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sabato 7 marzo 2015

DEMOGORGONE LIBERATO O ALLE ORIGINI DEL FANTASTICO: L'ANTICO "PADRE DI TUTTI GLI DÈI" NEL SAGGIO DI MARCO BARSACCHI

di Francesco Manetti

Una personale lettura...

Agli albori delle raccolte sistematiche, rigorosamente catalogate e metodicamente esposte al pubblico dei moderni musei, ci sono le Wunderkammer - quei “gabinetti delle meraviglie” allestiti un po' in tutta Europa da nobili, studiosi e personaggi facoltosi, che conobbero il loro periodo d'oro tra il Cinquecento e il Settecento. All'interno di saloni opportunamente arredati con bacheche, mensole e armadi a vetrine, erano accatastati oggetti, perlopiù curiosi e stravaganti, provenienti da ogni angolo del globo - che proprio in quei secoli, in virtù delle continue scoperte geografiche, si stava facendo sempre più piccolo.

Il "Gabinetto delle Curiosità" di Domenico Remps (1690 ca.)


Scheletri e mummie di animali esotici, semi giganti, coralli, insetti essiccati, miniature, modellini, parti anatomiche, calcoli renali, aborti in soluzioni alcooliche, mostruosità biologiche, strumenti scientifici, fossili, uccelli impagliati, conchiglie, carte geografiche, rane laccate e modellate in foggia di ballerine, amuleti, feticci, idoli... Nelle Wunderkammer erano ospitate in ordine caotico (o in cogitato disordine) tutti gli ammennicoli che avevano in qualche modo colpito l'immaginazione del facoltoso padrone e collezionista, cose stupefacenti che potevano lasciare a bocca aperta l'occasionale visitatore e il prestigioso ospite, suscitando in loeo l'invidia; le maggiori di queste “camere delle curiosità” - come quella del Collegio Romano di Athanasius Kircher - furono successivamente smembrate, disperse, sminuzzate... andando infine a costituire il cuore delle più “leggibili” gallerie contemporanee. Quella di trovarmi di fronte a una Wunderkammer letteraria è stata la prima sensazione che ho avuto iniziando la lettura del saggio di Marco Barsacchi, uscito nel novembre 2014 per i tipi di Marsilio (collana Saggi), intitolato Il Mito di Demogorgone – origine e metamorfosi di una divinità “oscura”

La Wunderkammer seicentesca del fisico e antiquario danese Ole Worm


In realtà era una sensazione fallace, anche se positiva, dettata dalla fretta di esprimere un giudizio, per forza di cose rivelatosi prematuro. Delle Wunderkammer rimaneva però intatto nel volume l'animo, il “senso del meraviglioso” suscitato dall'argomento principe lì trattato, con tutti i suoi rimandi e le sue diramazioni (nella prosa, nella poesia, nell'arte, nell'alchimia, nella religione, nella filosofia, nelle feste popolari... fino al romanzo fantastico, al fumetto e ai giochi di ruolo, come vedremo) – solo quello, essendo invece il lavoro del Barsacchi portato a termine (a differenza di quei vetusti ammassi di cose stupefacenti) in maniera esatta, con raffinato cesello da grande ricercatore: storico, medievalista, glottologo, linguista, antropologo... Il tutto unito a una chiarezza espositiva degna di nota e a un “piglio” nel narrare tale da incatenare alla pagina anche il lettore meno addentro in tali questioni. Il Barsacchi ha inoltre il merito di affrontare argomenti inerenti alla tradizione spirituale più antica - alla tradizione politeista e pagana – senza giudicare dall'alto di chissà quale sacro scranno, senza confonderla, come altri avrebbero fatto, con la favolistica.
Va addirittura oltre, il nostro autore, il Boccaccio stesso – al quale si deve non l'invenzione, ma la prima grande riscoperta di Demogorgone come Padre degli Dèi, diventandone quasi il nuovo “profeta”, nel suo trattato in latino Genealogie Deorum Gentilium – spiegando che il poeta trecentesco, nel porsi la questione delle fonti antiche e non, ha l'atteggiamento enciclopedico del raccoglitore, non quello vigile del filologo; il suo scopo è di esporre i miti con la maggior completezza possibile, ordinarli, cercare di intenderne il senso, non analizzarli o discuterli criticamente. E il filologico libro di Barsacchi non è un manuale di filosofia o di spiritualismo: è un saggio di ricerca letteraria vergato da un Odisseo delle biblioteche, le cui tappe del nostos (lo scioglimento dell'intreccio) sono i momenti nei quali, nel corso dei secoli, riappare nelle più disparate pagine manoscritte e stampate la misteriosa figura di Demogorgone - mutando aspetto, forma e significato... fino a secolarizzarsi.

Giovanni Boccaccio, in un dipinto di anonimo francese del '600


Una figura che è stata capace di affascinare e sedurre in special modo scrittori italiani, francesi, inglesi e spagnoli; una raffigurazione, un'idea così potente da essere riuscita a gettare il primo seme di quello che è il contemporaneo “romanzo dell'immaginario”. Sarà appunto soprattutto quello del “meraviglioso” e del “fantastico” il binario che seguirò in questa mia molto personale e opinabile lettura del Barsacchi. Neanche il mio sarà un discorso nel merito, una riflessione sui culti, ma vedrò (seguendo Barsacchi) come l'oggetto del culto, vero o presunto – nella fattispecie Demogorgone – diventi protagonista di narrazioni, di dotti ragionamenti e di speculazioni lontane dalle sensibilità religiose e spirituali. È il gusto per i mirabilia. D'altra parte, come spiega la nota biografica pubblicata in quarta di copertina del volume edito da Marsilio, è anche questo nelle corde dello scrittore. Dopo aver studiato filosofia a Firenze, si dice, alla severa scuola di Eugenio Garin, Marco Barsacchi ha svolto attività culturale all'estero per molti anni, frequentando con piacere le più diverse biblioteche, specialmente in Finlandia dove ha vissuto a lungo. Ha viaggiato e anche abitato per qualche anno in Africa settentrionale. Conduce adesso vita ritirata, dedito interamente ai suoi studi: ama dimenticare il tempo presente, seguendo le tracce di miti e storie lontane. Che Barsacchi sia legato al fantastico in letteratura lo testimonia pure la sua collaborazione a “Minas Tirith”, la rivista semestrale della Società Tolkieniana Italiana. 


Demogorgone in un'incisione del 1497 per una delle prime edizioni a stampa delle Genealogie del Boccaccio

Struttura e sinossi del libro

Il volume di Marco Barsacchi si divide in dodici parti. La prima – intitolata Genealogie Deorum Gentilium – è una sorta di introduzione dedicata all'omonimo trattato di Giovanni Boccaccio (1313 – 1375), l'erudito certaldese universalmente noto per il suo Decamerone. Boccaccio è uno degli autori le cui opere – insieme a quelle di Dante, di Cervantes, di Shakespeare e di pochi altri – compongono il cosiddetto “canone occidentale”. L'importanza e l'influenza del Boccaccio è stata enorme, sul piano letterario, anche (e forse soprattutto) fuori dai confini nazionali italiani. Come ben spiega Barsacchi, l'amore per la classicità e la volontà di redigere una sorta di compilazione mitologica portò Boccaccio, nel 1360, a far venire a Firenze il greco-calabro Leonzio Pilato, per il quale riesce a istituire, nello Studio fiorentino, una cattedra di lingua greca: la prima in Europa. Egli lo ospita in casa e si accinge con entusiasmo allo studio di questa lingua della cui conoscenza, scrivendo le opere di erudizione cui si è dedicato negli ultimi anni, deve aver sentito particolarmente la mancanza. Le Genealogie, alle quali Giovanni lavorò negli ultimi venti anni di vita, non furono mai del tutto portate a termine, tanto che la prima edizione veneziana a stampa, del 1472 (sulla quale poi si sarebbero rifatte tutte le successive) si basa su una “copia napoletana” del manoscritto certaldese ancora in fieri che cominciò a circolare senza l'autorizzazione dell'autore, ancora insoddisfatto del suo lavoro. Fra le tante fonti - classiche e medievali, romane e greche – alle quali Boccaccio si “abbeverò” risalta in particolare, subito dopo Ovidio, un certo Teodonzio Campano, definito dal Barsacchi tardo e oscuro... Il gran trecentista vi ricorre ben 241 volte nei quindici libri delle Genealogie – secondo l'ultimo computo, fatto nel 2011 da Maria Paola Funaioli in un articolo per la rivista “Intersezioni” del Mulino.


Una trascrizione quattrocentesca su pergamena delle Genealogie


Le fonti di Demogorgone è appunto il titolo della seconda parte del saggio barsacchiano. I punti in questione sono due: Teodonzio e Demogorgone stesso. Demogorgone viene posto da Boccaccio sul trono di “Padre di tutti gli Dèi” in virtù della lezione di Teodonzio, tramandatagli durante il soggiorno napoletano dagli insegnamenti di Paolo Bontempio di Perugia, bibliotecario alla corte di Roberto d'Angiò e noto “mitografo” con le sue Collectiones. Paolo Perugino, a sua volta, desume il nome di Teodonzio dall'opera del saggio Barlaam – matematico, filosofo e studioso bizantino che visse a cavallo fra il XIII e il XIV secolo. Teodonzio, secondo lo storico Attilio Hortis (nei suoi Studj sulle opere latine del Boccaccio) fu un personaggio realmente esistito e, nel '900, Carlo Landi lo collocò tra il IX e l'XI secolo, in un Ducato di Napoli in cui fiorivano studi latini e greci. Che non possa spingersi più indietro di tale età, dice Barsacchi, lo fanno pensare anche altre cose: il senso di distanza con cui questo scrittore parla dell'antichità pagana, l'idea stessa di Demogorgone come padre degli dèi, estranea alla classicità, e infine il fatto che Boccaccio lo definisca homo novus menzionandolo, nel Proemio dopo tutti gli altri. Altra cose sono i suoi (presunti o pretesi) scritti. In un gioco di rimandi e di passaggi da un erudito all'altro (Barlaam-Perugino-Boccaccio), spiega Barsacchi, non è necessario credere che una grande opera mitografica attribuita a Teodonzio esistesse e fosse allora (o fosse stata) accessibile a Paolo Perugino: ma è del tutto plausibile che sotto quel nome si tramandasse un insieme di antiche idee, fabulae o dottrine, sopravvissute in area greco bizantina e giunte, tramite gli insegnamenti del dotto Barlaam, fino ai nostri due mitografi. Del resto, è difficile pensare che Boccaccio si appellasse così frequentemente e con tanta sicurezza, non solo nelle Genealogie ma anche nel Comento a Dante, a una fonte inventata, o della quale non avesse conoscenza, se non diretta, almeno recepita attraverso una mediazione degna di fiducia.

Giuseppe Betussi: frontespizio della traduzione in volgare delle Genealogie del Boccaccio


Secondo il pensiero di Teodonzio, riportato dal Boccaccio, furono gli antichi Arcadi a venerare per primi la figura di Demogorgone, come mente sotterranea generatrice di tutte le cose e di tutti gli accadimenti naturali; e questo gli Arcadi credettero, come si legge nella classica traduzione secentesca in italiano di Giuseppe Betussi, veggendo la Terra da sé stessa produrre le selve, & tutti gli arboscelli, mandar fuori i fiori, i frutti, & le sementi, nodrir tutti gli animali, & poi finalmente ritorre in sé tutte le cose, che muoiono; appresso i monti vomitar fiamme, dalle dure pietre trarsi i fuochi, dai cavi luoghi, & valli spirare i venti, sentendo quella alle volte moversi, & mandar fuori muggiti, & dalle sue viscere spargersi i fonti, i laghi, & i fiumi, quasi, che da lei fosse nato il foco celeste, & il lucente aere, & havendo ben bevuto havesse mandato fuori quel gran mare Oceano, & degli adunati incendij volando in alto le faville havessero formato i globi del Sole, & della Luna, & intricatesi nell'alto Cielo si fossero cangiate in sempiterne stelle. E Teodonzio, su cui tanti dubbi si sono accumulati, rimanda – per le sue tesi sull'origine di Demogorgone – al Protocosmo, opera perduta di Pronapide, precettore di Omero.
Nella terza parte (Storia di un nome), si indaga sull'etimologia dell'appellativo di Demogorgone. Nel corso dei secoli le interpretazioni sono state molteplici, ma si riducono fondamentalmente a due. La prima fa riferimento al termine greco δημιουργός (demiourgós) che, come scrive Barsacchi, è un nome comune, indicante un'attività del dio superiore, che dà origine al mondo plasmando la materia, la ύλη (hyle) che ha di fronte a sé. “Demogorgone”, secondo alcune ipotesi, deriverebbe dunque dalla deformazione o addirittura dalla errata traslitterazione di “demiurgo”. La seconda interpretazione spiegherebbe la derivazione del nome da deus (o demon) terribilis, ovvero “dio della terra” o “sapienza della terra”, se si assume che -gorgone, più che dalla figura – comunque terribile! - della Gorgone, derivi da γεώργιον (georgion). In realtà, secondo il Barsacchi le due spiegazioni sono, in qualche modo, complementari. La prima interpretazione è plausibile per l'affinità fra i due nomi; la seconda corrisponde meglio all'immagine stessa della divinità, tenebroso dio primordiale celato nelle viscere della terra. Demiurgo e Demogorgone: un dio sotterraneo e terribile che plasma le forme.

Il demiurgo, nell'onirica interpretazione di William Blake


Dopo le tre prime parti necessarie a introdurre degnamente la densità e il fascino dell'argomento, Marco Barsacchi esplora la letteratura universale per individuare il riapparire nei secoli, sull'onda di Boccaccio, del nome e degli attributi di Demogorgone. Tra umanisti e mitografi è il titolo della quarta parte. Demogorgone torna così in Giovanni Dominici (nella Locula o Lucula Noctis del 1405, studio sul paganesimo); in Marsilio Ficino (nel commento al Fedro di Platone, intorno al 1474); nell'olandese Paul del Middelburg, vissuto a lungo nell'urbinate (in un trattato sulle celebrazioni pasquali del 1513); in Giovan Battista Cipelli (in uno studio delle Metamorfosi di Ovidio del 1528); in Aulo Giano Parrasio (1470 – 1522, in una lettera su Apuleio); in Lorenzo Griffoli (senese, che parlò di un “tempio di Demogorgone” che sorgeva laddove ora vi è il Duomo di Montepulciano); nel francese Ravisius Textor (nella sua Officina del 1503); nel belga Jean Lemaire (in una sua opera degli inizia del XVI secolo, tesa a dimostrare le origini troiane della nobiltà franco-tedesca); nel francese Jean Bouchet (con il suo viaggio nell'Oltretomba pubblicato a Parigi nel 1517); in Pictorius di Anversa (che nel 1532 redasse il primo, grande trattato di mitologia dopo quello di Boccaccio); nel tedesco Jacobus Mycillus (in un'edizione della Pharsalia di Lucano datata 1551); in Lilio Gregorio Giraldi (nel De deis, genealogia del 1548); in Natale Conti (nelle sue fondamentali Mythologiae del 1551); in Vincenzo Cartari (con Le imagini del 1556); in Charles Estienne (nel suo Dictionarum historicum del 1553); nell'inglese Abraham Fraunce (in un lavoro mitografico del 1592); in Daniel de Ivigné Broissinière (nel suo secentesco Dictionaire); nello spagnolo Juan de Mena (nel Laberinto de Fortuna, poema allegorico del 1444); in Juan Pérez de Moya (con la Philosophia secreta del 1585); in Antoine Banier (con un trattato storico sulle fables del 1711); in Diderot e d'Alembert (nella loro settecentesca e celeberrima Encyclopédie); in Antoine-Joseph Pernety (nel suo “dizionario ermetico” del 1758); in Étienne Libois (con un'interpretazione “alchemica” del 1773); l'americano William Darlington (nel suo Catechism of Mythology del 1832); e così via.

Matteo Maria Boiardo, in un'incisione ottocentesca


La cultura dell'età umanista, dunque, spiega Barsacchi, conobbe bene il “padre degli dèi”, anche se non poté dargli credito in termini filologici. Demogorgone in qualche modo rimase, pur se dietro le quinte o in secondo piano: come una specie di fantasma dell'Opera, non poteva comparire alla luce della ribalta intellettuale: rimaneva nell'ombra, eppure talvolta si scopre che c'era, nonostante tutto.
Demogorgone trova ospitalità anche nelle opere “di finzione”. Nella poesia cavalleresca è il titolo della quinta parte del volume di Barsacchi. Parleremo anche più avanti di questo “filone”, nato con Matteo Maria Boiardo che, con il suo Orlando Innamorato del 1483, grazie anche al modo in cui raffigura l'antico Dio come “signore delle Fate”, getta le prime, diafane basi per un futuro e contemporaneo sviluppo di una ben precisa branca della narrativa fantastica (il fantasy). Ludovico Ariosto seguì il solco tracciato dal Boiardo, con i Cinque Canti (che, in fase di revisione, l'autore decise di non far rientrare nell'Orlando furioso del 1532): anche qui Demogorgone è guida suprema delle Fate. Ecco poi Teofilo Folengo, che accoglie Demogorgone in due suoi poemi, il Baldus (1517) e l'Orlandino (1526); Giovanbattista Pescatore (con Morte di Ruggiero del 1556, seguito dei Cinque canti ariosteschi); Bernardo Tasso, padre di Torquato (con il suo Amadigi del 1560); Erasmo da Valvasone (La caccia del 1592); Jorge de Montemayor (con Diana del 1561); Alonso de Ercilla (La Aracuana del 1590); Luis Barahoma de Soto, stimato da Cervantes e continuatore dell'Orlando furioso (con Las lágrimas de Angélica del 1586); Bernardo de Balbuena (nel suo Bernardo del 1624); etc.


Frontespizio dei Dialoghi d'amore di Leone Ebreo, in un'edizone aldina del 1541


Nella sesta parte del saggio, Tra alchimisti e filosofi, il nostro Barsacchi si occupa dell'ingresso di Demogorgone nel campo speculativo, partendo dai Dialoghi d'amore di Leone Ebreo, pubblicati nel 1535: qui, addirittura, come sottolinea Barsacchi, Demogorgone assume le vesti di Jahvè, l'unico onnipotente Dio del monoteismo ebraico. Considerando anche l'apparire del Padre degli Dèi in Cornelio Agrippa (in un'opera del 1530) e in Francesco Giorgio Veneto (nel suo De harmonia mundi del 1525), i Dialoghi di Leone, sintesi di platonismo e di filosofia ebraica, prosegue il nostro saggista, furono ben conosciuti negli ambienti cabalistici, ed è probabile che gli uni e gli altri siano stati il tramite per cui Demogorgone è entrato anche nell'alchimia. Questo soprattutto a partire da altri Dialoghi, quelli vergati da Giovanni Bracesco de Iorci Novi, pubblicati nel 1542/1544, dove Demogorgone viene associato al ferro, vero cuore della realtà da cui tutti i metalli (gli dèi), in ultima analisi derivano – scrive Barsacchi. Giovanni Bracesco, continua Barsacchi, è il primo a dare una lettura allegorica del mito primordiale narrato dal Boccaccio, secondo la quale Demogorgone rappresenta in termini favolosi e figurativi un fattore determinante della trasmutazione alchemica o, addirittura, la sua meta. Troviamo – fra gli altri - così il parigino Robert Duval (con il suo De veritate del 1561); il londinese Thomas Vaughan (con The River of Pearl del 1651); Vincenzo Percolla (con Auriloquio del 1560 ca.); Gerald Dorn (nel Colloquium del 1568); Cesare della Riviera (con Il mondo magico del 1603); Jean Brouant e Clovis Hesteau (con i Trois livres del 1621); Robert Fludd (nelle sue opere della prima metà del Seicento); Pierre-Jean Fabre (con L'Abregé del 1636 e Alchimista christianus del 1632); e via dicendo. Tra i filosofi del Cinquecento Giordano Bruno nomina più volte Demogorgone. Ma è quella del 1756 l'apparizione che più ci interessa ai fini di questa nostra personale recensione: l'antico Dio compare infatti nel Songe de Platon di Voltaire, solitamente inserito dalla critica specializzata (insieme a Micromégas) fra quelle opere che costituiscono il corpus della cosiddetta “protofantascienza” francese, intesa come antecedente alla produzione di Jules Verne. Ritorneremo più avanti sull'argomento.

Gargantua e Pantagruele, nella straordinaria interpretazione fumettistica di Dino Battaglia


Barsacchi dedica la settima parte del suo libro – Dai Mystères a Corambé – all'ambito francese, tradizionalmente molto attento alle Genealogie del Boccaccio e dunque, di riflesso, alla figura di Demogorgone. I Mystères furono un sorta di rappresentazione teatrale a sfondo religioso sviluppatasi a partire dal XV secolo: Demogorgone, nell'ottica cristiana, vi appare come personaggio demoniaco, diabolico nel senso più popolaresco del termine. E così nella Passion di Arnoul Gréban (metà '400); nel Mystère des Actes des Apôtres di Simon Gréban (terminato nel 1473 e rivisto da Jean Chaponneau nel 1536); e in altre opere anonime del periodo. Interessatissimo ai “misteri” sacri fu François Rabelais, che conobbe sia gli scritti di Folengo (il Baldus di cui abbiamo parlato), sia le Genealogie del Boccaccio. Ecco perciò Demogorgone venir menzionato – in un paio d'occasioni - anche nell'opera satirica in cinque volumi (uscita fra il 1534 e il 1564) Gargantua e Pantagruel, capolavoro del Rabelais. Il Padre degli Dèi verrà menzionato nell'Ottocento dalla scrittrice parigina George Sand, nella sua autobiografia (dove ricorda di aver creato, in gioventù, la fantasia di Corambé, una sorta di divinità “sincretista”), qualificandolo come lo spirito delle profondità della terra, che andrebbe testé liberato.
Ai festeggiamenti popolari è riservata l'ottava parte del libro, Demogorgone rappresentato. Fu nel 1566 che sfilò per le vie di Firenze la Mascherata della Genealogia degli Dèi, un corteo di ventuno carri allegorici, le cui reminiscenze troviamo oggi nelle varie manifestazioni carnascialesche (a Viareggio, a Fano, etc.), allestiti per celebrare le nozze fra Giovanna d'Austria e Francesco de' Medici: partecipò al comitato organizzatore anche il Vasari. Ritroviamo il personaggio divino nell'intermezzo Demogorgone in dialogo con l'Eternità di Giacomo Peri scritto nel 1583 come preludio alla commedia Le due Persilie di Giovanni Fedini. Demogorgone torna protagonista delle feste in onore dei Granduchi di Toscana anche nel Seicento. E poi in altre rappresentazioni: a Parigi (con César de Gran-Pré nel 1633), a Londra (con Thomas Carew nel 1634), a Ferrara (durante la Festa de' Cavalieri per il carnevale del 1672), a Versailles (con Quinault e Lulli nel 1685)... 

La Regina delle Fate: illustrazione degli anni '30 ispirata al capolavoro di Spenser


Il principe delle tenebre è la nona parte del libro, capitolo che si occupa della “penetrazione” dell'idea di Demogorgone in terra d'Albione. Azzeccatissimo titolo, in quanto, a partire dall'età elisabettiana fu soprattutto colto della divinità quello che Barsacchi chiama il potenziale fantastico, aspetto su cui torneremo più avanti. Sfilano così il già citato Abraham Fraunce, Samuel Rowlands (in Martin mark all del 1610), Walter Raleigh (in The History of the World del 1614) e Richard Barnfield (con Cassandra del 1595). Nel contesto della grande letteratura inglese, scrive il nostro saggista, la figura di Demogorgone assume stabilmente un duplice volto: a) come oscura, tenebrosa potenza infernale; b) come divinità primordiale emersa da un abisso di tenebre, che non è facile distinguere dal Caos. Così, alla fine del '500, troviamo Demogorgone associato alla Notte (sua nipote, del resto, figlia della Terra) e definito come Prince of Darknesse nel The Faerie Queene di Edmund Spenser; diventa Prince of Hell nel 1590, nel Tamburlane the Great di Christopher Marlowe; viene invocato da Faust, nel Doctor Faustus (Marlowe, fine '500), insieme a Belzebù e Mefistofele; diventa il “Nero Demogorgone, progenitore della Notte” nel Selimus, tragedia del 1594 attribuita a Robert Greene; e lo stesso Greene, in altri lavori, evoca ancora Demogorgone come “padrone dei destini” (nel Bacon del 1594) e come “signore dei destini” (in una commedia tratta dall'Orlando Furioso, sempre del 1594); anche John Milton scrive “lo spaventoso nome di Demogorgone” nel suo Paradise Lost del 1667; e infine John Dryden, con il suo Demogorgone dal “volto terribile” (in Spanish Friar del 1681) oppure nelle vesti di fustigatore di fate (in The Flower and the Leaf).

Moby Dick – la grande balena bianca associata da Melville a Demogorgone – nell'interpretazione di Dino Battaglia
 
La decima parte del volume indaga su quanto accadde Nella poesia romantica, in un periodo affascinato dagli aspetti tenebrosi e fantastici che potevano nascere da un rilettura dei classici del passato. Samuel Taylor Coleridge richiama Demogorgone nel suo Limbo del 1834, come entità capace di “polverizzare gli spiriti” tramite un potere sovrannaturale; potere che nel 1818 appare associato a Demogorgone anche nel poema di argomento mitologico Rhododaphne di Thomas Love Peacock. Fu soprattutto Percy Bysshe Shelley, gran soggiornatore sul suolo italico (dove morì) e profondo conoscitore dell'opera di Boccaccio, mettendolo in scena come la personificazione dell'Oscurità nel suo Prometheus Unbound, “dramma lirico” pubblicato nel 1820.


Demogorgone nel paesaggio laziale, secondo Di Nardo, in una foto scattata dal satellite


L'undicesima e penultima parte (...E oltre, fino a oggi) del saggio del Barsacchi si occupa del periodo letterario che segue il Romanticismo. In Moby Dick del 1852, Demogorgone viene equiparato da Herman Melville, tramite parole pronunciate dal personaggio di Starbuck, alla mostruosa Balena Bianca; Giosuè Carducci conia per il “padre degli Dèi” l'appellativo di “informe eterno”, nella sua poesia La moglie del gigante (da Rime e ritmi del 1898); Gabriele D'Annunzio, in Anniversario Orfico (lirica facente parte di Alcyone, 1903), canta Demogorgone come “originario mostro”; e poi Charles Florentin-Lariot, Matteo Darzi, Fernando Pessoa (con la sua poesia intitolata Demogorgone)... Nel 1934 Guido Di Nardo, nei suoi scritti archeologici degli anni Trenta e Quaranta, identifica Demogorgone con un'antichissima divinità tellurica – riporta Barsacchi – oggetto di culto nel Lazio preromano, e percepito dagli antichi nella stessa conformazione topografica e geologica del paesaggio: la sua facies era colta nei rilievi del “vulcano” laziale, con i due laghi di Albano e Nemi come azzurri “occhi” giganteschi. (…) Questa divinità sarebbe poi entrata nel pantheon romano col nome di Saturno (Kronos), di cui si narrava appunto che fosse venuto a celarsi nel Lazio, dopo essere stato detronizzato da Giove (Zeus).


Il "Demogorgone laziale" nell'interpretazione di Di Nardo (1942)


Come nei secoli i vari artisti abbiano immaginato l'aspetto del Padre degli Dèi è l'oggetto dell'ultima parte del saggio, Per un'iconografia di Demogorgone. Nel Codice Wormald del 1374, con testo di Paolo Perugino, Demogorgone è raffigurato, insieme a Tellus, come un sovrano su trono assiso, sottoposto però a Lucifero. Nelle prime edizioni a stampa delle Genealogie del Boccaccio, come l'incunabolo veneziano del 1497, Demogorgone ha un aspetto “pantocratore” - con corona, bastone del comando e globo in mano; irradia energia e luce, sullo sfondo del mondo. Nel 1565, come abbiamo già visto, Demogorgone appare a Firenze come protagonista sul carro allegorico della Mascherata della genelaogia degli Dèi: venne raffigurato come un vecchio dalla lunga barba bianca, nudo e ancora possente, seduto sopra un caverna, avvolto da fumi infernali. Dieci anni dopo, vediamo Demogorgone che “trae Litigio dal ventre di Caos” in un affresco (realizzato da Jacopo Zucchi) del palazzo mediceo di Campo di Marte a Roma. Lo ritroviamo nel fregio della Villa Medicea di Poggio a Caiano (vi torniamo più avanti) e in un affresco del Giordano nel fiorentino Palazzo Medici Ricciardi. In incisioni secentesche, poi, scopriamo Demogorgone (“compagno dell'Eternità”) associato all'uroboro, il serpente che si morde la coda e che rappresenta l'eterno ritorno.


Demogorgone trae Litigio dal ventre di Caos nell'affresco dello Zucchi
 
L'eco di Demogorgone nel fantastico

Come avevamo all'inizio accennato, prima di affrontare da vicino la struttura del saggio, le più moderne incarnazioni di Demogorgone – che qualcuno potrebbe addirittura considerare “eretiche”, se non “blasfeme”, e che Barsacchi, essendo queste “fuori tema letterario”, giustamente cita rapido nel suo testo - sono da rintracciarsi nei fumetti e negli intrattenimenti ludici. Nel fortunato gioco di ruolo “Dungeons & Dragons”, Demogorgone ottiene il titolo di Principe dei Demoni e di Signore di Tutto Ciò che si Cela nelle Tenebre; è dunque un essere sotterraneo e si presenta sotto l'aspetto di un umanoide anfibio/rettiliano con due teste di mandrillo e braccia serpentine. 


Un Demogorgone bicefalo in un disegno ispirato al gioco di ruolo Dungeons & Dragons


Demogorgone viene associato al rettile e al serpente fin dalle sue origini e come tale si è conservato nelle rappresentazioni iconografiche più moderne. In una di queste, il fregio in terracotta invetriata della villa medicea di Poggio a Caiano, si è voluto ravvisare l'immagine demogorgoniana. Nel primo pannello a sinistra, scrive Barsacchi, ciò che vi è raffigurato sembra costituire un'allegoria dal duplice significato, perché allude sia all'origine (nell'eternità) sia alla dinamica (nel tempo) del mondo e delle anime. Di queste, uscite o nutrite dalla grande Madre (la Natura? La Terra?), alcune si dirigono verso destra, dove una figura maschile eretta, slanciata, nuda, con un corpo perfetto, da statuaria greca, è rivolta al cielo per determinarne l'ordine e i moti (tiene in una mano uno strumento di misurazione, e nell'altra un globo con segni astrologici), fissando così forme e durata di ciò che vive nel tempo. La posizione del braccio sembra anche indicare la volta celeste, orientarvi le anime che si volgono a lui. Altre invece si dirigono a sinistra, verso un personaggio ben lontano dai canoni estetici greci: appare tozzo, contorto, con una veste ampia che sembra volerne nascondere il corpo forse deforme; lo sguardo è declinato, e con le mani tiene serpi guizzanti; non si volge alle anime, ma piuttosto a un'uscita terrena, rocciosa e bassa, dalla caverna, verso cui le conduce e le orienta. Insomma una figura demoniaca, ctonia, che appare l'antitesi dell'altra, dal carattere celeste e demiurgico. Nel fregio mediceo, l'unico e solo personaggio presente in altre iconografie demogorgoniane, si scinde in due figure distinte, ognuna con i suoi aspetti peculiari: artefice celeste – continua Barsacchi - che regola gli astri e determina i destini di ciò che vive nel tempo, e divinità primordiale celata nelle profondità della terra – di cui la caverna è un'allegoria – che fatalmente, rispetto all'altro significato e all'altra funzione, assume caratteri oscuri, demoniaci. In breve: il Demiurgo e Demogorgone. La “demonicità” di questo secondo personaggio è segnalata anche dai serpenti che tiene stretti nelle mani; se Lucano scriveva, di questo terribile e misterioso di al quale poi è stato dato quel nome, che poteva guardare la Gorgone impunemente, cioè senza restarne pietrificato è perché era un po' “gorgonico” lui stesso, e le serpi sono simboli del suo potere.


Demogorgone appare (forse) stringendo serpenti, all'estrema sinistra del fregio in terracotta della Villa Medicea di Poggio a Caiano (PO)


Oltre agli attributi “rettiliani” vi è dunque un potere non solo soprannaturale, bensì anche fisico. Un potere di invulnerabilità. Quei poteri di intervento sulla realtà – molto spesso “azioni a distanza” - che ritroviamo spesso nella letteratura fantastica, nella fantascienza e, soprattutto, nel fumetto supereroistico. Demogorgone resiste allo sguardo pietrificante di Medusa, come, millenni più tardi, nella narrativa popolare e per immagini, il petto di super-umani resisterà alle sventagliate di mitra! Il riferimento di Barsacchi a Lucano si deve al fatto che Boccaccio, nel suo trattato sugli Dei, citò tra le fonti un brano tratto dalla Pharsalia (o Guerra civile). Singolarmente Lucano non nomina – rispettosamente – il nome del Padre di tutti gli Dei, ma lo fa uno dei suoi traduttori classici, Gaspare Cassola, alla fine del '700 (Il gran Demogorgone, al cui solo nome / trema la terra, che il gorgoneo scudo / illeso mira, e con terribil sferza / castiga Erinni).
Una filiazione di Demogorgone la troviamo nel fumetto Marvel classico (nell'epopea di Thor) con il negativo Demogorge, “il divoratore di Dèi”, legato - in una sorta di alternanza alla Jekyll/Hyde – al personaggio positivo di Atum, ovvero il Padre degli Dèi dell'antico culto egizio.


Demogorgone nel fumetto Marvel


Demogorgone, come avevamo prima accennato, è il protagonista del Sogno di Platone, brevissimo racconto filosofico scritto nel 1748 da Voltaire. La narrazione inizia con il grande pensatore che sogna il Demiurgo, artefice supremo dell'Universo, nell'atto di affidare ai suoi “sottoposti” (“geni” o “demoni”) alcuni mondi da plasmare. A Demogorgone tocca la Terra e, nonostante si sia dato un gran daffare, deve subire le critiche dei suoi “colleghi” perché sul pianeta c'erano tante cose belle da vedere e buone da mangiare, tanti luoghi confortevoli, tanti animali meravigliosi - ma anche parecchie brutture e posti non adatti alla vita. Grazie a questo racconto (ma soprattutto a Micromega, che profetizza un esopianeta in orbita attorno a Sirio), Voltaire viene – forse “tirandolo un po' per la giacchetta” - arruolato fra i precursori del genere letterario fantascientifico. Demogorgone viene infatti visto – in quest'ottica profana – impegnato in un'opera titanica di “terraformazione”, tanto per usare una terminologia piuttosto nota anche ai non appassionati. Non crea infatti un mondo dal nulla, ma modifica, plasma la “palla di fango” già creata che gli aveva affidato il Demiurgo – proprio come avviene in certi romanzi e film di fantascienza. In queste storie si immagina un domani talmente lontano, che il progresso tecnologico giunge quasi a sconfinare nella magia. Uno dei mezzi che questi ipotetici uomini del futuro avranno per abitare su remoti e inospitali pianeti sarà quello di “terraformare” questi mondi, trasformando aspri habitat (oceani di metano, atmosfere di acido solforico e simili facezie) in nuove Terre, grazie a fantasiosi processi e macchinari che riescono a purificare l'aria e i mari e a creare il ciclo evaporazione / pioggia. Ecco dunque Demogorgone, con le sue potenzialità sovrannaturali, far capolino nella fantascienza!


Il Sogno di Platone di Voltaire in un'incisione settecentesca, dove appare anche Demogorgone


Ma non è tutto. Nelle Genealogie del Boccaccio Demogorgone è il Padre di tutti gli Dèi; suoi compagni sono l'Eternità e il Caos. E poi ci sono i suoi nove figli: Litigio, Pan, le Tre Parche (Cloto, Lachesi e Atropo), Polo (o Polus o Pollux), Fitone (o Phyton o Phaneta o il Sole), Terra e Herebus (o Erebo, le Tenebre). Il fatto che Demogorgone fosse padre delle Parche – che controllano il Destino, il Fato dell'uomo e sono perciò dette anche Fatae – suggestionò in particolar modo i letterati inglesi che, sulle orme del Boiardo, cominciarono ad “adottarlo” nelle opere fantastiche come Signore delle Fate, derivando le fairies non solo il loro nome – etimologicamente – dalle Parche, ma anche i loro poteri di intervento “magico” sul fato degli uomini. Ecco dunque Demogorgone, attraverso successive metamorfosi e comparsate letterarie, indossare in qualche maniera le vesti di precursore dei protagonisti dei romanzi del genere fantasy.
Abbiamo infine visto Demogorgone come “principe delle tenebre”, anche in virtù della sua paternità di Erebo. Un Demogorgone capace di “mutare forma” (come sembra suggerire il Carducci), come fortunatissime figure della moderna narrativa dell'orrore, e di incarnarsi in “mostri naturali” come Moby Dick, simbolo della Natura che si ribella contro l'uomo troppo invadente. E, a proposito di “mostro ribelle” c'è un ultimo “collegamento sotterraneo” da mettere in risalto, prima di chiudere. Come abbiamo visto nel 1820 il poeta Shelley aveva scritto il Prometeo Liberato, ospitando l'antico Demogorgone in quei versi, ma due anni prima la moglie dell'artista, una giovanissima Mary Shelley, aveva pubblicato (attingendo alle stesse fonti) il celeberrimo Frankenstein or the modern Prometheus, capostipite del romanzo orrorifico contemporaneo, un filone che si distaccherà dal “gotico” e che – attraverso Poe, Machen, Lovecraft, King... - giungerà indenne fino a noi.




Marco Barsacchi
IL MITO DI DEMOGORGONE
Origine e metamorfosi di una divinità “oscura”
Saggi Marsilio
Marsilio Editori – novembre 2014
pagg. 242 - € 23


Francesco Manetti


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