di Giampiero Belardinelli
La tradizione del racconto orale ha forgiato la cultura del mondo occidentale, a partire dalle imprescindibili narrazioni omeriche per finire agli altrettanto fondamentali racconti nordici della mitologia norrena. Questo immenso patrimonio è giunto fino a noi grazie all’arte degli amanuensi medievali che, con pazienza certosina, hanno trascritto una buona parte di quelle tradizioni divulgate di bocca in bocca per secoli. Il nostro immaginario – dai film ai videogiochi, dai romanzi ai fumetti – non sarebbe così pregno di rimandi e significati senza l’ancestrale tradizione della mitologia orale. L’idea da cui nasce questo trentunesimo "Maxi Zagor" trae dall’acqua sorgiva delle leggende orali: la Foresta di Darkwood diventa idealmente un personaggio narrante e, come il Barbalbero di tolkieniana memoria, è la memoria vivente di ogni gesto, di ogni nefandezza e soprattutto di ogni eroismo dell’universo zagoriano. Qui di seguito, passo dopo passo, compiremo insieme questo breve viaggio nei Racconti di Darkwood.
I racconti di Darkwood
Burattini e Della Monica confezionano la Cornice che, come un prezioso scrigno, custodisce gioielli inconsueti ma necessari, a dimostrazione di come le formule più antiche possono sempre essere reinventate. I due autori hanno realizzato un episodio funzionale, volutamente classico, a contenere l’intercalare dei cinque racconti. Lo scrittore compie inoltre un omaggio ai principali sceneggiatori dei decenni scorsi, Guido Nolitta e Marcello Toninelli, a cui aggiunge una serie di rimandi e strizzate d’occhio ad alcuni suoi racconti, come per esempio L’abbazia del mistero ("Zagor" nn. 318-320). D’altronde il titolo della Cornice e dell’intera opera si presta a questo gioco citazionistico. Non a caso, il personaggio di Kevin – come scopriamo nel finale a pagina 288 – è il figlio di Eddy Rufus inventore delle Zagor Story, racconti inseriti nel filone fortunato delle ottocentesche dime novel, incentrasti spesso su personaggi storici ma con delle trame a dir poco fantasiose. I racconti contenuti nelle dime novel in un certo senso hanno ripercorso la tradizione della narrazione orale e hanno permesso anche alle persone con scarsa istruzione e ristrettezze economiche di sognare con questa forma di narrazione povera.
Il mio nome è Banak
Il battello degli uomini perduti ("Zagor" nn. 239-241) è l’avventura in cui Marcello Toninelli aveva inserito il personaggio di Banak. In quell’occasione il pellerossa rivelava ai lettori di essere stato un amico fraterno dello Spirito con la Scure prima che il Nostro conoscesse Cico. Questo accenno sulla nascita dell’amicizia tra l’eroe e Banak è rimasto per anni sconosciuto e, in questa occasione, Marcello Toninelli onora una promessa fatta ai lettori raccontandoci finalmente i fatti. Al fianco dello sceneggiatore troviamo il disegnatore Romeo Toffanetti, proveniente dallo staff di Nathan Never. Toninelli ha imbastito una trama solida e lineare, impreziosita da due figure femminili tratteggiate con molta delicatezza. Pur raccontando una classica avventura, Toninelli si sofferma a narrare brevi momenti di vita quotidiana, rifuggendo da abusati cliché. L’intenzione di dare alle avventure un tocco minimalista si notava qua e là anche nel periodo della sua gestione del personaggio, ma non sempre veniva incoraggiata da Decio Canzio e Sergio Bonelli. Occorre dire che oggi la direzione del personaggio è molto più attenta alle sfumature e, se ce ne fosse ancora bisogno, le brevi avventure di questo "Maxi" ne danno ulteriore dimostrazione. L’interpretazione grafica di Toffanetti della Foresta di Darkwood e dei suoi personaggi è molto precisa, non priva di dinamismo e senso dell’inquadratura.
Memorie dal passato
Questo racconto è molto significativo, al di là della sua indubbia qualità perché, per la prima volta, una sceneggiatrice scrive Zagor: Gabriella Contu. Pochi mesi prima della pubblicazione del "Maxi", l’autrice aveva firmato un albo di Dylan Dog, Il terrore (n. 370). Nella storia zagoriana in questione, avvalendosi di una magistrale mezzatinta realizzata da Marcello Mangiantini, la Contu realizza una drammatica ballata sull’assurdità di tutte le guerre, nel cui tragico calderone le persone rischiano di perdere ogni barlume di umanità. Non sarà del tutto così per l’interprete principale dell'episodio, Charles, abbattuto per errore dal fuoco amico. Nella vicenda sembrano risuonare le note della canzone La guerra di Piero di Fabrizio De André, ma anche l’anticonvenzionale messaggio di Gianluigi Bonelli contro i potenti in “guanti bianchi” nell’avventura Tra due bandiere ("Tex" nn. 113-115). Zagor e Cico qui si trasformano idealmente in lettori e affabulatori allo stesso tempo, diventando testimoni nel finale di un rovesciamento di prospettiva: la macabra danza in cui assistiamo nelle sequenze ambientate durante la Guerra di Indipendenza Americana lasciano il posto all’indomito attaccamento alla vita del redivivo e ormai anziano Charles: Oh No, non dovete dispiacervi – afferma l’uomo rivolgendosi all’eroe – Oggi il passato mi ha raggiunto, grazie a voi. E tutto sommato ne sono contento, perché farà parte dell’eredità dei miei nipoti.
Voci sepolte
Le narrazioni proseguono, le atmosfere cambiano e Paolo Di Orazio confeziona un racconto claustrofobico, in cui i nostri eroi vivono una situazione surreale. La vecchia abbazia dove i Nostri trovano rifugio, dopo aver scoperto nei dintorni il cadavere di un frate, è il luogo dell’orrore per eccellenza: passaggi segreti, trabocchetti e apparizioni misteriose strizzano l’occhio ad alcune situazioni simili apparse già nella saga. Ma Paolo Di Orazio non si limita a questo: nel racconto riecheggiano alcune atmosfere dei romanzi di Valerio Evangelisti appartenenti al Ciclo di Eymerich, forse con un più preciso riferimento al romanzo Il castello di Eymerich (2001). Gianni Sedioli, dal canto suo, ha scompigliato la gabbia bonelliana e ha saputo alternare sequenze più narrative ad altre in cui la prospettiva si dilata, simboleggiando con maestria quella percezione alienante voluta dallo sceneggiatore.
Sette passi
Un pistolero imbattibile sfida chiunque possa mettere in discussione la sua presunta superiorità con il revolver: un canovaccio classico della narrativa western - letteraria e cinematografica. Quentin Snake è il protagonista di questo racconto scritto da Luigi Mignacco e illustrato da Dante Bastianoni. L’uomo viene a sapere della fama di Zagor, colui che tiene l'arma al rovescio pur senza essere mancino. Snake viene informato della grande abilità dello Spirito con la Scure e lo sfida a duello; l’eroe inizialmente rifiuta ma per una serie di circostanze è costretto in seguito ad accettare. Mignacco riesce a rivoltare come un guanto questo cliché della Frontiera, realizzando un’avventura ironica e iconica. L’ironia del soggetto è rintracciabile nel modo in cui Zagor prepara e risolve la sfida – i "sette passi" del titolo – distruggendo l’ego dell’avversario che, privo dell’uso della mano destra, da temuto gunman del West diventa un patetico zimbello. Iconica perché Mignacco esalta la personalità dell’eroe, la sua intelligenza, la sua abilità con la scure, il suo carisma. Il lavoro di Dante Bastianoni punta su un montaggio sincopato in cui allo stesso tempo omaggia un evergreen come Mezzogiorno di fuoco (pellicola del 1952 diretta da Fred Zinnemann, con Gary Cooper e Grace Kelly) e, con quelle strettissime zoomate sugli occhi dei duellanti, gli spaghetti-western diretti da Sergio Leone.
Brezza di Luna
Un lavoro al femminile sia per degli straordinari pennelli di Lola Airaghi (prima donna a illustrare Zagor), sia per il tema del racconto. Brezza di Luna subisce la violenza sessuale di uno squallido trapper e, tempo dopo, scopre di essere incinta. Inizialmente la giovane è intenzionata a uccidere l’uomo che l’ha violentata ma poi, nel finale, la ragazza dà alla luce di notte una bimba e, dopo aver reciso il tendine d’Achille del bieco personaggio, decide di lasciarlo in vita. La vicenda orchestrata da Moreno Burattini è un piccolo capolavoro di maturità narrativa: il disegno della Airaghi, con quel potente chiaroscuro, racconta un dramma umano, una vicenda lacerante tra l’odio e il soffio impetuoso di una vita che si affaccia su questo mondo. Fiore della Notte – il nome della bambina – è il simbolo di questo episodio, dove per la prima volta nella saga l’eroe si trova ad aiutare una donna durante il parto. È una sequenza molto forte, almeno per la serie, che qualche anno fa probabilmente non sarebbe stata approvata in Redazione. Questo episodio è oltretutto l’esempio più luminoso della modernità della nuova linea editoriale della testata.
In conclusione, un Maxi nato sotto una buona stella, aperto da un’indicativa copertina di Alessandro Piccinelli, destinato a dare il là a una serie nella serie: nel 2019, infatti, avremo il piacere di leggere il secondo capitolo de I racconti di Darkwood.
Maxi Zagor 31
I RACCONTI DI DARKWOOD
Settembre 2017
pagg. 288, € 6,90
Testi: Moreno Burattini, Marcello Toninelli, Gabriella Contu, Paolo Di Orazio, Luigi Mignacco
Disegni: Raffaele Della Monica, Romeo Toffanetti, Marcello Mangiantini, Gianni Sedioli, Dante Bastianoni, Lola Airaghi
Copertina: Alessandro Piccinelli
Rubriche: Moreno Burattini
Giampiero Belardinelli
N.B. Trovate i link alle altre recensioni bonelliane sul Giorno del Giudizio!
P.S. Paolo Di Orazio, dopo aver letto questa recensione, scrive:
Ma fantastico, grazie! Il mio richiamo a Eymerich è involontario ma mi fa molto piacere. In realtà il racconto è una riduzione libera da Il Crollo della Casa degli Usher.
P.S. Paolo Di Orazio, dopo aver letto questa recensione, scrive:
Ma fantastico, grazie! Il mio richiamo a Eymerich è involontario ma mi fa molto piacere. In realtà il racconto è una riduzione libera da Il Crollo della Casa degli Usher.
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