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domenica 10 aprile 2016

THE BEST OF MARTIN MYSTÈRE (III): "UN VAMPIRO A NEW YORK" (MM 13-14, 2a scheda - 1a parte)

di Massimo Capalbo 

Continua con immutato successo la serie antologica The Best of Martin Mystère! Con questo terzo appuntamento iniziamo a occuparci di un'avventura storica e fondamentale del BVZM, che ha rivoluzionato - nel fumetto italiano - la figura stessa del vampiro, ispirando a cascata i successivi capolavori di Dylan Dog e Dampyr. Vi ricordiamo che tutte le illustrazioni sono state scelte dallo stesso Max Capalbo, eccetto quella iniziale - frutto della "redazione". Buona lettura! (s.c. & f.m.) 




Martin Mystère n. 13, aprile 1983. Disegno di Alessandrini


2. Un vampiro a New York (I parte)

Soggetto e sceneggiatura
Alfredo Castelli

Disegni
Franco Bignotti

192 tavole

Martin Mystère nn. 13-14
Aprile-Maggio 1983

Martin Mystère n. 14, maggio 1983. Disegno di Alessandrini


Trama 

New York è sconvolta dalle sanguinose gesta di un serial killer soprannominato dalla stampa l'Assassino del pugnale. In realtà, costui non è un "normale" omicida seriale, bensì un autentico vampiro, che, dopo aver dissanguato le sue vittime, le colpisce al cuore con un pugnale di frassino per evitare la diffusione del contagio. La vera natura dell'assassino – il quale, in maniera analoga ai tossicodipendenti, cade in preda a periodiche e irrefrenabili crisi di astinenza - è nota solo a pochissime persone, tra cui l'ispettore Travis, che, trovandosi alle prese con un caso "impossibile", si rivolge all'unica persona in grado di aiutarlo: l’amico Martin Mystère. Dopo varie peripezie, Martin riesce a scoprire le due identità fittizie adottate dal vampiro – gli scrittori Kaplan e Riad –, e ciò permette a Travis di rintracciare uno dei suoi rifugi. Il non-morto viene quindi arrestato ma, grazie a un cavillo giudiziario, riacquista la libertà e si trasferisce a Boston, dove - a causa di un'altra, inaspettata crisi - fa l'ennesima vittima. Appresa la notizia, Martin progetta di eliminare personalmente il vampiro; con sua grande sorpresa, però, quest'ultimo si mette in contatto con lui e, datogli appuntamento in una squallida pensione bostoniana, gli racconta l'incredibile storia della sua vita. Herman Strauss, questo il suo vero nome, è nato a Vienna nel 1841 ed è diventato un vampiro nel 1878, in Serbia. Dopo essere tornato nella città natale, egli si è trasferito, di volta in volta, in numerosi altri Paesi, fino a quando - nel 1974 - non ha deciso di stabilirsi a New York. Terminato il suo racconto, Herman – desideroso ormai di porre fine alla maledizione di cui è vittima – dice a Martin che intende suicidarsi e, prima che il Nostro possa impedirglielo, estrae un revolver – nel cui tamburo ha inserito un proiettile di frassino – e si spara alla tempia. Davanti agli occhi esterrefatti del Detective dell'Impossibile, il corpo del vampiro si riduce in polvere.

Abraham "Bram" Stoker (1847-1912), autore di Dracula (1897)

L'inquietante ombra del conte Orlock (Max Shrieck) in Nosferatu (Fiedrich Wilhelm Murnau, 1922)

Locandina originale di Dracula il vampiro (Terence Fisher, 1958), primo film della saga "draculiana" della Hammer


Signori delle tenebre… e della fiction 

Tra le icone dell'horror, e del fantastico in generale, il vampiro occupa senza dubbio un posto di prima grandezza. Basti solo pensare che il conte Dracula è, dopo Sherlock Holmes, il personaggio fittizio al quale sono stati dedicati il maggior numero di film: da Nosferatu il vampiro (Friedrich Wilhelm Murnau, 1922) a Dracula Untold (Gary Shore, 2014), passando per Dracula (Tod Browning, 1931), Dracula il vampiro (Terence Fisher, 1958), Dracula principe delle tenebre (Terence Fisher, 1965), Il demone nero (Dan Curtis, 1973), Dracula 3d (Dario Argento, 2012) e altri duecento titoli circa. Non si contano poi i romanzi, i racconti, le opere teatrali e i fumetti che hanno per protagonisti i non-morti, i quali rivestono un ruolo importante anche nell'universo bonelliano. E' sufficiente citare il barone Bela Rakosi, acerrimo nemico di Zagor; il feroce Vlad Shreck affrontato da Nathan Never in una memorabile storia della coppia Medda-Mari (Vampyrus, NN n. 26); la sensuale Tesla e i Maestri della Notte della saga di Dampyr, nonché, naturalmente, l'Herman Strauss dell'avventura mysteriana in oggetto. 
 

Zagor n. 187, febbraio 1980. Disegno di Ferri
La vampira Tesla in un bel disegno di Alessandro Bocci

Herman Strauss nei panni del signor Kaplan… - MM 13, p. 30


Un mostro non privo di umanità

Strauss alias Kaplan alias Riad è una figura di notevole spessore e di grande statura tragica. Sebbene sia certamente un assassino (ben sei le donne che uccide e dissangua tra New York e Boston, e molte di più, ovviamente, quelle uccise nei cento anni della sua vita da vampiro), è difficile consideralo un vero e proprio villain, dal momento che non solo, al pari di un animale predatore, uccide per necessità, ma dimostra di possedere ancora, malgrado tutto, una buona dose di umanità. Non ho nulla a che vedere col diavolo, la stregoneria, le messe nere. – dice egli stesso a Martin nel finale della storia, la parte che analizzeremo per prima - Se vuoi, puoi paragonarmi a un drogato… …un drogato che non ha scelto di esserlo, e tuttavia ha un disperato bisogno della sua dose per sopravvivere... . Un drogato, aggiungiamo noi, che ha giurato di non uccidere nessuno quando è in stato di coscienza (regola che salva la vita a Java nell'emozionante scena ambientata all'Harlem Hospital), che si preoccupa – come già sappiamo - di non diffondere il contagio e – ligio a questo principio - non esita ad eliminare chi invece, tra i suoi simili, non si pone alcuno scrupolo al riguardo. Un conto è essere vittima di questa maledizione… dice sempre Herman a Martin - …un conto è prenderci gusto e divertirsi a diffondere il contagio, come facevano quei due bastardi. Per fortuna li ho eliminati prima che causassero troppi danni… . I due cui Herman si riferisce sono un vampiro londinese e uno italiano, da lui uccisi rispettivamente nel 1934 e durante la Prima Guerra Mondiale. 

e in quelli del signor Riad - MM 13, p. 84

Il vampiro in preda a una delle sue terribili crisi - MM 13, p. 58

Herman assale una prostituta - MM 13, p. 61

Dissanguata la sua vittima, Herman la trafigge con un pugnale di frassino per evitare che essa diventi a sua volta un vampiro - MM 13, p. 62


È interessante notare come Castelli, nel corso della storia e in modo particolare nel suddetto epilogo, evidenzi in diversi modi l'umanità del vampiro austriaco: pensiamo, ad esempio, alla sua passione per la scrittura, nata in giovanissima età ("A dieci anni decisi che sarei diventato scrittore, componevo poesie di nascosto, e avevo scritto un romanzo di avventure, decisamente ingenuo ma pieno di giovanile entusiasmo) e poi frustrata a causa del volere di Strauss senior, pluridecorato ufficiale dell'esercito asburgico (mi costrinse a intraprendere la carriera militare… e invece della penna impugnai la spada nell'Accademia Militare di Vienna). Per ironia della sorte, l'essere diventato un vampiro ha permesso a Herman di coronare il suo sogno di gioventù, anche se egli, essendo costretto a mantenere l'anonimato, non può firmare i suoi libri e deve accontentarsi di scriverli per conto di altri. Chi può definirsi "ghost writer" più di me?, dice a Martin lo stesso Herman, il quale sa anche essere autoironico.
A proposito di ironia, quella dello sceneggiatore emerge chiaramente nella sequenza in cui il vampiro, dopo aver mangiato la solita bistecca cruda nel suo elegante appartamento newyorkese (Herman non ha problemi di denaro: il suo conto in banca ammonta infatti a oltre settantaquattro milioni di dollari), lava i piatti come un single qualsiasi. Altrettanto ironiche la scena in cui Herman, calata la sera, si sveglia dal suo profondo sonno stiracchiandosi e sbadigliando come un comune mortale, e soprattutto quella in cui la sua vicina di pianerottolo, la signora Robinson, lo invita a cena nel suo appartamento, con il chiaro intento di portarselo a letto. Herman viene preso da una crisi proprio quando la donna, per nulla scoraggiata dal suo rifiuto, gli chiede di farle compagnia.

Herman paragona la sua particolare "malattia" alla tossicodipendenza - MM 14, p. 93

Anche nel film di Abel Ferrara The Addiction – Vampiri a New York (1995) il vampirismo è assimilato alla dipendenza dalle droghe

Il vampiro inizia a raccontare a Martin la sua lunghissima esistenza - MM 14, p. 72


Il povero vampiro si vede quindi costretto a liquidare la Robinson con una scusa. Razza di stupido! Non mi ha fatto neppure entrare in casa. – pensa lei, rientrando nella sua abitazione - Bah, peggio per lui! Chi non sa cogliere le buone occasioni… . In quel preciso istante, il vampiro esce di casa e la Robinson, che è una vera impicciona, lo guarda dallo spioncino, chiedendosi dove egli stia andando così di fretta. Le qualità umane e intellettuali possedute da Herman, così come le situazioni di ordinaria quotidianità che vive, ce lo rendono senza dubbio simpatico: pertanto, il suo suicidio ci lascia non poca amarezza, sebbene la morte sia per lui (nonché, ovviamente, per le sue potenziali vittime) un'autentica liberazione (Finalmente in pace si legge, infatti, nel messaggio finale lasciato dal vampiro a Martin). Rimangono particolarmente impresse le parole che Herman rivolge al Detective dell'Impossibile quando questi tenta di convincerlo a non uccidersi: Martin, Martin… … come siete fragili, voi mortali… che facili prede delle emozioni… volevi liberare la città da un mostro che la insanguinava… eppure, siccome hai scoperto che il mostro è capace anche di parlare serenamente, adesso esiti… e in nome della tua umanità, lasceresti che la strage continuasse… . Altrettanto degna di menzione la frase con cui Martin, seduto davanti al suo Mac, termina il resoconto della vicenda: Credo che pochi potrebbero comprendere come, per qualche attimo… …io abbia pregato perché un vampiro, un mostro non cessasse di vivere.

Scene di ordinaria non-morte I: il vampiro Herman Strauss cena nel suo elegante appartamento newyorkese - MM 13, p. 32

Scene di ordinaria non-morte II: lavati i piatti come un comune single, Herman si mette al computer - MM 13, p. 33

Herman alle prese con la signora Robinson - MM 13, p. 55

Le confessioni di un non-morto 

Sul finale di Un vampiro a New York – di certo la parte più bella della storia, soprattutto grazie al suggestivo flashback ambientato nella Serbia del diciannovesimo secolo - ci sono ancora molte cose da dire. Anzitutto, è evidente come Castelli si sia ispirato a Intervista col vampiro (1976), il celebre romanzo di Anne Rice trasposto sul grande schermo, nel 1994, dal regista Neil Jordan. L'incontro tra Herman e Martin nella squallida pensione bostoniana, con il primo che racconta al secondo la storia della sua lunghissima esistenza, richiama infatti l'intervista che, nel suddetto libro, il vampiro Louis de Pointe du Lac concede, in uno scalcinato albergo di New Orleans, al reporter Daniel Molloy. Rimanda invece al Dracula storico, il voivoda romeno Vlad III Dracul (1431-1476), la tremenda sorte che tocca ai commilitoni di Herman, i quali vengono impalati dai turchi. Com'è noto, Vlad Dracul era soprannominato Tepés, ovvero l'Impalatore; e ciò proprio per via della sua forma d'esecuzione preferita, come ben testimoniano, per esempio, gli ottomila prigionieri turchi che egli fece impalare nel 1456 a Targoviste, capitale del suo regno (la Valacchia).
Tornando a Herman e al suo racconto, vanno senz'altro citate la scena della sua vampirizzazione a opera di un vrklak e quella in cui egli assiste di nascosto alla cattura e uccisione di un altro suo simile (Ricorderò per sempre quell'urlo, Mystère…), come pure il riferimento a Sigmund Freud. Un tipo molto affabile, forse un po' complessato, lo descrive il non-morto, che è stato un suo paziente.


Herman si uccide davanti agli occhi di Martin, che avrebbe voluto impedirglielo - MM 14, p. 96

Dopo aver visto il corpo del vampiro ridursi in polvere, Martin legge il suo ultimo messaggio - MM 14, p. 97

Copertina della prima edizione originale di Intervista col vampiro (1976)

A differenza dei suoi commilitoni, Herman evita l'impalamento perché creduto morto dai turchi – MM 14, p. 75


La terapia duro per tre anni… andavo da lui due sere alla settimana…, racconta Herman a Martin, che lo interrompe dicendogli: …Ma neanche il padre della psicanalisi riuscì a trovare la cura, evidentemente… . Come no? - risponde il vampiroNe uscii perfettamente guarito… …da quel giorno non provai più i complessi di colpa che mi assalivano dopo ogni crisi!. Meritevole di citazione è anche la teoria di Herman sul perché l'aglio disgusti i vampiri in modo particolare: L'aglio uccide i parassiti, ad esempio i vermi intestinali… e cosa siamo, noi vampiri, se non parassiti che si nutrono della vitalità altrui?… . Egli non si spiega, invece, la ragione per cui il frassino sia così letale per i non morti; tuttavia, rivela a Martin che, per uccidere un vampiro, non è necessario usare i tradizionali paletto e martello: …Basta un coltello infilato ben dritto nel cuore o in qualche altro punto vitale. La lama dev'essere di frassino, naturalmente: per fortuna è un legno abbastanza robusto… . Grazie alla sua esperienza personale, Herman ha appurato quali sono le verità e quali invece i miti della tradizione vampirica. Tra le prime, c'è l'invulnerabilità dei non morti alle comuni armi e la forza e l'agilità sovrumane, mentre tra i secondi c'è la diffusa credenza secondo cui i vampiri si dissolvono se rimangono esposti alla luce del sole. La luce non ci uccide, - precisa Hermanma provoca in noi un'indicibile sofferenza. La fotofobia, è un male che può colpire anche le persone "normali"… …ma la nostra sofferenza è centuplicata da motivazioni di ordine psicologico. Nel mondo "normale", la luce è vita e il buio è morte… …il sorgere del sole ci dimostra che il mondo continua a vivere… …forse per questo, durante le ore di luce, cadiamo in una specie di catalessi. Credo che si tratti di un "istinto di difesa" che ci dà modo di non scontrarci con quella realtà che ci turba… .

Vlad Tépes, il Dracula storico

La vampirizzazione di Herman – MM 14, p. 76

Herman inizia la sua nuova vita, o meglio: la sua non-morte – MM 14, p. 77


Il Detective dell'Impossibile riceve dal suo interlocutore un'accuratissima lezione di vampirologia. E' falso […] – spiega ancora Herman al Nostro – che riusciamo a trasformarci in lupi e pipistrelli e a passare attraverso le porte chiuse. […] E' falso che dobbiamo dormire in una bara. Molto suggestivo, ma anche molto scomodo. Meglio un buon letto, possibilmente nell'oscurità assoluta… …Falso che le croci ci spaventino, se un vampiro è stato cristiano, forse la croce può infastidirlo, perché gli ricorda la religione, contrapposta alle sue colpe… ma se è ateo, come me, non gli fa né caldo né freddo… …sono sicuro che un vampiro mussulmano sarebbe infastidito dalla mezza luna dell'Islam, anche se a dire il vero non ho mai conosciuto vampiri mussulmani… . Quest' ultimo mito sfatato da Herman riporta subito alla mente una divertente sequenza del famoso film di Roman Polanski Per favore… non mordermi sul collo (1967), nella quale il locandiere ebreo Shagal (Alfie Bass), dopo essere stato vampirizzato dal conte von Krolock (Ferdy Maine), irride il crocifisso con cui il professor Abronsius (Jack MacGowran) cerca di fermarlo.

L'agghiacciante urlo del vrklak - MM 14, p. 84

Herman spiega al BVZM quanto c'è di vero e quanto c'è di falso nella tradizione vampirica - MM 14, p. 87

Il vampiro newyorkese conferma al suo interlocutore che il frassino è davvero letale per i propri simili - MM 14, p. 89


Uno pseudonimo da vampiro…logo 

Il cognome ebraico usato dal vampiro per la sua prima identità fittizia cita, molto probabilmente, quello del vampirologo e studioso del paranormale Stephen Kaplan (1940-1995), fondatore e direttore del Vampire Research Center di Elmhurst (New York) e autore del best seller I vampiri ci sono (Vampires are, 1984). Kaplan – si legge nell'Almanacco della Paura 1993 (Sergio Bonelli Editore) – ha scoperto che di sicuro esiste una "paranoia di vampiro". Molti gli telefonano dicendogli di essersi svegliati con due morsi sul collo, altri per dirgli che il loro vicino di casa è un vampiro. In un caso gli telefonò una sedicente vampira, Elizabeth, di cui Kaplan registrò ore di conversazioni telefoniche nel 1979, ma che non poté vedere di persona: Elizabeth asserì di essere nata in Inghilterra nel 1540 e rivelò particolari della sua vita da vampiro piuttosto originali e degni di una romanziera come Anne Rice o Chelsea Quinn Yarbro. Ma la maggior parte dei vampiri contattati da Kaplan sono persone viventi che amano credersi vampiri e che bevono il sangue di altri esseri umani, in genere donatori consenzienti: di solito pungolo le dita del donatore con un ago sterilizzato. Il morso è poco diffuso, perché pericoloso e difficile. I denti umani non sono abbastanza aguzzi.

Herman in cura presso il dottor Sigmund Freud – MM 14, p. 91

Il vampiro ebreo Shagal (Alfie Bass) insidia la sua cameriera Magda (Fiona Lewis) in Per favore non mordermi sul collo (Roman Polanski, 1967)

Il vampirologo Stephen Kaplan (1940-1995)

Copertina dell'edizione originale de I vampiri ci sono (1984), best seller di Stephen Kaplan


The city that never sleeps 

Nel '74 mi sono trasferito a New York… …Per uno che vive di notte e dorme di giorno, questa è la città ideale: si può trovare di tutto a qualunque ora: negozi, cinema… . Con queste parole, Herman spiega a Martin perché ha scelto di vivere nella Grande Mela, che possiamo a ragione definire una città a misura di vampiro. Date le abitudini crepuscolari del non-morto viennese, a farla da padrona in quest'avventura è la New York notturna: sia quella, sudicia e violenta, di zone come Harlem e il Bronx, entrambi territori di caccia del vampiro; che quella, diametralmente opposta, di quartieri residenziali come Soho (dove si trova il secondo rifugio di Herman) e l'altro (non specificato, ma sito probabilmente nell'Upper Manhattan), nel quale si trova invece il primo rifugio.
A proposito dei sopracitati Harlem e Bronx, va detto che Castelli, con le sue efficaci descrizioni, riesce quasi a rendere palpabile la loro miseria e il loro squallore. Il Bronx, ad esempio, viene descritto come una vera e propria città all'interno di New York […], con migliaia di casermoni tutti uguali, abitati spesso da povera gente… …tra cui vive e prospera un racket di sfruttatori, teppisti, gangsters… …e prostitute sul viale del tramonto, ormai fuori dal lussuoso "giro" di Manhattan… . Sono immagini, queste, che fanno subito venire in mente film come Il giustiziere della notte (Michael Winner, 1974), Mean Streets (Martin Scorsese, 1973) e soprattutto Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976), il cui protagonista, interpretato da Robert De Niro, si chiama – curiosa coincidenza – proprio come l'amico poliziotto di Martin: Travis.

Lo scintillante panorama notturno di New York

Lo squallore di Harlem, uno dei più pericolosi quartieri di Manhattan - MM 13, p. 39

Uno scorcio di Harlem

Interessante, nella parte conclusiva della storia, anche la descrizione del Quincy Market di Boston, dove spicca il riferimento all'happy hour (nei numerosi bar, dalle 18 alle 19, vengono serviti due aperitivi al posto di uno), una moda che all'epoca era praticamente sconosciuta in Italia, dove si sarebbe diffusa solo vent'anni dopo. Sempre riguardo a Boston, è da citare il breve dialogo tra Martin e il tassista che lo porta a Bumstead Street, l'indirizzo di Chinatown dove Herman gli ha dato appuntamento. Brutto quartiere, di notte, quello. Non si sa mai chi si può incontrare…, dice il tassista al Nostro, che risponde ironicamente: Beh… …non si incontreranno certo dei vampiri, spero!. Ignaro di quanto la battuta di Martin sia vicina alla verità, il tassista aggiunge: Bah! Scherzate pure, ma non dite poi che non vi avevo avvertito… .

Il famigerato Bronx - MM 13, p. 59

Il Quincy Market di Boston

Herman passeggia per il Quincy Market - MM 14, p. 60


Massimo Capalbo

N.B. Trovate i link alle altre schede di The Best of Martin Mystère su Cronologie & Index!

1 commento:

  1. Una delle summe castelliane su MM a mio parere. La NY notturna è veramente affascinante, ben resa dal tratto chiaro e "semplice" di Bignotti.
    La narrazione poi si divide in due tra le indagini della polizia e di Martin e le peripezie quotidiane del vampiro.
    Non manca qua e la come fatto notare un po d' ironia. Un' ironia fatta di battute ed equivoci semplici e veloci, diversa rispetto a quella che farà capolino nella serie da verso metà anni 90, costituita da veri e propri tormentoni come il mettersi al lavoro di Martin salvo poi fare altro XD.

    " Con questo terzo appuntamento iniziamo a occuparci di un'avventura storica e fondamentale del BVZM, che ha rivoluzionato - nel fumetto italiano - la figura stessa del vampiro, ispirando a cascata i successivi capolavori di Dylan Dog e Dampyr."

    Già! Fosse stata pubblicata nella collana dell' indagatore dell' incubo secondo me sarebbe ricordata e citata dai più come un capolavoro!

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