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domenica 22 giugno 2025

STORIA AMERICANA - FABIO FERRARI: "MYTHS AND COUNTER-MYTHS OF AMERICA" - RECENSIONE DI RICCARDO ROSATI

di Riccardo Rosati

I nostri lettori sono abituati da anni, grazie soprattutto all'opera del nostro amico e collaboratore Wilson Vieira, agli articoli di storia americana; l'America, intesa come Stati Uniti, è del resto il panorama, lo sfondo su cui si muovono da decenni la gran parte dei personaggi del fumetto bonelliano. Vediamo adesso, con la recensione di Riccardo Rosati del libro di Fabio Ferrari "Myths and Counter-Myths of America" (Longo Editore - Ravenna, 2009) apparsa originariamente su "Rivista di studi italiani", una lettura più accademica di un aspetto particolare dei rapporti fra Italia e USA: la nostra percezione del "mito americano". Buona lettura! (s.c. & f.m.)


Il libro in questione, come viene anche chiarito nelle prime pagine, rivela, per schematicità e coerenza scientifica, una impostazione tipica delle tesi di Ph.D. Lo studio proposto da Ferrari consiste nella esplorazione delle rappresentazioni letterarie e cinematografiche dell’America prodotte in Italia nel Ventesimo Secolo. L’argomento in oggetto, benché vasto e complesso, viene trattato dall’autore con precisi e puntuali riferimenti critici, i quali vengono elaborati in modo armonioso, in una ricerca a cui non sfugge mai la coerente difesa della propria tesi di base: l’anti-americanismo non è certo un fenomeno ormai sparito e non ha in Italia una matrice politica unica. Tesi portata avanti con convinzione da parte di Ferrari, che sostiene come non vi sia alcuna prova della esistenza di una coerente agenda politica in Italia nella creazione del cosiddetto antiamericanismo. Quest’ultimo andrebbe invece ascritto alla particolare natura conservatrice delle élite culturali italiane, per i quali la moderna e vorticosa evoluzione della società statunitense ha sempre rappresentato un pericolo per il mantenimento del proprio status quo.
Quasi subito, l’analisi pone l’accento sul fatto che in Italia esista una visione stereotipata dell’America che spesso prende forma nella mente del viaggiatore del Bel Paese, migrante per necessità o intellettuale in soggiorno studio, addirittura prima che si rechi negli Stati Uniti:

It is thanks to America’s apparent familiarity that a first-time visitor to the United States brings with him/her an extensive and, usually, quite sophisticated set of preconceptions about what s/he hopes to encounter there”. (p. 11).

 





Prendendo le mosse da una disamina del pensiero negativo di Gramsci sulla società statunitense, a cui si rifarà il ramo conservatore della sinistra italiana, l’autore dimostra in tal modo come il counter-myth americano non sia ascrivibile esclusivamente al regime fascista. Difatti, quello che ha da sempre fatto credere che la lotta alla cultura americana fosse solo appannaggio della estrema destra nostrana è stato l’entusiasmo degli intellettuali di sinistra per un preciso e travagliato momento della storia americana, ovvero il New Deal roosveltiano: considerato di grande importanza per l’interesse mostrato da un governo di stampo capitalista verso il benessere del cittadino. Questa dinamica svolta nella società statunitense ha fatto sì che il New Deal diventasse per una parte della sinistra un autentico mito rivoluzionario, dunque un vessillo culturale da opporre al fascismo:

[...] to describe Americanization as a necessary popular insurrection against Italy’s false idols and elitist superstructures. (p. 31).

La forte critica che Ferrari fa all’immagine dell’America, specialmente a quella che negli Anni Trenta e Quaranta avevano sia gli intellettuali vicini al regime che quelli formatisi nelle file della resistenza, prosegue nell’individuare in questa visione stereotipata elementi talvolta persino parossistici, come la tendenza presente in vari scrittori-viaggiatori italiani a paragonare i grandi agglomerati urbani di città come Chicago a giungle irte di pericoli.
Un buon numero di autori vengono analizzati nel testo. Tuttavia, sono le pagine dedicate a Cesare Pavese e Elio Vittorini a suscitare il maggiore interesse per lo studioso, trattandosi di due romanzieri ben presenti nella critica letteraria accademica. Gli scritti presi in considerazione sono quelli che i due autori dedicano all’America. A dire il vero, sarebbe stato ancora più stimolante se fosse stato anche presente un resoconto altrettanto dettagliato degli scritti del celeberrimo discepolo di Pavese e Vittorini: Italo Calvino che, come è noto, dedicò pagine importanti alla società statunitense (1).


Elio Vittorini



A Vittorini, più che a Pavese, vengono rivolte le “accuse” di maggior peso, stigmatizzandone la visione strumentale dell’America presente nella sua opera Americana. Al celebre scrittore siciliano non viene nemmeno risparmiato il fatto di essere stato simpatizzante del regime fascista. Proprio intorno alla critica a Vittorini, Ferrari propone le sua tesi più incisiva, a tratti anche giustamente provocatoria, gettando luce sulla mancanza di onestà dimostrata in più di una occasione dalla critica militante:

[...] critics have always assumed [...] that Vittorini’s interest in America stands in diametric opposition to the politics and ideology of Fascism, the truer meaning of Americana as a creative extension of the author’s Fascist credo has never been considered until now (p. 115).

Ferrari mostra inoltre di aver ben compreso come il mito americano sia ancora oggi visto in Italia come un suggestivo viaggio culturale di una intera generazione che poneva la propria dignità nell’opposizione al fascismo, non solo politicamente e civilmente, ma anche proclamando quel valore irrinunciabile di libertà di cui il mito americano è il simbolo principale dal secondo dopoguerra in poi. Peccato però che quella stessa generazione abbia in più occasioni rivelato un atteggiamento alquanto contraddittorio, che per Ferrari è da imputare a una causa ben poco edificante per un qualsiasi intellettuale, ma che purtroppo ha unito, seppur involontariamente, esponenti della cultura di destra e di sinistra in Italia: il consolidamento del potere costituito. L’introduzione del modello americano da noi avrebbe per prima cosa annientato gli intellettuali conservatori, la cui fine, come in un “effetto domino”, avrebbe avuto quale risultato quasi immediato anche l’indebolimento della sinistra, costretta a colmare un vuoto che in Italia non può non essere riempito che da una politica di stampo tradizionale, perciò poco incline al cambiamento.

Fernanda Pivano



La principale abilità di Ferrari sta nell’aver chiarito l’importanza, sin da prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, per la parte progressista degli intellettuali del nostro paese di quello che egli stesso definisce più volte the anti-Fascist value of the American trope (p. 113). Nel testo vengono a tal proposito puntualmente riprese le parole di Fernanda Pivano, attenta osservatrice della società americana contemporanea, che riteneva che l’idealizzazione dell’America roosveltiana, con il portato del suo New Deal, fosse una autentica espressione di antifascimo. La continua manipolazione di questo mito ha però permesso che si venisse a creare negli anni una immagine dell’America in buona parte falsata da un eccessivo entusiasmo progressista (lo stesso che ha gridato immediatamente al miracolo con l’elezione di Barack Obama) o dalla interpretazione surrettizia di un ambiente culturale conservatore. Questa prima importante conclusione getta le basi per una seconda interpretazione della mitologia americana, sarebbe a dire che il problema non è tanto quello di connotare o meno la società statunitense con un valore progressista, ma la necessità da parte degli intellettuali e degli artisti italiani di dimostrarsi maggiormente responsabili, evitando di banalizzare questa cultura:

For as long as I can remember, I feel as if I have been trying to persuade my Italian compatriots that a thing such as American culture does, indeed, exist. (p. 7)

Da Gramsci, Ferrari mutua anche l’interesse rivolto al ruolo svolto dai mezzi di informazione culturale (segnatamente il cinema e la letteratura) nella creazione di una determinata opinione nelle masse. Tale opinione, nel nostro caso, vede una America quasi demonizzata dagli scrittori italiani degli Anni Trenta, in cui ricorre spesso, ad esempio, il tema del “vuoto”:

All in all, the description of the United States offered by Italian travellers of this period cannot be defined as a negative portrayal of America but rather, I believe, should be viewed as allegorical renderings representing negation itself. [...] America will be remembered as remarkable country of illusion that promises everything and, in the end, symbolizes the very essence of nothingness. (p. 31)

Una sezione leggermente meno corposa, seppur altrettanto interessante, dello studio è dedicata a come il cinema italiano del dopoguerra ha rappresentato, specialmente nei suoi personaggi femminili, il pericolo della americanizzazione della società italiana. Pellicole di grande successo come Paisà (1946) di Roberto Rossellini, Bellissima (1951) di Luchino Visconti e La dolce vita (1959) di Federico Fellini rivelano tutte una certa apprensione per una perdita morale e culturale dei valori tradizionali. Questa parte dell’analisi, più che indagare in modo approfondito la Settima Arte e le miriadi di modi in cui essa ha interpretato l’America e il suo mito, serve principalmente all’autore per arricchire la propria tesi di elementi nuovi, ma pur sempre inseriti nelle argomentazioni che egli porta avanti sin dall’inizio del testo.





Dalle pagine di questo libro vien fuori che la costruzione del counter-myth americano è un fattore di continuità nella cultura italiana, forse addirittura l’unico, dagli Anni Trenta in poi; frutto della vocazione quasi reazionaria di un paese che sappiamo vecchio e restio al cambiamento:

I claim [...] that a common Italian impulse towards cultural defensiveness, and clearly not a common political agenda, is more likely to explain the striking parallel arising in the negative Italian allegorical treatment of the American symbol, prior to and following World War II. (p. 152)

Concludendo, il myth americano ha per Ferrari una valenza in parte positiva, opposto al counter-myth: totalmente falso e generato da faziose interpretazioni cinematografiche e letterarie. In effetti, più che uno studio sul mito americano, questa sembra più una analisi sull’anti-mito legato a questo paese e le sue concause. Sorprende piacevolmente notare come nelle ultime pagine l’autore decida di passare a un tono decisamente confidenziale, che stride con alcuni gradevoli barocchismi della sua scrittura.
Forse l’unico lato poco convincente di una ricerca seria e originale come questa, lo si trova nello slittamento finale della analisi dal suo naturale contesto critico a uno decisamente più politico, legato all’escalation terroristica degli ultimi anni e a quello che l’autore percepisce come un crescente sentimento anti-americano nella massa italiana.





Myths and Counter-Myths of America è una opera coinvolgente, specialmente per uno studioso, grazie allo stimolante dibatto che suscita pagina dopo pagina. Fabio Ferrari dimostra di sentirsi figlio di entrambe le culture di cui scrive e non nasconde di soffrire per quei preconcetti antiamericani che persistono nella cultura italiana da decenni. Come detto, tale coinvolgimento lo spinge talvolta un po’ in là, cercando in parte di legare le sue tesi ai tragici avvenimenti che hanno scosso il mondo dal 2001 in poi. Questo avviene principalmente nella sua lettura delle ultime battaglie tra la giornalista Oriana Fallaci e gli intellettuali di sinistra del nostro paese:

Fallaci [...] broke her decade-long silence for what, beyond all her arrogant posturing, essentially amounts to an impassionate call to Italians to take sides against America’s aggressors and interrupt a dangerous trend [...] which seeks to bypass diametric terms of cultural and moral judgement such as civilized and uncivilized, superior and inferior, or good and evil (p. 189).

Ciononostante, anche in questo caso lo studio di Ferrari si rivela per quello che è: una franca, attenta e coraggiosa presa di posizione di un intellettuale, cosa che purtroppo al giorno d’oggi non capita di frequente.


Riccardo Rosati

__________

NOTE

(1). Molto famosi sono i suoi “taccuini” di viaggio in USA e URSS. Sullo sguardo in Calvino associato a un discorso politico e antropologico legato a questi testi, leggere l’interessante articolo di Catharine Mee The Myopic Eye: Calvino’s Travels in the USA and the USSR, The Modern Language Review, Vol. 100, n.15 (ottobre 2005), pp. 985-99.

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