di Andrea Cantucci
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Gli dei Tezcatlipoca e Quetzalcoatl. Decorazione murale |
Nessuno
vorrà che muoiano anche
I
fiori e i canti,
Essi
continueranno a vivere
(da
un poema di Ayocuan, principe di Tecamachalco)
Alcuni
dei nostri soldati si chiedevano perfino se tutto ciò che vedevano
non fosse un sogno
(dalle
memorie di Bernal Díaz del Castillo)
Finché
il mondo avrà vita, la fama e la gloria della città azteca di
Tenochtitlán non potrà perire
(Monumento
della Civiltà Azteca)
Forse
non è casuale che l’albo di Lilith ambientato nell’antico México
sia proprio il n. 13 della serie, poiché il tredici per gli Aztechi
era il numero supremo su cui si basava il loro calendario
divinatorio, che si divideva in venti periodi di tredici giorni
ciascuno. Il giorno 13 di ogni periodo era considerato fausto, fino a
ché l’impero azteco non crollò, quando cadde definitivamente la
capitale Tenochtitlán, in quello che per gli Aztechi era il giorno
1-Serpente dell’anno 3-Casa e che per i conquistadores era il 13
agosto 1521. Chissà che la superstizione diffusa in America che
considera il 13 un numero sfortunato non risalga proprio a questa
coincidenza numerica. In questa storia di Luca Enoch però, le cose
vanno in modo completamente diverso.
Il
n. 13 di Lilith sembra portare sfortuna solo a Hernán Cortés e ai
suoi circa cinquecento conquistadores, che, dopo essere sbarcati in
Messico nel 1519, si trovano di fronte un impero azteco un po’
diverso da quello che hanno affrontato e distrutto nella realtà
storica. I continui viaggi nel tempo di Lilith infatti, hanno ormai
apportato delle consistenti modifiche al passato, che si ripercuotono
anche nei secoli successivi.
In
tutto l’episodio la parola usata per dire Aztechi è Mexica, il
termine con cui essi stessi si definivano. In origine può venire da
Mixcoatl (Serpente di Nubi), un antico dio delle tribù
cicimeche da cui gli Aztechi si staccarono, identificato con la Via
Lattea. Da esso sembra derivare il nome del primo mitico condottiero
e gran sacerdote azteco, Mexicatl, o Mexitli, o Mexi, poi divinizzato
come dio della Luna, o fratello della Luna, e infine identificato col
principale dio tribale azteco, Huitzilopochtli (Mago Colibrì),
dio del Sole e della guerra.
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Capi dell'armata mexica. Codice Mendoza, 1541 |
Un'altra
parola usata dagli Aztechi per indicarsi era Tenocha, nome collegato
alla loro prima città e capitale Tenochtitlán, che significa Vicino
al Cactus, perché secondo la leggenda fu fondata dov’era
un’aquila su un cactus con un serpente nel becco, che è oggi il
simbolo del Repubblica del Messico. Azteca invece deriva da Aztlán,
la terra favolosa da cui i Mexica dicevano di venire prima di
stabilirsi ad Anáhuac (la Terra sulle Rive dell’Acqua),
ovvero nella zona dei laghi della Valle del Messico. Ma si iniziò a
usare il termine Aztechi per indicarli solo nell’Ottocento, per
distinguerli dai moderni Messicani che avevano ripreso l’antico
nome dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla Spagna, quindi è
giusta la scelta dell’autore di non usarlo nel racconto.
La
prima novità che salta agli occhi è che il popolo Mexica, in questa
storia di Luca Enoch, dispone di cavalli addomesticati e anche di un
vero e proprio corpo di cavalleria, mentre è risaputo che prima
dell’arrivo degli Spagnoli il cavallo era completamente sconosciuto
nelle Americhe. Altrettanto sconosciuto ai veri Aztechi era l’uso
del ferro, ma anche questo metallo è invece loro già noto da tempo
nel tredicesimo episodio di Lilith. Anzi sono proprio le armi di
ferro che ora permettono loro di assoggettare e controllare le
province del loro impero in modo più stabile. Invece non usano
corazze di ferro per dimostrare il loro coraggio e continuano a
portare come protezioni in guerra delle tuniche imbottite di cotone,
più adatte al clima caldo della loro terra.
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Copertina "pulita" di Lilith n. 5 |
Tali
conoscenze anacronistiche dei Mexica derivano dal viaggio temporale
compiuto da Lilith sul n°5 della serie, all’epoca delle spedizioni
vichinghe in America, e privano gli invasori spagnoli di due grossi
vantaggi che ebbero nella realtà, ovvero le loro armi e armature di
ferro e le loro cavalcature (anche se di cavalli ne avevano appena
sedici). Nella realtà la natura di entrambe le cose per gli indigeni
fu così incomprensibile e nuova, da convincere molti Mexica che gli
invasori fossero degli dèi, anche perché le loro profezie dicevano
che il bianco e barbuto dio-re tolteco Quetzalcóatl (Serpente
Piumato) dopo secoli doveva ritornare proprio quell’anno da
Oriente, su un grande cervo e vestito di abiti neri, e questa
descrizione si adattava benissimo a Cortés, visto tra l’altro che
hueimamazah, grandi cervi, fu appunto il nome che i Mexica
diedero ai cavalli.
Qui
a essere presa per una dea dai Mexica, a causa dei suoi poteri, è
invece naturalmente Lilith, definita da loro come una tzitzimitl, uno
dei mostri scheletrici che nelle loro credenze sorgeranno
dalle tenebre ai confini del mondo per annientare l’umanità,
un’idea che Lilith accentua dipingendosi sul volto la forma di un
teschio.
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Motecuhzoma (pag. 31) |
Il
Uei Tlatoani (Gran Portavoce del popolo) Motecuhzoma, chiamato
dagli Spagnoli imperatore Moctezuma, promuove Lilith al rango di
chiuateotl (dio-donna) scambiandola per la dea Itzpapálotl
(Farfalla d’Ossidiana), che regnerebbe sul Tamoanchán, il
paradiso degli antenati, e lei lo asseconda indossandone i tipici
attributi.
Curiosamente
Itzalpapálotl era considerata dai Mexica proprio la moglie di
Quetzalcóatl, come se l’autore, volutamente o meno, avesse
contrapposto al falso dio Cortés, giunto a distruggerne civiltà,
una equivalente falsa dea Lilith, venuta incidentalmente a
proteggerli. Come Lilith, anche quella dea aveva sia un aspetto
benevolo che uno molto più inquietante. Inizialmente presiedeva alle
stelle e a volte all’Agricoltura, ma più tardi fu associata al
terribile dio della notte e dei sacrifici Tezcatlipoca (Specchio
Fumante) col nome di Itztli, cioè Coltello di Ossidiana,
la dura e affilata pietra vulcanica usata per immolare le
vittime sacrificali.
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Motecuhzoma incontra Cortés e Dona Marina a Tenochtitlan. Disegno del 1560 |
I
Mexica infatti credevano che gli dèi si cibassero di sangue e che,
senza i sacrifici, il Sole non avrebbe più dato luce e calore e
quindi la Terra non avrebbe più generato fiori e frutti. Quelli in
onore degli dèi Tláloc e Tezcatlipoca si svolgevano a primavera e
le vittime erano adornate di fiori profumati prima di essere uccise.
Perciò la periodica guerra rituale attuata dai Mexica per procurarsi
i prigionieri col cui sangue nutrire gli dèi, principalmente ai
danni del selvaggio popolo montanaro di Tlaxcala (la Terra del
Pane), era chiamata xochiyaoyotl, guerra dei fiori, un
nome paradossalmente poetico per una pratica dagli effetti tanto
cruenti. All’inizio dell’albo, la guerra dei fiori è
rappresentata come una vera e propria caccia all’uomo, mentre
Lilith si tiene in disparte nascondendosi sui chinampa, i giardini
galleggianti creati dai Mexica per la coltivazione.
Anche
se il compatto e ben organizzato esercito dei Mexica avrebbe potuto
conquistare con la forza l’enclave di Tlaxcala e gli altri
territori non ancora assoggettati al loro impero, ne tolleravano
l’indipendenza proprio per poter continuare a procurarsi i
prigionieri per i sacrifici attraverso queste scaramucce o tornei
periodici. Ma ovviamente i Tlaxcaltechi, così come i Totonechi, gli
Otomi, i Tepanechi e gran parte degli altri popoli del Messico, erano
stanchi di subire le pesanti vessazioni dell’impero mexica. Quindi
si allearono agli Spagnoli dando loro un fondamentale appoggio, come
si vede anche nel racconto, in cui i costumi dei Tlaxcaltechi, così
come quelli degli Aztechi, sono riprodotti esattamente come appaiono
nei codici illustrati del XVI secolo.
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Frontespizio del Codice Mendoza, 1541 |
Del
resto tutta la documentazione di Enoch anche su questo albo è come
d’abitudine accuratissima, sia nella descrizione di usi e costumi
dei Mexica che nell’uso di termini e nomi nella loro lingua, il
náhuatl. L’autore ha ripreso fedelmente abiti, acconciature,
manufatti, armi e architetture da reperti e testimonianze storiche
giunte fino a noi grazie a memorie e codici redatti sia da autori
indigeni che dai colonizzatori spagnoli, quasi che alcuni di questi,
come Bernal Díaz del Castillo che appare nell’albo, si fossero
pentiti della distruzione da loro apportata ai danni di un’intera
cultura e cercassero, seppur tardivamente, di perpetuarne la memoria.
Possono
così essere qui accuratamente riprodotte le vesti dei vari ordini
militari dei Mexica, come le pelli maculate dei guerrieri-giaguaro o
le penne intessute dei guerrieri-Aquila, insieme agli scudi, che ora
sono fatti di ferro anziché di legno ma sono sempre contrassegnati
dalle insegne totemiche dei vari clan, o agli elaborati stendardi
composti da penne multicolori. L’autore inventa anche delle
bardature immaginarie, anch’esse ornate di penne, per gli allora
inesistenti cavalli che ora rendono possibile anche un ordine di
guerrieri-cervo, cioè di cavalieri. Non mancano naturalmente neanche
le tipiche e originali armi azteche, come i macana, una specie di
grossi manganelli di legno, le teputzopilli, delle lance lunghe due o
tre metri ornate di piume e colori, o le maquauhuitl, una specie di
asce dal lungo manico di legno, la cui parte arcuata qui è
interamente fatta di ferro anziché essere solo irta di lame
d’ossidiana come nella realtà storica.
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Aztechi con scudi di ferro (pag. 95) |
In
molte scene troviamo anche una precisa e dettagliata ricostruzione
della capitale azteca di Tenochtitlán, in cui si svolge buona parte
del racconto e che, poiché oggi al suo posto sorge Città del
Messico, può essere qui riprodotta a somiglianza dell’originale
proprio grazie alle incisioni realizzate in passato dagli europei.
Tra
i monumenti della città spicca il teocalli (tempio degli dèi),
il grande santuario piramidale su cui si celebravano i sacrifici
umani, sormontato dai templi dedicati rispettivamente al dio della
pioggia Tláloc (Colui che Fa Crescere) e al già citato dio
supremo Huitzilopochtli, ed è vero, come si vede qui, che gli
Spagnoli furono sconvolti dalla vista del sangue umano incrostato che
ricopriva idoli e pareti dei templi aztechi.
In
una delle scene finali del fumetto si vede anche la grande pietra
rotonda con scolpita in rilievo l’immagine smembrata di
Coyolxauhqui (Volto Dipinto a Sonagli), la dea della Luna che
nei miti aztechi fu fatta a pezzi dal dio del Sole Huitzilopochtli,
un reperto riportato alla luce solo nel 1978 scavando alla base della
piramide.
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Guerrieri aztechi (pag. 106) |
Anche
lo tzompantli, il muro dei teschi raffigurato nell’albo, in
cui si conservavano le teste delle vittime sacrificali infilate in
pali orizzontali, esisteva davvero nelle città azteche ed è
raffigurato nei codici antichi.
La
quetzalapanecayotl, ovvero la corona di piume di uccello quetzal,
indossata da Motecuhzoma in una scena in cui riceve gli Spagnoli, è
invece stata chiaramente ripresa da quella analoga che probabilmente
l’imperatore mexica donò a Cortés e questi al re di Spagna Carlo
V, poi conservata in un museo di Vienna.
L’autore
rappresenta Motecuhzoma in modo verosimile, con un abbigliamento
fedele ai suoi ritratti più noti, raffigurandolo come un sovrano
raffinato e sensibile come sembra fosse anche nella realtà, che si
dedica a dissertazioni filosofiche prendendosi cura degli uccelli dei
suoi serragli e che è convinto dell’ineluttabilità del destino,
una fissazione comune a vari popoli precolombiani, ma che, come nelle
storie tramandate su di lui, è anche molto insicuro e indeciso
sull’atteggiamento e i provvedimenti da prendere riguardo agli
invasori.
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Hernan Cortés. Ritratto del XVII secolo |
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Hernan Cortés e Pedro de Alvarado (pag. 64) |
Enoch
dà un volto anche a molti altri personaggi reali, come la donna
azteca battezzata dagli Spagnoli Doña Marina, che per odio verso
l’aristocrazia del suo popolo che l’aveva venduta come schiava,
divenne davvero l’interprete, la guida e l’amante di Cortés, per
cui i Mexica la chiamarono Malintzin (Lingua), nome poi reso
in spagnolo come La Malinche, che riferendosi a una traditrice
assunse il senso spregiativo di Malalingua.
Ha
un ruolo di rilievo nella storia anche il vero luogotenente di
Cortés, Pedro de Alvarado, qui raffigurato come un arrogante soldato
senza scrupoli, che storicamente a Tenochtitlán massacrò seicento
Mexica per derubarli dei loro ornamenti d’oro, una strage che qui
non farà in tempo a commettere poiché sarà il primo a cadere
vittima di Lilith. Al contrario Bernal Díaz del Castillo, altro
avventuriero al seguito di Cortés, è qui descritto come il più
compassionevole e umano della spedizione e nelle sue memorie
descrisse realmente le meraviglie dell’impero mexica, anche se a
causa di Lilith avrà ora da raccontare una storia ben diversa.
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Lilith sacrifica Alvarado (pag. 102) |
Tra
i personaggi storici più importanti di Tenochtitlán, appaiono
invece il fratello e il nipote di Motecuhzoma, Cuitlahuac e
Cuauhtémoc, che nel rapido susseguirsi degli eventi reali sarebbero
diventati, uno dopo l’altro, i nuovi Uei Tlatoani dopo di lui,
entrambi opponendosi fieramente ai conquistadores. I due, in quanto
parenti stretti dell’imperatore in carica, rivestono qui le
funzioni di capi militari e anche in questa storia si dimostrano
altrettanto decisi e ostili verso gli invasori bianchi come lo furono
nella realtà, ma non dovranno sostituire così presto l’illustre
parente, che grazie all’assistenza e ai consigli di Lilith potrà
vivere molto più a lungo.
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Spagnoli e Tlaxcaltechi massacrano i Mexica |
L’autore
cita naturalmente anche episodi storici, come la strage di migliaia
di Mexica compiuta dagli Spagnoli e dai loro alleati nella città
santa di Cholula, ironicamente dedicata proprio a quel dio
Quetzalcóatl con cui molti Aztechi identificavano Cortés. Ai fatti
storici però si alternano qui delle piccole e determinanti modifiche
immaginarie al corso degli eventi, a causa di Lilith che più che da
eroina funge da vero e proprio deus ex-machina della situazione. Una
delle più rilevanti è che Lilith sventa il tentativo di Cortés di
prendere prigioniero Motecuhzoma come ostaggio. Nella realtà tale
tentativo riuscì in pieno, anche perché lo stesso imperatore,
convinto che Cortés fosse l’antico dio Quetzalcóatl di ritorno in
patria, lo aveva accolto sottomettendosi alla sua autorità e si era
quindi già messo totalmente nelle sue mani. Qui invece, per sua
fortuna, c’è la “dea” Lilith a consigliare Motecuhzoma per il
meglio e a impedirgli di fare simili sciocchezze. Probabilmente si
deve ai suoi consigli anche il divieto di far entrare i vendicativi
nemici Tlaxcaltechi nella capitale insieme agli Spagnoli, un altro
terribile errore che nella realtà l’ingenuo Motecuhzoma commise.
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Tenochtitlan vista da Tlaltelolco. Affresco di Diego Rivera, 1945 |
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Drakkar aztechi (pag. 61) |
Per
evocare la maestosità della capitale mexica che i conquistadores si
trovano di fronte, tra l’altro Enoch attua una piccola innovazione
grafica, almeno per l’ambito dei fumetti Bonelli, usando due larghe
vignette disposte su due pagine. La prima rappresenta l’isola in
mezzo al lago di Texcoco su cui sorgono la capitale
politico-religiosa di Tenochtitlán e la città-mercato di
Tlaltelolco, unite alla terraferma da lunghi piani rialzati e
circondate da moltissimi giardini galleggianti. Una novità rispetto
alla città di México storica è che nel lago, oltre a piccole canoe
azteche, ci sono anche grosse barche a vela costruite sul modello dei
drakkar vichinghi. Benché anche qui, come nella realtà, agli
Spagnoli sia permesso di istallarsi nel palazzo di Axayácatl, grazie
all’intervento di Lilith la loro permanenza a Tenochtitlán si
concluderà però in un modo abbastanza diverso.
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Il lago Texcoco (pagg. 54/55) |
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I giardini galleggianti di Tenochtitlan |
Il
solo provvisorio vantaggio che i pochi soldati di Cortés mantengono
in questo racconto, rispetto ai milioni di abitanti del Messico che
hanno l’ambizione di sottomettere, è il possesso delle armi da
fuoco. Nella vera Storia delle Americhe, fu uno degli elementi che
assicurarono loro la vittoria. Infatti anche se, dopo aver sopportato
per un po’ la dittatura e i saccheggi dei conquistadores, i Mexica
reagirono alla strage compiuta da Alvarado e cacciarono gli invasori
uccidendone un gran numero, ciò non bastò a metterli al sicuro.
Cortés fuggì a Tlaxcala, che continuò a dargli protezione e
sostegno, avvantaggiato dal fatto che quasi nessuno degli altri
popoli indigeni dette aiuto agli oppressori Mexica, ma al contrario
si unirono in gran numero agli Spagnoli contro di loro. Come se non
bastasse, un’epidemia di vaiolo, portato da uno schiavo cubano e
diffusosi in tutto il Messico, ridusse enormemente la popolazione
azteca. Cortés, con una nuova armata di seicento Spagnoli e
centomila Indiani, poté così assediare Tenochtitlán, portando nel
lago di Texcoco che la circondava tredici brigantini armati di
cannoni che la bombardarono senza sosta, mentre i suoi alleati
controllavano le rive, finché dopo vari assalti la città cadde
nonostante l’eroica resistenza dei Mexica.
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Tenochtitlan (pag. 30) |
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Il teocalli di Tenochtitlan. Ricostruzione in un'antica incisione |
Ma
nella storia di Lilith, a parte qualche cannonata che uccide un certo
numero di Aztechi, non si verifica niente di tutto ciò, anche perché
l’uso dei cavalli e delle armi di ferro permette ai Mexica di
esercitare un potere molto più saldo sugli altri popoli dell’impero.
Ma soprattutto i contatti coi Vichinghi provocati da Lilith secoli
prima hanno ormai fornito agli antichi Messicani gli anticorpi per il
vaiolo e altre malattie portate in America dagli Europei, quindi
questa volta non si diffonde nessuna epidemia. Inoltre l’aver
separato gli Spagnoli dai loro alleati indiani fa sì che qui i
Mexica debbano affrontare solo pochi uomini e sarà quindi molto
difficile che questa volta Cortés possa uscire dalla situazione
disperata in cui si è cacciato.
Nella realtà storica invece la caduta di Tenochtitlán fu uno dei primi atti dell’immensa ecatombe, provocata dall’invasione compiuta nel nome del dio e dei re di Spagna, che in un secolo portò alla morte di qualcosa come ventiquattro milioni di persone nel solo Messico. Infatti anche i popoli che si erano
rifiutati di aiutare i Mexica, uno dopo l’altro furono a loro volta
massacrati e/o sottomessi dai conquistadores aiutati dai fedeli
Tlaxcaltechi, oltre che decimati più volte da altre pestilenze di
vaiolo, morbillo o influenza che l’arrivo degli Spagnoli diffuse
nel paese.
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L'arrivo di Cortés sulla costa. Affresco di Diego Rivera, 1949 |
Una
fondamentale differenza tra le due culture, stava nel modo stesso di
concepire e combattere le guerre.
Come
sottolineato all’inizio di questa storia, pare che i Mexica, nel
compiere sacrifici umani, fossero davvero candidamente convinti di
obbedire al disegno superiore della volontà divina e che le vittime
sarebbero state accolte in una prateria celeste chiamata la Casa del
Sole, per reincarnarsi dopo quattro anni sotto forma di colibrì o
farfalle. Credevano addirittura di fare l’interesse anche dei
popoli da cui prendevano i prigionieri da sacrificare, perché
ritenevano di assumersi responsabilmente il compito di impedire la
distruzione del mondo. I Mexica si erano convinti del tutto che i
sacrifici umani servissero a placare gli dèi e ottenerne il favore
un secolo prima, dopo aver avuto l’impressione che avessero messo
fine a un periodo di calamità e carestie protrattosi per quattro
anni e da allora ne avevano incrementato enormemente il numero.
In
Lilith n°13, la protagonista deve comportarsi proprio come i Mexica
per salvare l’umanità. Non potendo individuare con precisione il
parassita alieno a cui dà la caccia, qui è infatti Lilith a
compiere l’asportazione del cuore di centinaia di prigionieri
spagnoli, portati ancora vivi in cima al teocalli di Tenochtitlán.
Era questa una tecnica che i Mexica appresero dai Toltechi due secoli
prima e che attuarono davvero anche su alcune decine di Spagnoli,
catturati sia durante la cacciata di Cortés che nel successivo
assedio di Tenochtitlán.
Per
estrarre gli organi cardiaci, Lilith, per nulla entusiasta di ciò
che fa ma che come gli antichi Messicani ritiene d’esservi
costretta per un bene superiore, non usa la tradizionale lama di
pietra vulcanica ma solo i propri affilatissimi artigli, dimostrando
ulteriormente ai Mexica di essere davvero la dea fatta di ossidiana.
Tra
l’altro vediamo qui la pratica rituale più comune usata nei
sacrifici umani aztechi, con quattro o cinque sacerdoti che tenevano
la vittima per le braccia e le gambe, mentre un altro ne asportava il
cuore. Anche il modo di raffigurare i sacerdoti, con lunghi abiti
di panno nero e capelli molto lunghi e arruffati, è
fedele a come li descrive Bernal Díaz, come il fatto che erano
macchiati di sangue. Un dettaglio che Enoch interpreta
disegnandoli con la pelle interamente nera, come fossero ricoperti di
sangue rappreso dalla testa ai piedi.
Dovendosi
procurare sempre nuove vittime sacrificali, i Mexica non concepivano
un conflitto a oltranza con cui sterminare i nemici fino all’ultimo
e, per gli stessi motivi, anche gli altri popoli messicani tendevano
a catturare i nemici vivi anziché ucciderli in combattimento, il ché
era un altro vantaggio per i soldati europei.
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Pietra della dea Coyolxauhqui (pag. 119) |
È
più dubbio se gli Spagnoli, nel compiere i loro massacri, pensassero
davvero di fare la volontà del loro dio, nel cui nome certi loro
sacerdoti insegnavano che era lecito uccidere i non cristiani, come
fa anche in questa storia un frate al seguito dei conquistadores. Se
i Mexica erano convinti di uccidere per nutrire degli dèi con cui
avevano instaurato un rapporto di dipendenza reciproca, gli Spagnoli
sostenevano di uccidere per la vanagloria di un dio che non aveva
bisogno di niente e di nessuno, ma che secondo loro voleva essere
considerato l’unico a costo di far massacrare chiunque non credesse
in lui, affinché l’intera umanità, ovvero quella superstite, gli
si sottomettesse e gli obbedisse. Come qui dice Lilith a Motecuhzoma,
mentre i Mexica, come gli antichi Romani, almeno rispettavano le
culture e le religioni dei popoli che sottomettevano, accogliendone
gli dèi nel loro pantheon e imponendo solo dei tributi, il dio degli
Spagnoli e di altri popoli monoteisti prima di loro, esprimeva una
precisa volontà di distruggere ogni cultura diversa sostituendola
con la propria. Tale religione era usata come una scusa per acquisire
ricchezza e potere a scapito di altri popoli.
Era
in particolare ridicolmente arrogante la pratica del requerimiento,
l’ingiunzione di cui i soldati spagnoli davano lettura, come
si vede anche nell’albo, per sostenere le pretese del papa e dei re
di Spagna di avere ogni diritto di dominio su quelle terre, prima di
attaccare e massacrare senza pietà le popolazioni locali.
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La pietra della dea Coyolxauhqui nella realtà |
Nella
realtà storica, con tale estrema e opportunistica ipocrisia, gli
Spagnoli colonizzarono tutto il Messico ribattezzandolo Nuova Spagna
e sottomettendo quel milione di indigeni che di lì a un secolo
sopravvisse alla strage, sia con la forza che col condizionamento
della loro religione incentrata non a caso sull’obbedienza e la
rassegnazione. I pochi superstiti di quei popoli che giustamente
avevano voluto ribellarsi al duro dominio azteco, nel cambio quindi
non guadagnarono granché, a parte la fine del rischio di poter
essere sacrificati...
Forse
i Mexica sopravvissuti trovarono nella comunione cattolica un
soddisfacente sostituto simbolico del cannibalismo rituale, che
secondo alcune testimonianze praticavano e a cui saggiamente Enoch fa
solo un vago cenno, poiché in merito ci sono varie opinioni e non è
del tutto sicuro in cosa consistesse esattamente.
Anche
il fatto che forme di battesimo e confessione fossero già presenti
nella religione mexica, o che il luogo di culto dell’antica Dea
Madre Tonantzin sia stato semplicemente “re-interpretato” come il
santuario cristiano della Vergine di Guadalupe, dovettero attenuare
il trauma culturale e facilitare il nuovo indottrinamento religioso.
Ma il motivo principale per cui molti superstiti dei popoli del
Messico accettarono di convertirsi in massa al Cattolicesimo fu un
altro. Credevano ingenuamente che quelle potenti divinità, che ai
loro occhi avevano assicurato la vittoria agli invasori bianchi,
avrebbero potuto in futuro favorirli allo stesso modo.
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Lilith come dea azteca (pag. 74) |
Ovviamente
non andò così. Dopo la conquista gli indios furono relegati alla
più bassa condizione subalterna di asservimento. L’inevitabile
mescolanza tra loro e gli spagnoli generò la classe intermedia dei
meticci, ma per quattro secoli il potere restò in mano ai bianchi
d’origine europea, ovvero ai creoli tra cui la componente meticcia
era meno evidente. Dopo la rivoluzione del 1821, che portò
all’indipendenza dalla Spagna, il paese riprese l’antico nome di
Mexico, ma per i veri discendenti dei Mexica e altri popoli antichi
non cambiò nulla.
Le
cose iniziarono a migliorare per gli indios, che nonostante tutto
sono riusciti a conservare parte della loro cultura e tradizioni,
dopo la rivoluzione del 1910. Solo allora furono riconosciuti i loro
diritti civili e la loro dignità di popoli, che oggi costituisce per
il Messico una ricchezza e una fonte di coesione nazionale.
Questo
racconto immaginario, in cui le cose vanno ben diversamente, può
essere visto come una simbolica rivalsa dei Nativi Americani rispetto
alle enormi ingiustizie da loro subite per secoli nella realtà,
mentre nell’economia interna alla serie di Lilith, l’episodio
potrebbe addirittura contribuire a cambiare radicalmente la Storia
futura dell’intero pianeta, come potremo verificare leggendo i
numeri successivi.
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Lilith n. 13, novembre 2014. Disegno di Enoch |
Lilith 13
LA
GUERRA DEI FIORI
Novembre 2014
pag. 128, € 4,00
Testi, disegni, copertina e rubriche: Luca Enoch
Formato:
128 pagine in bianco e nero
Andrea Cantucci
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina"Nella realtà storica invece la caduta di Tenochtitlán fu uno dei primi atti dell’immenso massacro, compiuto nel nome del dio e dei re di Spagna, che in un secolo eliminò qualcosa come ventiquattro milioni di persone nel solo Messico."
RispondiEliminaUn momento. La maggior parte dei 24 milioni di morti citati fu causata dallo "shock virale", cioè dalle malattie - vaiolo, polmonite, influenza, morbillo ecc. - portate dagli Spagnoli, contro le quali - come viene detto più avanti - gli indios non avevano difese immunitarie. Pertanto, solo una minima parte di queste morti è imputabile all'uccisione diretta da parte dei conquistatori. E' inesatto, quindi, parlare di massacro. I massacri veri e propri si ebbero nei primi anni della conquista, ma in seguito - in Messico, così come nel Perù sottomesso da Pizarro - furono, per l'appunto, batteri e vrus a decimare le popolazioni indigene. A loro volta, i colonizzatori pagaraono anch'essi un alto tributo di vite alle malattie contratte in loco.
"Se i Mexica erano convinti di uccidere per nutrire degli dèi con cui avevano instaurato un rapporto di dipendenza reciproca, [...]"
Ma questo non giustifica certo l'orrore dei sacrifici umani (peraltro, i corpi dei sacrificati venivano poi fatti a pezzi e mangiati con granoturco bollito). Il fatto che i Mexica credessero in buona fede che, senza sacrifici, il mondo sarebbe finito, può giustificare le migliaia, o forse i milioni, di cuori strappati nel corso dei secoli anteriori alla conquista? In caso affermativo, allora si possono giustificare anche i massacri compiuti dagli Spagnoli: anch'essi, infatti, genuinamente convinti che i Mexica adorassero Satana.
E' piuttosto evidente, qui, il "doppiopesismo" di Enoch: da una parte, Aztechi che erano sì sanguinari, ma solo perché convinti di adempiere alla volonta dei loro dei; dall'altra, Spagnoli non solo sanguinari, ma pure ipocriti. Una visione, questa, faziosa e anche disonesta.
"Come qui dice Lilith a Motecuhzoma, mentre i Mexica, come gli antichi Romani, almeno rispettavano le culture e le religioni dei popoli che sottomettevano, accogliendone gli dèi nel loro pantheon e imponendo solo dei tributi,[...]"
Una dominazione poco oppressiva, quindi, quella dei Mexica. Eppure, in un passaggio precedente di questa stessa recensione si legge: "i Tlaxcaltechi, così come i Totonechi, gli Otomi, i Tepanechi e gran parte degli altri popoli del Messico, erano stanchi di subire le pesanti vessazioni dell’impero mexica.".
Pesanti vessazioni, Andrea, non "solo dei tributi". Se la dominazione azteca non fosse stata veramente insopportabile, i suddetti popoli ci avrebbero pensato due volte prima di allearsi con Cortés.
"Tale religione era usata come una scusa per acquisire ricchezza e potere a scapito di altri popoli."
Non credo che le cose stessero davvero così. Certamente, la bramosia di oro giocò un ruolo importante nella conquista, ma gli Spagnoli dell'epoca erano animati da un autentico fervore religioso. Per loro, la religione non era affatto una scusa, ma una cosa molto seria, così seria che non esitavano a uccidere chi non si convertiva. Insomma, non si può liquidare tutto con il desiderio di ricchezza e potere, tanto più se pensiamo che la regina spagnola Isabella di Castiglia aveva veramente a cuore la sorte dei popoli conquistati, come testimonia il "codicillo" che, nel 1504, essa aggiunse al suo testamento.
Grazie della costruttiva critica. Per rispondere ci vorrebbe un altro articolo. Vado con ordine:
Elimina1- La parola massacro è impropria ma non immotivata. Dopo México caddero altre città con scontri sostenuti da alleati indios, quindi gli Spagnoli fecero massacrare a vicenda i vari popoli. Il paese fu invaso da avventurieri senza scrupoli. Le guerre provocarono carestie e contribuirono a diffondere le epidemie. Moltissimi indios, resi schiavi, morirono di stenti per lavori massacranti in piantagioni e miniere. Gli ultimi a resistere per oltre un secolo furono i Maya, quindi le stragi non si limitarono ai primi anni. Per riassumere non ho trovato parola migliore di massacro, ma accolgo l'obiezione. E' vero che in gran parte non furono uccisi dagli Spagnoli con le loro mani. Modificherò la frase.
2-Ha ragione a far notare che gli Aztechi non erano santi. Non giustifico né sacrifici umani, né cannibalismo, né altre violenze. La frase citata non voleva approvare le uccisioni azteche ma paragonarle a quelle spagnole, la cui violenza anche religiosa non era da meno. Ho tentato di capire di più gli Aztechi perché è una cultura diversa. I motivi spagnoli ci sono chiari e rischiamo di non vedere che erano anch'essi discutibili. Le atrocità di un popolo non giustificano quelle di un altro popolo, ai danni anche di chi i sacrifici umani li subiva. E non è forse ipocrita compiere crudeltà altrettanto spietate dicendosi portatori di una religione più umana e altruista?
Quanto a Enoch, le sue simpatie andranno agli Aztechi, ma non c'è nulla di poco plausibile nella sua ricostruzione. Non mostra i dettagli più orripilanti dei riti aztechi, ma anche i massacri spagnoli sono solo accennati, entrambi smorzati rispetto al vero, credo per autocensura.
3-Il contrasto tra le espressioni citate è solo apparente. Le vessazioni azteche erano davvero meno invasive di quelle spagnole. Va distinto tra i nemici a cui rapivano i prigionieri da sacrificare e le province che pagavano tributi, anche pesanti, in alimenti e beni pregiati. Ogni provincia manteneva la sua cultura, i suoi dèi, le sue leggi, i suoi capi, i suoi guerrieri, con autonomia politica e giuridica interna. Per questo fu loro facile ribellarsi. Se quello azteco fosse stato un vero impero e non solo un'alleanza forzata, non sarebbe crollato così presto. In effetti, prima di cambiare il dominio azteco con quello spagnolo gli indios avrebbero dovuto pensarci due volte, ma non lo fecero. Non capirono che la caduta di México sarebbe stata anche la loro e che gli Spagnoli avrebbero distrutto e assorbito la loro cultura.
4-Non volevo certo dire che la religione fosse solo una scusa per arricchirsi per ogni spagnolo sbarcato in Messico. Ho anche scritto che credevano alla loro religione. Ma tanti di quei pii cristiani occuparono terre eliminando o schiavizzando chi le abitava prima. Che la loro religione tacitasse le coscienze rispetto al fato di chi non la condivideva mi pare evidente. L'ambiguo e ipocrita motto della conquista era "A Dio le anime, la terra al Re". Infatti le anime di tanti indigeni furono mandate a "a Dio" perché il re o chi per lui si appropriasse delle terre. Altri indios saranno stati trattati in modo più umano proprio su ispirazione dei precetti cristiani, ma sempre a patto che si convertissero e si sottomettessero.
Grazie ancora dell'interessante commento,
Andrea Cantucci