di
Sergio Climinti
1922
HERBERT
WEST, RIANIMATORE
(HERBERT
WEST, REANIMATOR, settembre 1921- metà 1922)
I.
Dalle tenebre
“Di
Herbert West, mio collega fin dai tempi dell’università, non posso
parlare che con estremo terrore. Un terrore che non nasce solo dalla
sua recente e sinistra scomparsa, ma dall’esperienza complessiva
della sua vita e delle sue ricerche, e che provai in forma acuta, per
la prima volta, più di diciassette anni fa. Frequentavo il terzo
anno della facoltà di Medicina presso la Miskatonic University, ad
Arkham. All’epoca in cui lavoravamo insieme, il fascino tra
portentoso e proibito delle nostre ricerche mi soggiogava
completamente, facendo di me il più fedele assistente di West; ora
che se n’è andato e l’incantesimo si è rotto, tuttavia, la
paura è maggiore perché i ricordi sfumati e i particolari incerti
sono più orrendi della realtà.
Il
primo, orribile incidente della nostra avventura fu anche lo shock
più grande della mia vita, ed è solo con riluttanza che ne parlo.
Come ho detto accadde ai tempi della facoltà di Medicina, dove West
si era già fatto conoscere per le sue radicali teorie sulla natura
della morte e la possibilità di vincerla artificialmente. Il suo
punto di vista, messo in ridicolo dai membri della facoltà e da
tutti i colleghi, faceva perno sulla natura essenzialmente meccanica
della vita e riguardava il modo di agire sulla macchina umana dopo la
cessazione dei processi naturali, per rimetterla in funzione con
mezzi chimici. Nei suoi esperimenti con le più varie soluzioni
rianimatrici West aveva trattato (e ucciso) un numero enorme di
conigli, porcellini d’India, gatti, cani e scimmie, fino a
diventare la prima preoccupazione del college.
Illustrazione di Dan Woods per un audiolibro - Cap. I (2010) |
Parecchie
volte aveva ottenuto segni di vita in animali che si ritenevano
morti, e in alcuni casi si era trattato di manifestazioni violente;
ma presto si era reso conto che il perfezionamento della terapia,
ammesso che fosse possibile, avrebbe richiesto una vita di studi. Era
altrettanto chiaro che, siccome i farmaci non avevano mai lo stesso
effetto su due specie diverse, per ottenere progressi reali e
specifici si sarebbe dovuto sperimentare sull’uomo. Fu su questo
punto che West si scontrò per la prima volta con le autorità
accademiche: il preside della facoltà in persona, quel dottor Allan
Halsey che tutti gli abitanti di Arkham ricordano per la sua lotta a
favore degli ammalati, gli proibì di continuare su tale strada.”
Per
il freddo e calcolatore West la vita non è altro che un processo
chimico-fisico dove il concetto di anima non trova spazio, per cui la
rianimazione artificiale dipende unicamente dallo stato di
conservazione dei tessuti. Poiché anche l’intelletto può essere
compromesso da un piccolo deterioramento delle cellule cerebrali,
teorizza che occorra una cavia freschissima, alla quale iniettare la
sua soluzione rianimatrice un attimo dopo la morte, per ottenere il
successo sperato.
“Non
molto tempo dopo che la facoltà gli ebbe proibito di continuare su
quella linea, West mi confidò l’intenzione di procurarsi comunque
cadaveri freschi e di continuare in segreto gli esperimenti che non
poteva più effettuare apertamente. Sentirlo discutere di metodi e
soluzioni era davvero macabro, perché al college non ci eravamo mai
procurati gli esemplari anatomici da soli. Quando l’obitorio non
era in grado di soddisfare tutte le richieste ci pensavano due negri,
ma nessuno faceva loro troppe domande. All’epoca West era un
giovanotto piccolo, magro, occhialuto, con i lineamenti delicati, i
capelli biondi, occhi azzurro chiaro e una voce morbida: era
assolutamente fantastico sentirlo parlare dei meriti del cimitero di
Christchurch o di quello comunale. Alla fine ci orientammo per il
cimitero comunale perché a Christchurch quasi tutti i cadaveri erano
imbalsamati e quindi inadatti alle ricerche di West.”
La Miskatonic University vista da Igor Kirdeika (2018) |
Per
proseguire gli esperimenti lontano da occhi indiscreti, l’assistente
di West propone di usare la fattoria abbandonata dei Chapman, oltre
Meadow Hill. Lentamente il laboratorio prende forma, un po’
acquistando del materiale a Boston e un po’ sottraendolo di
nascosto al college.
“In
seguito ci munimmo di badili e picconi per le numerose sepolture che
avremmo dovuto effettuare in cantina. All’università usavamo un
inceneritore, ma era un apparecchio troppo costoso per il nostro
laboratorio clandestino. I corpi delle cavie erano sempre un
problema, persino quelli dei porcellini d’India che West usava per
i piccoli esperimenti clandestini eseguiti nella sua stanza della
pensione dove soggiornava.”
I
due tengono d’occhio i necrologi locali come due sciacalli,
alla ricerca della cavia migliore, ma passano settimane senza alcun
riscontro, fino a quando non si presenta l’occasione giusta: un
uomo giovane e robusto viene trovato annegato nel laghetto di Sumner
e seppellito nel cimitero comunale. Nottetempo, i due decidono di
appropriarsi del suo cadavere.
“Portammo
badili e lanterne cieche ad olio, perché sebbene si trovassero in
commercio le prime torce elettriche non erano efficaci come quelle al
tungsteno che si fabbricano oggi. L’operazione fu lenta e sordida e
avrebbe avuto un suo fascino macabro se invece che scienziati fossimo
stati artisti, ma fummo felici quando le pale toccarono legno.
Portata alla luce la bara di pino, West rimosse il coperchio e tirò
su il contenuto. Io lo aiutai a portarlo fuori dalla tomba e quindi
ci mettemmo al lavoro per restituire alla fossa il suo aspetto
originario. L’operazione ci rese nervosi, specialmente per la
presenza rigida e inespressiva del nostro primo trofeo, ma riuscimmo
a cancellare tutte le tracce della nostra visita. Dopo aver spianato
l’ultima palata di terra infilammo l’esemplare in un sacco di
tela e ci dirigemmo alla vecchia fattoria Chapman oltre Meadow Hill.”
Un Herbert West 'giapponese', by umi (2012) |
Portato
il cadavere nel laboratorio, West inietta nel suo braccio la
soluzione di sua invenzione, preparata secondo i calcoli e le
proporzioni giuste per i soggetti umani.
Per
il suo assistente l’attesa è angosciante, mentre West rimane
impassibile per tutto il tempo. Passano quarantacinque minuti ma non
accade nulla, così Herbert decide di apportare una modifica alla
formula del suo farmaco per poter fare un altro tentativo.
“L’avvenimento
spaventoso si verificò all’improvviso e in modo inatteso. Stavo
versando qualcosa da una provetta a un’altra e West era occupato
con un bruciatore ad alcool (nella casa non c’era gas e quindi non
potevamo usare un becco Bunsen), quando dalla stanza buia dove
avevamo lasciato il cadavere esplose la più agghiacciante e
diabolica serie di urla che avessimo mai sentito. Se l’inferno si
fosse spalancato e avesse fatto trapelare le grida dei dannati, il
pandemonio non sarebbe stato più tremendo: quell’orribile
cacofonia, infatti, esprimeva tutto il terrore e l’innaturale
disperazione dell’essere rianimato. Umano non era più: nessun uomo
sarebbe capace di emettere urla come quelle. West e io, senza
preoccuparci oltre dell’esperimento e della sua possibile scoperta,
balzammo verso la finestra come animali terrorizzati e rovesciammo
lampada, provette e alambicchi con l’unica preoccupazione di
fuggire sotto il cielo stellato della notte. Mentre correvamo verso
la città urlammo a squarciagola, ma una volta raggiunta la periferia
ci imponemmo un minimo di contegno: avrebbero potuto scambiarci per
due ubriachi che tornassero a casa dopo una notte di bagordi.”
Trafugatori di cadaveri a Tewksbury, Massachusetts (1883) |
Raggiunta
la pensione dove alloggia West, si chiudono nella sua stanza, dove
discutono fino all’alba. Dopo aver dormito tutto il giorno
successivo, saltando così le lezioni universitarie, decidono di
indagare sull’accaduto, ma un paio di notizie pubblicate sui
quotidiani gli impediscono di nuovo di prendere sonno. La prima
riguarda un misterioso incendio che ha ridotto in cenere la fattoria
dei Chapman, dovuta alla lampada che i due hanno rovesciato nella
fuga. La seconda riporta che “qualcuno aveva tentato di violare
una tomba recente del cimitero comunale, scavando inutilmente la
terra a mani nude. Questa notizia era inspiegabile, perché noi
avevamo livellato il terriccio con la massima cura. Per diciassette
anni, dopo quella notte, West si sarebbe guardato furtivamente alle
spalle e sarebbe stato ossessionato da passi immaginari che
risuonavano dietro di lui. Ora è scomparso.”
Copia di 'Home Brew' dove uscì la prima puntata del racconto (Febbraio 1922) |
II.
Il demone della peste
“Non
dimenticherò mai la terribile estate di diciassette anni fa, quando
come un vento scatenato dall’Erebo il tifo dilagò ad Arkham. È
a quella pestilenza che molti associano l’anno in questione, perché
il terrore aleggiava allo stato puro, con macabre ali, sui mucchi di
bare che si ammassavano al Christchurch Cemetery. Per me, tuttavia,
quella fu l’epoca di un orrore più grande, un orrore di cui solo
io conservo il ricordo ora che Herbert West è scomparso.”
Illustrazione di Dan Woods per un audiolibro - Cap. II (2010) |
Dopo
la sua esperienza col cadavere urlante, West rinuncia per un po’ ai
suoi esperimenti, ma la sua ossessione non tarda a riaffiorare.
All’università pretende di usare la sala anatomica per i suoi
esperimenti, che ritiene fondamentali e per i quali chiede di
disporre anche di cadaveri freschissimi. Così si scontra di nuovo
con i professori, capitanati da Halsey, il preside della facoltà,
che gli negano con fermezza ogni sua richiesta.
“Che
quei vecchi parrucconi si rifiutassero di riconoscere i successi che
aveva ottenuto con gli animali e insistessero col negare le
possibilità della rianimazione, era ripugnante e quasi
incomprensibile a un giovane dal carattere logico come West. Per
capire le limitazioni del tipo accademico ci sarebbe voluta una
maggiore maturità: allora si sarebbe reso conto che i professori
sono il prodotto di generazioni di puritanesimo, che sono gentili e
coscienziosi, a volte cortesi e amabili, ma sempre ristretti,
intolleranti, oppressi dal rispetto per l’autorità e privi di
autentica immaginazione.”
Poi,
l’arrivo della pestilenza. I due studenti si sono da poco laureati
quando scoppia l’epidemia di tifo, ma nonostante non siano ancora
abilitati per esercitare la professione di medico, vengono arruolati
per l’emergenza.
“L’università
era praticamente chiusa e tutti i medici della facoltà erano
impegnati nella lotta al tifo. Il dottor Halsey, in particolare, si
era distinto per spirito di sacrificio e aveva applicato la sua
grande bravura, e le infaticabili energie di cui era dotato, ai casi
che gli altri evitavano per maggiore pericolosità o perché
giudicati senza speranza. Prima che fosse trascorso un mese il
preside era diventato un eroe popolare, benché lui non se ne
rendesse conto e cercasse semplicemente di resistere alla stanchezza
e all’esaurimento nervoso. West non riusciva a nascondere
l’ammirazione per la forza del suo nemico, ma proprio per questo
era deciso a dimostrargli la verità delle sue stupefacenti teorie.”
Herbert West by Menton J. Matthews III (2011) |
Il
giovane approfitta del caos e della disorganizzazione dell’università
per poter eseguire un nuovo esperimento su un altro cadavere, il
quale ha come unica reazione quella di spalancare gli occhi, ma
solo per fissare il soffitto con uno sguardo che agghiacciava l’anima
e per crollare in un oblio da cui nessun rimedio poté svegliarlo.
West, dopo aver bruciato il corpo nell’inceneritore, decide che è
meglio non rischiare troppo nell’usare i locali universitari.
Il
culmine dell’epidemia avviene durante il mese di agosto, quando tra
le vittime si conta anche il coraggioso dottor Halsey, seppellito con
tutti gli onori. Dopo il funerale, gli affranti studenti di medicina
trascorrono il pomeriggio al bar della Commercial House, per poi
tornare la sera ai propri alloggi. Tranne West, che convince il suo
complice a sfruttare la nottata. Così, alle due del mattino,
la padrona della pensione dove alloggia West vede tornare i due
inseparabili colleghi in compagnia di un terzo individuo, immaginando
che siano alticci. Un’ora dopo, tutta la pensione viene svegliata
da alcune urla provenienti dalla stanza del neolaureato. Abbattuta la
porta, vengono trovati i due studenti svenuti e coperti di lividi, il
tappeto macchiato di sangue e la finestra spalancata. In molti si
chiedono come possa essere sopravvissuto il loro assalitore dopo un
salto di due piani. Alla polizia i due riferiscono di non conoscere
il loro compagno di sbronza, un simpatico sconosciuto incontrato
quella notte, e dunque di non volerlo denunciare.
Mary Mallon, portatrice sana della febbre tifoide a New York, agli inizi del '900, in un'illustrazione del 1909 |
“Quella
notte cominciò il secondo orrore di Arkham, l’orrore che ai miei
occhi cancella persino l’epidemia. Il Christchurch Cemetery fu
teatro di un orribile delitto: la vittima, un guardiano, fu dilaniata
in modo orrendo e la tecnica dell’uccisione fece escludere che
l’assassino potesse essere umano.”
Infatti
la polizia interroga il direttore di un circo che si è fermato nella
vicina città di Bolton, ma non risulta fuggita alcuna belva dalla
propria gabbia.
“La
notte seguente i demoni si scatenarono sui tetti di Arkham e la
follia cavalcò il vento ululando come una belva. Sulla città
colpita dalla pestilenza si era abbattuta una maledizione che alcuni
giudicavano peggiore del tifo e che secondo altri era il demone
incarnato dell’epidemia. Otto case furono visitate da un essere
senza nome che si lasciava alle spalle una scia di sangue;
diciassette cadaveri, dilaniati e senza forma, furono il bilancio dei
delitti perpetrati dal mostro sadico e muto che strisciava per le
strade. Qualcuno lo aveva intravisto nel buio e lo descriveva bianco,
simile a una scimmia deforme o a una belva antropomorfa. L’essere
non si lasciava alle spalle tutto ciò che uccideva, perché a volte
era affamato…”
Copia di "Home Brew" dove apparve il secondo capitolo del racconto (Marzo 1922) |
La
terza notte la polizia, aiutata da alcune squadre di volontari,
riesce a catturare l’uomo in una casa di Crane Street, vicino al
campus universitario.
“Era
muto, scimmiesco, feroce come un demonio e aveva due occhi che
incutevano terrore, ma era un uomo. Lo medicarono e lo portarono al
manicomio di Sefton, dove per sedici anni ha battuto la testa su una
parete imbottita… Poi sono avvenuti i recenti incidenti ed è
fuggito in circostanze che a molti non piace ricordare. La cosa che
aveva nauseato i cercatori di Arkham, quando avevano pulito la faccia
del mostro, era la sua grottesca, orribile somiglianza con un martire
della scienza seppellito solo tre giorni prima, il dottor Allan
Halsey, pubblico benefattore e presidente della facoltà di Medicina
alla Miskatonic University. Per lo scomparso Herbert West e per me
l’orrore e il disgusto furono enormi. Rabbrividisco anche stanotte,
quando ci penso; rabbrividisco più di quel mattino, quando
attraverso le medicazioni West borbottò: ‘Accidenti, nemmeno
questo era abbastanza fresco!’”.
Il Dottor Allan Halsey visto da Maximiliano Bárbaro (2012) |
III.
Sei spari a mezzanotte
“West
e io ci eravamo conosciuti all’università, dove ero stato l’unico
a provare interesse nei suoi orribili esperimenti. Poco a poco ero
diventato il suo inseparabile assistente e adesso che ci eravamo
laureati intendevamo restare insieme. Non era facile trovare uno
sbocco adeguato per una coppia di medici, ma finalmente l’influenza
dell’università ci permise di aprire uno studio a Bolton, una
cittadina industriale vicino ad Arkham. I Lanifici di Bolton sono i
più grandi nella valle del Miskatonic e i loro operai, gente della
più varia provenienza etnica, non sono i pazienti ideali per i
medici già affermati del luogo.”
I
due neolaureati scelgono la loro abitazione con estrema cura, un
cottage malandato e abbastanza isolato, non troppo distante dal
cimitero pubblico. I clienti non tardano ad arrivare, e anche
numerosi, ma ai due interessa solo proseguire i loro esperimenti nel
nuovo laboratorio, allestito nella cantina della casa. Qui riescono a
iniettare il siero ad altri quattro cadaveri, ma senza conseguire
alcun progresso rispetto a quanto già fatto ad Arkham.
“Una
notte di marzo, finalmente, ottenemmo un esemplare che non proveniva
dal cimitero. A Bolton la vecchia mentalità puritana aveva messo al
bando il pugilato… con il solito risultato. Incontri clandestini e
spesso cruenti erano comuni fra gli operai dei lanifici e qualche
volta veniva importato un professionista di infimo livello.”
Illustrazione di Dan Woods per un audiolibro - Cap. III (2010) |
Durante
un incontro uno dei due pugili, Buck Robinson detto “il fumo di
Harlem”, viene messo k.o. e i due ne approfittano. Si offrono di
far sparire il cadavere discretamente, guadagnandosi così la
gratitudine degli operai.
Anche
stavolta però, il siero non ottiene alcun effetto. I due si
sbarazzano del corpo seppellendolo nel bosco che costeggia il
cimitero. Qualche voce su uno scontro clandestino però trapela, e la
polizia comincia a fare alcune indagini.
Pochi
giorni dopo sparisce un bambino italiano. La mamma, una paziente di
West, muore di crepacuore per il dolore e il marito minaccia di
ucciderlo ritenendolo responsabile di non averla salvata.
Una
notte i due vengono svegliati da alcuni rumori provenienti dalla
porta posteriore. West, preoccupato dalle intimidazioni
dell’italiano, porta con sé, oltre alla torcia, una pistola.
Un vecchio cimitero di Bolton (Massachusetts) |
“Così
scendemmo a pianterreno in punta di piedi, in preda a una paura che
in parte era giustificata e in parte era quella delle ore piccole che
sale incontrollabile dall’anima. Il rumore alla porta continuò,
anzi si fece più forte. Arrivati di sotto tirai cautamente il
chiavistello e aprii. Quando la luna delineò la sagoma del nostro
visitatore, West fece una cosa insolita: senza considerare il
pericolo di attirare l’attenzione e di provocare la temuta
inchiesta della polizia (cosa che ci fu risparmiata dall’isolamento
del cottage), il mio amico vuotò rapidamente, febbrilmente e senza
che ce ne fosse bisogno l’intero caricatore della pistola sul
visitatore notturno.
Perché
non si trattava né dell’italiano né della polizia. Disegnata
contro la luna spettrale vedemmo la figura gigantesca e informe di un
essere che solo l’incubo può generare… Un’apparizione nera
come l’inchiostro, con gli occhi vitrei, prostrata a quattro zampe
e coperta di terra, foglie, viticci e sangue raggrumato. Fra i denti
stringeva un oggetto terribile, cilindrico e bianco come la neve che
terminava in una piccola mano.”
Copia di "Home Brew" dove apparve la terza parte del racconto (Aprile 1922) |
IV.
L’urlo del morto
“Negli
ultimi tempi del nostro sodalizio provavo orrore del dottor West.
Tutto cominciò con l’urlo di un morto: ora, è ovvio che un fatto
del genere provochi raccapriccio, non è certo un episodio comune o
piacevole, ma ormai ero abituato alle esperienze straordinarie e in
quell’occasione rimasi profondamente sconvolto per un altro motivo.
Come tenterò di far capire, non fu del morto in sé stesso che ebbi
paura.”
Nel
luglio del 1910 comincia un periodo sfortunato, perché i due non
riescono a procurarsi alcun cadavere fresco. L’assistente allora
decide di andare a trovare i suoi genitori in Illinois. Al suo
rientro, West asserisce di aver trovato la soluzione al problema
della freschezza dei cadaveri: la conservazione artificiale,
realizzata grazie a un particolare ritrovato per l’imbalsamazione
di sua invenzione. Dopo di che, gli annuncia di essersi procurato un
cadavere fresco grazie a un colpo di fortuna. Uno straniero aveva
bussato alla sua porta per avere un’informazione, ma a causa di un
eccessivo affaticamento era morto poco dopo d’infarto. Una volta
iniettato il suo siero per la conservazione, ha voluto aspettare il
suo ritorno per procedere alla rianimazione.
Illustrazione di Dan Woods per un audiolibro - Cap. IV (2010) |
“La
notte del 18 luglio 1910, dunque, Herbert West e io scendemmo in
laboratorio e guardammo la bianca, silenziosa figura sotto
l’abbagliante luce ad arco. Il farmaco preservante aveva funzionato
magnificamente, al punto che domandai a West se l’uomo fosse
effettivamente morto; era lì da due settimane e non aveva nemmeno
cominciato a irrigidirsi. Lui me lo assicurò e mi ricordò che non
usava mai la soluzione rianimatrice senza aver accertato la morte del
soggetto: l’effetto sarebbe stato nullo se nel corpo fosse rimasta
una scintilla dell’originaria vitalità.”
West
proibisce al suo assistente di avvicinarsi al corpo, stavolta
l’esperimento è più complesso e solo lui è in grado di
effettuare tutte le operazioni necessarie a far rianimare la preziosa
cavia.
“Non
riesco a esprimere la fantastica, spasmodica tensione con cui
aspettammo l’esito dell’esperimento sul primo esemplare veramente
fresco: il primo da cui ci potessimo aspettare che aprisse bocca per
dire cose ragionevoli e magari ci spiegasse che cosa aveva visto
oltre l’incommensurabile abisso.”
Trascorrono
solo pochi minuti e i due capiscono che stavolta l’esperimento non
potrà essere un insuccesso. La pelle comincia ad assumere un
colorito roseo, i muscoli cominciano a contrarsi, poi il petto inizia
ad alzarsi e abbassarsi regolarmente a causa del respiro.
Illustrazione leonardesca di Javier García Ureña (2010) |
“Poi
gli occhi si aprirono: grigi, calmi, vivi ma ancora non intelligenti
e nemmeno curiosi. Seguendo un impulso fantastico sussurrai qualche
domanda alle orecchie che cominciavano a imporporarsi: domande sui
mondi della morte di cui la sua memoria poteva ancora conservarne
traccia. Il terrore di ciò che avvenne poi me le ha fatte
dimenticare quasi tutte, ma credo che l’ultima, ripetuta più
volte, fosse: ‘Dove sei stato?’ Non so se mi abbia risposto
oppure no, ma ho l’impressione che per qualche secondo le belle
labbra non abbiano detto niente, e che poi si siano aperte per
emettere un fievole ‘appena adesso’, come se quella frase
possedesse un senso o un’importanza. In quel momento, comunque,
provai la gioia di aver raggiunto una grande meta, perché per la
prima volta un cadavere rianimato aveva pronunciato parole chiare e
dettate dalla ragione. L’attimo dopo non potemmo più dubitare del
trionfo, non potemmo negare che la soluzione, almeno per il momento,
aveva compiuto appieno la sua missione, restituendo a un morto la
vita razionale e il movimento.
Ma
fu proprio quel trionfo a causare l’orrore più grande: non orrore
del corpo rianimato che parlava, ma l’atto di cui ero stato
testimone e dell’uomo al quale avevo legato le mie fortune
professionali. Perché il nostro soggetto, riacquistando piena e
terrificante memoria dell’ultima scena che aveva visto sulla terra,
dilatò gli occhi e protese le mani nell’aria in una lotta senza
quartiere con un nemico invisibile; poi stramazzò in una seconda e
finale dissoluzione, non senza aver urlato le parole che mi
riecheggiano per sempre nel cervello: - Aiuto! Stammi alla larga,
maledetto criminale… Allontana da me quell’ago!”
Copertina di Weird Tales dove venne ristampato 'Herbert West' (1942) |
V.
L’orrore dalle ombre
“Molti
hanno raccontato cose orribili, che la stampa non osa pubblicare, a
proposito della Grande Guerra. Alcune mi hanno fatto rabbrividire,
altre mi hanno riempito di una nausea sconvolgente, altre ancora mi
hanno indotto a guardarmi indietro nel buio, tremando. Ma ritengo di
poter io stesso riferire l’episodio più terribile: l’orrore
sconvolgente, innaturale, incredibile che emerse dalle ombre. Nel
1915 ero primo tenente medico in un reggimento canadese nelle
Fiandre, uno dei tanti americani che precedettero il loro governo
nell’entrata in guerra. Non mi ero arruolato di mia iniziativa, ma
al seguito dell’uomo che servivo, il celebre chirurgo di Boston
Herbert West. Il dottor West era ansioso di prestare i suoi servigi
nel grande conflitto e quando ne ebbe l’opportunità mi portò con
sé quasi contro la mia volontà. Avevo buone ragioni per sperare che
la guerra ci dividesse, ragioni che rendevano l’esercizio della
professione e la compagnia di West sempre più irritanti. Ma quando
egli si recò a Ottawa e, grazie alla raccomandazione di un collega,
ottenne la nomina a maggiore medico, non potei resistere alle
insistenze di chi aveva già deciso che lo seguissi e svolgessi le
mie solite mansioni.
Quando dico che il dottor West era ansioso di prestare la sua opera su un campo di battaglia, non voglio dare a intendere che fosse un uomo particolarmente bellicoso o che gli stessero a cuore le sorti della civiltà: era e rimaneva una fredda macchina intellettuale. Magro, biondo, con occhi azzurri ed occhiali, probabilmente disprezzava i miei entusiasmi marziali e gli attacchi che ogni tanto muovevo ai neutralisti a oltranza. Ma nelle Fiandre insanguinate c’era qualcosa che voleva, e per ottenerlo doveva indossare una divisa. L’oggetto delle sue ricerche non era dei più popolari, ma aveva a che fare con una particolare branca della medicina cui si era dedicato clandestinamente e in cui aveva ottenuto risultati stupefacenti e a volte orribili. Il suo obbiettivo era un’abbondante provvista di uomini ammazzati di fresco, in qualunque stadio di smembramento: né più, né meno […]
Illustrazione di Dan Woods per un audiolibro - Cap. V (2010) |
Mi
convinsi che Herbert West fosse più tremendo delle cose che faceva:
il suo anormale zelo scientifico nel prolungare la vita era
sottilmente degenerato in semplice curiosità morbosa, in un gusto
del colore macabro che avrebbe fatto onore a un avvoltoio. I suoi
veri interessi risiedevano in un’infernale, perversa devozione a
tutto ciò che di ripugnante e mostruosamente anomalo esiste al
mondo: ammirava, calmo e soddisfatto, orrori che avrebbero fatto
cadere morti dal disgusto o dalla paura molti uomini sani; il pallido
intellettuale si era trasformato in un Baudelaire dell’esperimento
anatomico, in un languido Eliogabalo delle tombe.”
La
ricerca ossessiva porta West a compiere un notevole balzo in avanti
nelle sue ricerche. Grazie a esperimenti effettuati sulle uova di uno
sconosciuto rettile dei tropici, lo scienziato riesce a creare
artificialmente un tessuto praticamente immortale, in grado di
rianimare singole parti staccate del corpo umano. Per questo motivo
West non si risparmia, praticando senza sosta i suoi tentativi di
rianimazione all’interno del laboratorio privato, che è riuscito a
farsi allestire dopo insistenti richieste.
“West
lavorava come un macellaio in mezzo alla sua macabra merce e io non
sono mai riuscito ad abituarmi alla leggerezza con cui maneggiava e
classificava certi reperti. A volte compiva miracoli di chirurgia a
favore dei soldati, ma il suo divertimento principale era di natura
meno pubblica e filantropica e lo costringeva a inventare sempre
nuove scuse per giustificare i rumori che venivano dal laboratorio,
rumori che sarebbero parsi eccezionali anche in mezzo a un
pandemonio. Fra i più frequenti c’erano i colpi della sua pistola,
che in un campo di battaglia non dovrebbero stupire ma in un ospedale
sì; gli esemplari rianimati del dottor West non erano destinati a
lunga vita né ad apparire davanti a un grande pubblico.”
Un ospedale da campo della Prima Guerra Mondiale |
La
ricerca dello scienziato si concentra sul tessuto ricavato
dall’embrione di rettile, determinante per il mantenimento delle
singole parti staccate dal corpo, il quale viene conservato
all’interno di una vaschetta posta sopra un bruciatore che funge da
incubatore. Qui, il materiale cellulare si riproduce velocemente e
disgustosamente.
Una
notte i due dottori si trovano a operare su un soggetto
particolarmente adatto, un uomo fisicamente possente e di tale
intelletto che potevamo contare su un sistema nervoso sensibilissimo.
Ironia
della sorte, si tratta dell’ufficiale che ha trovato il posto a
West, nonché ex compagno di studi e attualmente chirurgo della
divisione militare. A seguito di un incidente aereo è stato semi
decapitato e quando West si appropria del corpo finisce di staccargli
la testa riponendola nella vaschetta con la coltura di rettile,
pensando di utilizzarla per esperimenti futuri. “Poi aveva
sezionato il corpo: dopo aver iniettato nuovo sangue aveva legato
vene, arterie e terminazioni nervose che sporgevano dal collo e aveva
chiuso l’orrida apertura con un ritaglio di pelle proveniente da un
altro esemplare in uniforme.”
In
seguito inietta il suo siero nel corpo mutilato, che poco dopo
comincia ad agitarsi, fino ad arrivare a contorcersi spasmodicamente.
Copia di "Home Brew" dove apparve il quinto capitolo del racconto (Giugno 1922) |
“Le
braccia tremavano inquiete, le gambe si alzarono, i muscoli si
contrassero in maniera ripugnante. Poi l’essere acefalo gettò le
braccia in avanti, in un gesto di inequivocabile disperazione che,
nella sua intelligenza, sembrava confermare tutte le teorie di
Herbert West. Il sistema nervoso riviveva l’ultima scena della sua
vita: la lotta per uscire dall’aereo colpito. Quello che avvenne
poi non lo saprò mai con certezza. Forse fu un’allucinazione
prodotta dallo shock nell’istante in cui venimmo colpiti dagli
obici tedeschi e tutto andò in pezzi… Chi può dirlo, visto che
West e io fummo gli unici superstiti accertati? Il mio amico ha
cercato di illudersi fino al giorno della sua scomparsa che fosse
davvero così, ma c’erano momenti in cui non poteva: sarebbe fin
troppo strano, infatti, che tutti e due avessimo avuto la stessa
allucinazione. L’avvenimento in sé fu molto semplice, orribile
solo in ciò che implicava.
Il
cadavere sul tavolo si era alzato, gesticolando alla cieca, e poi
aveva emesso un suono. Non la definirò una voce perché era troppo
spaventosa, eppure non era il suo timbro la cosa più terribile, né
il contenuto delle sue parole. Infatti si era limitato a urlare:
‘Salta, Ronald, salta per l’amor di Dio!’. No, la cosa
veramente mostruosa era la sua provenienza. Perché il grido ci era
arrivato dalla vaschetta coperta, nell’angolo più buio del
laboratorio.”
VI.
Legioni della tomba
“Quando
il dottor West scomparve, un anno fa, la polizia di Boston mi
interrogò ripetutamente. Sospettavano che nascondessi qualcosa,
forse avevano intuito verità più gravi, ma non potei dire quello
che realmente era avvenuto perché non mi avrebbero creduto. Sapevano
che West si occupava di una branca della medicina che andava al di là
di ciò che comunemente riteniamo possibile: gli esperimenti di
rianimazione si erano fatti troppo vasti per potersi svolgere in
perfetto segreto; tuttavia la catastrofe finale, la scena che mi
aveva sconvolto l’anima, conteneva elementi così grotteschi e
incredibili da farmi dubitare per primo della realtà di ciò che
avevo visto.”
L’assistente
rievoca gli ultimi giorni in compagnia di West. A sei anni dalla loro
esperienza al fronte, il rianimatore ha scelto come abitazione una
casa signorile di Boston che si affaccia su uno dei più antichi
cimiteri della città. Stavolta però la sua scelta è di puro
carattere estetico, visto che il cimitero non può offrire cadaveri
freschi. Il nuovo laboratorio si trova in un vano che ha fatto
ricavare sotto la cantina da alcuni operai, ed è dotato di un grande
incineratore, per poter eliminare i risultati dei suoi esperimenti
senza lasciare tracce. Durante i lavori i muratori, abbattendo le
pareti sottostanti, scoprono una galleria che collega la casa al
cimitero. Stavolta però sembra davvero che la paura sia più forte
dell’indole degenerata di West, il quale decide di far
murare la parete.
Illustrazione di Dan Woods per un audiolibro - Cap. VI (2010) |
“La
fine cominciò una sera in cui eravamo insieme nello studio e West
distribuiva le sue occhiate curiose fra il giornale e me. Uno strano
titolo l’aveva colpito tra le pagine spiegazzate e un artiglio
gigantesco ci era balzato addosso dalla distanza di sedici anni.
Qualcosa di spaventoso e incredibile era avvenuto al manicomio di
Sefton, a circa ottanta chilometri da noi; la gente che abitava nei
dintorni non sapeva che pensare e la polizia navigava nel buio. Nelle
ore piccole dopo mezzanotte una fila di sconosciuti era penetrata nel
manicomio e il loro capo aveva svegliato gli infermieri. Si trattava
di un militare, figura piuttosto minacciosa che parlava senza muovere
le labbra e la cui voce sembrava provenire, come quella di un
ventriloquo, da una grossa scatola nera che aveva con sé. La faccia,
pur essendo priva di espressione, era bella in modo quasi
stereotipato e aveva sconvolto il sovrintendente quando la luce
dell’atrio l’aveva illuminata: perché era di cera, con gli occhi
di vetro dipinto. L’uomo doveva aver subito un pauroso incidente.
Un individuo più grosso lo aiutava a camminare: era un colosso
ripugnante la cui faccia bluastra sembrava corrosa da un’ignota
malattia.”
Quando,
alla richiesta del militare di prendere in consegna il cannibale
catturato ad Arkham sedici anni prima, gli infermieri si erano
opposti, si era scatenato l’inferno. Gli sconosciuti avevano
aggredito il personale uccidendo quattro infermieri, poi avevano
liberato il prigioniero e si erano dileguati.
Finito
di leggere l’articolo di giornale, West rimane quasi paralizzato. A
mezzanotte suona il campanello e il suo assistente va ad aprire la
porta. Gli viene recapitata una scatola da un gruppo di strani
personaggi che poi si allontanano a passo incerto verso l’antico
cimitero, sul retro della casa. West legge il nome del mittente: Eric
Morland Claphman-Lee, St. Eloi, Fiandre.
Copia di "Home Brew" dove apparve il sesto capitolo del racconto (Luglio 1922) |
FINALE:
“A questo punto West non era nemmeno eccitato. Le sue condizioni
erano spaventose, e disse rapidamente: ‘È la fine, ma
incineriamo… questa’. Portammo la scatola in laboratorio,
tendendo le orecchie. Non ricordo molti particolari, e del resto
potete immaginare le mie condizioni, ma è una menzogna dire che fu
il corpo di Herbert West a finire nell’incineratore. Ci limitammo a
mettere la scatola nel vano, a chiudere il portello e dare corrente.
Dal pacco non venne, dopotutto, il minimo suono. Fu West a notare
l’intonaco che cadeva dalla parete dietro la quale si nascondeva la
galleria murata. Stavo per darmela a gambe ma lui mi fermò. Vidi una
piccola apertura nera, sentii un alito d’aria fredda e respirai
l’odore di carogna delle viscere della terra. Non ci fu nessun
rumore, ma proprio in quel momento la luce andò via e nella
fosforescenza dei mondi sotterranei vidi un’orda di creature che
solo la follia – o peggio – avrebbe potuto creare.
I
profili erano umani, semiumani, men che umani e a tratti del tutto
estranei. Era un’orda eterogenea e toglievano le pietre
tranquillamente, una ad una, smembrando il vecchio muro. Poi, quando
la breccia diventò abbastanza grande, entrarono in laboratorio in
fila indiana, guidati da un essere zoppicante con una bella faccia di
cera. Una specie di mostro dall’occhio folle che si trovava subito
dietro il capo afferrò Herbert West, che non fece resistenza e non
proferì suono. Allora le creature gli balzarono addosso e lo fecero
a pezzi sotto i miei occhi, portando i resti con sé nel sotterraneo
delle abominazioni. Della testa di West s’incaricò l’individuo
con la faccia di cera, che indossava una divisa canadese. Mentre
scompariva vidi che gli occhi azzurri dietro gli occhiali brillavano
di un lampo di disperazione: la sua prima emozione tangibile.
I
servitori, la mattina dopo, mi trovarono svenuto. West era scomparso.
L’incineratore conteneva solo ceneri irriconoscibili. Gli
investigatori mi hanno interrogato, ma che posso dire? Non vogliono
saperne di collegare la tragedia di Sefton col destino di West e
negano l’esistenza degli uomini con la scatola. Raccontai
dell’intrusione nel laboratorio, ma mi mostrarono la parete intatta
e risero. A questo punto ho smesso di parlare. Sospettano che sia un
pazzo o un assassino, e forse la verità è che sono pazzo. Tuttavia
non lo sarei, se quelle maledette legioni della tomba non fossero
state così silenziose.”
Indice del primo numero di "Home Brew" (Feb. 1922). Dove il serial è stato reintitolato da Houtain... |
...col nome di Grewsome Tales, ovvero, Storie raccapriccianti. Prima pagina del racconto. |
George
Julian Houtain, giornalista dilettante e corrispondente di Lovecraft,
nel 1921 decide di improvvisarsi editore e fonda
insieme a sua moglie il periodico "Home
Brew", diffuso per abbonamento. Houtain
chiede a HPL, che ha avuto modo di conoscere
personalmente nell’estate del 1920 a Boston, di realizzare un
racconto strutturato in più puntate.
Per
lo scrittore di Providence si tratta del primo racconto su
commissione che gli viene pagato. La rivista avrà vita breve, ma
Houtain farà in tempo a pubblicare un’altro racconto di HPL,
sempre a puntate, La paura in agguato,
scritto anch’esso nel 1922.
Ma
cosa ne pensava Lovecraft della sua prima esperienza da scrittore
professionista? Ecco cosa scrive a due suoi amici di penna.
“Il
nostro comune amico George Julian Houtain si è imbarcato
nell’impresa di pubblicare una rivista professionale, intitolata "Home Brew", da porsi in vendita per 25 centesimi la copia. Mi
ha chiesto di scrivergli una serie di storie truculente per un
compenso di cinque dollari l’una, in modo da formare una serie di
almeno sei vicende con un protagonista centrale. È una cosa
decisamente non artistica. Scrivere su ordinazione, e tracciare un
personaggio attraverso una serie di episodi artificiali, comporta la
violazione di ogni spontaneità e unità di espressione, che sono
caratteristiche fondamentali della narrativa breve. Riduce l’infelice
autore a discendere al livello dei pennivendoli meccanici e privi di
immaginazione. Tuttavia, quando si ha bisogno di denaro, non è
lecito farsi scrupoli: perciò, ho accettato il lavoro…” (da
una lettera a Frank Belknap Long, 8 ottobre 1921).
Foto della signora Houtain, apparsa nell'annuncio del suo matrimonio sul 'The New York Herald' (19 marzo 1922) |
“Io
non tento mai di scrivere un racconto: aspetto finché dev’essere
scritto. Così è stato con Nyarlathotep e Randolph
Carter, che ho sognato. Quando mi metto deliberatamente all’opera
per scrivere una storia il risultato è piatto e misero. Penso di
averle parlato della serie a puntate che sto scrivendo per la rivista
di Houtain "Home Brew". Le serie sono sempre antiartistiche
poiché si basano su tediose ripetizioni e sul debole stiracchiamento
di un’idea. Se ha ricevuto il primo numero avrà visto il
miserevole risultato che ho raggiunto!” (da una lettera a Frank
Belknap Long, 8 febbraio 1922).
“Il
serial che le invio con questa lettera Herbert West, Reanimator,
è il mio lavoro più scadente: roba fatta su commissione per una
rivista volgare e scritta per soddisfare il basso livello del gregge.
Ma è un buon sistema per raggranellare un dollaro extra di quando in
quando, e infatti sto per cominciare un’altra storia nefasta per la
stessa pubblicazione: la intitolerò The Lurking Fear.”
E poiché il suo corrispondente è un talentuoso illustratore, dopo
averlo informato di aver dato il suo nome e indirizzo al direttore
della suddetta rivista, conclude scrivendo: “Non bisogna
vergognarsi di scrivere o disegnare per riviste del genere: Poe e
Bierce, credo, pubblicavano su qualsiasi vecchio foglio.” (da
una lettera a Clark Ashton Smith, 12 novembre 1922).
Copertina per un'edizione della Necronomicon Press (1985) |
Nonostante i fondati dubbi dello scrittore sulla serializzazione - a suo modo di vedere colpevole di tutti quei difetti che elenca in questi estratti e nei quali anche lui, vista la natura del prodotto, è costretto a incorrere - il giudizio finale non merita questa severità. Nella prima puntata vengono introdotti i personaggi e il tema, ossia la rianimazione di corpi umani deceduti. Niente di nuovo, apparentemente. La seconda parte riassume gli eventi raccontati nella prima, per poi procedere senza grande qualità, anche se si riprende nel finale, quando svela l’identità del mostro antropofago, seppur prevedibile. Nel terzo capitolo i due si spostano in una città vicina per continuare i loro esperimenti, creando un altro mostro antropofago. In pratica si replica ciò che è accaduto nei precedenti capitoli, cambia solo la location. Sin qui il giudizio negativo di Lovecraft appare più che fondato, perché la vicenda si trascina fino a questo punto con una certa ripetitività.
Ma
nel quarto capitolo c’è una svolta, West inventa un nuovo siero
per conservare al meglio la carne in decomposizione e non esita a
diventare un assassino pur di perseguire i suoi scopi. La sua follia
si palesa definitivamente e soverchia la naturale curiosità dello
scienziato, figura che spesso per le sue ricerche deve compiere delle
azioni che possono apparire poco ortodosse. Non
dimentichiamoci che anche quel genio di Leonardo da Vinci non aveva
alcuna remora a dissezionare cadaveri per i suoi studi sull’anatomia
umana.
Alcuni studi anatomici di Leonardo da Vinci |
Nella
quinta parte ci si sposta nelle Fiandre della Grande Guerra, dove
West inventa una soluzione in grado di rianimare i singoli tessuti
umani, non più i corpi interi. Qui il racconto fa un ulteriore balzo
in avanti con un gusto per il macabro e il grottesco che rende la
storia decisamente più interessante, oltre che ironica. Nel sesto e
ultimo capitolo avviene l’epilogo, dove West subisce la vendetta
delle sue ex vittime.
La
figura di Herbert West è davvero singolare. Freddo, cinico, crudele,
così accecato dal suo folle sogno da passare sopra a tutto, legge e
morale, e a tutti, animali e persone. Ma è anche un incapace e un
pasticcione, perché in ogni suo nuovo esperimento c’è sempre
qualcosa che non funziona come dovrebbe, in un accumulo continuo di
errori e imprevisti che alla fine si presentano a saldargli il conto.
Sul
personaggio e sul suo rapporto con l’autore è interessante ciò
che scrive Giuseppe Lippi nell’introduzione al racconto,
nell’edizione Mondadori da lui curata: “Herbert West è un
esercizio dei più interessanti nel campo dell’orrore totale, della
necrofilia e della spassionata adulazione della morte. Come succede a
molti autori quando affrontano un tema cruciale, Lovecraft si sdoppia
e nel racconto diventa due personaggi: il pavido ma soggiogato
narratore e il biondo, ascetico, irriducibile ‘automa
intellettuale’ che risponde al nome di Herbert West. West è uno
dei più bei autoritratti di Lovecraft in nero, sorta di geniaccio
del macabro tratteggiato con crescente ironia e impassibile fino
all’ultimo di fronte al suo fato. Non è una vittima, un reietto
della natura e del cosmo come l’Estraneo, è anzi un enforcer
delle proprie macabre tendenze.”
Dunque
Lovecraft sembra incarnare entrambi i protagonisti, sia il pavido
assistente - così debole da non avere la forza di opporsi al suo
mentore, ma che non esita a seguire in ogni sua malefatta - sia il
freddo e determinato West. Probabilmente l’autore si sentiva più
vicino al primo, anche se avrebbe voluto essere più simile al
secondo.
Mary Shelley, particolare di un ritratto eseguito nel 1831. |
Copertina di "Pall Mall Gazette Christmas Extra" a opera di F. Morgan (1884) |
Due sono gli evidenti riferimenti letterari usati da Lovecraft per la sua storia. Il personaggio di Victor Frankenstein, scienziato che dà vita alla sua più famosa Creatura nel romanzo Frankenstein (1818), di Mary Shelley, deprivato però di qualsiasi alone romantico che lo caratterizza, e il racconto Il ladro di cadaveri (1884), di Robert Louis Stevenson.
A
questi potremmo aggiungere i traguardi e le speranze che animavano
certa ricerca scientifica dell’epoca. Poiché sappiamo che
Lovecraft, fin da giovane, ha nutrito una curiosità e un’attenzione
particolare per la scienza, difficilmente gli sarà sfuggito un tema
pieno di suggestioni come quello affrontato all’epoca in un
articolo pubblicato sullo "Star".
Alexis Carrel (1873-1944) |
Ecco cosa scrive in proposito
Cuccolini per un dossier apparso su un "Almanacco" dedicato a Martin
Mystère, il famoso personaggio a fumetti ideato da Alfredo
Castelli: “Nel 1913, a seguito degli esperimenti condotti dal
biologo, premio Nobel, Alexis Carrel, nell’Istituto Rockefeller per
la ricerca medica di New York, l’inevitabilità della morte fisica,
fino ad allora considerata una certezza assoluta, pare poter essere
superata. Lo "Star" ne dà l’annuncio con un articolo
intitolato La mitica fantasia dell’eterna giovinezza diventa
realtà. Il servizio illustra così gli esiti della ricerca: Le
cellule umane possono essere tenute in vita indefinitamente, se
nutrite in un ambiente adatto e conservate alla giusta temperatura…
Le cellule sono uccise da influenze esterne o da mancanza di
alimentazione. Conseguentemente, se i vari organi vitali sono
salvaguardati, nutriti e rinnovati ogni tanto, non c’è motivo
perché l’uomo non debba raggiungere l’immortalità fisica. La
ricerca di Carrel, che si protrae da diversi anni, era partita
chiedendosi se un piccolo frammento di tessuto corporeo, una cellula,
poteva vivere separata dal corpo in un contenitore di vetro o, come
si dice in gergo scientifico, ‘in vitro’. Carrel ha scoperto che
essa può continuare a vivere se viene immersa in una determinata
soluzione composta principalmente da plasma sanguigno. I recenti
esperimenti hanno confermato che le cellule possono crescere e
formare un nuovo tessuto se mantenute in una soluzione, composta da
due parti di plasma sanguigno e una parte di liquido derivato da un
embrione, mantenuto a trentanove gradi. Ogni due o tre giorni, il
tessuto viene rimosso, lavato, diviso in diverse parti se nel
frattempo è cresciuto troppo, e riposto in vitro in una nuova
soluzione… Nel corso degli esperimenti, è emerso che il processo
di crescita delle cellule, come succede nell’organismo dal quale
esse provengono, produce determinati veleni, chiamati sostanze
cataboliche, che si accumulano nel corpo umano e sono responsabili
della morte delle cellule. Se fosse possibile rimuovere queste
sostanze tossiche dagli organi del corpo umano, le cellule che li
compongono potrebbero vivere per sempre.”
(I
mysteri del passato prossimo. Notizie insolite e curiose uscite sulla
stampa americana tra il 1890 e il 1940, a cura di Giulio Cesare
Cuccolini con il contributo di Alfredo Castelli, in "Almanacco del
Mistero 1998", SBE 1997).
George A. Romero circondato dai suoi amati zombi. |
Il
resto è tutto farina del sacco dell’autore, il quale non sembra
rendersi conto delle innovazioni apportate dai suoi peculiari
cadaveri rianimati. Inserendo i temi del cannibalismo e della
necrofilia lo scrittore affronta alcune tematiche tabù che con
abilità riesce a far virare verso il grottesco (pensate ai numerosi
pezzi anatomici che vivono di vita propria), riuscendo così a
gestire la narrazione con un equilibrio frutto del distacco usato per
gli eventi narrati, tali da diventare essi stessi bersaglio del suo
scherno.
Non
mi risulta che in campo letterario tale associazione (morto vivente e
antropofagia) abbia dei precedenti, e neanche nel cinema. Il tema
verrà ripreso solo nel 1968 dal regista George A. Romero, con la
pellicola La notte dei morti viventi. Fino
a questa data l’industria cinematografica aveva affrontato il tema
degli zombi rifacendosi alla tradizione vudu haitiana, dove i morti
riportati in vita da uno stregone sono destinati a essere comandati
come schiavi da quest’ultimo. A Lovecraft spetta dunque anche
questo primato, quello cioè di aver anticipato di decenni i futuri
zombi cinematografici, non solo quelli di Romero ma anche dei suoi
numerosi epigoni. Non è un caso infatti che proprio alle gesta di
Herbert West venga dedicato un film nel 1985, Re-Animator,
di Stuart Gordon, che vanta ben due seguiti, uno del 1991 e l’altro
del 2003. Gli anni ’80 infatti sono il decennio in cui impera il
sottogenere horror dello splatter,
dove gli effetti speciali mirano a inorridire la platea con
efferatezze mostrate in tutta la loro truculenza. L’efficacia di
queste soluzioni destinate a spaventare lo spettatore durano più o
meno fino alla metà del decennio, quando il pubblico, ormai
assuefatto, non reagisce più come di fronte alle prime pellicole.
Allora i cineasti cambiano registro: portano al massimo livello il
grado di esagerazione in modo da non ottenere più spavento e orrore
ma, al contrario, un volontario effetto comico, dove la risata può
anche diventare liberatoria e catartica. In questo contesto si
inserisce perfettamente la riduzione cinematografica del nostro
Herbert West il quale, già nel racconto originale, dimostra di avere
tutti i requisiti di un horror movie della seconda metà degli anni
ottanta.
Locandina del film di Stuart Gordon (1985) |
Arkham,
nominata solo di sfuggita per la prima volta ne L’illustrazione
nella casa
(1920), diventa in questo racconto uno dei luoghi principali in cui
si svolge la vicenda. La città e la sua famosa accademia, la
Miskatonic University, saranno al centro di tutte le storie legate ai
famosi "Miti di Cthulhu", che l’autore invece definì col nome
di "Ciclo di Arkham", appunto.
Appare
anche la città di Bolton che, al contrario di Arkham, è una città
reale, anche se non è un centro industriale, come viene affermato
nel racconto. Questa apparirà in altre due novelle: I
ratti nei muri
(1923) e Il
Colore venuto dallo spazio
(1927).
Luoghi.
Arkham: la Miskatonic University, frequentata da West e dal suo
assistente; il Christchurch Cemetery; il Cimitero
Comunale, destinato ai meno abbienti; Meadow Hill, collina oltre la
quale si trova la fattoria abbandonata dei Chapman; il laghetto di
Sumner; il Manicomio di Sefton; la Commercial House; Crane Street.
Bolton,
cittadina industriale vicino ad Arkham, situata nella valle del
Miskatonic: i Lanifici della città; Pond Street, in fondo alla quale
si trova il cottage dei due rianimatori; Cimitero pubblico.
Boston.
Ottawa. Belgio: St. Eloi (Fiandre).
Personaggi.
Herbert West, rianimatore; l’assistente di West, senza nome; Il
dottor Allan Halsey, preside della Facoltà di Medicina; Kid O’Brien
e Buck Robinson, pugili di incontri clandestini; Robert Leavitt, uomo
d’affari di St. Louis; maggiore Sir Eric Moreland Claphman-Lee,
chirurgo ed ex compagno di studi dei due dottori; tenente Ronald
Hill, pilota di aerei.
Un fotogramma del film di Stuart Gordon (1985) |
HYPNOS
(HYPNOS,
marzo)
“Che
gli dei misericordiosi, se esistono, ci proteggano nelle ore in cui
né il potere della volontà, né le droghe inventate dagli uomini
possono tenerci lontani dall’abisso del sonno. La morte è
compassionevole, perché da essa non c’è ritorno, ma chi emerge,
pallido e carico di ricordi, dai recessi della notte, non avrà più
pace. Che imbecille sono stato a intraprendere con tanta incoscienza
lo studio di misteri che l’uomo non dovrebbe affatto conoscere! Che
sciocco, che folle divino è stato il mio amico, colui che mi ha
preceduto e alla fine ha conosciuto terrori che forse saranno i miei.
Copertina per un Cine-Book (2019) |
Ricordo che ci incontrammo in una stazione ferroviaria, dove egli era al centro di una folla volgare e curiosa. Era svenuto, e il piccolo corpo vestito di nero stava rattrappito sul marciapiede, come in preda alla paralisi. Penso che avesse una quarantina d’anni, perché la faccia pallida e incavata, ovale e veramente bella, era segnata da profonde rughe; nei capelli ondulati e nella piccolo barba che dovevano essere stati neri come penne di corvo c’erano tracce d’argento. La fronte, di un’altezza e un’ampiezza divine, era bianca come il marmo pentelico. Mi dissi, con l’ardore dello scultore, che quell’individuo era la statua di un fauno dell’antica Grecia disseppellita fra le rovine di un tempio e portata alla vita nella nostra età opprimente solo per sentire il freddo e la pressione dei millenni. E quando aprì gli enormi occhi incavati, luminosissimi, capii che sarebbe diventato il mio unico amico, il solo amico di chi non ne aveva mai posseduto uno.
Quegli
occhi dovevano aver contemplato la grandezza e il terrore di regni al
di là della coscienza e della realtà normali: gli stessi regni che
avevo amato nell’infanzia ma non ero riuscito a ritrovare. Così,
mentre allontanavo la folla, gli dissi che doveva venire a casa mia,
essere il mio maestro e la mia guida sulla via dei misteri
insondabili.”
L’uomo
accetta senza esitare, e durante la sua permanenza nella casa dello
sconosciuto scultore posa per busti e teste in avorio, che l’artista
produce in quantità per immortalare le diverse espressioni del suo
amico.
Copia del National Amateur dove venne pubblicato per la prima volta il racconto (Maggio 1923) |
“È impossibile riassumere i nostri studi, perché avevamo tenuissimi legami con il mondo come lo concepiscono i vivi: ci occupavamo di un universo più vasto e spaventoso, un universo di sostanza impalpabile ed elusiva che tuttavia ha radici più profonde del tempo, dello spazio e della materia, e di cui sospettiamo l’esistenza solo in certi momenti del sonno; facciamo allora sogni molto rari, sogni oltre i sogni che non capitano mai agli uomini comuni e solo una volta o due volte nella vita dei più fantasiosi. Il cosmo della veglia nasce da quest’altro universo e somiglia a una bolla di sapone fatta da un burlone; certo, può capitargli di sfiorare la sua matrice, ma solo nel senso in cui una bolla di sapone sfiora la bocca ironica di chi la soffia, quando è risucchiata per suo capriccio. Persino gli uomini più colti non sospettano l’esistenza di tali sfere, o ne sanno pochissimo. I saggi hanno interpretato i sogni e gli dei ne hanno riso. Un uomo con gli occhi da orientale ha detto che il tempo e lo spazio sono relativi e gli uomini hanno riso. Ma persino l’uomo con gli occhi da orientale non ha intuito che una piccola parte della verità. Io volevo qualcosa di più, e il mio amico era quasi riuscito a ottenerla.”
Immagine tratta dal sito www.ahith.com |
I due intraprendono viaggi straordinari, spingendosi pericolosamente sempre oltre, anche con l’aiuto delle droghe, fino a perdersi in un infinito che porta a un altro mondo, a un’altra dimensione.
“Per descrivere le nostre esperienze in termini di linguaggio umano dovremmo chiamarle tuffi, impennate: ad ogni rivelazione una parte della nostra mente rompeva coraggiosamente i legami con tutto ciò che è presente e reale e si precipitava, libera, in abissi sconvolgenti e senza luce dove aleggiava la paura, infrangendo di tanto in tanto i tipici ostacoli di laggiù: rozze e viscose nuvole di vapore, come posso approssimativamente descriverli.”
Col passare del tempo i due inseparabili amici scoprono che, grazie ai loro viaggi onirici, non invecchiano. Inoltre un desiderio di onnipotenza pervade l’amico dello scultore, il quale non condivide le sue ambizioni.
Una notte i due si spingono in luoghi molto più lontani di quelli finora visitati. L’amico riesce a passare attraverso un ostacolo che invece blocca l’artista. Lottando con la massa fredda e viscosa che lo imprigiona, lo scultore si sveglia e nota il corpo dell’altro sognatore rannicchiato in un angolo, ancora incosciente.
Screenshot dal sito www.cine-books.com (2019) |
“La luna proiettava raggi d’oro sui lineamenti statuari, rendendoli fantastici e ascetici insieme. Dopo un breve intervallo il corpo si agitò: possa il cielo pietoso risparmiarmi un’altra vista e un altro spettacolo come quelli che avvennero davanti a me. Non so descrivere le sue urla, la luce impossibile dei suoi occhi impazziti dal terrore in cui si accesero, per un istante, visioni d’inconcepibili inferni; so solo che svenni e non mi ripresi fino a quando lui stesso mi scosse, ormai sveglio e alla disperata ricerca di qualcuno con cui condividere l’orrore e la desolazione.”
L’episodio segna la fine delle ricerche oniriche dei due. Il sognatore più intraprendente, colui che ha superato la barriera, annuncia al compagno che non dovranno più oltrepassare gli abissi del sogno, preferendo non parlare dell’esperienza che lo ha segnato.
Da questo momento in poi, i due cercano di rimanere svegli il più possibile, anche con l’aiuto delle solite droghe, ma dopo ogni breve sonno l’io narrante diventa ogni volta più vecchio, mentre l’altro degenera con una rapidità addirittura sconvolgente.
“Il mio amico, che non mi aveva mai confessato il suo nome e le sue origini, ma che conoscevo per un recluso, era ossessionato dalla paura della solitudine. La notte rifiutava di stare da solo e non gli bastava la compagnia di poche persone. Il suo unico sollievo consisteva nel far baldoria in modo chiassoso e il più sfrenato possibile, sicché poche comitive di giovani e gaudenti ci erano sconosciute. Il nostro aspetto e la nostra età a volte suscitavano un ridicolo offensivo, ma il mio amico lo considerava un male minore della solitudine.”
Illustrazione di William F. Heitman per la pubblicazione del racconto su Weird Tales (1924) |
Ma la cosa che più sembra temere è un punto della volta celeste ben preciso, che l’artista scopre corrispondere alla costellazione della Corona Boreale.
I due si trasferiscono a Londra e vi aprono uno studio e quando, ormai invecchiati e deboli, sono costretti a vendere ogni statua, busto e teste d’avorio in loro possesso, una notte l’amico si addormenta per non svegliarsi più. Mentre da nord-est, dove si trova la costellazione boreale, un fascio di luce rosso-oro entra nella casa e, invece di disperdersi nell’ambiente, si concentra sul capo dell’amico, formando un duplicato del suo volto da giovane. “La stessa faccia che avevo visto per l’ultima volta prima che il mio amico superasse la barriera di quelle segrete, profonde e insondabili caverne d’incubo.”
Poi la testa comincia a sollevarsi, mentre la bocca si spalanca in una smorfia da urlo senza emettere un suono. L’io narrante segue lo sguardo dell’amico verso l’alto, dalla direzione da cui proviene la luce, e quello che vede gli fa perdere il controllo, comincia a urlare e a essere preda di convulsioni tali da richiamare l’attenzione dei vicini e poi della polizia.
Un'altra schermata tratta dal sito www.cine-books.com (2019) |
FINALE: “Il senso ultimo della tragedia resta ignoto, perché la mia mente era sconvolta e quelle degli astanti si rifugiarono in un rifiuto della realtà che sconfina nella pazzia. Mi dissero, non so per quale ragione, che non avevo mai avuto un amico e che la mia tragica vita si era riempita esclusivamente di arte, filosofia e follia. Inquilini e poliziotti cercarono di calmarmi e il medico mi diede un sedativo, ma nessuno sembrò accorgersi della terrificante tragedia. La sorte del mio amico non li commosse, ma ciò che trovarono sul divano dello studio li indusse a lodarmi con parole che mi disgustarono e che oggi mi hanno portato a una deprecabile fama. Calvo, con la barba lunga, affranto e divorato dalle droghe, me ne sto seduto per ore davanti all’oggetto che fu trovato nello studio, adorandolo e pregandolo.
Una foto della Corona Boreale |
La gente nega che avessi venduto la mia ultima statua e indica con meraviglia ciò che il fascio di luce rossa aveva tramutato in pietra muta, incapace di emettere un ultimo grido. Eppure è tutto quel che rimane del mio amico, l’amico che mi ha spinto sull’orlo della follia e del naufragio: una testa divina, di un marmo che solo l’Ellade può dare; un volto giovane, di una giovinezza che trascende il tempo, con le labbra curve e incorniciato dalla barba; una fronte olimpia con i capelli mossi e cinti di fiori. Dicono che quel volto stregato sia modellato sul mio quando avevo venticinque anni, ma sulla base di marmo è scritto un altro nome, nelle lettere dell’Attica: HYPNOS.”
Un fermo-immagine presente nel sito www.cine-books.com dedicato al racconto 'Hypnos' (2019) |
Una citazione di Baudelaire fa da introduzione alla vicenda, la quale recita: “A proposito del sonno, sinistra avventura di tutte le nostre notti, possiamo dire che gli uomini vadano a letto quotidianamente con un’audacia che sarebbe incomprensibile, se non sapessimo che dipende dall’ignoranza del pericolo.”
Dunque, ancora una volta ci troviamo alle prese con i mondi onirici, solo che stavolta tutto il racconto è impregnato di angoscia e pessimismo. Non siamo più di fronte alle magnifiche visioni di mondi affascinanti, come in altre storie del "Ciclo del sogno" (La Nave Bianca, Celephaïs, Ex Oblivione), le quali costituiscono una felice fuga dalla banale quotidianità, bensì in luoghi completamente alieni, ostili e pericolosi.
Statua del dio del sonno (testa originale su torso moderno) presente al British Museum |
“Il
sogno come veicolo per esplorare gli abissi più insondabili dello
spazio e del tempo è il tema centrale di Hypnos, un singolare
racconto in cui notazioni fantascientifiche si accoppiano a esplicite
venature mistiche”,
scrivono Gianni Pilo e Sebastiano Fusco (Lovecraft.
Tutti i romanzi e i racconti, 4ª
edizione, Newton Compton Editori, 2011). Una fantascienza che però
affonda anche nella ricerca scientifica del tempo. Non a caso viene
citato Albert Einstein (Un
uomo con gli occhi da orientale ha detto che il tempo e lo spazio
sono relativi…),
il quale pubblicò la sua teoria della relatività generale nel 1916.
A questa l’autore aggiunge mirabolanti visioni mistiche (tali da
rendere a tratti ostica la lettura), gusto per la classicità greca,
astronomia, e il tema ricorrente del pericolo costituito della
conoscenza, alla quale è preferibile una beata ignoranza o
incoscienza, unica forma di salvezza per l’essere umano.
Albert Einstein (1879-1955) in una foto del 1921 |
Audiolibro del 2018 |
Compaiono
di nuovo Baudelaire e l’uso della droga (usata dai protagonisti per
facilitare i loro viaggi dimensionali) già citati nel racconto Il
caos strisciante
(1921).
Luoghi.
Inghilterra: una vecchia magione nel Kent e uno studio a Londra.
Lovecraft a Brooklyn (Aprile 1922) |
6-12 aprile. Lovecraft di reca a New York e qui si incontra col suo amico Samuel Loveman. Entrambi vengono ospitati da Sonia Greene nella propria casa, al numero 259 di Parkside, a Brooklyn. Rheinhart Kleiner e James Ferdinand Morton, entrambi residenti nella metropoli, fanno volentieri da cicerone a HPL per le vie della città.
Una
testimonianza del suo primo soggiorno a New York si trova in una
lettera indirizzata a Maurice Winter Moe, datata 18 maggio 1922,
nella quale si nota l’ironia dell’estensore, usata soprattutto
per arricchire fatti senza grande interesse, meramente informativi,
usata anche nei confronti dei suoi amici, Sonia compresa. “…
la sera del 5 la conventicola Loveman-Greene-Morton-Kleiner mi ha
telefonato per invitarmi a unirmi a loro. […] Ho accettato, fatto
la valigia e il luminoso mattino successivo ho preso il treno delle
10 e 6 […]. Ho visto per la prima volta il ciclopico profilo di New
York. Una visione mistica nella luce dorata del tardo pomeriggio; un
oggetto di sogno di un grigio pallido, delineato contro un fumo
perlaceo. La città e il cielo erano così simili che nessuno avrebbe
potuto dire con certezza che lì ci fosse davvero una città… le
sue eleganti torri e i pinnacoli sembravano mere illusioni. […]
Arrivato puntuale in stazione, era previsto che incontrassi Loveman e
Mrs Greene, ma a causa di qualche errore di tempistica il comitato di
accoglienza si era perduto nel labirintico atrio degli arrivi. […]
Era doveroso che prendessimo il 206 per raggiungere George Julian
Houtain. […] Loveman era non poco in imbarazzo, dacché, vedi, Mrs
Greene odia Houtain e soffre parecchio del fatto che nessun altro
condivide tale sentimento, ma il vecchio Theobald non ha perso tempo
in inutili preoccupazioni: un vero cinico è indifferente a ciò che
pensano gli altri. Se Mrs Greene non è d’accordo, ha il mio
permesso di andarsene all’inferno ed esporre le sue ragioni al
diavolo! Houtain mi avrebbe avuto come ospite in casa sua al 1128 di
Bedford anche se Mrs Greene avesse dovuto cacciarmi dal 259 di
Parkside! Diamine, nessun essere umano, per quanto valido e generoso,
può ordinare al vecchio Gentiluomo chi deve frequentare! […]
Tornati senza problemi a Parkside, qui Loveman si è concesso un
sospiro di sollievo nello scoprire che Mrs Greene poteva sopravvivere
allo shock di apprendere che non solo eravamo stati da Houtain, ma
che questi aveva organizzato una cena a casa sua per la sera
seguente. […] Il mercoledì eravamo perfettamente puntuali e Madame
Greene ci ha guidati lungo la metropolitana fino alla Grand Central
Station. Qui Madame ha salutato congiuntamente il nostro duo, quando
è stato il momento, per lei, di raggiungere la 57esima e il lavoro;
da lì in poi io e Lovemanus abbiamo discusso in una maniera degna di
un greco o di un romano su come congedarci in fraterna amicizia…”
(Lovecraft.
L’età adulta è un inferno. Lettere di un orribile romantico, a
cura di Marco Peano, L’orma editore, 2018).Una foto di New York (Lower Manhattan) nel 1922 |
Durante
i giorni di permanenza a NYC il Maestro di Providence incontra di
persona, per la prima volta, il suo giovane corrispondente Frank
Belknap Long.
HPL,
Morton e Long visitano il cottage di Edgar Allan Poe a Fordham,
attuale distretto del Bronx. Qui lo scrittore di Boston trascorse gli
ultimi tre anni della sua vita. Vi si trasferì nel 1846, dopo il
fallimento del suo "Broadway Journal", e fu in questa casa che
morì la sua giovane sposa, Virginia, il 30 gennaio 1847.
Long, HPL e Morton davanti al cottage di Poe a Fordham, nel Bronx (11 aprile 1922) |
The Edgar Allan Poe Cottage come appare oggi, all'interno del piccolo Poe Park |
CIÒ
CHE PORTA LA LUNA
(WHAT
THE MOON BRINGS, 5 giugno)
“Detesto
la luna, ne ho paura: anche quando brilla su oggetti familiari e
amati, a volte li rende paurosi e irriconoscibili.
Era
un’estate spettrale, la luna brillava sul vecchio giardino in cui
vagabondavo; era un’estate di fiori narcotici e umidi mari di
foglie che portavano sogni fantastici e multicolori. Camminando lungo
un basso torrente vidi bizzarre increspature tinte di giallo, come se
quelle placide acque venissero risucchiate da correnti irresistibili
verso oceani che non sono di questo mondo. Silenziose e scintillanti,
malefiche e inargentate, le acque maledette dalla luna precipitavano
non so dove, mentre lungo le rive in ombra, bianchi petali di loto
fluttuavano verso di me con la sinistra rassegnazione di facce calme
e morte.”
L’uomo
continua a costeggiare la riva, calpestando fiori addormentati con
piedi incauti, quando si accorge che il giardino sembra non avere
fine; al posto delle mura ci sono alberi, sentieri, cespugli, idoli
di pietra e perfino pagode, mentre sotto la luce della luna il
torrente pare curvare all’infinito.
Copertina di un eBook |
“Le
morte facce di loto sussurravano tristezze, invitandomi a seguirle, e
non arrestai i miei passi fino a quando il torrente diventò un fiume
e tra paludi di canne ondeggianti e spiagge di sabbia lucente sfociò
nella riva di un mare vasto e senza nome.
Sul
mare brillava l’orribile luna; misteriosi profumi aleggiavano su
onde mute. Le facce di loto scomparvero, desiderai avere una rete per
catturarle e imparare i segreti che la luna aveva impartito alla
notte. Ma quando la luna scese a ovest e la marea si ritirò dalla
riva addormentata, vidi antiche guglie svelate dalle onde e bianche
colonne festonate di alghe. Sapevo che in quel luogo inabissato si
erano dati convegno tutti i morti e tremai, perché non volevo
parlare più con le facce di loto.”
Da
lontano, arriva a posarsi sulla scogliera un condor, mentre la marea
continua a ritirarsi, svelando al protagonista una città morta e,
insieme a questa, il fetore di tutti i morti del mondo che sovrasta
ogni altro odore. “Perché in quel luogo sconosciuto e
dimenticato si era data convegno la carne corrotta di tutti i
camposanti, banchetto incommensurabile per i vermi del mare.”
Mentre
il sognatore osserva le increspature dell’acqua dovute alle
contorsioni delle larve intente a cibarsi dei morti, ha la sensazione
che un soffio gelido provenga dal punto in cui si è posato in
precedenza il condor.
FINALE:
“Non avevo tremato senza motivo, perché alzando lo sguardo vidi
che le acque si erano ritirate ancora e avevano scoperto la scogliera
di cui prima scorgevo soltanto la cima. Mi accorsi che la scogliera
era la corona di una terribile scultura, la cui fronte mostruosa
brillava alla luna e i cui zoccoli immondi dovevano pescare nella
fanghiglia dell’abisso; urlai perché gli occhi non mi fissassero
anche dopo il tramonto della luna gialla e traditrice. Per sfuggire
quell’orrore supremo mi tuffai lieto senza esitare nelle secche
nauseabonde dove, tra pareti d’alghe e strade sommerse, i grassi
vermi del mare banchettano sui morti del mondo.”
Illustrazione di Ricardo Garijo (2013) |
Ancora
una volta l’autore scrive un altro dei suoi amati prose poems
(poesie in prosa) di cui era un estimatore. Scrive G. Lippi nella sua
introduzione al racconto: “È bene ricordare che
l’atteggiamento di Lovecraft verso questa forma d’arte è sempre
stato di grande ammirazione, e per un lungo periodo della sua vita ha
scritto prevalentemente versi. Certo, si tratta di componimenti che
devono poco al gusto moderno e che paiono ricalcati sui rimatori del
‘700 e dell’800 – Thomas Gray, James Thompson o al massimo Poe
– ma a tratti balena nella poesia di Lovecraft la stessa ansia di
rompere i legami col presente e di tuffarsi nell’ignoto che è la
molla principale dei suoi racconti.”
Questo
prose poem inizia con alcune immagini naturali che, pur
sottilmente increspate dall’insolita avversione che il sognatore ha
per la luna, mantengono un certo lirismo. Questo fino a due terzi del
breve racconto quando l’autore, con un cambio repentino davvero
efficace, ci precipita in un mondo carnale, macabro e
raccapricciante, fatto di cadaveri in putrefazione divorati da vermi
e larve, per concludere con una statua colossale che incute un
terrore tale che il protagonista preferisce gettarsi fra quel mare di
corpi morti piuttosto che vederne svelate le fattezze.
Lovecraft
passa così, in breve tempo, attraverso tre gradi di paura diversi.
Dapprima l’inquietudine (per la luna e i suoi raggi), poi l’orrore
(dovuto al raccapriccio per i morti in putrefazione) e infine il
terrore inconcepibile, generato da qualcosa che non riusciamo – e
non vogliamo – comprendere.
Illustrazione di Clément Galtier (2016) |
AZATHOTH
(AZATHOTH,
giugno)
“Quando
il mondo invecchiò e lo stupore abbandonò le menti degli uomini;
quando grigie città alzarono al cielo torri cupe e spaventose
all’ombra delle quali nessuno poteva sognare il sole o i prati di
primavera; quando la sapienza rubò alla terra il mantello della sua
bellezza e i poeti non cantarono più, se non di fantasmi contorti e
dagli occhi ciechi che guardavano solo dentro sé stessi… quando
avvennero queste cose e le speranze della fanciullezza si furono
dissipate per sempre, un uomo fece un viaggio oltre la vita e compì
una ricerca negli spazi da cui i sogni del mondo erano fuggiti.”
Nulla
si sa di quest’uomo, sappiamo solo che vive in una città dalle
alte mura immersa in un perenne crepuscolo, che lavora tutto il dì e
torna solo la sera dal suo lavoro, svolto fra le ombre e il
frastuono, per rinchiudersi in una stanza che affaccia su alti
palazzi. “E siccome un panorama d’infinite mura e finestre
rende pazzo chi sogna o legge molto, l’inquilino della stanza si
sporgeva ogni sera a guardare il cielo, per afferrare un frammento
delle cose che stanno oltre il mondo e il grigiore dei grattacieli.”
L’uomo
passa diversi anni a scrutare il cielo e le sue stelle, dando a
ognuna di queste un nome e seguendole con la fantasia quando
scompaiono alla sua vista. Fino a quando la sua visione si estende a
percepire cose che non sono alla portata degli uomini comuni.
“E
una notte il grande abisso fu superato, i cieli stregati dai sogni
premettero alla finestra dell’osservatore solitario e si
mescolarono con l’aria della stanza, facendo di lui una parte del
meraviglioso.”
Grattacieli al crepuscolo |
FINALE:
“Scesero nella stanza rivoli di luce purpurea a mezzanotte,
misti a polvere d’oro: vortici di fuoco e luce che filtravano dagli
ultimi spazi e portavano profumi al di là dei mondi. Mari oppiacei
si riversarono dalle finestre, illuminati da soli che l’occhio
umano non vedrà mai e che portavano nell’abbraccio delle onde
strani delfini e ninfe di immemorabili profondità. L’infinito si
stese silenzioso intorno al sognatore e lo portò via senza nemmeno
sfiorare il corpo che penzolava, tutto irrigidito, dalla finestra
solitaria; e in un tempo che il calendario degli uomini non sa
contare, le maree dell’infinito spinsero il visionario verso i
sogni che desiderava, quelli che gli uomini hanno perduto. E per
molti cicli lo lasciarono a dormire teneramente su una spiaggia verde
illuminata dal sole; una spiaggia verde che profumava di fiori di
loto ed era punteggiata di fiori rossi.”
In
questo breve frammento il protagonista è il solito sognatore che
cerca, e riesce, a superare la grigia realtà quotidiana grazie alla
sua capacità di immaginazione. Di nuovo l’esaltazione del sogno,
che qui non costituisce fonte di angoscia (come in Hypnos) ma
traguardo agognato, raggiungimento di un Eden dove il protagonista
finisce per addormentarsi su una spiaggia verde che profuma di fiori
di loto.
Notte stellata |
Doveva
essere l’inizio del primo capitolo di un romanzo, mai andato oltre
questa semplice “introduzione” che, rimasta così, costituisce
l’ennesimo prose poem, anche se per alcuni critici buona
parte delle intenzioni qui espresse da Lovecraft convoglieranno nel
futuro La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath
(1926-1927). Così lo presenta Lippi nell’introduzione al racconto
nella raccolta Mondadori da lui curata: “Azathoth, che
oggi è solo un frammento, doveva costituire l’inizio di un vero e
proprio romanzo: un’opera ambiziosa nella quale Lovecraft pensava
di esprimere compiutamente, e su basi filosofiche, il proprio
distacco dal mondo contemporaneo e la sua preferenza per il
fantastico e il sogno.”
L’autore
ne parla anche in una lettera, datata 9 giugno 1922 e inviata a Frank
Belknap Long: “Come te sono convinto dell’inutilità di ogni
sforzo e la sola ragione per cui leggo o scrivo è che mi sentirei
ancora più miserabile se non lo facessi. Non studio più come facevo
da giovane, quando pensavo che servisse a qualcosa. Oggi il mio unico
scopo è ammazzare la noia, ed è già tanto. L’unica motivazione
legittima, in arte, è il proprio piacere: dire le cose perché
devono essere dette, o perché dicendole si riesce a stare un po’
meglio. L’immaginazione è il grande rifugio ed è questo il tema
del romanzo fantastico ‘alla Vathek’ di cui sto scrivendo
le prime pagine. Si chiama Azathoth e l’ho progettato molto
tempo fa, ma ho cominciato a lavorarci (o meglio a giocarci) solo da
qualche giorno. Probabilmente non lo finirò mai, anzi credo che non
finirò nemmeno un capitolo, ma ora come ora mi diverte fingere che
lo farò.”
Il
suggestivo nome che dà il titolo al racconto verrà ripreso da
Lovecraft per attribuirlo a una delle future divinità aliene di sua
invenzione.
Copertina di un'edizione moderna di "Vathek" (illustrazione del pittore ottocentesco A. H. Tourrier) |
Vathek,
citato nella lettera, è un libro pubblicato nel 1787, scritto da
William Beckford (1760-1844), narra le vicende del califfo Vathek che
viene tentato, data la sua sete di conoscenza per le arti magiche, da
un demone che lo accontenta solo se compie una serie di efferatezze.
Una sorta mix gotico fra il mito di Faust e lo stile
orientaleggiante delle Mille e una notte.
Nel
mese di giugno Sonia Greene, che si trova a Magnolia (Massachusetts)
per lavoro, si reca a Providence per una giornata in visita a
Lovecraft. Qui conosce le due zie dell’amico, una delle quali
(Lillian Delora Phillips Clark, la più anziana) vive con lo
scrittore: si è trasferita nella sua dimora dopo la morte della
sorella, ovvero la madre di Lovecraft.
Veduta aerea di Magnolia (2016) |
Un
resoconto della giornata lo si può trovare in una lettera all’amico
Maurice W. Moe, datata 21 giugno 1922: “…
La scorsa domenica Madame Greene si è presentata a Providence
all’una e quarantacinque. La mia zia più giovane e io eravamo alla
stazione per accoglierla, ma lei non ci ha visti ed è partita in
taxi per una caccia all’anatra fino a casa nostra e ritorno! Quando
si è infine manifestata, mia zia l’ha portata a mangiare all’Hotel
Crown (un posto pessimo come Kleiner’s!) e si è pure presa lo
scrupolo di pagare il conto! Di lì in poi si sono susseguiti: una
passeggiata a tre fino a casa, una sessione di cinque ore di discorsi
a quattro nel corso della quale le tre signore si sono allontanate a
tal punto dalla letteratura che il Nonno se ne è tirato fuori e si è
fatto un sonnellino come da prerogativa dei gentiluomini, altro cibo
(dio!) verso le nove e infine il ritorno a piedi alla stazione con il
solo Nonno come guida. Gita che si è conclusa con un sarcofago
d’acqua. Il tempo era incerto e Madame Green aveva preso in
prestito un paracqua. A metà strada verso il centro città, gli
irrigatori sopra le nostre teste si sono messi in moto e le vele
issate. Io non avevo paracqua con me, dacché aborro tali aggeggi
come il diavolo. Tutto sarebbe andato per il meglio se l’unica
trappola di cui disponevamo fosse stata di solido legno, ma proprio
ai piedi della collina, a circa cinquecento metri dalla stazione, il
nimbo superno ha preso a scaricare il proprio carico a tutta forza e
la maledetta cupola del nostro Pantheon portatile si è scomposta
nelle sue molecole di base, come il veicolo non a quadrupedi del
vecchio Doc Holmes; e i detriti paracqueschi sono finiti nel primo
bidone capitato a tiro. Non ancora del tutto dissolti, i nostri
navigatori hanno finalmente raggiunto il porto dieci o quindici
minuti prima della partenza; e l’unico modo che ho trovato per
convincere Madame Greene a non chiamare un taxi per riportare a casa
i miei resti per l’identificazione è stato farle notare che
neppure tutte le correnti di Padre Oceano avrebbero potuto inzupparmi
più di quanto già non fossi! ...” (Lovecraft.
L’età adulta è un inferno. Lettere di un orribile romantico, a
cura di Marco Peano, L’orma editore, 2018).
David Van Bush (1882-1959) |
A
metà giugno lo scrittore si reca al palazzo dei congressi di Boston
per una conferenza di David V. Bush, per il quale svolge il lavoro di
revisore di testi.
Un
ritratto piuttosto impietoso di Bush si trova in una lettera del 14
giugno 1922, spedita da Lovecraft ad Anne Tillery Renshaw, della quale
riporto l’incipit: “David V. Bush è un ometto basso e
grassoccio di circa quarantacinque anni, con una faccia soave, la
testa pelata e ottimo gusto nel vestire. Ha un carattere
meraviglioso: è gentile, affabile, ottimista e sorridente.
Probabilmente ci è costretto, se vuole che la gente lo lasci vivere
dopo aver letto i suoi versi. La nota dominante, in lui, è questa
cordiale bonomia che ritengo sincera. Per quel che riguarda le
finanze, il suo slogan ‘successo nella vita’ non è uno scherzo:
infatti tra la sua cialtronesca attività ‘psicologica’, il
libretto di versi sciolti revisionati dal sottoscritto e la rivista
che ha appena fondato, "Mind Power Plus", riesce a raggranellare
denari a ritmo rincuorante. Se non fosse così non avrebbe una suite
al Copley-Plaza...” (in Lettere dall’altrove, a cura
di Giuseppe Lippi, Mondadori, 1993).
Il
25 giugno Lovecraft ricambia la visita di Sonia raggiungendola a
Magnolia, un villaggio sulla costa vicino a Gloucester, dove resterà
fino al 5 luglio.
Lovecraft a Magnolia (25 giugno 1922) |
ORRORE
A MARTIN’S BEACH
(THE
HORROR AT MARTIN’S BEACH, giugno)
in
collaborazione con Sonia Greene (r. p.)
“Non
c’è mai stata una spiegazione neppure approssimativamente adeguata
dell’orrore di Martin’s Beach. Nonostante il gran numero di
testimoni, non ci sono due resoconti che concordino e le
dichiarazioni raccolte dalle autorità locali offrono le più
straordinarie discrepanze. Una certa confusione, tuttavia, è
naturale se si tiene conto del carattere inaudito dell’orrore,
dello spavento paralizzante di chi vi assisté e degli sforzi fatti
dal prestigioso Hotel Wavecrest per mettere tutto a tacere, dopo la
sensazione creata dall’articolo del professor Alton intitolato Solo
gli esseri umani possono ipnotizzare?
Cercherò
di dare una versione coerente dei fatti a dispetto di tante
difficoltà, perché ho assistito all’orribile episodio e credo che
debba essere divulgato nonostante le spaventose possibilità che
suggerisce. Martin’s Beach è di nuovo frequentata come località
balneare, ma io rabbrividisco al pensiero: anzi, non posso guardare
l’oceano senza tremare.”
Circa
tre mesi prima del tragico evento, il 17 maggio del 1922,
l’equipaggio del peschereccio Alma di Gloucester, comandato
dal capitano James P. Orne, dopo una lotta di quasi quattro ore
riesce a uccidere uno strano animale marino di quindici metri. La
forma è vagamente cilindrica ed è largo circa tre metri e mezzo,
munito di branchie, come i pesci, ma con rudimentali zampe anteriori,
piedi a sei dita al posto delle pinne pettorali e un unico occhio.
Storm ship by Daniel Graham |
In
seguito, quando la comunità scientifica si esprime sulla sua
presumibile giovane età – forse non era nato da più di qualche
giorno – l’interesse del pubblico comincia a salire. Così, lo
scaltro capitano imbastisce una specie di museo marino galleggiante
sul suo peschereccio, poi si attracca al molo dell’Hotel Wavecrest
per esporre la strana creatura, guadagnando una bella somma di denaro
dai biglietti venduti.
La
mattina del 20 luglio, a causa di un forte temporale, l’imbarcazione
si disancora e non viene più trovata. Gli sforzi fatti dal capitano
per recuperare peschereccio e creatura sono infruttuosi e il 7
agosto, persa ogni speranza, l’uomo fa ritorno al Wavecrest per concludere i suoi affari e parlare con alcuni membri
della comunità scientifica.
Il
giorno dopo, al crepuscolo, alcuni bagnanti e turisti occupano ancora
la spiaggia, mentre la luna spunta all’orizzonte. Qualcuno nota
un’increspatura del mare sfilare lungo la striscia di luce lunare
riflessa sull’acqua avvicinarsi decisa verso la riva, ma
all’altezza degli scogli neri che sporgono al largo, scompare. Poco
dopo, uno grido di morte giunge dal mare, che nel frattempo si è
ricoperto di foschia. I due bagnini in servizio in quel momento
accorrono immediatamente e lanciano un salvagente munito di corda
verso il punto da cui gli sembra essere arrivato il grido.
Gloucester, scogliera, in una cartolina d'epoca (1912) |
“Dopo
che il salvagente fu scomparso fra le onde gli spettatori
cominciarono ad aspettare con curiosità l’apparizione dello
sventurato che si era trovato in così grave pericolo, ansiosi di
vederlo trarre in salvo dalla robusta fune. Fu presto chiaro che il
salvataggio non sarebbe stato né rapido né facile, perché per
quanto tirassero la corda i due muscolosi bagnini non riuscivano a
smuovere l’oggetto all’altro capo: anzi scoprirono che esso li
tirava con forza uguale, se non addirittura superiore, nella
direzione opposta e in pochi secondi caddero in ginocchio e furono
trascinati in acqua dallo strano essere che si era impossessato del
salvagente.”
Prontamente,
sei uomini robusti, tra cui anche il capitano Orne, afferrano la
corda e cominciano a tirare. Dopo un periodo di stallo in cui la fune
rimane tesa, Orne pensa che il salvagente possa essere stato
afferrato da una balena. Propone dunque di guidare un gruppo per
andare ad arpionare l’animale, ma quando alcuni uomini gli si
avvicinano per sostituirlo, il capitano si accorge di non poter
mollare la presa.
“Dopo
qualche urlo e gemito inutile, anche gli uomini alla fune cedettero
all’influsso paralizzante e affrontarono con fatalismo, in
silenzio, la forza sconosciuta. Li vedevo lottare alla luce pallida
della luna, ciecamente, contro un destino mostruoso, ondeggiare
avanti e indietro con monotonia mentre l’acqua li lambiva prima
alle ginocchia e poi ai fianchi. La luna fu nascosta in parte da una
nuvola e nella luce incerta la fila di uomini tesi mi ricordò un
sinistro e gigantesco millepiedi che si dibattesse nella stretta di
un’agonia tremenda, sconosciuta.”
La creatura di Martin's beach vista da Cameron A. McCormick (2012) |
Poi,
la marea comincia a salire. Tutti i testimoni si allontanano dalla
battigia e assistono impotenti alla morte di tutti gli uomini legati
alla corda.
“La
fila di teste che sporgevano dalle onde s’intravvedeva appena,
rischiarata di tanto in tanto dalla faccia pallida di una vittima che
si voltava a guardare indietro.”
Poco
dopo scoppia un improvviso temporale. Gli spettatori salgono sui
gradini ricavati nella scogliera e si rifugiano sulla terrazza
dell’hotel.
FINALE:
“Ricordo che pensai a quelle teste e ai loro occhi stravolti,
occhi che riflettevano probabilmente la paura, il panico e il delirio
di un universo malevolo… il dolore, il peccato, la miseria, le
speranze distrutte e i desideri irrealizzati, le angosce, i timori e
il disgusto che nascono negli inferi sempre accesi dell’anima e la
devastano. E spingendo lo sguardo oltre le teste la mia immaginazione
evocò un altro occhio, luminoso ma animato da un proposito così
rivoltante nei confronti della mia mente che la visione fu cancellata
in fretta.”
La
fila degli uomini incatenati alla fune continua a essere trascinata
verso la scura acqua del mare, mentre il temporale aumenta di
intensità.
“Dal
cielo si riversò un tale cataclisma di tuoni che persino lo schianto
che ci aveva atterrito prima sembrò niente al confronto. Fra i lampi
accecanti la voce del cielo risuonava di tutte le blasfemità
dell’inferno e le sofferenze delle anime perdute echeggiarono in un
culmine planetario, apocalittico, di gigantesco fragore. Fu la fine
del temporale, perché con incredibile rapidità la pioggia cessò e
la luna proiettò ancora una volta i suoi pallidi raggi sul mare
quietato.
La fila di teste era scomparsa. Il mare era calmo e deserto, appena increspato dalle piccole onde di quello che sembrava un mulinello e che corrispondeva al punto da cui era arrivato il primo, strano urlo. Ma mentre guardavo l’infido riflesso d’argento, con la fantasia accesa e i nervi logorati dalla tensione, da profondità abissali arrivò alle mie orecchie l’eco attutita e sinistra di una risata.”
Numero di Weird Tales dove fu pubblicato per la prima volta il racconto (Novembre 1923) |
Racconto
breve e suggestivo, con una buona dose di mistero. Si tratta di una
storia ideata da Sonia che Lovecraft ha poi revisionato. Ne abbiamo
una testimonianza diretta della donna in uno scritto di suo pugno:
Mentre visitavamo Magnolia, quella bella, esclusiva località
estiva del Massachusetts, andavamo spesso a Gloucester, che si trova
a circa quattro miglia. Una sera, mentre camminavamo sul lungomare e
la luna piena rifletteva la sua luce sull’acqua, udimmo degli
strani rumori distanti, simili a grugniti. La luce scintillante
formava un sentiero lunare sulla superficie dell’acqua che
collegava fra di loro le cime arrotondate di ammassi indistinti
semisommersi, a formare una specie di grande corda. Ciò dava modo
all’immaginazione di sbizzarrirsi in una di quelle misteriose
storie che tanto ci piacevano.
“Oh,
Howard”, esclamai, “hai di fronte a te lo scenario adatto per una
storia delle tue.” Lui disse, “Scrivila tu.” “Oh, no, non
potrei rendergli giustizia”, risposi. “Provaci. Dimmi cosa ti ha
suggerito.” E così, mentre ci avvicinavamo all’acqua, cominciai
a raccontargli la scena e l’origine dei rumori che mi erano venuti
in mente. Il suo incoraggiamento fu così sincero che quando ci
separammo mi sedetti e scrissi subito la storia a grandi linee, che
successivamente lui ha rivisto e corretto. Il giorno dopo, il suo
incitamento fu così genuino che dall’entusiasmo lo baciai. Rimase
sorpreso e scioccato. Era talmente agitato che prima arrossì, poi
divenne pallido. Quando mi divertii a prenderlo un po’ in giro, mi
confessò che non era stato mai baciato da alcuna donna, tranne dalla
madre e le sue zie, ma solo quando era un bambino molto piccolo.
Il
racconto apparve sul numero di novembre del 1923 di Weird Tales
col titolo The Invisible Monster.
Luoghi:
hotel Wavecrest, a Gloucester; Boston, solo citata.
Personaggi:
capitano James P. Orne; professor Alton.
Vignetta di Jason Thompson (2012) |
Agosto. Fa un viaggio a Cleveland, in Ohio, dove per la prima volta incontra di persona Alfred Galpin, uno tra i suoi più cari corrispondenti.
12 agosto. Comincia la corrispondenza con Clark Ashton Smith (1893-1961) di Auburn, California. Poeta, scultore e pittore praticamente autodidatta, è conosciuto soprattutto come scrittore di molti racconti dell’orrore, di fantascienza e fantasy, tanto da essere annoverato da alcuni critici, insieme a Lovecraft e a Robert E. Howard, fra i tre grandi di Weird Tales. Esordisce a 19 anni col suo primo volume di poesie, The Star-Treader and Other Poems (1912), un’opera accolta favorevolmente dalla critica, che riesce a pubblicare anche grazie all’interessamento del poeta George Sterling.
Lovecraft e Smith avranno un intenso rapporto epistolare, ma non si incontreranno mai.
Tra agosto e settembre HPL è di nuovo ospite di Sonia a New York.
Un giovane Clark Ashton Smith (1893-1961) in una foto del 1912 |
ALLE
QUATTRO DEL MATTINO
(FOUR
O’CLOCK)
in
collaborazione con Sonia Greene (r. s.)
In
piena notte, per l’esattezza alle due del mattino, un uomo si desta
ossessionato dalla maledizione lanciatagli da un misterioso pazzo
vendicativo il quale ha previsto che qualcosa gli sarebbe
accaduto alle quattro di quel giorno. Il pazzo è ormai morto e
sepolto, ma la sua casa si affaccia proprio sul cimitero in cui
l’uomo è stato seppellito. Una raffica di vento apre la finestra
che dà sul cimitero e l’uomo vede una massa indistinta e
grigiastra prendere forma fra le tombe e avanzare verso la casa. La
forma indistinta assume i contorni di un orologio sul quale è
segnato il fatidico orario. Dal quadrante cominciano a prendere forma
alcune creature spaventose che avanzano verso la finestra, fino ad
assumere un’unica forma tentacolare. “Il mostro fiammeggiante
avanza, si fa sempre più vicino, i suoi tentacoli ossuti mi sfiorano
il viso: gli artigli si piegano avidi, cercano a tentoni la mia gola.
Finalmente posso scorgere il suo volto attraverso le nebbie
turbinanti e fosforescenti del cimitero, e in un delirio d’orrore
mi accorgo che è una colossale, grottesca caricatura del suo
volto: la faccia di colui dalla cui tomba inquieta è uscito.”
Per
l’uomo non c’è scampo e la terribile profezia si compie.
Copertina dell'edizione dove apparve per la prima volta il racconto (1949) |
Per
completezza includo anche questo breve racconto nel mio elenco della
produzione dell’autore di Providence, anche se è quasi certo che
sia stato scritto interamente da Sonia. Poiché i due all’epoca si
frequentavano spesso, non è improbabile che Lovecraft gli abbia dato
un’occhiata e abbia corretto qualcosa.
Scrivono
Gianni Pilo e Sebastiano Fusco nella loro edizione integrale di
Lovecraft editata dalla Newton Compton: “Four
o’Clock
è il secondo racconto scritto con Sonia H. Greene. Non ebbe la
fortuna di The
Invisible Monster,
e a ragione, poiché è senza dubbio una storia minore: una vicenda
tra il macabro e il soprannaturale eccessivamente insistita e
ridondante. Rimase inedito sino al 1949, quando Derleth e Wandrei,
curatori dell’eredità letteraria di H.P.L., l’inclusero
nell’antologia Something
about Cats.
Probabilmente l’apporto di Lovecraft fu minore, nel senso che si
limitò a riscrivere alcune frasi di un testo composto per intero
dalla donna.”
(Lovecraft.
Tutti i romanzi e i racconti,
4ª edizione, Newton Compton Editori, 2011).
IL
SEGUGIO
(THE
HOUND, settembre)
“Nelle
mie orecchie torturate risuonano, come in un incubo, un fruscio e un
battito d’ali, e in lontananza sento l’abbaiare di un segugio
gigantesco. Non è un sogno e temo che non sia neppure la pazzia,
perché troppe cose sono già avvenute per permettermi di sperarlo.
St. John è ridotto a un cadavere maciullato: solo io so perché, ed
è una consapevolezza che mi spinge ad accarezzare idee di suicidio
poiché temo di finire allo stesso modo. Da oscuri e sconfinati
corridoi popolati di chimere m’insegue, nera, la Nemesi
dell’autodistruzione. Che il cielo possa perdonare la follia, la
morbosità che ci spinse verso un destino così mostruoso!”
Manifesto del Kraine Theater di New York per "The Hound", parte di un ciclo di letture lovecraftiane sul palco all'interno di un festival dedicato a HPL |
Due
amici sempre in cerca di forti emozioni, ormai sazi delle gioie
dell’amore, dell’avventura, dell’arte, annoiati da tutto dopo
aver provato di tutto e spinti da un pauroso bisogno emotivo,
trovano ciò che li soddisfa nel saccheggiare alcune sepolture.
“Non
posso rilevare i particolari delle nostre terrificanti spedizioni, o
catalogare sia pur parzialmente i trofei che adornavano
l’innominabile museo che avevamo allestito nella grande casa di
pietra dove vivevamo da soli, senza servitori. Il museo era un luogo
blasfemo, inimmaginabile, dove col gusto satanico di due virtuosi
impazziti avevamo raccolto un mondo di terrore e corruzione che
eccitasse la nostra sensibilità assopita.”
Vecchie
lapidi, sarcofagi di antiche mummie, teschi di ogni varietà, crani
conservati in vari stadi di dissoluzione, statue e quadri di soggetto
necrofilo – in parte eseguiti dai due – e perfino alcuni cadaveri
conservati con l’arte della tassidermia, mentre una serie di
armadietti d’ebano custodiscono una grande varietà di gioielli
trafugati dalle tombe.
“Le
nostre escursioni erano avvenimenti memorabili dal punto di vista
estetico. Non eravamo volgari sciacalli e lavoravamo solo in
particolari condizioni di umore, paesaggio e clima; anche le fasi
lunari avevano la loro importanza. Quell’attività rappresentava
per noi la forma più squisita di espressione estetica e curavamo i
particolari con puntiglio tecnico ineccepibile. Un’ora
inappropriata, un effetto di luce sbagliato, la manipolazione men che
perfetta delle zolle di terra umida avrebbero distrutto
immediatamente l’eccitazione che si accompagnava all’esumazione
di un beffardo segreto della tomba. La nostra ricerca di nuovi luoghi
e situazioni era febbrile, insaziabile: St. John era sempre il capo e
fu lui che trovò il posto maledetto che avrebbe segnato la nostra
rovina.”
L'empia collezione dei due protagonisti |
Il
luogo incriminato è un vecchio cimitero olandese e le leggende
affermano che vi sia sepolto un uomo da cinquecento anni, anch’egli
ai suoi tempi un profanatore di tombe, che custodisce nella bara un
potente talismano sottratto a un sepolcro magico. Mentre i due sono
intenti a scavare, li accompagna un abbaiare lugubre e profondo del
quale non riescono a individuare la provenienza. “Il verso del
cane ci fece rabbrividire perché ricordavamo i racconti dei
contadini: l’uomo di cui cercavamo la tomba era stato trovato,
secoli prima, nello stesso punto dove eravamo noi, maciullato dai
denti e dagli artigli di una belva sconosciuta.”
Una
volta dissotterrata la cassa di legno i due la scoperchiano, ben
contenti di trovare quello che cercano.
“I
resti erano abbondanti, molto abbondanti per una reliquia di
cinquecento anni prima. Lo scheletro, benché a tratti sfigurato
dalla belva che l’aveva dilaniato, si teneva insieme con
incredibile fermezza e ne apprezzammo il teschio bianco, i lunghi
denti e le orbite che dovevano aver brillato di una gioia necrofila
simile alla nostra. Nella bara c’era un amuleto esotico e dal
disegno bizzarro che, a quanto pareva, si era consumato intorno al
collo del cadavere.”
La
figura rappresenta una sorta di cane alato stilizzato pronto a
balzare, ricavato da un frammento di giada verde, mentre intorno alla
base è presente un’iscrizione che nessuno dei due riesce a
decifrare.
The Hound by Kyle Grech (2014) |
“L’amuleto
era estraneo, certo, all’arte o alla letteratura familiari alle
persone sane di mente, ma lo riconoscemmo per l’oggetto di cui
parla il Necronomicon dell’arabo pazzo Abdul Alhazred; lo
spaventoso simbolo spirituale dei divoratori di cadaveri, il cui
culto è praticato in Asia centrale, sull’altopiano di Leng.
Identificammo fin troppo facilmente l’effige di cui parla il
demonologo arabo; effige, secondo quanto è scritto, che l’artista
avrebbe copiato da oscure manifestazioni soprannaturali delle anime
di coloro che violarono e divorarono i morti.”
I
due si impossessano dell’amuleto e il giorno dopo salpano
dall’Olanda, con l’impressione di udire l’abbaiare lontano di
un gigantesco cane.
Tornati
in Inghilterra, nella loro vecchia magione sulla brughiera, dopo una
settimana cominciano ad accadere cose strane. Curiosi rumori vicino
alle porte, insolite ombre che oscurano la pallida luce lunare alle
finestre, fruscii e battiti d’ali. Una notte uno dei due uomini
sente bussare alla porta della sua stanza. Immaginando che sia il suo
amico, lo invita a entrare, ma come risposta arriva una risata
isterica e quando la porta viene aperta il corridoio è deserto.
Quattro
giorni dopo, mentre si trovano nel loro museo sotterraneo, sentono
grattare alla porta della scala segreta che porta alla biblioteca. I
due si precipitano all’uscio, ma quando lo spalancano sentono solo
una strana combinazione di passi che corrono, una risata e un
discorso pronunciato in lingua olandese.
Copertina di Menton J. Matthews III per un adattamento a fumetti della IDW Publishing |
Da
quel momento in poi i due amici vivono nel terrore. I fenomeni
bizzarri si fanno sempre più frequenti mentre l’abbaiare del
segugio demoniaco echeggia sempre più forte nella brughiera. Una
sera St. John, tornando a piedi dalla distante stazione ferroviaria,
viene assalito e dilaniato da una belva. Seppellito l’amico, il
narratore fugge a Londra portando con sé l’amuleto, ma non prima
di essersi sbarazzato, col fuoco e interrandola, la macabra
collezione accumulata negli anni.
Purtroppo
per l’uomo, la persecuzione da parte dell’essere misterioso
continua anche nella capitale, così si decide a tornare in Olanda,
sperando che la restituzione dell’amuleto possa salvarlo dallo
stesso destino dell’amico.
Ma
una volta giunto a Rotterdam, il talismano gli viene sottratto da
alcuni ladruncoli che finiscono sbranati dalla belva. L’uomo si
reca lo stesso al sepolcro, con l’intenzione di scoperchiare di
nuovo la bara, sperando che le scuse che intende rivolgere all’essere
sepolto lo salvino dalla furia del mostro.
FINALE:
“All’interno della tomba secolare, abbracciata da un nugolo di
pipistrelli enormi, giaceva la creatura che il mio amico e io avevamo
derubata. Ma non era placida e bianca come la volta precedente:
macchiata di sangue, coperta di brandelli di carne e di capelli che
non le appartenevano, mi guardava compiaciuta dalle orbite vuote e
fosforescenti, con i lunghi denti insanguinati che ridevano di me e
della mia inevitabile rovina. Poi dalla bocca ghignante uscì
l’ululato di un segugio gigantesco e vidi che in un artiglio
insanguinato stringeva l’amuleto verde; allora gridai e fuggii come
un idiota, con le urla che si trasformavano in acutissime risa
isteriche.
La
follia cavalca i venti della notte… artigli e denti affilati su
migliaia di cadaveri, nell’arco di secoli… la morte che vomita
sangue in mezzo a un festino di pipistrelli e sorge dalle nere rovine
dei templi sepolti nel Belial… Ora che l’abbaiare di quella
mostruosità defunta e senza carne si fa più forte e il fruscio
delle ali si fa sempre più vicino, cercherò nella mia pistola
l’oblio che è il solo rifugio da ciò che è innominato e
innominabile.”
The Hound by David G. Forés (2016) |
Probabilmente l’ispirazione per questo racconto si deve a una visita fatta dall’autore alla chiesa riformata di Flatbush, a Brooklyn, con annesso antico cimitero, fatta insieme all’amico Rheinhart Kleiner il giorno 16 settembre. St. John (nome di uno dei protagonisti) è anche uno dei soprannomi usati da HPL per indicare l’amico Kleiner, mentre l’edificio visitato fa parte della Chiesa riformata olandese.
Nonostante Lovecraft presenti questo racconto tra la cinquina che invierà a Weird Tales per la loro pubblicazione, non ha mai dimostrato di amarlo, definendolo impietosamente con termini quali “cane morto” e “rifiuto”.
Effettivamente, con la sola eccezione della figura dei due protagonisti, coppia di decadenti annoiati alla ricerca di emozioni forti, e il fatto che venga nominato per la prima volta il Necronomicon, la vicenda si trascina stancamente, riproponendo più o meno sempre la stessa situazione (i due minacciati dal mostro), senza riuscire a mantenere il mistero sulla strana creatura, la cui natura ci viene rivelata fin da subito.
Illustrazione di Brian Baugh (2014) |
Lippi introduce così la storia, nell’edizione di tutti i racconti da lui curata: “The Hound lega l’aspetto propriamente necrofilo dei racconti neri di Lovecraft ai temi di magia e demonologia “cosmica” che di lì a poco daranno vita al ciclo di Cthulhu. Viene nominato ancora una volta il Necronomicon, sia pure marginalmente, segno che Lovecraft comincia a pensare alla possibilità di uno sfondo comune a tutte le sue storie. Di tradizionale, per contro, c’è l’ambientazione europea. Non è impossibile che la solitaria casa sulla brughiera e l’idea della maledizione del segugio (in inglese hound) siano venute a Lovecraft dalla lettura del romanzo di Conan Doyle The Hound of the Baskervilles, tantopiù che HPL ammirava le avventure di Sherlock Holmes. Anche la coppia di amici che è al centro della storia potrebbe servire a portare avanti l’analogia, inducendoci a vedere in St. John una sorta di Holmes (o di Dupin, viste le inclinazioni notturne) e nel più cauto narratore un Watson dell’orrore. In realtà, gran parte della prima narrativa di Lovecraft sfrutta l’espediente della coppia di protagonisti che rappresentano uno sdoppiamento dello stesso personaggio: il sognatore nervoso, inquieto e addirittura pavido e il suo alter-ego impassibile, coraggioso e un po’ cinico. Se il primo dei due “animi” ha l’incombenza di raccontare la storia, è però il secondo che la vive fino in fondo, pagando spesso con la vita. Quest’animus avventuroso e indomabile è un superuomo scientifico il cui più convincente ritratto si ha forse in Herbert West: con gli anni la sua presenza tenderà ad attenuarsi nella narrativa di Lovecraft o a scomparire del tutto, lasciando il posto a figure memorabili e mature di ricercatori e studiosi dell’occulto.”
Tavola di Gou Tanabe per una riduzione a fumetti (2016) |
Insieme
al Necronomicon vengono citate altre due voci utilizzate dallo
scrittore in racconti precedenti: l’estensore del libro, Abdul
Alhazred e l’Altopiano di Leng. Quest’ultimo compare rapidamente
nel racconto Celephaïs
(1920), dove ci viene detto che Kuranes (il protagonista sognatore)
fra le tante esperienze straordinarie nei mondi del sogno “una
volta fuggì di stretta misura al gran sacerdote che non bisogna
descrivere, colui che porta una maschera di seta gialla e vive da
solo in un monastero di pietra preistorico sul gelido altopiano di
Leng.”
Dunque
Leng sembrerebbe un luogo capace di essere presente
contemporaneamente sulla nostra Terra (in Asia) e in una dimensione
parallela appartenente ai luoghi del sogno.
Luoghi.
Inghilterra: una vecchia magione circondata dalla brughiera; Londra,
Victoria Embankment. Olanda: Rotterdam.
Personaggi.
St. John e l’io narrante, i perversi collezionisti.
The Hound by Joseph Diaz (2017) |
Il Segugio nel manga di Gou Tanabe (2016) |
LA
PAURA IN AGGUATO
(THE
LURKING FEAR, novembre)
I.
L’ombra sul camino
“La
notte che andai sulla cima di Tempest Mountain e in una magione
abbandonata scoprii la paura in agguato, l’aria era gravida di
tuoni. Non ero solo, perché a quei tempi il mio amore per il
grottesco e il terribile non si accompagnava necessariamente alla
sconsideratezza, anche se aveva trasformato la mia vita in una lunga
ricerca di orrori fantastici e reali. Avevo con me due uomini robusti
e fedeli che già in passato mi avevano dato una mano, e che grazie
al loro fisico eccellente costituivano un’ideale compagnia nelle
missioni più pericolose.”
Il
protagonista e i suoi due compagni decidono di recarsi in una
località montana dove, appena un mese prima, sono avvenuti dei fatti
terribili. La vegetazione è fitta e aggrovigliata in modo anomalo e
molti alberi sono segnati dall’azione dei fulmini. Uno strano
silenzio circonda la zona, abbandonata da ogni tipo di fauna locale.
Nel numero di dicembre 1922 di "Home Brew" viene annunciato, per il mese successivo, il nuovo racconto di HPL (con tanto di foto dell'autore) |
Una copia di 'Home Brew' dove apparve la prima puntata dell'avventura (Gennaio 1923) |
“È
una vetta solitaria in quella parte dei monti Catskill dove in
passato ha cercato di far breccia la civiltà olandese, riuscendovi
superficialmente e per poco tempo; come risultato qua e là rimane
un’antica magione in rovina e nei villaggi che sorgono sulle
pendici più isolate vive una popolazione di disgraziati al limite
della degenerazione. Le persone normali si spingevano raramente da
quelle parti prima che venisse organizzata la polizia di stato, ma
anche adesso le pattuglie sono poche e sporadiche. La paura, invece,
è una tradizione ben presente in tutti i villaggi del circondario,
perché costituisce uno dei principali argomenti di conversazione fra
i poveri ignoranti che a volte scendono dalla montagna per barattare
un canestrino intrecciato a mano e soddisfare le primitive necessità
cui non riescono a far fronte con la caccia e un po’ di
agricoltura.”
È
l’estate del 1921, ma è da circa un secolo che i villici si
tengono alla larga dalla vecchia casa abbandonata della famiglia
Martense, epicentro di un pericolo mortale e silenzioso che agisce
prevalentemente d’estate. Alcune voci parlano di un demone che
assale i viaggiatori dopo il tramonto, trascinandoli con sé o
abbandonandoli dopo averli fatti a pezzi.
"Home Brew": illustrazione di Clark Ashton Smith (con evidenti simbolismi erotici) per "The Lurking Fear" |
The Lurking Fear by Alexandre Deschaumes (2008) |
“La
storia del luogo si prestava a simili leggende, anche se gli
investigatori che avevano visitato l’edificio dopo le allarmanti
storie dei montanari non avevano mai scoperto alcuna traccia di
manifestazioni soprannaturali. Le nonne raccontavano strane cose sul
demone dei Martense, cose che, a volte, riguardavano la famiglia
stessa, la misteriosa ed ereditaria differenza negli occhi, la
straordinaria longevità e il delitto che era all’origine della
maledizione.”
Ebbene,
il fatidico mese precedente sono stati trovati uccisi e trucidati
cinquanta abitanti di un villaggio. Ne mancavano all’appello
venticinque. Ma era stata riscontrata anche l’azione di un fulmine,
caduto proprio sul villaggio, dunque poteva essere stata quella la
causa di un tale numero di vittime, oltre al sospetto caduto sui
venticinque scomparsi. Le indagini della polizia non portano a nulla
e l’eco della stampa, dopo tre settimane di permanenza, si
affievolisce. Poco tempo dopo giungono nella casa i tre amici, che
decidono di accamparsi nella vecchia casa. La notte, alcune urla
svegliano il protagonista.
“Poi
venne il fulmine che scosse l’intera montagna, illuminò i recessi
della foresta e spaccò in due il maggiore degli alberi nodosi. Nel
terribile chiarore della folgore il compagno addormentato si scosse
bruscamente e un’ombra apparve sulla canna fumaria del camino, da
cui non avevo distolto gli occhi un momento. Che io sia ancora vivo,
e che non sia impazzito, è un miracolo che non riesco a spiegarmi,
perché l’ombra non era quella di George Bennett o di qualsiasi
essere umano, ma di un’anomalia uscita dai più profondi crateri
dell’inferno, un abominio informe e senza nome che la mente non può
accettare in toto e la penna non può descrivere. Ancora un secondo e
rimasi solo nella casa maledetta, tremante e balbettante. George
Bennett e William Tobey non avevano lasciato tracce, nemmeno di
lotta. Nessuno ne ha sentito più parlare.”
Una casa sui Monti Catskill |
II.
Un viandante nella tempesta
Dopo
la spaventosa esperienza, il protagonista trascorre alcuni giorni in
una camera d’albergo di Lefferts Corners. “Tremavo e tentavo
di arrivare a una conclusione su quell’ombra terribile, convinto di
aver assistito a uno degli orrori supremi della terra.
Apparteneva all’ignoto, era una di quelle minacce senza nome che
a volte ci pare di sentir grattare ai confini dello spazio ma da cui,
per fortuna, la nostra visuale limitata ci garantisce una
misericordiosa immunità.”
L’uomo,
nonostante ciò, decide di continuare le sue ricerche e durante i
primi giorni di settembre trova un collaboratore in uno dei
giornalisti rimasti sul posto, Arthur Munroe. Insieme rivolgono molte
domande agli abitanti del posto e continuano a fare molte indagini
fra i boschi intorno alla vecchia casa olandese dei Martense. Le
ricerche proseguono fino alla metà di ottobre, ma purtroppo non
danno alcun frutto. I due decidono allora di fare un altro, ennesimo
tentativo: esplorare nuovamente e minuziosamente il villaggio luogo
della strage. Passano al setaccio ogni angolo, ogni capanna, fino a
quando, a pomeriggio inoltrato, alcuni tuoni annunciano un temporale.
I due trovano riparo dall’acquazzone che si scatena poco dopo in
una baracca.
Un'edizione della Necronomicon Press (1977) |
“Quell’attesa
nel temporale mi ricordava l’orribile notte su Tempest Mountain. Mi
feci di nuovo la domanda che mi assillava da quando era avvenuto
l’orrore e mi chiesi perché il mostro, avvicinandosi al nostro
gruppo dalla finestra o dall’interno della casa, avesse afferrato i
due uomini ai lati e lasciato me per ultimo; comunque era stata
quella la mia fortuna, perché un tuono più forte degli altri
l’aveva spaventato e indotto ad allontanarsi. Ma per quale ragione
non aveva afferrato le vittime nell’ordine naturale, con me per
secondo? Da qualunque parte si fosse avvicinato, sarebbe stata la
cosa più logica. Con che razza di tentacoli predava? O aveva capito
che io ero il capo e mi aveva risparmiato per un destino peggiore di
quello dei miei compagni?”
Mentre
l’uomo si arrovella con queste domande, un fulmine si schianta
vicino alla catapecchia. Il giornalista apre le imposte e si affaccia
per valutare i danni provocati dal fulmine.
Il numero di Home Brew dove apparve la seconda puntata dell'avventura (Febbraio 1923) |
“Non
appena ebbe scostate le imposte, pioggia e vento irruppero nella
capanna urlando; non riuscii a capire quello che diceva, ma aspettai
che desse un’occhiata all’esterno e cercai di valutare da solo
l’esito di quel pandemonio. Poco a poco il vento si calmò e
l’oscurità si disperse, annunciando la fine del temporale. Mi ero
augurato che durasse fino a sera per aiutarci nelle ricerche, ma un
raggio di sole entrò da una fessura e mi fece abbandonare quella
speranza. Dissi a Munroe che sarebbe stato meglio avere un po’ di
luce, anche a costo di fare entrare la pioggia, quindi aprii la
porta. La terra, fuori, era un impasto di fango e pozzanghere e in
buona parte era franata dopo il fulmine, ma non vedevo niente che
giustificasse l’interesse del mio compagno, che continuava a
sporgersi in silenzio dalla finestra. Andai verso di lui e gli toccai
la spalla, ma non si mosse; poi, mentre scherzosamente lo scuotevo,
mi sentii afferrare da una paura paralizzante le cui radici
affondavano nella notte del passato ancestrale, o meglio nell’abisso
senza fine al di là del tempo. Perché Arthur Munroe era morto. E su
quello che restava della testa masticata non c’era più faccia.”
III.
Il significato del bagliore rosso
“L’8
novembre 1921, una sera di tregenda, arrivai da solo alla tomba di
Jan Martense e, munito di una lampada che proiettava ombre
sepolcrali, cominciai a scavare come un forsennato. Avevo organizzato
il lavoro fin dal pomeriggio perché si annunciava tempesta, e adesso
che era buio e la violenza degli elementi si abbatteva sulla
vegetazione intricata del bosco, ero finalmente soddisfatto.”
L’io
narrante è convinto che l’orrore possa essere stato provocato dal
fantasma di Jan Martense, deceduto nel lontano 1762, in grado di
materializzarsi con i fulmini.
In
passato la famiglia Martense si era ritirata sulla cima isolata
perché non gli andava a genio che gli Inglesi cominciassero a
dominare sui territori americani, nonostante la fastidiosa presenza
costante dei tuoni e dei fulmini. A questo fenomeno naturale un
membro della famiglia, tale Mynheer Martense, era particolarmente
sensibile, gli provocava un effetto dannoso sul sistema nervoso. Per
questo motivo si era fatto costruire una cantina dove rifugiarsi
quando si scatenavano i forti temporali. I decenni successivi vedono
la famiglia Martense sempre più segregata dal resto del mondo, con la
sola eccezione di Jan Martense, stanco dell’isolamento della sua
famiglia. Costui si era unito all’esercito coloniale e anche per
questo fu ripudiato dai suoi famigliari, che lo percepivano come uno
straniero, nonostante avesse il segno che contraddistingueva ogni
membro della famiglia: gli occhi di diverso colore, uno azzurro e
l’altro castano. Sempre più inviso ai suoi famigliari, venne
ucciso da questi ultimi. Il fatto suscitò scalpore e emarginò ancor di
più i Martense: nessuno volle più aver a che fare con loro. Alla
metà dell’800 nessun segno di vita proveniva più dalla casa,
all’interno non fu trovato nessun resto umano, così si pensò che
gli ultimi discendenti fossero partiti abbandonando la casa di
nascosto.
Un adattamento a fumetti della storia (1991) |
Mentre
l’uomo scava, precipita in un cunicolo orizzontale. Nonostante sia
molto stretto decide di percorrerlo. Mentre trascina il suo corpo nel
budello, intravede nel buio davanti a lui due occhi nelle tenebre e
un lungo artiglio. Appartengono a una creatura che ha poco di umano.
Ma il tuono lo salva, perché poco dopo si scatena un temporale e la
misteriosa creatura fugge spaventata. Quando l’uomo riemerge vede
in lontananza un bagliore rossastro. Qualche giorno dopo, parlando
con gli abitanti di un villaggio distante una trentina di chilometri,
viene a sapere che il bagliore visto quella notte è stato causato da
un incendio, appiccato dai villici per uccidere un essere mostruoso
penetrato in una capanna attraverso il tetto sconquassato.
IV.
L’orrore negli occhi
Quando il protagonista si rende conto che una creatura come quella che lui ha incontrato nel budello sotterraneo ha agito contemporaneamente a una distanza considerevole, cade in preda alla paura.
“Ma
la paura era così intimamente mescolata al fascino dell’ignoto e
del grottesco da essere una sensazione quasi piacevole. A volte,
quando si è nelle spire dell’incubo e poteri invisibili ci
trasportano in volo sui tetti di misteriose città morte, verso
l’abisso beffardo di Nis, è un sollievo e anche una gioia urlare
come pazzi e gettarsi volontariamente, seguendo la corrente del sogno
di sventura, nel baratro senza fondo che ci si spalanca davanti.”
La Home Brew dove apparve la terza puntata dell'avventura (Marzo 1923) |
The Lurking Fear by Peter Szmer (2009) |
Tornato
alla tomba di Jan Martense la trova chiusa, sommersa dal fango
causato dalla pioggia. Continuando a indagare, l’uomo ha
un’intuizione folgorante: il terreno attorno alla vecchia casa è
disseminato da gobbe e montagnole che si irradiano allargandosi a
tutto il territorio. Dapprima convinto che si tratti di capricci
geologici lontani nel tempo, ora immagina che possa essere un lavoro
frutto dell’attività umana. In preda all’eccitazione, comincia a
scavare freneticamente in una montagnola vicino a lui, scoprendo una
galleria simile a quella che ha percorso la scorsa notte.
Copertina per un adattamento a fumetti (2016) |
The Lurking Fear by Sergio Lantadilla (2017) |
“Ricordo
di essermi messo a correre, col badile in mano: una corsa a
perdifiato tra i campi disseminati di montagnole e nelle macchie di
foresta infide che coprivano il fianco della montagna stregata.
Urlando e ansimando puntai verso la terribile casa dei Martense, dove
mi misi a scavare in ogni parte della cantina affollata di detriti; a
scavare, per trovare il centro di quel malefico universo di gobbe
nella terra. Ricordo di essere scoppiato a ridere quando individuai
la via d’accesso, un buco alla base della vecchia canna fumaria
dove le erbacce proiettavano ombre gigantesche alla luce dell’unica
candela che avevo portato con me. Che cosa si nascondesse ancora
nell’alveare d’inferno, in attesa che il tuono e il fulmine lo
ridestassero da quiete, non lo sapevo. Due mostruosità erano rimaste
uccise e forse non ce n’erano altre, ma nel profondo del mio essere
bruciava la decisione di raggiungere il cuore segreto della paura,
che ancora una volta dovevo ritenere materiale, organica e ben
definita.”
Copertina della "Home Brew" dove apparve la quarta puntata dell'avventura (Aprile 1923) |
Prima pagina della quarta parte (Aprile 1923) |
FINALE: Un’improvvisa
folata di vento giunta dall’esterno spegne la candela, segnale di
un nuovo temporale in arrivo. Nel buio più assoluto l’uomo
striscia fino a un cespuglio, senza staccare gli occhi dalla base
della canna fumaria. Un tramestio diabolico seguito da un ansimare di
belve anticipa la marea di esseri abominevoli che dilaga dall’apertura. “Fremente, ribollente come il fango in cui si
muovono i rettili uscì dalla fossa e si diffuse nella cantina come
un contagio, per imboccare qualunque via portasse all’esterno. La
fiumana si disperse nella notte e puntò verso la foresta maledetta
dove avrebbe seminato paura, terrore e morte.”
Quello
che l’uomo vede è una torma di nani deformi, simili a scimmie,
capaci di divorare un compagno più debole, e quando l’ultima
creatura gli passa davanti, l’uomo ha la prontezza di estrarre la
pistola e sparargli, coperto dal rumore di un tuono. Tornato
rapidamente al villaggio più vicino, il protagonista si ripresenta
una settimana dopo con una squadra di uomini venuti da Albany, pronti
a far saltare con la dinamite casa Martense, schiacciare tutte le
gobbe visibili e riempire le tane sotterranee.
Tavola dell'adattamento a fumetti di Jones e Cariello (2016) |
“Dopo
che ebbero fatto questo potei dormire un poco, ma finché ricorderò
il segreto della paura in agguato il vero riposo non verrà più. Il
terrore continuerà a perseguitarmi, perché chi può dire che lo
sterminio sia completo e che fenomeni analoghi non esistano in altre
parti del mondo? Chi, sapendo quello che so io, può pensare alle
viscere della terra senza rabbrividire al pensiero di future
calamità? Non posso vedere un pozzo o un’entrata della
metropolitana senza rabbrividire… Perché i medici non mi danno
qualcosa che mi faccia dormire, che mi calmi veramente quando fuori
tuona?
Quello
che vidi alla luce della torcia, dopo aver sparato all’animale che
sgattaiolava davanti a me, è così semplice che passò quasi un
minuto prima che capissi e sprofondassi nel delirio. La creatura era
nauseante, un gorilla sporco e biancastro con lunghe zanne gialle e
la pelle macchiata. Era l’ultimo prodotto della degenerazione nei
mammiferi, lo spaventoso risultato della segregazione, degli
accoppiamenti fra consanguinei e di una dieta da cannibali sopra e
sottoterra. Era l’incarnazione del caos e del terrore che si
nascondono sotto il velo della vita. Prima di morire la creatura mi
aveva guardato e negli occhi avevo riconosciuto la stessa
caratteristica degli altri occhi, quelli che mi avevano fissato nel
budello risvegliando in me vaghi e paurosi ricordi. Un occhio era
azzurro, l’altro castano: erano gli occhi diversi dei Martense,
quelli di cui parlavano le leggende. E in un attimo di orrore supremo
avevo capito che cos’era stato della famiglia scomparsa, il
terribile casato perseguitato dai tuoni.”
The Lurking Fear by GregOn (2013) |
Seconda
storia elaborata su commissione per George J. Houtain, editore e
direttore di "Home Brew", per il quale Lovecraft ha già scritto
il serial Herbert West, rianimatore. Anche di questo lavoro
l’autore non è soddisfatto, come si capisce da una lettera del 2
dicembre 1922 inviata al suo nuovo corrispondente Clark Ashton Smith:
“Vorrei poterle offrire un racconto migliore, questo è
orribilmente legnoso e meccanico perché Houtain pretendeva che ogni
puntata non superasse le sette-otto cartelle e culminasse in un
massimo di paura e suspense. Condizioni di lavoro impossibili: si
voleva qualcosa che avesse la lunghezza di un racconto, ma svolto con
strategia e tecnica da romanzo.”
Stavolta
il giudizio dell’autore non mi pare ingeneroso, il racconto si
trascina stancamente, abbondano le ripetizioni e si dimostra
apprezzabile unicamente in alcuni passaggi. D’altronde lo stesso
Lovecraft ammette i difetti legati a operazioni del genere, in una
lettera già citata per l’Herbert West: “Le
serie sono sempre antiartistiche poiché si basano su tediose
ripetizioni e sul debole stiracchiamento di un’idea.”
Numero di Weird Tales dove fu ristampato il racconto (Giugno 1928) |
L’idea
in questione, riassumendo, è la seguente: un’antica famiglia
olandese, allontanatasi dal mondo perché non vuole accettare le
regole degli Inglesi, nuovi padroni del territorio americano, si
isola sempre più col trascorrere del tempo, limitando i contatti con
l’esterno, fino a quando scompare del tutto dalle cronache. In
realtà si è rifugiata sottoterra e col passare del tempo si è
mutata in una progenie oscena, degradata e cannibale, frutto delle
numerose unioni tra consanguinei, portando i loro isolati discendenti
alla degenerazione fisica e cerebrale, a una sorta di regressione
evolutiva.
Se
però in Herbert West, rianimatore sono presenti alcuni
elementi di novità, qui abbiamo un’idea che pesca da materiale già
sfruttato dallo scrittore, ossia da La bestia nella caverna
(1904), racconto giovanile che affronta il tema della degenerazione
fisica dovuta all’isolamento, e ne Gli avvenimenti riguardanti
il defunto Arthur Jermyn e la sua famiglia (1920), dove la
corruzione fisica e cerebrale colpisce un’intera famiglia e i suoi
discendenti.
Pubblicata
a puntate tra il gennaio e l’aprile del 1923, la storia ha il
merito di essere stata notata (e con lei anche il suo autore) da
Edwin Baird, futuro direttore di "Weird Tales", memorabile
rivista che esordirà nel marzo del 1923.
Tornano
i monti Catskill come luogo di ambientazione - Lovecraft li aveva
usati per Oltre il muro del sonno (1919) - mentre cita sé
stesso nominando la valle di Nis (A volte, quando si è nelle
spire dell’incubo e poteri invisibili ci trasportano in volo sui
tetti di misteriose città morte, verso l’abisso beffardo di Nis…),
luogo immaginario usato in un suo prose poem del 1919,
Memoria.
The Lurking Fear in una illustrazione di GrafGunther (2013) |
Luoghi.
La magione abbandonata dei Martense, fondata nel 1670 sulla cima di
Tempest Mountain, nella catena dei monti Catskill; Lefferts Corners,
il villaggio più vicino alla montagna, diventato quartier generale
delle ricerche dopo la strage; Cone Mountain e Maple Hill, le due
cime fra le quali si snoda una piccola valle dove si erge il
villaggio nel quale si è consumata la strage; Albany, solo citata.
Personaggi.
George Bennett e William Tobey, i due compagni d’avventura del
protagonista; Arthur Munroe, giornalista, nuovo compagno d’indagine
dopo la scomparsa dei primi due; Jan Martense, ucciso dalla sua
famiglia nel 1762; Gerrit Martense, ricco mercante di Nuova
Amsterdam, fondatore della casa di famiglia; Mynheere Martense, un
discendente della famiglia; Jonathan Gifford, un amico di Jan
Martense.
Altra edizione della Ballantine (1971) |
Nel
mese di novembre, a New York, nella casa di George J. Houtain,
Lovecraft viene nominato presidente dell’associazione di
giornalisti dilettanti di cui fa parte (la National Amateur Press
Association - NAPA) dopo le dimissioni di William Dowdell. Resterà in
carica fino a luglio del 1923.
George J. Houtain (1884-1945) |
Edward H. Cole (1892-1966) |
Edith Dowe Miniter (1867-1934) |
A
dicembre si reca a Boston, dove si incontra con Edward Cole e Edith
Miniter, due colleghi del giornalismo dilettante. Cole, conosciuto
nel 1914, è uno dei corrispondenti di Lovecraft della prima ora ed è
l’editore di una rivista letteraria, "The Olympian". La
Miniter, che è anche una giornalista professionista, ha pubblicato
un romanzo nel 1916 e una serie di racconti.
Dopo
essersi accompagnato ai due, Lovecraft visita prima la città di
Salem e poi Marblehead, che vede per la prima volta ammantata di
neve.
Veduta aerea di Marblehead sotto la neve |
Un resoconto di questo viaggio lo si trova in una lettera indirizzata a Rheinhart Kleiner, datata 11 gennaio 1923, dove descrive le bellezze architettoniche e la storia coloniale della seconda, oltre alle proprie personali sensazioni, come si può capire da questo estratto. “Sono arrivato a Marblehead al crepuscolo e ho contemplato a lungo la sua antica magia. Ho camminato nelle strade tortuose, a precipizio, in alcune delle quali un cavallo può a stento salire e in cui due carri non passano contemporaneamente. Ho parlato con i vecchi e ho goduto gli antichi panorami, quindi mi sono inerpicato ansando sui colli ammantati di neve, verso l’altura battuta dal vento ove raffiche gelide soffiavano sui tetti desolati e uccelli malefici volteggiavano su un lago deserto, vitreo, ghiacciato. E su tutto torreggiava la vetta: Old Burying Hill, dove le lapidi annerite uscivano dalla neve fresca come le unghie spezzate di un cadavere immenso. […] Il mio ritorno a Providence è avvenuto senza incidenti più notevoli di un ritardo di tre ore causato da un deragliamento a Readville, ma ormai non avevo nulla a che spartire con i pensieri di questa regione decadente: avevo visto Marblehead e avevo camminato, sveglio, nelle strade del XVIII secolo. Chi ha fatto questo non può più essere moderno.”
Biglietto di Lovecraft dedicato a Sonia. Probabilmente accompagnava un regalo di Natale |
(fine 5a parte)
Sergio Climinti
N.B. Trovate i link a tutte le puntate della Vita di HPL su Lovecraftiana & kinghiana e nella Biblioteca di Altrove!
Sergio Climinti
Note.
Per stilare la seguente biobibliografia ho fatto riferimento ai quattro volumi editati dalla Mondadori tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, "Tutti i racconti" (più volte ristampati) e il volume "Lettere dall’altrove" (1993) una selezione di lettere estratte dal vasto epistolario dell’autore, tutti curati da Giuseppe Lippi. Più il poderoso mammut dedicato a Lovecraft dalla Newton Compton, "Lovecraft Tutti i romanzi e i racconti" (2011, quarta edizione) a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco. Oltre naturalmente a una serie di siti sul web, su tutti "The H. P. Lovecraft Archive", consultato per una più precisa cronologia delle sue opere.
- La sottolineatura che appare nei titoli dei racconti originali (tra parentesi), sta ad indicare il filo comune che li lega al famoso “Ciclo di Arkham”, o “Miti di Cthulhu”.
- I titoli dei racconti non in grassetto sono quelli giovanili, quelli scritti in collaborazione e quelli che destinava ai suoi corrispondenti, che non era interessato a pubblicare.
- La data che compare, a volte, dopo il titolo in lingua originale (che si trova tra parentesi) si riferisce a quella di stesura.
- I racconti scritti in collaborazione sono divisi fra “revisioni primarie” (r. p.) per quei lavori scritti per la maggior parte dall’autore, e “revisioni secondarie” (r. s.) fatte di interventi tesi per lo più a migliorarli. Tali sigle sono riportate tra parentesi, dopo il nome dell’autore che ha lavorato con Lovecraft.
- Il corsivo usato all’interno dei racconti ne individua il testo originale, nella traduzione (la maggior parte dei quali di Giuseppe Lippi) offerta dai quattro volumi della Mondadori sopra indicati.
- Al termine alcuni racconti la parola FINALE avverte il lettore che nelle prossime righe viene svelato il finale della storia.
- La sottolineatura che appare nei titoli dei racconti originali (tra parentesi), sta ad indicare il filo comune che li lega al famoso “Ciclo di Arkham”, o “Miti di Cthulhu”.
- I titoli dei racconti non in grassetto sono quelli giovanili, quelli scritti in collaborazione e quelli che destinava ai suoi corrispondenti, che non era interessato a pubblicare.
- La data che compare, a volte, dopo il titolo in lingua originale (che si trova tra parentesi) si riferisce a quella di stesura.
- I racconti scritti in collaborazione sono divisi fra “revisioni primarie” (r. p.) per quei lavori scritti per la maggior parte dall’autore, e “revisioni secondarie” (r. s.) fatte di interventi tesi per lo più a migliorarli. Tali sigle sono riportate tra parentesi, dopo il nome dell’autore che ha lavorato con Lovecraft.
- Il corsivo usato all’interno dei racconti ne individua il testo originale, nella traduzione (la maggior parte dei quali di Giuseppe Lippi) offerta dai quattro volumi della Mondadori sopra indicati.
- Al termine alcuni racconti la parola FINALE avverte il lettore che nelle prossime righe viene svelato il finale della storia.
N.B. Trovate i link a tutte le puntate della Vita di HPL su Lovecraftiana & kinghiana e nella Biblioteca di Altrove!
Nessun commento:
Posta un commento
I testi e i fumetti di nostra produzione apparsi su Dime Web possono essere pubblicati anche altrove, con la raccomandazione di citare SEMPRE la fonte e gli autori!
Le immagini dei post sono inserite ai soli fini di documentazione, archivio, studio e identificazione e sono Copyright © degli aventi diritto.
Fino al 4 gennaio 2017 tutti i commenti, anche i più critici e anche quelli anonimi, venivano pubblicati AUTOMATICAMENTE: quelli non consoni venivano rimossi solo a posteriori. Speravamo e contavamo, infatti, nella civiltà dei cultori di fumetti, libri, cinema, cartooning, etc.
Poi è arrivato un tale che, facendosi scudo dell'anonimato, ha inviato svariati sfoghi pieni di gravi offese ai due redattori di Dime Web, alla loro integrità morale e alle loro madri...
Abbiamo dunque deciso di moderare in anticipo i vostri commenti e pertanto verranno cestinati:
1) quelli offensivi verso chiunque
2) quelli anonimi
Gli altri verranno pubblicati TUTTI.
Le critiche, anzi, sono ben accette e a ogni segnalazione di errori verrà dato il giusto risalto, procedendo a correzioni e rettifiche.
Grazie!
Saverio Ceri & Francesco Manetti