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giovedì 31 agosto 2017

LA CONQUISTA DEL WEST: TERRA, INDIANI E SANGUE! TERRORE ROSSO! I BARBARI ARGONAUTI! - LA STORIA DEL WEST by WILSON VIEIRA (XLIX PARTE)

di Wilson Vieira

Arrivati a un passo dalla fatidica cinquantesima puntata della Storia del West, che il nostro collaboratore e amico, il fumettista brasiliano Wilson Vieira, sta scrivendo appositamente per noi all'altro capo del globo, è giunto il momento di parlare della Conquista del West stesso! Vi ricordiamo che le immagini non bonelliane sono state scelte e posizionate nel testo da Wilson in persona. Buona lettura! (s.c. & f.m.)



Geograficamente parlando il territorio degli attuali Stati Uniti d’America può essere diviso in tre zone: (1) - l’Est, cioè la fascia costiera atlantica delimitata a Occidente dalle catene montuose degli Allegani e degli Appalachi; (2) - il West, cioè l’altopiano centrale occupato interamente dal bacino fluviale del Mississippi-Missouri e caratterizzato, specie nella parte di ponente, dall’immensa distesa della Prateria e (3) - il Far West, cioè la regione che comprende le Montagne Rocciose e il loro versante occidentale degradante verso l’oceano Pacifico.
Tale conformazione geografica va tenuta presente per ben comprendere lo sviluppo Storico della colonizzazione del Nord-America: la fascia costiera atlantica fu logicamente la prima a essere raggiunta dagli Europei e lungo essa sorsero i primi villaggi e le prime città (1600 e 1700); in seguito, agli inizi del 1800, il grande altopiano centrale venne attraversato piuttosto che colonizzato, in quanto i pionieri erroneamente lo ritennero inadatto alla coltivazione e preferirono raggiungere il Far West, cioè l’Oregon e la California; nella seconda metà del secolo, infine, anche la Prateria centrale, lasciata per tanto tempo ancora agli Indiani e ai bisonti, divenne meta di emigranti che vi si stabilirono e la colonizzarono.
Ciò va ricordato anche per stabilire due concetti, spesso confusi: quello di “Frontiera” e quello di “Conquista del West”.


Storia del West n. 1, giugno 1967. Disegno di D'Antonio


Infatti fin da quando nuclei di colonizzatori inglesi si stabilirono in Virginia nel 1620, la dura vita della Frontiera fu per l’avanguardia dei Bianchi una realtà quotidiana, con tutti i disagi e i pericoli che essa presentava, l’ostilità degli Indiani in primo luogo.
Al contrario, con l’espressione “Conquista del West” si intende soltanto quel movimento di masse umane, che iniziò nei primi anni del 1800 determinando lo sportarsi della frontiera oltre gli Allegani e gli Appalachi, fino alla valle del Mississippi e poi, via via, alla costa del Pacifico; in questo senso la “Conquista del West” non è che l’ultimo periodo della Storia della frontiera Americana.
Qui il nostro saggio, che riguarda solo la Conquista del West, inizia dunque alla fine del 1700, quando ormai la fascia costiera atlantica è organizzata in tredici colonie sotto la sovranità Inglese: Massachussetts, Connecticut, Rhode Island, New Hampshire, New England, New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland, Virginia, Carolina del Nord e  del Sud, e Georgia.
Era un territorio notevolmente popolato, civile e costellato da villaggi e città.
Se dovessimo indicare la principale caratteristica dei suoi abitanti diremmo che essa era un grande, sconfinato amore per la libertà; ed è logico, in fondo, dato che i coloni erano tutta gente che aveva affrontato i rischi della traversata in mare e della vita della frontiera proprio per cercare in America quella libertà; politica, religiosa o sociale, che non aveva trovato in Europa.
Era più che naturale quindi che, alla prima occasione, le tredici colonie, per amore di quella libertà, recidessero tutti i legami con la nazione europea della quale erano sudditi: l’Inghilterra.


Storie da Altrove n. 20, settembre 2017. Disegno di Alessandrini


Nel 1776, prendendo spunto da una serie di tasse ingiuste, i coloni americani dichiararono infatti la loro Indipendenza dalla madre Patria e, sotto la guida del virginiano George Washington (1732 – 1799), la conquistarono dopo cinque anni di lotta con le vittorie di Saratoga e Yorktown.
Fra le ragioni che avevano contribuito a scavare il solco d’incomprensione tra l’Inghilterra e i suoi sudditi Americani v’era anche la posizione assunta del Governo di Londra riguardo alla frontiera occidentale delle colonie, delineata dalle catene dei monti Allegani e Appalachi.
Infatti, secondo i governanti Inglesi, l’emigrazione in massa verso le terre del West, già iniziata da qualche anno, minacciava di compromettere il commercio delle pellicce preziose con gli Indiani, poteva causare complicazioni diplomatiche con la Francia, che possedeva l’ampio bacino del Mississippi-Missouri (territorio della Lousiana), e avrebbe certo scatenato la guerra con le tribù Indiane.
Ma nessuna autorità era ormai in grado di arrestare l’espansione verso Ovest delle tredici colonie.




Se al termine della Guerra d’Indipendenza la marcia verso i territori al di là delle montagne aveva ancora proporzioni modeste, ciò era dovuto piuttosto a difficoltà naturali; a Nord, la strada verso il fertile valle dell’Ohio era sbarrata dagli Indiani Irochesi, e più a Sud si dovevano superare aspri sistemi montuosi.







Tuttavia, prima ancora della fine della Guerra d’Indipendenza, Daniel Boone (1734 – 1820), figura di cacciatore e di esploratore destinata a divenire leggendaria, raggiungeva gli Appalachi centrali scoprendovi un valico, il Passo Cumberland, che poteva essere attraversato con relativa facilità.
Da questo valico, Boone, com'è raffigurato in un celebre e noto quadro, vide aprirsi davanti ai suoi occhi la grande valle del fiume Kentucky. Era il paese più bello che un cacciatore di pellicce potesse immaginare.
Dalle rive paludose del fiume si alzavano centinaia di trampolieri di ogni genere; nelle radure, cervi e alci pascolavano tranquillamente, e sulle praterie si muovevano mandrie sterminate di bisonti.
Negli anni seguenti Daniel Boone tornò più volte sulle rive del Kentucky guidando lunghe carovane di emigranti attraverso il Passo Cumberland.
Gli Indiani, naturalmente, non gradivano questa intrusione nel loro territori di caccia e attaccavano continuamente le carovane in marcia e le fattorie che via via sorgevano sul cosiddetto Bel Fiume; tuttavia, chiudendosi in un fortino, costruito dallo stesso Boone, malgrado gli attacchi degli Indiani, i Bianchi mantennero ed estesero la loro infiltrazione.
Nella lingua delle tribù Shawnee, Kentucky significa con orgoglio Terra Sanguinosa, giusto appellativo, se si pensa che del primo nucleo di 256 coloni bianchi intrusi, stabilitosi nel Kentucky verso il 1780, solo 10 erano ancora vivi nel 1790.





Ma la minaccia del “Terrore Rosso” non doveva impressionare troppo i pionieri se uno di questi poteva descrivere con queste parole l’aspetto del Passo Cumberland alla fine del secolo:
Ogni giorno il passo viene attraversato da migliaia di uomini, donne e bambini, che vi arrivano in carovane successive, formando un fiume ininterrotto di esseri umani, buoi, cavalli e altri animali domestici.




Appena giunta a destinazione, una carovana di emigranti procedeva alla costruzione di un fortino nel quale tutti si rifugiavano in caso di minaccia da parte degli Indiani; poi le varie famiglie si sceglievano un pezzo di foresta, che gli uomini abbattevano, cominciando subito le coltivazioni. Solo a semina terminata le famiglie si dedicavano alla costruzione di rozze capanne di tronchi nella quale trascorrevano il primo e difficile inverno.





Nel 1789, allo scopo di assicurare i pionieri, esposti a ogni sorta di malattie e alle più gravi privazioni, almeno contro gli Indiani, il generale Saint Clair (1737 – 1818) firmò un trattato di pace con i Nativi delle tribù Miami, Shawnee e i Delaware, secondo il quale essi “cedevano” agli Stati Uniti l’alta valle dell’Ohio e il territorio del Kentucky.
M, gli Indiani - e ciò fu la causa di tutte le guerre fra Pellerossa e Bianchi - intendevano il concetto di “cessione della terra” in modo molto diverso dai Bianchi; per essi, infatti, la foresta era una proprietà comune, dove tutti gli uomini potevano liberamente cacciare. Con i “trattati di pace” gli Indiani ritenevano generalmente di cedere ai Bianchi il diritto di caccia, ma NON quello di sfruttamento agricolo. Di fronte allo spettacolo di migliaia di coloni che abbattevano la foresta, costruivano case, coltivavano campi e distruggevano la selvaggina, gli indiani del Kentucky, dell’Ohio, e i loro vicini del Tennessee si sentirono completamente ingannati e ricominciarono ad attaccare le fattorie isolate e le carovane meno numerose.
Il prode capo dei Miami, Little Turtle (1752 – 1812), messosi alla testa di una Confederazione Indiana formata dalle tribù Miami, Shawnee, Delaware e Maumi, sconfisse nel 1790 una spedizione punitiva guidata dal generale Josiah Harmar (1753 – 1813) e l’anno successivo un’altra agli ordini del generale Arthur Saint Clair (1736 – 1818) .





La guerra cessò solo quattro anni dopo, quando il generale Anthony Wayne (1745 – 1796) vinse Little Turtle in una sanguinosa battaglia avvenuta nel cuore della foresta, in seguito alla quale l’Esercito procedette alla distruzione dei villaggi e delle misere coltivazioni indiane.




Con la pace di Greenville del 1795, la colonizzazione dell’alto Ohio del Kentucky divenne pacifica, ma le tribù di Little Turtle rinchiuse nelle Riserve, come altre gente della loro stirpe, decaddero rapidamente e finirono per estinguersi; per colpa soltanto dei Bianchi invasori.
La “scomparsa” della “minaccia Indiana” spinse naturalmente un numero crescente di pionieri sulla pista aperta da Daniel Boone.
Nel frattempo, altre strade verso il West erano state tracciate dagli intraprendenti pionieri: la pista Forbes, che univa diretamente la Pennsylvania con l’Ohio, e la National, che univa Baltimora con Columbus, nell’Ohio.
Nel 1803 i territori dell’Ohio, del Kentucky e del Tennessee, ormai popolosi, ricchi e fertili - ovviamente senza i maledetti Pellerossa - ricevettero la qualifica di Stati e mandarono i loro rappresentanti al Congresso Americano.
In tutta la Storia del West, questo passaggio dalla condizione di Territory a quella di Stato, venne effettuata solo quando una data ragione era ormai completamente civilizzata e quindi i suoi abitanti godevano appieno dei diritti di cittadini Americani; ciò significava che per quel territorio l’epoca gloriosa della frontiera cosiddetta “selvaggia” si era conclusa.
Nel 1800, Daniel Boone, che più di ogni altro aveva contribuito alla nascita dei nuovi Stati, li abbandonava per avventurarsi in solitudine verso il Missouri in cerca di nuove avventure, vera incarnazione del motto di quegli tempi: Sempre più ad Ovest!
Sulle strade che, agli inizi del 1800, cominciavano a solcare la vergine vastità del Nord America, scorreva soltanto una piccola parte dell’immenso flusso di uomini e merci diretto verso l’Ovest e il Sud-Ovest.

Zagor n. 493, agosto 2006. Disegno di Ferri






I grandi fiumi del bacino del Mississippi servivano molto meglio alle crescenti necessità delle comunicazioni e del commercio: l’Ohio e i suoi affluenti costituivano un complesso di piste che permetteva di spingersi per migliaia di chilometri verso il West e che conduceva, tramite il Mississippi e il Missouri, a New Orleans nel Golfo del Messico in una direzione e alle grandi praterie nell’altra. Questo fino alla costruzione delle grandi linee ferroviarie, nella parte orientale di questa vasta rete idrica... dove sorgevano le cittadine di Radstone, Pittsburg, Wheeling e Olean, dove le rive pullulavano quotidianamente di emigranti in attesa di un passaggio.
Molto prima che le ruote dei carri coperti cominciassero a cigolare sulla prateria, i pionieri avevano infatti iniziato la loro incessante marcia verso il West sui barconi che discendevano e risalivano pigramente il Padre delle Acque, com'era chiamato il vasto sistema fluviale Mississippi-Missouri-Ohio.

Tex Color n. 5, agosto 2014. Disegno di Villa






Questo servizio di trasporto di emigranti e di mercanzie veniva effettuato con imbarcazioni di vario tipo; alcune, avendo la chiglia piatta, potevano navigare in acque poco profonde, altre erano lunge fino a trenta metri e pescavano un metro e mezzo o due.




Zagor n. 370, maggio 1996. Disegno di Ferri


I "barconi piatti" erano i più usati per il trasporto degli emigranti che discendevano la corrente; costruiti con rozze assi appena squadrate, s’innalzavano come fortezze sul pelo dell’acqua e viaggiavano spesso in grosse flottiglie per proteggersi reciprocamente e per guidarsi l’un l’altro lungo l’insidioso corso del fiume. L’intero viaggio da Pittsburgh fino a New Orleans su natanti di questo genere richiedeva cinque o sei settimane. I barconi piatti però erano troppo rozzi e pesanti per fare il viaggio di ritorno risalendo la corrente: all'arrivo i proprietari trovavano più conveniente demolirli e servirsi della legna per il fuoco.
I cosiddetti "barconi a palo”, vere e proprie navi fluviali, erano più maneggevoli di quelli piatti. Il loro scafo, stretto e allungato, permetteva una maggiore velocità e spesso l’uso dei remi e delle vele.




Tex n. 352, febbraio 1990. Disegno di Galep


Sui barconi a palo un viaggio di andata e ritorno fra Pittsburgh e New Orleans durava circa sei mesi, di cui la maggior parte era spesa per il viaggio di ritorno, dovendosi risalire la corrente. In questo caso, se non era possibile servirsi delle vele e dei remi, gli equipaggi spingevano il barcone contro corrente puntando lunghi pali sul fondo melmoso del fiume e camminando sul bordo del ponte in senso contrario alla marcia: nella loro fatica guidati dalle ritmiche grida di un capociurma che intonava a volte una canzone di cui i barcaioli cantavano il ritornello.
I battellieri e i piloti dell’Ohio, Missouri e del Mississippi, per forza fisica, resistenza alle fetiche, coraggio, capacità di ingerire liquori e raccontar frottole, possono essere paragonati al cacciatori e ai cowboy, per noi storici.
Il viaggio lungo la grande pista d’acqua era infatti un’avventura ricca d’imprevisti e di pericoli come una traversata della prateria.
I fiumi erano così larghi che in molti tratti, viaggiando nel centro della corrente, le rive erano quasi invisibili; i bassifondi cambiavano spesso posizione, e quindi gli incagli erano frequenti; causa le modeste qualità nautiche dei barconi, lo scatenarsi di una tempesta in mezzo al Padre delle Acque era per i barcaioli un rischio grave.

Tex n. 353, marzo 1990. Disegno di Galep





Inoltre c’erano gli Indiani, che nelle zone più selvagge attendevano al varco le pesanti imbarcazioni, e i terribili pirati del fiume che, celandosi fra gli isolotti, riuscivano a sorprendere gli equipaggi con improvvisi abbordaggi, degni degli antichi filibustieri. I barcaioli però conoscevano ed amavano la grande pista d’acqua e non temevano né gli Indiani né i pirati.





Samuel Langhorne Clemens detto Mark Twain (1835 – 1910), il grande umorista Americano che trascorse la sua infanzia sulle rive del Mississippi, descrive così i battellieri:
Tipi rudi, villani, selvaggi, ma capaci di sopportare allegramente le più temibili difficoltà, bevitori formidabili, rissosi, pazzi, ignari di ogni regola di decenza e di morale, prodighi del loro denaro, sempre senza un soldo in tasca, bugiardi prodigiosi, eppure fondamentalmente onesti, fedeli alle promesse e attaccati al dovere e spesso pittorescamente magnanimi.





Mike Fink (1770/80 – 1823) era il loro re, il Giasone di questa folla di barbari Argonauti.
In piedi sul ponte del suo barcone, Fink gridava alle atterrite popolazioni rivierasche, che egli poteva “battere nella corsa”, nel tiro con il fucile, nella lotta a mani libere o col pugnale, nelle bevute e nelle risse, ogni singolo uomo che vivesse sulle rive dei grandi fiumi da Pittsburgh a New Orleans, e anche tutti assieme.
La leggenda disse che da bambino Mike Fink rifiutasse una bottiglia di latte per chiedere una pinta di whiskey; da adulto poteva annegare, sputando, un’intera tribù d’Indiani o legarsi al collo come una cravatta il più grande alligatore del Mississippi.
Una volta - e questa non è più leggenda - portò via con due colpi di fucile i calcagni a un nero e si giustificò - guarda caso! - dicendo di averlo fatto perché altrimenti il poveretto non avrebbe mai trovato un paio di scarpe adatte ai suoi piedi.

Storie da Altrove n. 4, ottobre 2001. Disegno di Alessandrini





Il suo divertimento preferito era quello di un selvaggio Guglielmo Tell con la sua mela; messosi invece sulla testa una tazza di whiskey sfidava gli amici a colpirla purché a loro volta fossero disposti a subire altrettanto da parte sua.
Venne ucciso per vendetta da uno dei suoi "sudditi", un barcaiolo che gli scaricò la pistola nella schiena.
Da allora Mike Fink è divenuto l’eroe di tutte le storie e le leggende che i vecchi narrano sugli uomini che aprirono e percorsero le grandi piste d’acqua trasportando gli emigranti e i materiali necessari ala Conquista del West.
Ancora oggi, nella voce delle onde del Mississippi, i bambini dei villaggi rivieraschi riconoscono le grida di Mike Fink, e i battellieri invocavano questo “dio” del fiume perché li guidi fra i fondali bassi e li protegga dalle tempeste...




Wilson Vieira

N.B. trovate i link alle altre puntate della Storia del West su Cronologie & Index!

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