a cura di Elio Marracci
L'autore
con cui dialoghiamo oggi, Mario Rossi in arte Majo, è nato a Brescia
il 31 gennaio 1963. Formatosi
come altri futuri colleghi alla scuderia del disegnatore argentino
Rubèn Sosa, nel 1991 esordisce sulle pagine di “Full Moon
Project”, della Eden/Center TV, di cui disegna il terzo episodio, Bambole, e realizza le matite del quinto, Il ponte di
Angoulême. Nel
1993 presta collaborazione alla Star Comics, disegnando l’episodio Operazione Goliath scritto da Stefano Vietti per la serie “Lazarus Ledd”,
creata da Ade Capone. Nel
1994, insieme con il gruppo di fumettisti bresciani con il quale
collabora, riceve l’incarico dalla casa editrice perugina di creare
“Hammer”, una nuova testata fantascientifica.
|
Majo, da "Tex Willer Blog" |
Disegna
e partecipa alla scrittura del primo albo, che anticipa di qualche
anno temi solo in seguito approfonditi e rilanciati da cinema e
letteratura. Alla
chiusura prematura di “Hammer”, Majo viene arruolato in forza
alla Sergio Bonelli Editore dove viene coinvolto nel "progetto Dampyr",
divenendo il characters-designer dei personaggi principali e degli
antagonisti e definendone gli stilemi visivi fortemente realistici. Otre
che con Bonelli, ha collaborato alla realizzazione di serial, destinati
al mercato francese, pubblicati dalle editrici Soleil e Glénat. È
anche autore dei disegni del "Texone" dal titolo I Rangers di
Finnegan, uscito il 20 giugno 2018 nelle edicole e nelle fumetterie
italiane.
DIME WEB - Per
i lettori che non ti conoscono potresti presentarti? In
due parole chi è Mario Rossi in arte Majo?
MAJO - Ho
cinquantacinque anni, ho moglie e un figlio di dieci anni e vivo in
provincia di Brescia. Ho un diploma artistico e dopo la scuola ho
iniziato a lavorare in pubblicità fino al 2000, quando ho
abbandonato l’attività per dedicarmi completamente al fumetto, di
cui mi occupavo già dal 1991.
|
Rubén Sosa |
DW - Come
si è sviluppata in te la passione per il disegno?
MAJO - È
il cosiddetto “dono di natura”. Ho sempre coltivato la passione,
sin da piccolo.
DW - Quando
hai deciso che saresti diventato un fumettista?
MAJO - È
successo verso la fine degli anni '80, mentre frequentavo la Scuola
di Fumetto di Brescia del compianto autore argentino Rubén Sosa.
Grazie a lui ho capito che avevo le attitudini necessarie per
affrontare la carriera fumettistica. Al resto ci hanno pensato una
serie di fortunate coincidenze.
DW - Hai
lavorato sia per il mercato italiano, sia per quello estero, in
particolare quello francese. Quali
analogie e quali differenze hai trovato fra i due ambienti?
MAJO - In
realtà le mie esperienze sul mercato francese si riducono solo a
quattro progetti, troppo poco per avere un'idea generale sufficiente
a evidenziare eventuali analogie e differenze. Ho potuto solo
constatare che in Francia il fumetto è considerato, di norma, al
pari di altre arti, come la letteratura o la pittura, che in Italia
vengono ancora ritenute “più nobili”. Inoltre, un aspetto
puramente tecnico, nel fumetto francese si prediligono i campi
lunghi, piuttosto che i primi piani sui personaggi, come nella
tradizione italiana o americana.
DW - Le
prime serie a fumetti che ti vedono come componente del team di
autori che le ha realizzate sono state “Full Moon Project” edita
dalla Eden e “Hammer” pubblicata da Star Comics. Come
mai hai pensato che fosse meglio esordire in gruppo?
MAJO - Non
l’ho pensato affatto. Come membro della compagnia di ragazzi uniti
dalla stessa passione, usciti dalla scuola di Fumetto, ho partecipato
a quello che è stato il mio/nostro primo progetto. L’aderirvi è
stata una cosa del tutto naturale, coinvolgente ed entusiasmante.
DW - Sia
“Full Moon Project” che “Hammer” sono state ottime serie. Cosa
secondo te non è andato come avrebbe dovuto portandole ad una
chiusura prematura?
MAJO - Con
il primo progetto, eravamo esordienti chiamati a gestire una serie in
quattro e quattr’otto, con il supporto alquanto altalenante della
casa editrice. Sicuramente l’inesperienza è stata penalizzante.
Ciò nonostante il lavoro prodotto aveva rafforzato il collante del
gruppo, permettendoci di presentarci e inserendoci sul mercato, prima
alla spicciolata con alcune esperienze singole, poi nuovamente
insieme con "Hammer", un serial strutturato che poteva benissimo
competere con le testate concorrenti della Bonelli. Purtroppo le
vendite non ci ripagarono delle buone intenzioni e fummo costretti a
chiudere.
DW - A
conferma di quello che ho affermato precedentemente, “Hammer” è
stato ristampato nel 2014, in volumetti con nuove copertine, da
Mondadori Comics. Che
effetto ti ha fatto rivedere questo lavoro pubblicato nuovamente dopo
più di vent'anni?
MAJO - La
fiamma si è riaccesa per un attimo e per poco si è vagheggiato di
alimentarla, ma le insondabili alchimie editoriali ci hanno riportato
alla realtà, complici anche i vari impegni professionali di ognuno
di noi, con carriere ormai avviate su percorsi paralleli, ma diversi.
DW - Dopo
l'esordio con Eden e la parentesi Star Comics, sei diventato un
collaboratore di Sergio Bonelli Editore dove attualmente sei a lavoro
sulla serie "Dampyr". Puoi
raccontarci come sei arrivato in via Buonarroti?
MAJO - Attualmente,
in realtà, non faccio parte effettivamente di uno staff, e questo mi
piace. Diciamo che saltabecco fra "Dampyr" e "Tex". L’arrivo in Bonelli
lo devo a Mauro Boselli. Era il '97 e dopo aver effettuato alcune
prove per "Zagor", Mauro mi ha affidato la realizzazione degli studi
del nuovo personaggio creato in coppia con Maurizio Colombo, che nel
2000 sarebbe uscito in edicola col nome di "Dampyr". Da quel momento ho
realizzato per la serie sedici albi e ho collaborato ultimamente per
un numero corale disegnando una ventina di pagine.
DW - In
Bonelli lavori a stretto contatto con Mauro Boselli. Visto
che lo conosci bene, puoi raccontarci un aneddoto su questo gigante
della cultura fumettistica italiana?
MAJO - Mauro
Boselli è uno straordinario autore, con una spaventosa cultura non
solo fumettistica. Si dedica al suo lavoro senza risparmio e pretende
la stessa attenzione dai suoi collaboratori, ma è anche un uomo di
cuore che non dimentica mai di avere a che fare con delle persone,
prima che con professionisti. Non ho aneddoti particolari che possano
descrivere meglio di così un amico e stimato collega.
DW - Sei
autore del "Texone" uscito in edicola e in fumetteria il 20
giugno 2018. Come
è stato confrontarsi con il personaggio principe della nona arte
italiana?
MAJO - Disegnare
il genere western è stato il mio più grande desiderio fin dagli
inizi della mia carriera. Dopo venticinque anni sono stato esaudito
rappresentando il personaggio principe del panorama fumettistico
italiano. Mai me lo sarei aspettato quando ho iniziato a leggerlo da
ragazzino. È stato un lavoro molto impegnativo, durato tre anni e
mezzo, ma sono felice di averlo affrontato con la maturità
necessaria, non solo nella tecnica, ma soprattutto nella testa. Ho
rappresentato infatti un West meno carico di cliché che
probabilmente avrei usato in età giovanile.
DW - Nel
tuo accostarti al personaggio ti sei rifatto ad un modello preciso?
MAJO - Sì! Per
costruire i miei personaggi ho sempre adottato lo stesso metodo:
ispirarmi a modelli reali. Questo, per quanto mi riguarda, per
preservarmi il più possibile dal rischio di realizzare un parco di
“personaggi tipo” che ruotano nel tempo, finendo inevitabilmente
per assomigliarsi. Basandomi invece su uno o anche più modelli di
riferimento riesco a costruire dei protagonisti sempre originali,
unici e a tutto tondo.
DW - C’è
un’altra testata bonelliana per la quale non hai mai lavorato e che
ti piacerebbe disegnare?
MAJO - Mi
piacerebbe realizzare un progetto personale per “Le storie”, la
testata curata da Gianmaria Contro, e non è detto che prima o poi
non provi a propormi.
DW - Quali
sono gli artisti che ti ispirano?
MAJO - Tutti
e nessuno, nel senso che sono un grande ammiratore del segno, del
disegno e della scrittura, più che dell’autore, che si tratti di
arte figurativa, compresa la fotografia, o letteraria. Potrei
citarti, così sulle prime, ma solo indicativamente, artisti come
Hermann e Frazetta, Caravaggio e Hopper, oppure Curtis e Avedon.
DW - Hai
lavorato su storie di vario genere tra cui horror, fantascienza,
western. Questo
mi dà lo spunto per chiederti: quali sono i generi prediletti da
Majo?
MAJO - Inizialmente
il western. Diciamo, adesso, lo storico con tutte le sue varie
declinazioni. A parte questo, come tu hai giustamente notato, non è
mai stato il genere a crearmi particolari problemi. La
sperimentazione è sempre fonte di arricchimento. Facendo un
parallelo con il cinema, ad esempio, amo e ammiro i registi che si
sono cimentati in vari generi, anche se con risultati non sempre
brillanti.
DW - C'è
un motivo particolare per cui firmi i tuoi lavori con uno pseudonimo?
MAJO - Quando
ero ragazzo tutti i miei amici avevano un soprannome tranne me. Mi è
sempre rimasto il singolare desiderio di averne uno, così me lo sono
inventato e l’ho adottato come firma.
DW - Esiste
una pubblicazione o un personaggio, anche non disegnato da te, che
hai amato sopra ogni altro?
MAJO - Quando
ero ragazzo andavo pazzo per “La storia del west” di Gino
D’Antonio e per gli acquerelli di Remington.
DW - Quali
fonti usi per documentarti?
MAJO - Prima
dell’avvento di Internet, pescavo fra libri illustrati e
fotografici, riviste di moda e specialistiche, monografie di artisti
di vario genere, foto di amici che si prestavano a fare da modelli e,
soprattutto, autoscatti al sottoscritto. Ora Google ha facilitato
enormemente la ricerca, anche se, per approfondire, non ho trovato
ancora nulla che sostituisca una buona pubblicazione cartacea.
DW - Oltre
ai libri e ai fumetti che sicuramente userai per documentarti, quali
altre letture fai?
MAJO - Leggo
veramente di tutto e dipende spesso dal lavoro che sto facendo. Se mi
volto a dare uno sguardo ai miei scaffali, riesco a decifrare Conrad,
Flaiano, Saviano, Wallace, Stevenson…
DW - Sei
un disegnatore metodico che lavora a orari stabiliti, oppure sei uno
di quelli che si alza di notte a disegnare perché ti è venuta
l’ispirazione?
MAJO - Sono
abbastanza metodico, ma soprattutto lento, e quando arriva il momento
della consegna qualche notte ci scappa inevitabilmente.
DW - Come
si svolge la tua giornata tipo?
MAJO - Essendo
il programmatore del mio lavoro, non ho altri obblighi da rispettare
se non i termini di consegna, per cui gestisco le giornate come mi fa
comodo, secondo i diversi impegni extralavorativi.
DW - Quanto
di te c’è nel tuo lavoro? Quanto
di quello che ti circonda? Quanto
d'inventato?
MAJO - Tutto
ciò che hai menzionato c’è nel mio lavoro; in che misura non te
lo so definire, ma sono convinto che sia così anche per tutti i miei
colleghi, è inevitabile. Il nostro lavoro è quello di trasmettere e
suscitare emozioni e ognuno lo può fare solo alla propria maniera,
con le sue conoscenze, la sua sensibilità e la sua fantasia.
DW - È
innegabile il grande successo di autori come Sio e Zerocalcare che
hanno cominciato a farsi conoscere diffondendo i proprio lavori su Internet. Alla
luce di questa considerazione ti chiedo: cosa ne pensi e come vedi
l’utilizzo della Rete nel campo dei fumetti?
MAJO - La
Rete ha fornito a tutti la possibilità di rendersi visibili ed è
perciò un grande vantaggio per chi fa il mio lavoro. Personalmente,
mi limito a frequentarla solo a fini documentativi o d’informazione,
ma ciò non toglie che ne riconosca l’indubbia potenzialità, se
usata nella giusta maniera. È giusto che chi ha iniziativa colga
questa possibilità e la sfrutti per far conoscere le proprie idee e
i propri progetti. Alla fine la Rete non fa regali ma sottostà alle
regole di qualsiasi mezzo di comunicazione, e chi ha qualcosa
d’interessante da dire riesce a ottenere prima o poi la giusta
attenzione.
DW - Da
professionista ormai affermato che consigli daresti a chi si volesse
affacciare al mondo del fumetto?
MAJO - Di
usare tutti i mezzi possibili per poter fare conoscere le proprie
capacità. Di non scoraggiarsi al primo rifiuto. Di ricordarsi che
non c’è nulla di facile, nemmeno il lavoro del fumettista. Di
essere coerenti con i propri obiettivi ma senza pregiudizi di genere.
Di non montarsi mai la testa, una volta raggiunto il traguardo,
perché, in fondo, stiamo facendo fumetti!
DW - A
cosa stai lavorando attualmente?
MAJO - Sto
scrivendo e disegnando una storia breve per il "Color Tex" e poi,
probabilmente, realizzerò l’albo del ventennale di "Dampyr".
DW - C'è
una domanda che non ti è stata fatta alla quale vorresti rispondere?
MAJO - Sì:
Quando pensi che smetterai di fare fumetti? Bada
bene, non è una riflessione effetto di prolungata crisi di mezza
età, tuttavia sono convinto che esiste un punto nella vita di un
disegnatore di fumetti in cui il suo stile raggiunge l’apice, oltre
il quale non ci può essere che un’inevitabile declino. Ecco, a
quel punto, nella piena speranza che favorevoli circostanze me lo
permettano, mi auguro di poter smettere di disegnare, e magari,
chissà, solo scrivere.
a cura di Elio Marracci