta al celebre Richiamo. Negli stessi anni, anche altri
gruppi alfieri del thrash metal come i Mekong Delta intitolano
The music of Erich Zann il loro secondo album, mentre i
tedeschi Necronomicon scelgono di chiamarsi come il famigerato
grimorio.
Con
la nascita del death metal, sottogenere “estremo” per
eccellenza caratterizzato da ritmi supersonici, parti vocali grugnite
ai limiti dell’udibile e testi incentrati su tematiche horror,
è naturale che i più tetri racconti di Lovecraft forniscano una
grande ispirazione alle numerose band del settore. Solo per citare
alcuni tra i casi più noti e rappresentativi, ricordiamo ovviamente
i Morbid Angel, gruppo proveniente dalla Florida guidato dal
chitarrista che si firma (non certo casualmente) Trey Azagthoth, i
Nocturnus, i Massacre (autori dell’album From Beyond) e i
notevoli Nile la cui musica, basata su una incredibile brutalità
sonora unita ad una perizia tecnica non comune, è sistematicamente
ispirata agli antichi testi sacri egiziani. Oltre a questa direttiva
tematica che si snoda tra piramidi, mummie e papiri magici, i Nile
non hanno lesinato più di qualche significativo omaggio a HPL, a
cominciare dal titolo del disco d’esordio Amongst the catacombs
of Nephren-Ka del 1995, il quale è appunto una frase presa alla
lettera dalla conclusione del racconto The Outsider (1921). Il
leader del gruppo, il chitarrista Karl Sanders, dichiara infatti in
una vecchia intervista alla testata specialistica Metal Hammer,
risalente al 2003: «Ho un rispetto immenso per Lovecraft e la sua
opera […]. Riusciva a dare dei significati particolari a ciò che
scriveva e con pochi termini appropriati era in grado di trasmettere
sensazioni indescrivibili e dipingere scenari incredibili. Lovecraft,
a suo modo, faceva death metal prima ancora che questo
esistesse!» (9). Anche dai tenebrosi e gelidi lidi del black metal, parente
stretto del death nato in Scandinavia verso la fine degli anni
Ottanta, emergono vaghi ma significativi accenni a tipici leit-motiv
lovecraftiani: i norvegesi Mayhem, tra i fondatori del suddetto
sottogenere, rievocano en passant il Necronomicon nella
canzone De Mysteriis D.O.M. Sathanas, contenuta nell’omonimo
album del 1993, così come gli svedesi Marduk inneggiano a
Shub-Niggurath nel disco d’esordio Dark Endless (1991).
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Il primo album dei Nile |
Radicati
anche nel doom metal, i riferimenti alla mitologia
lovecraftiana emergono attraverso i decenni. La cosa non sorprende
affatto in quanto nel caso del doom siamo evidentemente di
fronte al sottogenere del metal più oscuro e “antico”, essendo
la sua formazione di diretta derivazione sabbathiana risalente
ai lontani anni Settanta, con l’attività di gruppi storici come
Pentagram e Pagan Altar. È peraltro innegabile che il genere in
questione, con le sue sonorità profondamente tetre, lente e funeree,
si riveli un’espressione musicale alquanto adatta alle
trasposizioni della narrativa di HPL, e in effetti in questo senso
sono numerosi i casi riusciti e suggestivi. Nell’esordio
discografico dei Candlemass, fondamentale gruppo del doom
svedese: nel primo album Epicus, Doomicus, Metallicus,
risalente al 1986, la canzone Demon’s Gate (ispirata al
citato film di culto L’Aldilà di Fulci) rievoca infatti il
Libro di Eibon. Sempre negli anni Ottanta, proprio in Italia
prende le mosse un’altra formazione di notevole spessore e dal nome
programmatico, ovvero i romani Dunwich, che dedicano il loro doom
metal con influenze sinfoniche a tematiche fantasy,
occulte e, com’è ovvio, tipicamente lovecraftiane.
Ricordiamo
poi i finlandesi Thergothon, autori nel 1994 dell’impressionante
album Stream from the heavens, che va a fondare il sottogenere
molto allegro del cosiddetto funeral doom e realizza
trasposizioni musicali lovecraftiane alquanto suggestive. Sempre
dalle tenebrose propaggini del doom anni ’90 emergono gli
inglesi Electric Wizard, “lisergici” cantori dell’oscurità nei
cui brani appaiono frequenti riferimenti a Cthulhu e compagnia.
HPL
e i fumetti
Anche
nel caso del mondo dei fumetti, l’enorme influenza del Sognatore di
Providence si manifestata a diversi livelli; perlopiù, come nel caso
del cinema, si sono verificati numerosi e illustri casi di
riferimenti e citazioni, nonché, negli ultimi anni, a trasposizioni
più o meno fedeli. Se il primo illustratore lovecraftiano ufficiale
va evidentemente ricordato in Virgil Finlay, copertinista di Weird
Tales e autore di numerose illustrazioni ispirate alla narrativa
di HPL, uno dei primi casi fumettistici decisamente degni di nota
avviene in Italia ed è l’Omaggio a Lovecraft, realizzato
nel 1970 dal grande illustratore e fumettista Dino Battaglia, che in
questo periodo si specializza in riduzioni di classici della
narrativa ottocentesca come i testi di Melville, Maupassant, Poe e
Stevenson. Il suo tratto suggestivo e crepuscolare appare sicuramente
adatto a rievocare sulla carta le mostruosità inter-dimensionali
narrate dalla penna di HPL; non a caso, Battaglia collaborerà nel
1972 al periodico Horror Pocket, uscito solo per pochi numeri
in Italia edito da Sansoni, che annovera tra i suoi disegnatori anche
il francese Philippe Druillet, da sempre appassionato dell’opera di
HPL di cui realizzerà anche una versione a fumetti di alcuni
estratti del Necronomicon. Tra il 1973 e il ‘78 l’argentino
Alberto Breccia, uno dei maestri mondiali del fumetto, realizza la
riduzione di alcuni racconti dei Miti di Cthulhu; sempre in Italia,
tra i più celebri fumetti incentrati sul Fantastico degli ultimi
quarant’anni troviamo ovviamente una fitta rete di riferimenti e
citazioni lovecraftiane nel Martin Mystère di Alfredo
Castelli e nel Dylan Dog di Tiziano Sclavi. Nell’albo numero
18 («Cagliostro», uscito nel marzo 1988) avviene addirittura un
rapido incontro tra l’Indagatore dell’incubo in trasferta
statunitense e il Solitario di Providence (il quale venderà
un’automobile particolarmente disastrata all’investigatore
inglese, prima di venire divorato da un uomo-pesce evidentemente
transfuga da Innsmouth). Rimanendo in ambito del fumetto italiano e
nella fattispecie delle pubblicazioni di Sergio Bonelli Editore, la
collana di Dampyr, personaggio horror nato circa vent’anni
fa sulla scia di Dylan Dog, dedica le ultime uscite del 2019 a
storie di ispirazione lovecraftiana (il n.233 porta il titolo I
Grandi Antichi). Va ricordato il lavoro dello sceneggiatore
inglese Alan Moore, osannato autore della celebre graphic novel
From Hell, che realizza una lunga serie di storie a fumetti
molto liberamente ispirate all’universo lovecraftiano, a partire da
The Courtyard del 1995 fino al recente Providence,
mentre risale al 2010 l’interessante riduzione a fumetti delle At
the Mountains of Madness di Ian Culbard.
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Lovecraft secondo Breccia |
HPL:
giochi e videogiochi
Inevitabile
che il mondo orrorifico di HPL venisse ampiamente saccheggiato dai
prodotti ludici. Anche in questo ambito, i casi degni di nota sono
numerosissimi e se ne citeranno alcuni di particolarmente
rappresentativi. Al 1981 risale The Call of Cthulhu,
pubblicato dalla casa editrice Chaosium, il primo gioco di ruolo
moderno esplicitamente ispirato al celebre racconto e in generale
all’universo lovecraftiano, a cui ne seguiranno molti altri.
Entrando nella galassia dei videogames, tra i primi casi
“storici” di videogiochi di ispirazione lovecraftiana abbiamo
Alone in the dark (Necronomicon), di impianto investigativo;
si ricordano poi Amnesia: The dark descent, ispirato a The
Outsider, mentre tra i giochi che mettono in scena e in campo
riferimenti palesi vi sono Call of Cthulhu, a sua volta
ispirato all’omonimo gioco da tavolo, e Shadow Hearts Covenant.
Tra le variazioni sul tema più recenti hanno avuto successo giochi
come Moons of Madness, di ambientazione spaziale, e il nuovo
The sinking city.
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Il gioco di ruolo della Chaosium |
Conclusioni:
HPL filosofo della storia, HPL il conservatore, HPL il sognatore
Basterebbe
tutto ciò di cui abbiamo parlato finora a giustificare la celebrità
raggiunta oggi dalla figura di Howard Phillips Lovecraft, e a rendere
l’idea dello spessore della sua personalità e del suo pensiero?
Forse è il caso di rimarcare quanto HPL sia stato un autentico
profeta di ciò che sarebbe successo nel mondo di poco
successivo alla sua scomparsa, o meglio, che si stava già ampiamente
verificando quando egli era in vita. Lo scrittore, negli anni Venti e
Trenta, aveva chiaramente capito e denunciato tutti i mali e i
pericoli di cui noi oggi, all’inizio del XXI secolo, soffriamo
l’acuirsi, primo dei quali l’omologazione dell’identità
personale e collettiva, la perdita delle basi culturali (arte e
letteratura in primis, mentre la scienza ha ormai da tempo
superato i confini dell’eticamente ammissibile), fino alla
massificazione del pensiero collettivo e del modo di comportarsi.
Lovecraft fu sicuramente un esteta aristocratico e razionalista,
partito da posizioni giovanili classiciste e reazionarie (la sua
avversione per la democrazia e il comunismo rimase sempre
categorica). Negli ultimi anni della sua vita, durante la crudissima
realtà dopo la Depressione del ’29, si farà però sostenitore di
una ideale politica sociale di tipo dirigistico, curiosamente allo
stesso tempo vicina ad una visione alquanto
rivoluzionario-conservatrice (per quanto questa visione potesse
venire adattata, ovvero in modo estremamente improbabile, al contesto
della Nazione statunitense. Ma non a caso HPL manifestò sempre un
suo personale senso di appartenenza alla tradizione inglese ed
europea in generale…).
In
una lettera che l’autore scrive all’amico Maurice W. Moe
dell’aprile 1931 troviamo l’affermazione «La chiave della mia
personalità è una rivolta individuale contro la stolida
convenzione» (9). In queste sue parole, scrive Gianfranco de Turris, si può
individuare in breve tutto ciò che fu Lovecraft, come uomo e come
scrittore, nonché come intellettuale del proprio tempo… in lotta
contro il proprio tempo. È infatti palese che HPL, che non a caso
tra i suoi epiteti postumi vedrà quello di “Solitario di
Providence”, rimanga uno dei più illustri casi di disadattamento
al periodo storico in cui si è nati e vissuti, un lampante esempio
di autoesilio dal contesto sociale contemporaneo (per quanto
relativo, a giudicare dalla spaventosa mole della sua corrispondenza
e dalle testimonianze pervenute da tutti coloro che lo conobbero di
persona, e che sostanzialmente concordano nel dipingerlo come un uomo
dalla gentilezza e dal senso estetico tutt’altro che comuni). È
altrettanto innegabile che fosse profondamente xenofobo, e questa
sua ideologia di fondo, questa avversione per la folla tanto
eterogenea quanto caotica si rafforzò dopo la parentesi matrimoniale
trascorsa a Brooklyn negli anni Venti. Ciò sicuramente è
andato ad alimentare l’idea di un Lovecraft razzista o
para-nazifascista, che andrebbe riconsiderata alla luce di fatti
evidenti alquanto stridenti con questa sbrigativa definizione: lo
scrittore sposò una donna di origine ebraico-russa, aveva amici
ebrei (come Robert Bloch) e presunti omosessuali (il poeta Samuel
Loveman, traduttore di Baudelaire e Verlaine), e nelle sue lettere,
partendo da una iniziale attenzione al fenomeno, finì per esprimere
posizioni critiche nei confronti del contemporaneo sorgere del
Nazismo in Germania. Semplicemente, un conservatore devoto alle
tradizioni quale era Lovecraft non poteva che essere ideologicamente
intollerante, in generale, con chi stravolgeva un certo tessuto
sociale, e quindi, peraltro, anche con gli immigrati bianchi ed
europeix
(e non a caso nel racconto The Haunter of the Dark l’orrore
si annida nelle comunità italiane e irlandesi della città di
Arkham).
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Una recente raccolta di lettere scritte da HPL all'amico Moe |
È
da qui che nasceva la sua totale avversione per una popolazione
massiva e multietnica («La prospettiva del “Grande Crogiuolo di
Razze” americano apparirà in tutta la sua grottesca fallacia agli
occhi del popolo, in una delle pagine più dolorose della sua
storia» (11) scrive HPL, e lo scrive nel 1917…), per una società sempre più
basata sulla speculazione finanziaria, per le brutture
architettoniche che vedeva diffondersi inarrestabili negli Stati
Uniti del suo tempo. È di fronte a queste cose che Lovecraft
rimaneva inorridito e disperato; è sempre da qui che, per sublimare
il suo terrore dell’ignoto, per il diverso e il caotico con cui si
ritrovò ad avere a che fare soprattutto durante il breve e infelice
periodo trascorso a New York, nascono alcune delle sue creazioni
narrative più grandiose ed inquietanti. Ancora, è sempre in questo
punto che Lovecraft, a modo suo, si rivela incredibilmente vicino al
pensiero di altri grandi maestri della narrativa del Novecento,
assolutamente distanti da lui e tra loro stessi, per nazionalità,
formazione, visione della vita e visioni politiche, ma tutti
analogamente turbati dal crollo delle ideologie (o meglio degli
ideali) e dallo sradicamento delle tradizioni, ovvero ciò che
mantiene vivo l’antico tessuto culturale di una Nazione o, più in
generale, di ogni popolo. Vengono in mente Cesare Pavese, William
Butler Yeats, Yukio Mishima, nonché, a onor del vero, figure
alquanto “scomode” per le rispettive posizioni politiche come
Ezra Pound e addirittura l’ultimo Pasolini, nella sua disperata ma
sincera e precisa critica del consumismo e della società omologata.
Che sono le stesse, identiche cose contro cui si scaglia J.R.R.
Tolkien, descrivendo nel Signore degli Anelli le mefitiche
officine di Mordor in cui i degenerati servi del Male producono armi
di distruzione, per rovinare tutto ciò che vi è di elfico nel
mondo…
Palese
e definitiva è quindi l’importanza dell’eredità culturale che
ci ha lasciato Lovecraft, alla luce di un messaggio e di un senso
che, in fin dei conti, è molto semplice. È lo stesso che egli ha
raccolto e tramandato dal suo maestro Poe, così come è condiviso
dagli insigni (e distantissimi) “colleghi” Dostoevskij e Tolkien,
ma si potrebbe dire anche da Borges o André Breton, o dal Leopardi
dell’Infinito: l’ammonimento a considerare, anche e
soprattutto nei tempi della più miserabile decadenza, che l’antica,
sempiterna bellezza dell’Ideale e la vita immaginifica sono parte
integrante della vita cosiddetta “reale”.
Visto
il successo e l’ammirazione riservata all’opera e alla figura del
Solitario di Providence, a ben centotrenta anni dalla sua nascita,
siamo ancora in tanti a pensarla così. Per fortuna.
E
intanto il grande Cthulhu, nella sommersa e limacciosa città di
R’lyeh, continuerà ad attendere sognando …
Jari Padoan
Note
1) Gianfranco de Turris,
Sebastiano Fusco,
Introduzione: le miniere di H.P. Lovecraft, in Howard
Phillips Lovecraft, L’orrore della realtà. La visione
del mondo del rinnovatore della narrativa fantastica, Edizioni
Mediterranee, Roma 2007, p.7.
2) Giuseppe Lippi,
Introduzione, in Howard
Phillips Lovecraft, Tutti i racconti 1897-1922,
Mondadori, Milano 1989, p. XIII.
3) Da The Raven di Edgar Allan Poe.
4) Sandro D. Fossemò, Il
Terrore Cosmico, I parte, in Lex Aurea. Libera rivista di
formazione esoterica n.58, maggio 2015, p.35.
5) Giuseppe Lippi,
Introduzione, in Howard
Phillips Lovecraft, op.cit., p. XVI.
6) Gianni Pilo, nota a La
Città senza nome, in
Howard Phillips Lovecraft, I racconti del Necronomicon,
Newton & Compton, Roma, 2004, p.25.
7) Stefano Marzorati, Maurizio
Colombo, Gianfranco de Turris, I cent’anni di H.P.
Lovecraft, l’inventore di miti, in Dylan Dog presenta: il
primo Almanacco della paura, Sergio Bonelli Editore, Milano
1990, p.143.
8) Intervista ai Nile a cura di Fabio Rodighiero, in Metal Hammer.
La rivista hard rock più venduta in Europa n.6/2003, giugno
2003, p.38.
9) Gianfranco de Turris,
Almanacco del mistero, in Martin Mystère n.103,
Sergio Bonelli Editore, Milano, ottobre 1990, p.4.
10) Gianfranco de Turris,
Lovecraft 80, pubblicato il 24 marzo 2017 su
www.centrostudilaruna.it.
11) Howard Phillips Lovecraft ,
lettera a Rheinart Kleiner del 23 dicembre 1917, in Howard
Phillips Lovecraft, L’orrore della realtà, cit.,
p.53.