di Andrea Cantucci
ULTIM'ORA: AMPI STRALCI DELLA PRIMA PARTE DEL NOSTRO INTERVENTO SU FUMETTI & ISLAM SONO STATI RIPRESI CON GRANDE EVIDENZA DAL QUOTIDIANO "LIBERO" DEL 28 FEBBRAIO 2015!
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L'arcangelo Gabriele rivela il Corano a Maometto. Dipinto islamico del XIV secolo |
“Sulla
tua religione puoi dire liberamente quel che ti pare, ma evita di
dare giudizi sull’Islam. (…)
Per
gli Arabi la religione fa parte della natura, come il cibo e il
sonno.”
Dal
manuale Come Comportarsi con gli Arabi, di Thomas
Edward Lawrence
“Nessuna
imposizione in religione. La via diritta si distingue agevolmente da
quella errata.”
Dal
Corano
“La
tolleranza è rara di questi tempi.”
da
Templari di Jean-Luc Istin
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La prima pagina del Corano in arabo |
Proprio nei giorni in cui l’Isis avanza pericolosamente in Libia e un
nuovo attentato colpisce Copenaghen (sempre con un vignettista
preso di mira), proseguiamo - con qualche inquietudine in più, ma
cercando sempre d’essere obiettivi - l’analisi di come sono stati
raffigurati in passato il mondo e la religione musulmana nell’ambito
del fumetto, prima che si giungesse alle note vignette su Maometto e
alla recente sanguinaria reazione del fanatismo islamista più
estremo. Questa seconda parte è dedicata in modo particolare a quei
fumetti dedicati proprio agli aspetti storicamente più conflittuali
dei difficili rapporti tra Islam e Occidente.
A
lungo infatti, nel fumetto e negli altri media, gli antichi Musulmani
del Medio Oriente sono stati visti dal mondo occidentale solo come
nemici chiamati Mori, oppure Saraceni (dal nome di una tribù di
predoni arabi poi usato per estensione a indicare tutti i guerrieri
musulmani), per cui nelle storie d’avventura ambientate nel
passato, così come nei poemi cavallereschi o negli spettacoli dei
pupi siciliani, toccava loro regolarmente il ruolo dei cattivi. In
genere erano rappresentati superficialmente come guerrieri aggressivi
e spietati che sembravano non fare altro che lottare
indiscriminatamente contro tutti i non musulmani in nome della Jihad.
Il
termine Jihad, comunemente tradotto in Occidente come Guerra Santa
contro gli infedeli, indicherebbe in realtà lo Sforzo per
difendere l’Islam, uno sforzo che in base alla legge coranica se
necessario può essere anche armato ma che in teoria, almeno secondo
l’interpretazione islamica oggi più diffusa, dovrebbe esprimersi
solo in termini di difesa dagli attacchi esterni. In effetti però,
quella che la propaganda islamica successiva avrebbe definito guerra
difensiva, all’inizio non sembra che fosse del tutto
giustificata dai fatti.
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Conversazione letteraria. Miniatura di Baghdad, 1237 |
Le
cosiddette “persecuzioni” subite da Maometto e dai suoi primi
seguaci nel primo periodo meccano, non risulterebbero essere state né
feroci né sanguinarie, neppure secondo la tradizione islamica che
cercò di esagerarne la gravità. Gli Arabi non islamici più che
altro si sarebbero limitati inizialmente a deridere, disprezzare e
insultare i primi Musulmani, che del resto a loro volta disprezzavano
e offendevano di continuo le molte divinità e le tradizioni più
antiche del loro stesso popolo (giuste o sbagliate che fossero). Per
un po’ di tempo infatti Maometto godette della protezione di suo
zio Abu Thalib, capo di un clan della Mecca.
Fu
dopo la morte di Abu Thalib e la sua sostituzione con uno zio
decisamente meno affezionato, che tutti i Musulmani migrarono in
un’altra città, che da allora prese il nome di Medina (dall’arabo
Medinat an-Nabi, La Città del Profeta), anche perché
si dice che a quel punto Maometto fosse minacciato di morte, ma la
storia della sua fuga dalla Mecca ha vari elementi leggendari ed è
difficile dire come siano andate davvero le cose.
Ciò
che pare storicamente certo è che furono i Musulmani, dopo essersi
trasferiti a Medina, a dare inizio alle vere ostilità depredando le
carovane dirette alla Mecca e già queste prime razzie furono da loro
considerate Jihad, cioè parte dello sforzo per difendere la loro
fede. Per soccorrere una carovana minacciata da trecento islamici, i
Meccani armarono allora un esercito di mille uomini che si scontrò
con loro a Badr nel 624 d.C.
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Carovana diretta alla Mecca. Da una pergamena persiana del XIII secolo |
L’inattesa
vittoria islamica che seguì alimentò la propaganda, le convinzioni
e il fanatismo religioso dei Musulmani. Ne derivò l’uso delle armi
per diffondere la loro fede e la fine della tolleranza verso i
politeisti. Anche gli Arabi non musulmani di Medina, prima
considerati alleati, furono forzati alla conversione e uccisi se si
rifiutavano, un’imposizione vietata in certi versetti del Corano ma
autorizzata in altri, pare scritti su misura in quell’occasione.
Ironicamente fu proprio per indicare tali convertiti forzati che fu
coniato il termine Muslimun (Musulmani) cioè sottomessi
pacificamente, da saalam che in arabo significa appunto
pace. Peccato che la pace data ai politeisti che non si
convertivano fosse quella eterna. Lo stesso accadde più o
meno a tutte le altre tribù arabe e ai vari popoli politeisti
travolti poi dalle conquiste islamiche. Molta più tolleranza ci fu
invece verso i monoteisti come Cristiani o Ebrei, cui in genere fu
concesso di conservare la loro fede pur essendo sottomessi e
obbligati a versare tributi. Infatti anche in questo caso, per molti
capi beduini le guerre di religione finirono per essere soprattutto
dei lucrosi affari e occasioni di bottino.
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La battaglia di Badr. Miniatura turca del XVIII secolo |
Anche
Maometto, solitamente descritto come un uomo mite e molto meno
fanatico di certi suoi seguaci, in qualche occasione fu spietato,
come cogli Ebrei di Medina che essendo sospettati di fare il doppio
gioco con i Meccani furono in parte scacciati e in parte massacrati,
anche dopo che si erano arresi, mentre donne e bambini furono fatti
schiavi. In pratica fu il primo atto della secolare inimicizia che
ancora oggi oppone Ebrei e Musulmani. Già Maometto insomma spinse la
sua cosiddetta guerra difensiva fino a conquistare beni, città
e territori altrui e a unificare tutte le tribù arabe. Quella che si
dice una difesa molto efficace.
I
Califfi arabi che di Maometto furono i successori (è appunto
questo il significato del termine Califfo) si “difesero”
altrettanto bene, conquistando la Mesopotamia e la Persia, l’Egitto
e parte dell’impero bizantino. I primi due califfi, Abu Bakr e
Omar, erano rispettivamente il suocero e il consigliere di Maometto.
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Abu Bakr difende Maometto dagli infedeli. Miniatura turca del XVI secolo |
Gli
omicidi del terzo e del quarto califfo (rispettivamente Othman, che
fece mettere il Corano per iscritto, e Ali, cugino e genero di
Maometto) provocarono una guerra a oltranza tra i rispettivi seguaci,
originando la divisione ancora esistente tra Sunniti e Sciiti, dai
termini arabi Sunna (Condotta) e Shi’a (Via).
I primi ebbero inizialmente la meglio dando origine alla dinastia dei
califfi omayyadi, che estese i confini dell’impero dall’Oceano
Indiano alla Spagna, e seguendo i precetti coranici non ammettono le
conversioni forzate di Ebrei e Cristiani. I secondi sostennero la
dinastia discendente direttamente dal Profeta dei califfi abbasidi
(dal nome di Abbas, zio di Maometto e padre di Ali), che un secolo
dopo prese il controllo della maggior parte dell’impero rovesciando
e sterminando gli Omayyadi, e sono più propensi ad accettare il
concetto di Jihad come guerra, se necessario anche armata, contro
tutti i non islamici. Ai califfi abbasidi fu conferito il titolo di
Emiro dei Credenti, a sottolineare il carattere religioso
della carica in quanto discendenti del Profeta.
Comunque
fra una lotta di potere e l’altra, l’impero islamico mise fine
per lungo tempo ai conflitti interni tra le tribù arabe e tra le
nazioni conquistate, con una relativa pace secolare che favorì lo
sviluppo di una grande cultura filosofica e scientifica, in grado di
conservare, tramandare e diffondere sia testi antichi che opere di
scrittori arabi, grazie all’invenzione della carta. Furono inoltre
i medici arabi a capire per primi che le malattie erano provocate da
microrganismi e a creare i primi ospedali. La Cultura araba influenzò
poi in modo determinante quella europea, contribuendo in qualche modo
a dare inizio all’Umanesimo e al Rinascimento.
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Maometto attacca un castello. Miniatura araba |
Crociati
e Saraceni
Gli
Abbasidi furono in seguito detronizzati prima dagli emiri persiani,
che dopo essere stati sottomessi ed essersi convertiti all’Islam
presero il controllo del nucleo un impero che si andava sgretolando,
mentre la carica di Califfo perdeva ogni potere politico e
amministrativo e si riduceva a un titolo religioso puramente formale,
e poi dai Turchi Selgiuchidi (dal nome del loro primo capo, Selgiuk)
che convertiti all’Islam e diventati soldati al servizio dei
califfi, si impossessarono del potere spazzando via gli emiri alla
metà dell’XI secolo e, come molti convertiti dell’ultima ora, si
dimostrarono più intransigenti degli Arabi stessi.
I
Musulmani arabi erano stati per secoli molto tolleranti verso gli
altri monoteisti. Invece il sultano Al-Akim, per motivi mai chiariti,
diede inizio a persecuzioni contro Cristiani ed Ebrei, distruggendone
i templi come la grande chiesa cristiana di Gerusalemme. Anche se il
suo successore tentò di rimediare e la fece ricostruire, il fatto
aveva ormai prodotto un grande sdegno nel mondo cristiano, che vedeva
diventati improvvisamente pericolosi se non impossibili i
pellegrinaggi verso la Palestina. Gli Europei si convinsero così,
del tutto ingiustamente, dell’inciviltà e del presunto paganesimo
dei Musulmani e, con la I Crociata indetta dalla Chiesa Cattolica,
alla fine dell’XI secolo invasero la Palestina distruggendo e
occupando Gerusalemme.
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Ritratto "politicamente scorretto" del Saladino, in una miniatura medievale cocidentale |
Con
la scusa di “liberare” la città sacra, le Crociate, più che
guerre sante, furono guerre di conquista condotte in modo spietato.
Com’era loro abitudine, quando presero Gerusalemme i Crociati
compirono un enorme massacro indiscriminato, non solo uccidendo anche
vecchi, donne e bambini, ma per assurdo perfino i tanti Cristiani
ortodossi della città, visto che gli invasori erano incapaci di
distinguerli dai Musulmani.
In
tutto il mondo islamico si produsse un comprensibile sentimento
d’orrore per una tale strage, anche perché il Corano, pur
autorizzando talvolta l’uso della forza, vieta esplicitamente
l’omicidio di donne, bambini e persone inermi (per cui in pratica
vieta anche qualunque atto terroristico). Ciò alimentò il
risentimento contro i Crociati, che inermi non erano, così di
massacro in massacro, eccezion fatta per qualche tentativo di
riconciliazione, i rapporti tra Occidente cristiano e Medio Oriente
islamico si incrinarono per lungo tempo e si può dire che fu nel
reagire alle invasioni cristiane che la parola Jihad finì per
assumere a tutti gli effetti il tradizionale significato difensivo
datole dai Musulmani. Eppure quando il sultano d’Egitto Salāhal-Dīn
(noto in Occidente come Saladino) riconquistò Gerusalemme nel 1188,
risparmiò tutti i cristiani che si arresero e li lasciò liberi,
conquistandosi anche presso gli Europei la fama di condottiero saggio
e magnanimo.
Dopo
varie crociate dagli esiti alterni, gli invasori cristiani furono
infine respinti. La grande Cultura araba e l’impero controllato dai
Selgiuchidi avevano resistito alle invasioni dell’Occidente europeo
ma non resistettero alla successiva invasione da Oriente dei nomadi
asiatici Turco-Mongoli, che nel XIV secolo distrussero città,
moschee e biblioteche, disperdendo le grandi conoscenze raccolte
dagli Arabi nel corso dei secoli.
Intanto
i Turchi Osmanli fondavano l’Impero Ottomano. Anche i nuovi
conquistatori diventarono a loro volta musulmani convinti quanto e
più dei precedenti, ma nonostante ciò molte comunità cristiane
locali, come quella della Chiesa Copta egiziana, in genere
continuarono a essere rispettate, almeno fino a oggi…
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Il romanzo Il Crociato Nero, di G.L. Bonelli. Disegno di Paparella |
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Gli Albi del Vittorioso n. 10. Il Crociato Nero di G.L. Bonelli & Caesar (1938) |
Alcuni
dei primi fumetti pubblicati in Italia sulle guerre storiche tra
Cristiani e Saraceni furono sceneggiati da GianLuigi Bonelli a
partire da Il Crociato Nero, adattato da un suo omonimo
romanzo e disegnato da Kurt Caesar. Uscito a puntate nel 1938 su Il
Vittorioso, Il Crociato Nero narra le imprese in Terra
Santa del cavaliere Ugo d’Ivrea ai tempi di Goffredo di Buglione,
cioè durante la Prima Crociata, alla fine dell’XI secolo.
Furono
realizzati negli stessi anni e scritti dallo stesso autore anche Gli
Sparvieri del Mare e La Rivincita di Santamaura, disegnati
da Franco Chiletto e usciti su L’Audace tra il 1938 e il
1939. Dati i tempi autarchici il protagonista è sempre un italiano,
Giorgio di Santamaura, che combatte i pirati saraceni del XVI secolo.
Seguì
nel 1941, sempre a puntate su L’Audace e scritta da G.L.
Bonelli, la storia I Crociati, in cui tocca ai cavalieri
Rinaldo d’Este e Tancredi d’Altamura affrontare non solo
guerrieri ma anche maghi musulmani.
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El Guerrero del Antifaz |
In
Spagna, paese in cui la guerra e poi la reconquista contro gli Arabi
era stata storicamente vissuta molto più da vicino che in altri
paesi europei, nel 1944 apparve una serie a fumetti di un autore di
nome Manuel Gago intitolata El Guerrero del Antifaz (Il
Guerriero dalla Maschera). Il protagonista è un giovane spagnolo
la cui madre, incinta di lui, era stata rapita dai Musulmani
all’epoca in cui gli Arabi avevano invaso e occupato parte della
Spagna. Così il nostro eroe si è creduto figlio di un principe
islamico e ha combattuto dalla sua parte contro gli Spagnoli. Ma la
madre in punto di morte gli svela la verità sulle sue origini, così
l’eroe fugge e raggiunge il suo vero padre, un conte spagnolo. Da
quel momento cambia schieramento e combattendo insieme agli Spagnoli
contro gli Arabi nasconde il volto dietro una maschera per evitare
d’essere riconosciuto dagli uni e dagli altri. La trama un po’
semplicistica, cogli Arabi malvagi e solo gli Spagnoli capaci di
nobiltà d’animo, non ha impedito che la serie avesse successo in
Spagna per ventidue anni, fino al 1966 e al numero 668, conclusosi
con la conquista di Granada da parte degli Spagnoli. Comunque il
fatto che l’eroe cambi bandiera a seconda di chi considera suo
padre, evidenzia come stare dall’una o dall’altra parte sia
dovuto alla casualità di dove si è nati, più che a ideali
religiosi o politici spesso sbandierati come scuse.
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Da Paperino il Paladino, II puntata, pag. 1 (1960) |
Molto
più spensierata è la facilità con cui Paperino affronta i pirati
saraceni nella storia del 1960 Paperino il Paladino, di Carlo
Chendi e Luciano Bottaro. Qui il motivo dell’invasione dei Saraceni
è che il loro capo non sopporta di sentire continuamente le urla del
menestrello Gastone mentre, al di là del mare, canta a squarciagola
dei brani alla Celentano. Il solo accenno alla religione è il grido
di morte agli infedeli con cui i Saraceni stanno per sbarcare,
prima che il prode Paperino, rimasto da solo a difendere la città,
ne mandi a picco quasi tutte le imbarcazioni e pesti di santa ragione
i pochi sventurati che riescono a prendere terra.
Altri
invasori simili, chiamati Mori e impersonati dai Bassotti, furono
messi in fuga dal paladino Paperino con ancora maggior violenza nella
successiva storia Paperin Furioso, realizzata da Luciano
Bottaro nel 1966.
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Da Paperino e il tesoro di Papero Magno. Ristampa del 1972 |
Nella
terza parte della trilogia medievale bottariana uscita nel 1972,
anch’essa realizzata dal solo Bottaro e intitolata Paperino e il
Tesoro di Papero Magno, i Mori-Bassotti hanno un ruolo ancora più
importante visto che fanno appunto prigioniero re Papero Magno (cioè
Paperone), conquistando una versione europea della città di
Paperopoli. D’altra parte su Topolino di riferimenti
religiosi espliciti non se ne potevano fare (neppure i paperi sono
mai dediti a riti cristiani e non portano croci, anche se qui c’è
un accenno alla Terra Santa e i Mori sono chiamati infedeli), quindi
in questi casi i motivi del conflitto coi Mori appaiono più
misteriosi (o forse più chiari, visto che i Mori-Bassotti sono
interessati esclusivamente ai tesori di Papero Magno…).
Comunque
questi Mori disneyani venuti dall’Africa (dove poi tornano grazie a
un filtro della nostalgia creato da Archimede) sono chiaramente
identificabili coi Turchi, visto che Paperino chiama i loro soldati
giannizzeri.
A
giudicare da certe differenze nel lettering, alcune crudeltà e
minacce nei dialoghi da parte di quei Mori sembrano esser state
modificate, forse perché considerate eccessiva per i canoni Disney.
Così un cavallo che si dice essere stato depilato (?) è
probabile che nella prima stesura fosse stato decapitato,
mentre un moro che minaccia Paperino di spennarlo e spiumarlo forse
in origine lo minacciava di qualcosa di molto peggio.
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Da Ramiro, I ep., pag. 5 (1974) |
Un’altra
serie su Cristiani e Saraceni è quella che il fumettista belga
William Vance iniziò a disegnare dal 1974 su testi di Jacques
Stoquart. Il titolo è Ramiro e tra il 1977 e il 1989 fu
raccolta in nove album dall’editrice francese Dargaud. È
ambientata tra il XII e il XIII secolo, negli anni della riconquista
della Spagna in gran parte occupata dagli Arabi da parte dei
Cristiani. L’impresa è però un po’ complicata dal fatto che
questi ultimi sono divisi nei vari regni di Castiglia, di León e di
Navarra, che sono nemici tra loro.
Il
protagonista è un popolano castigliano, Ramiro appunto, che nel
primo episodio partecipa alla battaglia di Alarcos del 1195, in cui
l’esercito cristiano del re Alfonso VIII è sconfitto dall’armata
musulmana del sultano Ya’Qub. Durante lo scontro Ramiro è fatto
prigioniero dal nemico e condotto a Cordoba, nonostante una scorta di
cavalieri avesse tentato di proteggerlo a ogni costo, cosa di cui è
stato lui stesso il primo a stupirsi.
Gli
autori incidentalmente fanno notare come la città di Cordoba,
capitale della Spagna islamica, fosse probabilmente la più civile e
raffinata dell’intera Europa dell’epoca. Perfino la prigione del
sultano in cui è rinchiuso Ramiro è infatti decisamente lussuosa,
soprattutto se confrontata con quelle dei re cristiani.
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Ramiro n. 8. Dargaud, 1983 |
Il
sultano ha capito di aver catturato un ostaggio importante ma non sa
cosa lo renda tale e finisce per cedere il turbolento prigioniero al
re di León in cambio di un’alleanza. Infatti in questi conflitti
la questione era più politica che religiosa e, allora come oggi,
governanti cristiani e musulmani non esitavano ad allearsi.
Ramiro
comunque riesce ben presto a evadere e alla fine scopre di essere un
figlio bastardo del re di Castiglia, il ché spiega sia la protezione
ricevuta in battaglia che l’interesse del re nemico nei suoi
confronti.
Per
il momento ciò non gli conferisce comunque altri privilegi e,
autonominatosi scherzosamente cavaliere bastardo difensore di folli,
eretici e derelitti, Ramiro si imbarca in altre imprese, come fare da
scorta a dei pellegrini lungo la strada per Santiago de Compostela,
che di certo era allora molto più pericolosa di oggi.
Dal
febbraio 2015, Ramiro è pubblicato in Italia in formato
bonellide in bianco e nero dall’Editoriale Cosmo.
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Da Carlo Martello, di Sergio Toppi (1976) |
Questo
tipo di fumetti storici sono stati saltuariamente ospitati anche
sulle riviste cattoliche italiane, ma ovviamente con scene molto poco
sanguinarie e spesso con più d’un pizzico di propaganda cristiana.
Sul
n°18 del 1976 del Messaggero dei Ragazzi, supplemento a
fumetti del Messaggero di Sant’Antonio, uscì per esempio
una breve storia di Sergio Toppi intitolata a Carlo Martello,
il re dei Franchi che nel 732 fermò l’avanzata degli arabi
dell’emiro di Cordoba Abd-Ar-Rahman, nei pressi di Poitiers. Va
detto che mentre i disegni di Toppi, sempre eccezionali, mostrano
correttamente le truppe di un re molto rude e aggressivo, i dialoghi
accennano di continuo alla fratellanza cristiana, con un effetto
involontariamente un po’ ridicolo.
Se
non si può negare a re Carlo il diritto di pregare in una pausa dei
combattimenti, è raro infatti che un rude condottiero, nel bel mezzo
di una battaglia decisiva o alla sua vigilia, apostrofi i suoi uomini
con parole leziose da ecclesiastico. È probabile che la linea
editoriale della testata abbia influenzato i testi dell’autore ed è
in fondo più verosimile il re Carlo che tornava dalla guerra
nella famosa canzone di De André (visto che sempre di lui si
trattava). Degli Arabi è qui riconosciuto il valore in battaglia, ma
sono visti soprattutto come una terribile minaccia per il
Cristianesimo, il ché non è proprio storicamente preciso, visto che
i Musulmani rispettano Gesù come profeta e a quei tempi non
obbligavano i Cristiani sottomessi a convertirsi.
Del
resto il re Carlo Magno, successore di Carlo Martello, stringerà poi
senza troppi problemi un’alleanza coi califfi abbasidi nemici dei
Saraceni di Spagna, che appartenevano invece alla dinastia omayyade.
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Carlo Magno contro i Saraceni di Spagna. Miniatura francese del XII secolo |
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Nadir Quinto, Jacopo del Mare (1985) |
Su
Il Giornalino delle Edizioni Paoline, dal 1984 apparve invece
la serie medievale Jacopo del Mare, scritta da Mino Milani e
disegnata da Nadir Quinto, il cui giovane protagonista è una specie
di cavaliere di ventura che comincia la sua carriera dopo aver
liberato il padre prigioniero dei Musulmani e che, come ogni eroe che
si rispetti, è più interessato a difendere una giusta causa che al
proprio tornaconto. Ma Milani è uno scrittore serio e non fazioso,
quindi il suo Jacopo affronta tanto pirati saraceni che predoni o
nobili dittatori cristiani.
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Ahmed Addid, da Federico II di Toppi, 2003 |
Sempre
su Il Giornalino, nel 2003 uscì a puntate il racconto a
fumetti Federico II, scritto da Roberto Genovesi, disegnato da
Sergio Toppi, e raccolto in volume nel 2005 da Alessandro Editore.
Vi si racconta la vita dell’imperatore cristiano Federico II di
Svevia, mostrando come la sua particolare apertura mentale fosse
probabilmente dovuta anche all’essere cresciuto in Sicilia, storico
luogo d’incontro di culture diverse.
In
quella storia la tolleranza dell’imperatore è rappresentata dalla
sua giovanile amicizia col saraceno siciliano Ahmed Addid, che poi
diventa capo delle sue guardie. In seguito vediamo anche come
Federico II fu artefice della prima crociata che ottenne i luoghi
sacri ai Cristiani senza spargimenti di sangue, grazie all’accordo
del 1229 con l’altrettanto illuminato e tollerante sultano d’Egitto
Al-Kamil. In cambio questi conservò l’accesso ai luoghi sacri ai
Musulmani, per cui il controllo su Gerusalemme fu per la prima volta
diviso tra due fedi.
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Federico II e Al-Kamil, da Federico II. Toppi, 2003 |
La
ricostruzione del Giornalino è un po’ semplicistica. In
effetti Al-Kamil fu forzato a accettare l’accordo dalla
preoccupante avanzata dell’esercito di Federico, che usò tale
esibizione di forza per ottenere la pace, ma il sultano non era
ingenuo e tenne per sé tutte le cittadelle della Palestina, cioè i
principali punti strategici.
Inoltre
i patti stipulati tra Federico e Al-Kamil proibivano ai Cristiani di
costruire fortificazioni, lasciandoli di fatto in completa balia
della benevolenza islamica. A ogni modo l’accordo fu ugualmente
storico, poiché dimostrò che era possibile una convivenza pacifica
basata sulla fiducia reciproca anziché sulle armi.
Ma
un tale incruento successo risultò sgradito sia ai nobili europei
che non poterono arricchirsi con saccheggi e conquiste di terre, sia
alla Chiesa che auspicava stragi di infedeli… Il colto imperatore
Federico del resto era già stato scomunicato ancora prima di
partire, poiché il Papa aveva notato i suoi indugi, ovvero la sua
totale mancanza di entusiasmo nell’andare a massacrare altri esseri
umani in nome di Dio.
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Confessions d'un Templier n. 2. Soleil, 2010 |
Sempre
a proposito delle Crociate, tra il 2009 e il 2011, l’editrice
francese Soleil ha pubblicato i tre album della serie Confessions
d’un Templier (Confessioni di un Templare), di Fabio
Bono e Bruno Falba.
Il
protagonista è l’ultimo Gran Maestro dei Templari, Jacques de
Molay, che nel 1314, in procinto d’essere fatto giustiziare dal re
di Francia, rievoca la sua vita confessando tutti i suoi segreti al
Grande Inquisitore Humbert de Paris e parlando naturalmente degli
eventi da lui vissuti durante le Crociate.
Il
personaggio è reale e il contesto è storico ma, trattandosi di
oscuri segreti, i fatti qui ricostruiti rimangono a dir poco incerti.
Del resto nella realtà Jacques de Moley fu costretto con la tortura
a rendere confessioni di vari delitti, che poi ritrattò del tutto
prima di essere condannato, ma senza confessare altri segreti. È
quindi difficile ricostruire, dai pochi dati a nostra disposizione,
la vera storia dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio.
Nel
racconto qui narrato da de Molay, l’Islam è rappresentato dal
sultano Baîbars e dalla leggendaria setta degli Hashashin, una
misteriosa organizzazione di sicari dediti all’uso dell’hashish
da cui sarebbe poi derivata la parola assassini (ma di cui è
difficile che facesse parte una donna, come qui mostrato un po’
arditamente). A essere assassinato alla fine sarà però proprio il
sultano, il ché scatenerà una guerra civile tra i Saraceni per la
successione, fatto di cui i Templari e non solo loro dovranno
decidere se e come approfittare.
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Confessions d'un Templier n. 3. Soleil, 2011 |
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Templier n. 1. Soleil, 2012 |
Lo
stesso editore ha pubblicato subito dopo, tra il 2012 e il 2014,
anche i tre album della serie Templier (Templari)
scritta da Jean-Luc Istin, disegnata all’inizio da Mirko Colak e
proseguita coi disegni di Lucio Alberto Leoni (disegnatore tra
l’altro di Martin Mystère e Julia) e della
sua compagna Emanuela Negrin.
La
trama, in cui la Storia cede presto il posto al Fantasy, si svolge
nel XII secolo all’epoca della III Crociata indetta per tentare di
riprendere Gerusalemme, che era stata riconquistata dalle truppe del
Saladino, quindi dopo il finale del film Le Crociate di Ridley
Scott (da cui è stato ripreso il volto del condottiero saraceno).
Ma
qui il tema principale non sta tanto negli scontri tra Cristiani e
Musulmani, quanto nella ricerca di una mitica arca da parte di un
gruppo di avventurieri guidati da un cavaliere templare, in
concorrenza con la spietata Compagnia Nera, una setta che è
praticamente una controparte satanista degli stessi Templari.
L’arca
in questione non è quella famosa fatta costruire da Mosè secondo la
Bibbia, ma una sua versione malefica, contenente l’Oro di Lucifero
che rende folli e spietati tutti coloro che, appena lo vedono, non
possono fare a meno di desiderarlo, un po’ come succede con
l’anello di Sauron ne Il Signore degli Anelli.
L’idea
è interessante, poiché anche l’Arca dell’Alleanza nella Bibbia
produce ogni sorta di stragi e pestilenze, stragi che qui gli uomini
compiono massacrandosi a vicenda per il possesso dell’oro. È come
se l’arca di Lucifero di questa storia rappresentasse quell’aspetto
perverso di certe religioni che spinge alcuni al totale fanatismo e
alla più sfrenata violenza… o a una sanguinaria ipocrisia
religiosa che nasconde solo avidità.
In
Italia Templari è stata pubblicata nel 2014, raccolta in un
albo in formato bonellide dell’Editoriale Cosmo.
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Templier n. 3. Soleil, 2014 |
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Da Dracula di Wood & Salinas |
Nemico
per eccellenza dei Turchi, tanto nella Storia del Rinascimento che in
quella del Fumetto, è stato poi il voivoda della Valacchia Vlad
Dracula, detto Tepes (impalatore in rumeno). In italiano il
titolo di questo sanguinario sovrano e condottiero rumeno è stato
equiparato a quello di principe o di conte. Lasciando da parte tutte
le versioni horror che, anche nei fumetti, lo hanno visto sotto forma
di un vampiro immortale, il Dracula storico, come ricordato anche
nella prima parte, è apparso nella serie Dago, scritta da
Robin Wood e disegnata da Alberto Salinas. Gli stessi autori gli
hanno poi dedicato una breve serie personale, di cui la prima parte è
apparsa sulla rivista argentina Skorpio nel 1991. Vi si narra
la vera vita di Dracula, di cui è mostrato il crescente odio per i
Musulmani, fin da quando lui e suo fratello Radu , ancora ragazzini,
sono presi in ostaggio dal sultano turco. Ma Dracula, pur
prigioniero, a differenza del fratello non accetta mai di
sottomettersi e anzi sfida più volte apertamente l’autorità del
sultano e dei suoi giannizzeri.
Nel
periodo in cui è prigioniero dei Turchi, Dracula ne apprende
soprattutto le spietate torture. Poi trama per essere inviato dal
sultano a riconquistare e governare in sua vece la nativa Valacchia,
ma una volta riappropriatosi del trono che era di suo padre Vlad
Dracul e aver eliminato spietatamente i suoi oppositori, fa trucidare
anche gli ambasciatori turchi. Le truppe che a quel punto il sultano
invia contro di lui, cadono vittime delle stesse feroci pratiche che
Dracula ha appreso nella sua corte, come quella della decapitazione
ma soprattutto dell’impalamento, che Vlad Tepes usa senza risparmio
e gli vale il suo sinistro soprannome.
La
serie Dracula di Wood e Salinas, conclusasi con la morte del
protagonista, è stata pubblicata in Italia dall’Editoriale Eura e
raccolta in due volumi della collana Euracomix, il n°40 del 1991 e
il n°89 del 1996.
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Un'armata turca, da Dracula di Wood & Salinas |
Guerre
e rivolte coloniali
Nel
periodo del Colonialismo, tra ribellioni contro il dominio turco e
sollevazioni contro l’occupazione delle potenze europee, la Jihad
assunse sempre più il senso di guerra d’indipendenza e di riscatto
dei popoli arabi dai conquistatori stranieri. Anche questi conflitti
e ribellioni sono stati raccontati in varie storie a fumetti.
Per
gli occidentali una delle figure storiche più famose ad aver guidato
una rivolta araba, è quella del celebre colonnello inglese Thomas
Edward Lawrence, detto Lawrence d’Arabia, che durante la I Guerra
Mondiale riuscì a riunire sotto la sua guida molte tribù beduine
rivali e a spingerle alla ribellione contro i Turchi, naturalmente
finendo per fare in tal modo soprattutto gli interessi bellici e
politici del proprio governo.
Nei
fumetti hanno indossato in modo parodistico dei panni simili ai suoi,
guidando provvisoriamente degli assalti di truppe beduine, anche un
paio di personaggi dei fumetti umoristici altrettanto famosi.
Il
primo è Zio Paperone, che nella storia di Carl Barks del 1965 dal
titolo Uncle Scrooge Mc Duck of Arabia (Zio Paperone
Lawrence d’Arabia) guida l’assalto dei discendenti del regno
di Saba contro dei predoni.
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Da Zio Paperone Lawrence d'Arabia. Carl Barks, 1965 |
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Da Carter d'Arabia di Bonvi (1973) |
Il
secondo è Nick Carter che nella storia di Bonvi del 1973 Carter
d’Arabia, ambientata all’epoca di Lawrence, ne ripete le
gesta agendo per conto di un petroliere americano e guidando un
gruppo di beduini all’attacco dei suoi pozzi di petrolio
controllati dall’esercito turco, ma non riuscirà a impedire che
vengano incendiati. Entrambe le storie sono state ristampate più
volte e se nella prima di riferimenti religiosi non ce ne sono, nella
seconda i beduini fanno riferimento più volte al tipico fatalismo
islamico che accetta la volontà di Allah.
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L'Uomo del Nilo di Toppi, 1976 (copertina) |
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Da L'Uomo del Nilo. Toppi, 1976 |
L’Uomo
del Nilo, scritto da Decio Canzio e disegnato da Sergio Toppi,
nel 1976 inaugurò invece la collana di volumi cartonati della Cepim
Un Uomo, Un’Avventura, composta da veri e propri graphic
novel ante litteram. Vi apparvero molti fumetti d’ambientazione
storica, di cui alcuni si svolgevano anche nel corso di rivolte
islamiche più o meno legittime, trattandosi di guerre per rendersi
indipendenti da domini stranieri.
Era
una collana piuttosto originale, in cui ai protagonisti, per quanto
eroici e coraggiosi potessero essere, poteva anche capitare di
trovarsi a combattere dalla parte sbagliata, oppure da quella
perdente.
Nel
primo volume il protagonista è l’immaginario corrispondente di
guerra Bob Wingate, che nel 1884 riesce a raggiungere e intervistare
Gordon Pascià, governatore inglese del Sudan assediato nella città
di Khartoum dalle truppe del Mahdi. Questo termine indica una sorta
di messia guerriero, un condottiero che i Musulmani ritenevano
inviato da Dio per guidarli alla riscossa e alla definitiva
riconquista del mondo da parte dell’Islam.
Come
si vede nella storia, anche tra i suoi seguaci, in modo analogo a
quelli che siamo oggi tragicamente abituati a vedere nei
telegiornali, c’erano reparti di suicidi che si lanciavano
fanaticamente contro le armi e le difese moderne, per consentire la
vittoria di chi li avrebbe seguiti. A Khartoum in effetti finirono
per vincere.
Ristampato,
come la maggior parte dei volumi della serie, anche dalla Hobby &
Work, L’Uomo del Nilo nel 2013 è apparso sull’Almanacco
dell’Avventura 2014 della Bonelli, omaggio agli autori
scomparsi poco prima.
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L'Uomo della Legione di Battaglia, ultima vignetta. |
Sulla
collana Un Uomo, un’Avventura seguì poi L’Uomo della
Legione, in cui Dino Battaglia disegnò un episodio ambientato
nel 1921 della lunga guerra di liberazione combattuta dagli algerini
contro le truppe francesi della Legione Straniera, al grido di
Algheveir Alhurà (Algeria Libera), a cui assistiamo però
dallo scomodo punto di vista dei legionari. Questi infatti non
riusciranno a tener testa ai ribelli arabi, anche se la completa e
definitiva liberazione dell’Algeria dal dominio francese giungerà
solo decenni dopo.
L’Uomo
del Deserto, scritto da Gino D’Antonio e disegnato da
Ferdinando Tacconi è invece ambientato in Arabia nel 1917, ovvero
durante la I Guerra Mondiale. I due non troppo eroici protagonisti,
il pilota inglese disertore Bertram Prott e la spia russa Tania
Zarova al soldo dei tedeschi, ritrovandosi dispersi in Arabia dopo
essere caduti col loro aereo, finiranno inevitabilmente per unirsi ai
beduini di Lawrence d’Arabia, partecipando anche a qualche sua
vittoria lungo la strada verso Damasco, prima di eclissarsi e
scomparire.
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L'Uomo del Deserto di Tacconi (copertina) |
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L'Uomo del Khiber di Micheluzzi (copertina, 1979) |
Un’altra
resistenza di una popolazione islamica contro degli invasori, in
questo caso inglesi, è raccontata ne L’Uomo del Khiber,
scritto e disegnato da Attilio Micheluzzi nel 1979 e ambientato
cent’anni prima tra Punjab e Afghanistan, in una regione stretta
tra l’impero britannico e quello russo. Il protagonista è Reginald
Winkie, un inglese per metà indiano che, per una serie di
circostanze, deve rifugiarsi presso una tribù afgana, ma sotto il
suo travestimento agisce per agevolare la vittoria inglese contro i
guerriglieri delle montagne.
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Da Lester Cockney n. 1. Le Lombard, 1982 |
Il
conflitto tra Inglesi e Afghani è anche al centro dei primi episodi
della serie Lester Cockney, creata sulla rivista belga Tintin
nel 1980 dal fumettista Franz Drappier e pubblicata in album dal 1982
dalle Editions du Lombard, per poi essere edita in Italia dalla Comic
Art dal 1984 e in formato bonellide dalla Cosmo nel 2012.
Il
protagonista è questa volta un irlandese che, arruolato a forza
nell’esercito inglese comincia a viaggiare in giro per il mondo.
Lester non sopporta però la disciplina militare e a volte
fraternizza coi popoli indigeni con cui di volta in volta viene in
contatto, come appunto i rudi guerrieri Afghani. Questi nel secondo
episodio riescono a cacciare l’esercito inglese da Kabul e Lester,
con un eterogeneo gruppo di amici, riesce a passare indenne
attraverso gli eventi senza mai odiare né considerarsi veramente
nemico di nessuno.
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Da Qui la Legione, di Wood & Garçia Duran |
Le
guerre d’Algeria, combattute a più riprese dall’esercito
francese anche con mezzi inumani come la tortura e conclusesi con
l’ottenimento dell’indipendenza per lo stato africano, causarono
milioni di morti algerini e possono costituire un altro elemento per
capire il risentimento che può riemergere a distanza di generazioni.
Oltre a L’Uomo della Legione di Battaglia, ci sono stati
anche altri fumetti dedicati alla Legione Straniera.
Gli
argentini Robin Wood e Luis Garçia Duran realizzarono negli anni ’80
la serie Qui La Legione, pubblicata in Italia sulle riviste
dell’Eura e poi ristampata dal 1998 nei volumi della collana I
Giganti dell’Avventura. Anche qui le storie sono incentrate
sulla vita e i problemi dei legionari, che sono sempre diversi anche
se le fisionomie a volte si assomigliano, visto che gli episodi si
concludono spesso con la morte di molti di loro.
Invece
i guerrieri del deserto sono visti più che altro come il nemico da
combattere ma a volte accennano alla propria religione musulmana
sottolineando, col tipico fatalismo arabo, come la certezza che i
caduti per la causa andranno in Paradiso sia per loro un incentivo
alla lotta a oltranza fino al sacrificio.
Ma
ciò che più interessa rilevare a Robin Wood, qui come in altre sue
serie, sono le conseguenze sull’animo umano del dover vivere
uccidendo i propri simili, cosa che può portare all’indurimento o
a crolli psicologici, oppure del vivere isolati in forti in mezzo al
deserto, il ché può condurre alla diserzione o alla follia.
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Da Il legionario, pag. 136. SBE, 2006 |
Nella
produzione della Bonelli, si può invece segnalare il numero unico Il
Legionario, scritto da Stefano Piani e disegnato da Renato
Polese, che nel 2006 in un certo senso anticipò la successiva
collana dei Romanzi a Fumetti Bonelli, con una storia
autoconclusiva in cui i ribelli berberi danno filo da torcere ai
legionari invadendo il Marocco Francese, anche se la trama principale
riguarda dei crimini interni alla Legione stessa.
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Volto Nascosto n. 5. SBE, febbraio 2008. Disegno di Rotundo |
Un
altro personaggio che comunica e solidarizza con le diverse culture
con cui si trova in contatto nei suoi viaggi è l’italiano Ugo
Pastore, originale figura di commerciante-avventuriero dal volto
vagamente ispirato a quello del cantautore Fabrizio De André, creato
dallo sceneggiatore Gianfranco Manfredi come protagonista della
miniserie Volto Nascosto, pubblicata in quattordici numeri tra
il 2007 e il 2008 dalla Bonelli.
La
storia inizia in Etiopia nel 1889 e colui che le dà il titolo è un
predone musulmano dal volto coperto da una maschera d’argento e
considerato un capo religioso, benché i suoi seguaci appartengano a
diverse fedi.
Volto
Nascosto ha un ruolo importante nella guerra d’Etiopia in quanto
simbolo di libertà e ribellione, ma il fatto che sia islamico non ha
che un’importanza relativa. Si batte agli ordini del negus
d’Etiopia Menelik II e della regina Taitù, che sono cristiani,
contro l’esercito coloniale italiano soprattutto per motivi
politici, in una trama complessa e ben costruita, anche se forse a
tratti con qualche risvolto sentimentale di troppo.
Il
destino di questo misterioso capo etiope, che dovrebbe odiare gli
Italiani e di cui solo verso il decimo episodio si vedrà il vero
volto e si saprà perché porti una maschera, si intreccia in un
rapporto di reciproco rispetto e complicità sia col destino di Ugo
Pastore che con quello di un ambizioso amico di quest’ultimo, il
tenente Vittorio De Cesari, che era deciso a uccidere Volto Nascosto
prima di essere fatto prigioniero da lui.
|
Volto Nascosto n. 6. SBE, marzo 2008. Disegno di Rotundo |
Più
essenziale fu l’appartenenza religiosa musulmana nella rivolta dei
Sepoy, i soldati indigeni delle truppe coloniali inglesi in India.
Questi nel 1857 rifiutarono di usare cartucce che si diceva fossero
state trattate con grasso suino, perché la loro religione vietava di
toccarlo, mentre i soldati indù temevano a loro volta che il grasso
usato per le cartucce fosse di bovino. Dalle punizioni loro inflitte
dagli ufficiali inglesi per insubordinazione e dalla conseguente
ribellione, ebbe origine una rivolta che infiammò l’intera India
per un anno prima che gli Inglesi riprendessero il controllo del
paese esercitando una repressione spietata sui ribelli.
Questo
episodio storico è riportato fedelmente nell’albo auto-conclusivo
La Rivolta dei Sepoy scritto da Giuseppe di Nardo, disegnato
da Bruno Brindisi ed edito dalla Bonelli nel 2012 sul n°3 della
collana Le Storie.
Qui
ai fatti reali viene però aggiunta, per complicare un po’
l’intreccio, la difficile storia d’amore in stile Romeo e
Giulietta tra una ragazza inglese di famiglia ricca e un giovane
anglo-indiano povero, con il padre di quest’ultimo, il sergente
inglese Donovan, che finisce per schierarsi dalla parte dei
rivoltosi.
|
Da La rivolta dei Sepoy. Le Storie n. 3, pag. 88. SBE, 2012 |
Il
Corano e i terroristi
Come
si è visto, col tempo il fumetto ha cercato di avvicinarsi alla
cultura islamica con meno pregiudizi. Nulla vieta per esempio di
citare brani del Corano in un fumetto, anzi forse è un modo in cui
una storia che tratti della loro religione possa essere gradita anche
ai Musulmani, purché non si discosti dal testo sacro e dalla sua
interpretazione ortodossa. Un ottimo scrittore come l’indiano
Salman Rushdie, che ha dato con libertà e fantasia
un’interpretazione appena diversa sulla leggendaria stesura e
modifica di due soli versetti, deve ancora vivere sotto scorta per
non fare la stessa fine dei vignettisti e redattori di Charlie
Hebdo.
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Salman Rushdie, I versi satanici. Mondadori, 1989 |
Del
resto nel Corano, come in altri presunti libri sacri, si trova un po’
tutto e il contrario di tutto, versetti che invitano chiaramente alla
tolleranza e alla convivenza pacifica e altri che possono essere
usati per giustificare lotta armata e persecuzioni. Ciò perché alle
origini dell’Islam già Maometto e i suoi primi seguaci, visto che
la loro dottrina non attecchiva facilmente, finirono per ricorrere
anche ad azioni abbastanza sanguinarie, sia per sopravvivere che per
imporre e diffondere la loro fede, e dovettero quindi auto-assolversi
da quelle violenze.
La
principale giustificazione che si diedero, e che sopravvive in certi
passi del Corano, fu che in quei casi fosse stato Dio stesso a
comandare loro, per bocca del suo messaggero, di ricorrere all’uso
delle armi. Insomma si tratta di un perfetto equivalente del Dio
lo vuole! con cui anche Cristiani ed Ebrei giustificarono molto
spesso le loro invasioni e stragi, a volte anche per bocca di alcuni
cosiddetti santi e profeti.
Al
di là dei contenuti, pare che uno dei motivi che contribuirono a
diffondere il Corano tra i popoli arabi, tradizionalmente amanti
della poesia, sia la grande bellezza stilistica della sua stesura
originale, considerata anche per questo d’origine divina, un
aspetto che va irrimediabilmente perso nelle traduzioni in altre
lingue.
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Corto Maltese di Hugo Pratt |
Cita
diversi brani del Corano (sia veri che falsi) Hugo Pratt, in una
storia di Corto Maltese degli anni ’70 ambientata in Arabia durante
la I Guerra Mondiale e non a caso intitolata Nel Nome di Allah il
Misericordioso e Compassionevole, frase da cui sono introdotti
quasi tutti i capitoli, o sure, del libro sacro dell’Islam.
Naturalmente
Corto Maltese, sempre schierato dalla parte di tutti i popoli in
rivolta, qui combatte al fianco dei beduini arabi contro i Turchi
ottomani, esattamente come fece Lawrence d’Arabia, ma come sua
abitudine rimane alla fine indipendente da ogni fazione e fedele solo
al suo spirito anarchico.
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Da Corto Maltese di Pratt |
Tra
le altre cose, in quella storia esordisce l’affascinante
personaggio di Cush, giovane dancalo di religione islamica che ne
segue i dettami un po’ a modo suo, pur dichiarando spesso la sua
fedeltà alla legge coranica.
Il
nome Cush nella Bibbia ebraica indica l’antica regione
dell’Etiopia, che era ben più vasta dell’attuale, cioè proprio
il paese da cui proviene e in cui poi ritorna l’omonimo personaggio
di Pratt. Cush ha infatti un ruolo importante anche nelle due storie
successive di Corto Maltese, di cui l’ultima in cui appare,
ambientata appunto in Etiopia e intitolata Di Altri Romei e di
Altre Giuliette, vede svolgersi tra le dune del deserto una trama
vagamente simile a quella dei due famosi amanti di Verona. Al posto
delle due famiglie nemiche ci sono i due popoli dancalo e abissino,
l’uno di religione islamica e l’altro di fede cristiana. Rispetto
alla tragedia shakespeariana, l’abituale leggerezza e ironia di
Pratt assicurano però in questo caso un lieto fine. Le tre storie di
Corto Maltese in cui appare Cush, andarono poi a costituire la
trilogia intitolata Le Etiopiche.
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Cush, in una copertina di Pratt |
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Gli Scorpioni del Deserto di Pratt. Milano Libri, 1991 |
Un
Cush più maturo, visto che sono passati parecchi anni, riappare nel
secondo episodio di un’altra famosa serie di Pratt, ambientata in
Africa durante la II Guerra Mondiale e intitolata Gli Scorpioni
del Deserto.
Qui
il guerrigliero dancalo salva da morte certa il protagonista, il
tenente polacco Koïnsky, e continua a recitare sure del Corano ma
anche altre poesie arabe. Con gli anni però Cush dimostra di essere
diventato un po’ meno osservante e molto più “rivoluzionario”.
È infatti soprattutto in cerca di armi che servano alla lotta armata
del suo popolo e per ottenerle non esita a uccidere a sangue freddo
un ufficiale italiano fascista.
Tutte
queste storie di Pratt, in origine pubblicate in formato rivista,
sono state rimontante in formato simile al bonellide nella collana
Hugo Pratt, allegata nel 2010 al Corriere della Sera e
alla Gazzetta dello Sport.
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Lo Sconosciuto di Magnus |
Cita
delle autentiche sure del Corano anche un altro famoso fumettista
altrettanto dotto, Roberto Raviola, in arte Magnus, in alcune storie
vissute o presentate dal suo antieroe spionistico Lo Sconosciuto.
Nel
sesto numero de Lo Sconosciuto, uscito nel 1976, è un gruppo
di guerriglieri libanesi che, mentre un loro compagno sta morendo,
leggono un brano dal Corano scegliendone una pagina a caso. Prima del
testo in italiano, l’autore riporta perfino le frasi originali
scritte in alfabeto arabo, che pochi lettori dell’epoca avranno
potuto leggere ma che potrebbero benissimo essere i primi testi arabi
mai pubblicati in un fumetto italiano. Nel finale della storia, dopo
il bombardamento di un campo profughi palestinese da parte di aerei
israeliani, lo stesso guerrigliero che aveva letto il Corano compie
un attentato a Beirut, gettando una bomba a mano contro delle
famiglie di turisti occidentali, e viene infine linciato dalla folla
infuriata.
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Da Lo Sconosciuto n. 6. Magnus, 1976 |
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Da Il volo del Lac Leman. Magnus, 1981 |
Il
breve episodio Il Volo del Lac Leman uscì invece nel 1981 sul
n°38 del supplemento Strisce e Musica allegato ai quotidiani
La Nazione e Il Resto del Carlino. Il titolo si
riferisce a un aereo dirottato da terroristi pakistani, i cui
caratteri sono tratteggiati da Magnus con efficacia in poche
vignette. C’è appunto il fedele islamico che ripete e medita tra
sé le sure del Corano, c’è l’esaltato fanatico incapace di
controllarsi e che abusa di stimolanti, c’è una donna più
pragmatica e affidabile dei suoi complici. Nella stessa storia un
saggio arabo dice che chi agisce con orgoglio ricorrendo alle armi,
come i terroristi, non confida in Dio e quindi non è un vero
musulmano, idea interessante ribadita da vari leader islamici per
condannare la strage di Parigi.
Visto
che anche Maometto unificò le tribù arabe guidando delle lotte
armate, qualcuno potrebbe dedurne che neanche il Profeta fosse un
perfetto musulmano, ma si sa che le regole valide per i sudditi non
sono mai applicate a capi e monarchi, soprattutto se sostengono
d’aver avuto l’autorizzazione direttamente da Dio…
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Schizzi preparatori di Magnus per Il volo del Lac Leman |
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Da Full Moon in Dendera. Magnus, 1982 |
In
uno degli episodi più lunghi de Lo Sconosciuto, intitolato
Full Moon in Dendera e uscito a puntate sulla rivista Orient
Express nel 1982, Magnus costruisce invece un intreccio politico
e spionistico più complesso, ambientato in Egitto tra antichi
reperti archeologici e sanguinari attentati con armi moderne.
Anche
in questa storia c’è un terrorista che cita il Corano, ma ne dà
una lettura rivoluzionaria, secondo cui i nemici dai quali difendersi
e da combattere non sarebbero tanto gli infedeli, quanto quel 20%
dell’umanità che sfrutta il rimanente 80% sottraendogli ogni
ricchezza. Tale interpretazione potrebbe essere stata ispirata da
quella analoga di Sayyid Qutb, storico ideologo del movimento
radicale dei Fratelli Musulmani.
Entrambi
i racconti citati sono stati anche ristampati nel 2003, nel volume in
formato bonellide L’Arte di Magnus, corrispondente al n°41
della collana I Classici del Fumetto di Repubblica.
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Le Décalogue n. 10, di Giroud & Franz. Glénat, 2003 |
Lo
sceneggiatore francese Frank Giroud trattò il difficile tema della
religiosità islamica in modo più organico e ambizioso nella serie
in dieci album Le Décalogue (Il Decalogo), pubblicata
da Glénat tra il 2001 e il 2003, uscita in Italia anche in formato
bonellide tra il 2013 e il 2014 e citata anche ne L’Angolo del
Bonellide XIII.
Al
centro della storia, continuamente oscillante tra thriller e racconto
storico, c’è un immaginario decalogo di comandamenti perduti
attribuiti a Maometto, che inviterebbe alla tolleranza reciproca, al
perdono dei propri nemici e a rinunciare del tutto all’uso della
forza, insomma un decalogo islamico che condanna chiaramente ogni
forma di violenza e che, se esistesse, forse oggi potrebbe anche
contribuire a un po’ di distensione...
La
serie racconta la ricerca del misterioso testo procedendo a ritroso,
dal presente al passato. In anni recenti il rarissimo libro che lo
contiene va perduto soprattutto a causa di un gruppo di terroristi
islamisti, che lo considerano una minaccia per la diffusione del loro
distorto concetto di guerra santa. Poi, di episodio in episodio
(ognuno realizzato da un artista diverso), si risale indietro nel
tempo attraverso i secoli fino a un’epoca vicina a quella in cui il
Profeta avrebbe potuto scrivere tale Decalogo, su una scapola
d’asino.
Ma
chiaramente gli autori de Il Decalogo sono consci dell’effetto
che potrebbe avrebbe su molti Musulmani raffigurare il volto
dell’estensore del Corano in una storia come questa e quindi si
regolano di conseguenza.
Anche
nel decimo e ultimo capitolo, pubblicato nel 2003 e intitolato La
Dernière Sourate (L’Ultima Sura), lo scrittore Giroud e
il disegnatore Franz Drappier non corrono mai il rischio di mostrare
l’aspetto di Maometto, ambientando la storia in anni successivi
alla sua morte, dopo che qualcuno ha trovato tra le sue cose il
decalogo in questione, la cui vera paternità resta dubbia fino alle
ultime pagine della saga.
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Da Le Décalogue n. 10, pag. 16. Glénat, 2003 |
Stati
canaglia
La
definizione di “stati canaglia” fu coniata dal governo USA per
indicare quegli stati, in particolare arabi o islamici, che danno
asilo e sostegno a gruppi terroristici. Di certo ce ne sono stati, ma
a ben vedere tale definizione si può adattare anche agli stessi USA,
che in vari casi hanno finanziato gruppi di guerriglieri, come in
Nicaragua o in Liberia, e che in Afghanistan inizialmente sostennero
i talebani contro i sovietici.
In
ambito mediorientale, anche Israele in passato ha ospitato, tollerato
o appoggiato atti di terrorismo ai danni dei Palestinesi. Si può
citare il massacro dei profughi palestinesi di Sabra e Shatila
compiuto in Libano nel 1982 da falangisti cristiani con la connivenza
dell’esercito israeliano, o il tumulto della Montagna del Tempio a
Gerusalemme nel 1990, in cui un gruppo sionista ultra-conservatore
uccise ventuno Palestinesi e ne ferì gravemente più di cento, con
la polizia israeliana che malmenò e arrestò solo i Palestinesi.
Se
si estende il concetto di stato canaglia a eserciti, polizie o
servizi segreti che si sono comportate esse stesse in modo
terroristico, facendo uso di violenze o torture su civili innocenti,
la lista si allunga a dismisura. Insieme a certi regimi arabi o
islamici (anche amici dell’Occidente come l’Egitto di Mubarak o
l’Arabia Saudita), dovrebbe includere anche quei governi che furono
responsabili del carcere di Guantanamo o dei carceri israeliani in
cui si sono ignorati i diritti umani dei prigionieri arabi, spesso
arrestati anche senza prove.
In
vari casi insomma, gli stessi Musulmani sono stati a loro volta
vittime di diverse forme di terrorismo o ingiustizie e il fatto che
vaste violenze gratuite contro civili arabi siano state compiute
anche da eserciti in divisa o da bombardamenti aerei, non è una
grande attenuante (forse piuttosto un’aggravante…).
Ogni
volta che fatti simili si verificano, è abbastanza probabile che
possano contribuire a far incrementare l’estremismo e il fanatismo,
anche religioso, a far aumentare cioè il numero di coloro che per
risentimento compiono attentati o accettano di aderire a
organizzazioni terroristiche, come accadde in Irlanda quando in tanti
si unirono all’IRA dopo che la polizia inglese aveva fatto una
strage sparando su manifestanti pacifici.
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Da Paulette, cap. 3, di Wolinski & Pichard |
Dagli
anni ’90 a oggi, varie opere a fumetti si sono occupate della
difficile situazione in paesi del Medio Oriente o dell’Europa
orientale, denunciando giustamente anche le persecuzioni o le stragi
ai danni di Musulmani, o accennando al finanziamento del terrorismo
anche islamico da parte di paesi occidentali. In questi casi
contribuiscono ad alimentare conflitti e violenze anche degli
intrecci politici, che non rendono le situazioni per niente semplici
come una certa propaganda guerrafondaia o ingenua vorrebbe farle
apparire.
Già
Georges Wolinski e Georges Pichard, nel 3° capitolo della lunga saga
di Paulette da loro pubblicata sulla rivista Charlie
dal 1970, accennarono alla curiosa usanza dei governi occidentali di
offrire le loro forniture di armamenti indifferentemente a stati
islamici dittatoriali di vecchio tipo, a nuove fazioni islamiste
fanatiche o a gruppi militari con a capo ufficiali arabi laici, che
in nome di principi intransigenti hanno quasi sempre finito per
creare nuove dittature. Ma in genere, per i rappresentanti delle
potenze o delle ditte occidentali, ciò che più conta è che una
volta al potere i loro clienti possano pagare le armi ricevute,
magari in petrolio (gli affari sono affari, come si dice da noi,
anche se intanto ci vanno di mezzo un mucchio di innocenti…).
|
Una pena islamica, in una vignetta di Naji al-Ali del 1985 |
Dal
1969 il disegnatore palestinese Naji al-Ali, vissuto lui stesso come
rifugiato e esule tra Libano e Kuwait, realizzò un gran numero di
vignette con un personaggio di nome Handala (termine che indica
l’amarezza), un bambino arabo stilizzato quasi senza capelli e a
piedi scalzi, che da metà anni ’70 il suo autore cominciò a
raffigurare quasi sempre di spalle e finì per sostituire la sua
firma. Handala rappresenta il testimone delle tante ingiustizie
subite dai popoli arabi nel corso degli anni per vari motivi: per
l’occupazione israeliana, per le faziose politiche statunitensi,
per i bombardamenti in guerre come quella del Libano, per le stragi
come quella di Sabra e Chatila, per lo sfruttamento occidentale del
petrolio che arricchisce gli emiri e non le popolazioni, per le
politiche dei leader arabi che fanno gli interessi propri e non dei
loro popoli, per le leggi inumane di certi regimi islamici (anche
alleati dell’Occidente) che infliggono punizioni corporali e
mutilazioni.
Altri
personaggi fissi delle vignette di Naji al-Ali sono una donna velata
in abito tradizionale che rappresenta la Palestina (a volte
tristissima e altre fieramente ribelle), un uomo magro e baffuto che
rappresenta il popolo arabo (spesso mostrato come un carcerato, un
perseguitato o un militante), un soldato israeliano con la Stella di
David sull’elmetto, che rappresenta i governi sionisti ed è quasi
sempre il cattivo della situazione, e poi un uomo grasso che
rappresenta i leader arabi corrotti e che viene spesso ridicolizzato
in vari modi.
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La strage di Sabra e Chatila, in un disegno di Naji al-Ali del 1982 |
Le
vignette di al-Ali divennero famose in tutto il Medio Oriente e lo
sono ancora oggi. Hanno un tono più doloroso e poetico che comico,
distante da quello dell’umorismo occidentale, e sono decisamente di
parte, con qualche disegno anche abbastanza discutibile, ma se
l’autore si schiera di continuo contro gli Israeliani e contro
l’invadenza dei governi occidentali nei paesi arabi, lo fa sempre
per motivi politici, non religiosi. Infatti tra i Palestinesi spesso
disegnava anche Gesù crocifisso, oppure la sua croce portata dai
Palestinesi, in una sorta di identificazione ideale tra un messia e
un popolo entrambi perseguitati.
Inoltre
vari codici e simbolismi grafici che al-Ali usa sono spesso molto
diversi dai nostri (per esempio le immagini in sequenza si leggono da
destra a sinistra) e quindi non sono sempre per noi immediatamente
comprensibili. Nonostante ciò, vedendo molte delle sue tragiche
vignette, è difficile restare del tutto indifferenti davanti a
raffigurazioni tanto sentite e dirette delle sofferenze di un popolo.
Per
le sue vignette libere e che non risparmiavano nessuno, Naji al-Ali
era inviso ai sionisti ma anche ai leader arabi di cui contestava le
scelte. Cacciato dal Kuwait nel 1985 su pressione del leader
palestinese Yasser Arafat e dopo aver capito, anche a seguito di
minacce di morte, che non avrebbe potuto disegnare liberamente in
nessun altro stato del Medio Oriente, si rifugiò a Londra, dove
riprese a collaborare con la sede locale del giornale arabo Al-Qabas
International, che poi faceva arrivare i suoi disegni nei paesi
arabi.
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Una vignetta di Naji al-Ali sulla Palestina (1987) |
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Le Livre de Handala, di Naji al.Ali. Sacribest, 2011 |
Nel
1987 Naji al-Ali fu vittima di un attentato nella sede di quel
giornale, in pieno centro di Londra, e morì cinque settimane dopo
per le ferite riportate. Assassino e mandanti non furono mai
identificati. Quattro anni dopo Arafat disse che era stato ucciso dal
Mossad, il servizio segreto israeliano, ma la cosa naturalmente è
impossibile da dimostrare e trattandosi di una dichiarazione di parte
non è neanche così tanto affidabile.
La
sola cosa sicura è che, allora come oggi, l’esercizio della
libertà d’espressione può essere pericoloso, quando tocca certi
temi scomodi e certi interessi politici ed economici. Al-Ali non era
accusato di violazioni religiose ma di denunciare le ingiustizie
subite dal popolo arabo, eppure la sua morte non è stata molto
diversa da quella dei vignettisti di Charlie Hebdo. Anche loro
denunciavano la violenza integralista.
In
Occidente le vignette di Naji al-Ali sono apparse solo molti anni
dopo la sua morte: in Inghilterra nel libro del 2009 A Child in
Palestine (Un Bambino in Palestina), in Francia nel volume
del 2011 Le Livre de Handala (Il Libro di Handala), col
sottotitolo I disegni di resistenza di Naji al-Ali o L’altra
storia della Palestina.
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Da Afghanistan, di Attilio Micheluzzi (pag. 27) |
L’invasione
dell’Afghanistan da parte dei soldati dell’URSS in un ultimo
guizzo di imperialismo sovietico e la resistenza dei guerriglieri
locali, all’epoca finanziati dagli USA, è stato invece rievocato,
in modo romanzato ma al tempo stesso estremamente realistico, nel
breve romanzo a fumetti Afghanistan. Si tratta dell’ultima
storia incompiuta di Attilio Micheluzzi, realizzata nel 1990 e uscita
a puntate sulla rivista Comic Art all’inizio del 1991, poco
dopo la morte dell’autore, per poi essere raccolta in volume sul
n°49 dei Tascabili Lizard.
Il
taglio dato alla storia da un raffinato fumettista fuori dagli schemi
e politicamente super partes qual era Micheluzzi, è quello di un
racconto dove non c’è spazio né per il buonismo superficiale né
per le scontate retoriche militariste. Tanto la propaganda sovietica
che quella islamista sono evidenziate nella loro pomposa assurdità,
dallo sguardo critico dell’autore. Tutti i personaggi che disegna
sono invischiati loro malgrado in una sporca guerra, in cui sono
costretti a sporcarsi a loro volta le mani e in cui ancora una volta
l’Islam diventa un incentivo alle violenze sugli invasori infedeli
o sui traditori, anziché una ricerca di pace interiore.
Alla
resistenza afgana partecipano infatti vari gruppi islamici, compresi
quelli integralisti ed estremisti come il Jamiat-I-Islami. Così tra
uno scontro e l’altro, è apparentemente ucciso dai fondamentalisti
anche un medico della Charitas, le cui visite a pazienti femminili
sarebbero stata viste dai fanatici come un infastidire le donne,
ma poi si scopre che i colpevoli non sono quelli che sembrano e che
la situazione è più ingarbugliata.
Anche
qui, come ne L’Uomo del Khiber, anch’esso d’ambientazione
afgana, l’autore evidenzia l’assurdità delle tragedie che
descrive sottolineando il concetto di kismet (destino), tipico
degli Afgani e in generale di tutti gli Islamici, poiché secondo la
dottrina coranica neanche il male può avvenire senza il consenso
divino.
|
Da Palestisna, I parte, pag. 47 |
Tra
il 1992 e il 1995, dopo un paio d’anni passati a raccogliere
testimonianze nei territori occupati da Israele, il fumettista
maltese e statunitense d’adozione Joe Sacco scrive e disegna la
serie Palestina, prima pubblicata in nove albi, poi raccolta
in due volumi e infine in un unico volume nel 2001. La lucida
denuncia di questo libro riguarda soprattutto le difficili condizioni
vita, i maltrattamenti e gli attentati subiti dai Palestinesi, sia
nel periodo di cui l’autore può dare una diretta testimonianza che
nei ricordi delle persone intervistate.
Si
parla di Israeliani armati che si insediano come coloni nei territori
senza permesso, cacciando con la forza dalle case i Palestinesi che
vi abitavano prima. Si vedono vittime di formazioni israeliane
paramilitari che sparano contro i Palestinesi per strada, provocando
un gran numero di invalidi permanenti. Si descrivono le torture e i
pestaggi subiti da Palestinesi arrestati senza prove per farli
confessare di essere terroristi, con alcuni di loro trattenuti anche
per lunghi periodi indeterminati senza capo d’imputazione né
processo. Si mostrano i funerali di Palestinesi uccisi in
interrogatori della polizia israeliana, evidentemente piuttosto rudi…
|
Da Palestina, I parte, pag. 98 |
Non
manca neanche la cronaca delle violenze compiute dai Palestinesi,
come la prima Intifada (la Rivolta delle Pietre), che qui è
vista come una comprensibile reazione a una dura occupazione militare
della propria terra, un po’ come fecero nel Risorgimento italiano i
ragazzi di Genova contro gli occupanti Austriaci. Per quanto ogni
violenza sia deprecabile, in effetti è un po’ difficile
considerare un vero e proprio atto terroristico il lancio di sassi da
parte dei giovani palestinesi contro dei soldati equipaggiati con
armi da fuoco e mezzi corazzati, soprattutto quando qualcuno di quei
ragazzi paga il suo gesto di ribellione con la vita.
Il
giorno in cui, come si vede qui, dei soldati ben armati fuggirono per
la prima volta davanti ai sassi lanciati da dei ragazzi, questi
dimostrarono che non era vero che i Palestinesi non esistevano, come
sostenevano in passato i leader israeliani. D’altra parte, in Medio
Oriente la lapidazione con grosse e pesanti pietre è una pratica
molto violenta, prevista in certi casi addirittura come pena di morte
dalla legge islamica. Comunque in vari punti, Sacco condanna anche
gli atti terroristici compiuti dai Palestinesi, ma il suo libro dà
soprattutto voce a chi non ha potuto quasi mai far sentire le sue
ragioni e far conoscere i motivi della sua rabbia.
|
Da Palestina, I parte, pag. 138 |
Ma
se l’opposizione e la lotta contro il governo sionista e l’esercito
israeliano occupante sono comprensibili e anche legittimi, invece
l’odio indiscriminato verso tutti gli Ebrei, espresso più volte
dai Palestinesi anche nelle testimonianze riportate nel libro di Joe
Sacco, come ogni generalizzazione non fa che alimentare conflitti
senza fine, rischiando di colpire solo persone innocenti. Infatti ci
sono anche Israeliani che condannano le violenze subite dai
Palestinesi e se non saranno i più moderati dei due popoli a
incontrarsi, parlarsi e trovare soluzioni, certo nessuno dei più
integralisti riuscirà a risolvere la situazione con la violenza, a
meno che non porti alla totale distruzione di una delle due nazioni
come i più estremisti da entrambe le parti vorrebbero.
Altrettanto
inquietanti sono i risvolti che fanno pensare a un ritorno ai
precetti più retrivi della religione islamica da parte di un popolo
come quello palestinese, i cui usi e costumi sono ampiamente moderni.
Come si dice anche nel libro di Sacco, la vecchia OLP
(l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina) è
infatti del tutto laica, visto tra l’altro che non tutti i
Palestinesi sono musulmani ma ci sono tra loro anche cristiani.
La
questione posta anche in questo libro, la restituzione dei territori
occupati (che molti Palestinesi vorrebbero in modo irrealistico che
coincidesse con quella dell’intero Israele) è soprattutto
politica, non religiosa. Nel fumetto di Sacco vediamo l’OLP che
vieta di imporre i precetti islamici, mentre le donne che ne fanno
parte in genere non portano il velo, ma sono per lo più delle
femministe che tentano di far prendere coscienza dei propri diritti
alle tante donne sottomesse ai mariti (non solo musulmane, ma anche
cristiane).
|
Da Palestina, II parte, pag. 4 |
Con
l’inasprirsi dell’occupazione e degli scontri, mentre i
Palestinesi sembrano dover difendere sempre più la propria identità
culturale, aumenta però l’influenza del gruppo islamista di Hamas,
diventa sempre più raro vedere in giro donne palestinesi senza velo
e si verificano casi di anacronistica intolleranza religiosa.
La
lunga intervista finale dell’autore a un paio di ragazze israeliane
mostra l’altro lato della medaglia, ovvero la paura che gli
Israeliani hanno degli Arabi e la conseguente esitazione a restituire
loro i territori occupati per timore che possano avere una buona
posizione strategica per colpire Israele. Ciò conferma che
all’origine di molte violenze e sopraffazioni, sia in natura che
tra gli esseri umani, c’è molto spesso la paura dell’altro.
In
Italia i primi albi di Palestina furono pubblicati
dall’editrice Phoenix, mentre l’edizione in volume è stata
pubblicata nel 2002 dalla Mondadori nella collana Strade Blu e
poi ristampata più volte, nel 2006 dalla stessa Mondadori nella
collana Piccola Biblioteca e anche sul n°4 della collana
Graphic Novel allegata a La Repubblica e a L’Espresso,
nel 2013 sul n°8 della collana Graphic Journalism
allegata al Corriere della Sera.
|
Da Palestina, II parte, pag. 49 |
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Da Gorazde area protetta, pag. 22 |
Ma
una delle più sistematiche e sanguinarie stragi compiute da
cristiani ai danni di musulmani, dai tempi delle Crociate, è quella
riportata e documentata nel successivo libro a fumetti di Joe Sacco,
Safe Area Goražde (Goražde Area Protetta),
uscito nel 2000 dopo che l’autore aveva passato quattro anni a
raccogliere informazioni sul posto. Il sottotitolo è La Guerra in
Bosnia 1992-1995 e i terribili avvenimenti descritti sono stati
ricostruiti subito dopo che si erano svolti, grazie alle
testimonianze dirette di molti testimoni oculari.
L’enclave
di Goražde, una zona a grande maggioranza musulmana, in quegli anni
rimase isolato nella Bosnia occupata dalle truppe serbe di religione
cristiano-ortodossa. Queste attuarono una terribile pulizia etnica in
particolare proprio ai danni dei Musulmani, massacrando
sistematicamente migliaia di persone, fucilandole o scannandole
letteralmente, comprese donne e bambini, che a volte furono sgozzati
e gettati nei fiumi. In questo caso, che indossassero o meno delle
divise militari, i terroristi furono decisamente i Cristiani.
|
Da Gorazde area protetta, pag.187 |
I
Musulmani della Bosnia, di etnia slava come i loro carnefici, sono
discendenti di coloro che si erano convertiti all’Islam durante i
secoli in cui quella regione era parte dell’Impero Turco e a parte
la religione non sono in alcun modo distinguibili dagli altri
Europei, né per l’aspetto né per l’abbigliamento o le usanze.
Tutto
il libro è attraversato anche da storie di amicizia tra ex-vicini
musulmani e serbi, che prima della guerra convivevano pacificamente e
che a volte cercano di salvarsi a vicenda dal vortice della follia
umana. Un testimone musulmano racconta invece di come un suo vicino
serbo si dicesse convinto, senza nessun motivo concreto, che i
Musulmani avrebbero massacrato tutti i Cristiani per creare uno stato
islamico dittatoriale e che per questo i Serbi dovevano ucciderli per
primi. È un altro esempio di come una paura più o meno irrazionale,
fomentata da pregiudizi, possa condurre gli esseri umani a
giustificare atroci violenze.
Nell’ultima
parte del volume l’autore descrive la battaglia in cui i Musulmani
bosniaci difesero disperatamente ciò che restava di Goražde
dall’attacco martellante delle truppe serbe. Data l’assenza di
fanatismo religioso nei Bosniaci nessuno di loro gridò Allah
Akbar! né parlò di Jihad, ma in un certo senso, se la si
definisce davvero come guerra difensiva, quello fu forse il caso di
Jihad più giusta e giustificata nella storia dell’Islam.
In
Italia, Goražde Area Protetta è stata pubblicata
direttamente in volume dalla Mondadori nel 2006 e poi ristampata come
n°13 della collana Graphic Journalism allegata al Corriere
della Sera nel 2013.
|
Da Gorazde area protetta, pag. 203 |
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Locandina in inglese di Valzer con Bashir |
Ancora
a proposito di massacri ai danni di musulmani, nel 2008 fu presentato
al festival di Cannes il film a cartoni animati Waltz with Bashir
(Valzer con Bashir) scritto e diretto dal regista
israeliano Ari Folman. Tale lungometraggio è stato anche adattato
sotto forma di un romanzo a fumetti, pubblicato nel 2009 dalla
Metropolitan Books coi disegni dell’illustratore israeliano David
Polonsky, principale animatore del film.
Vi
si narra il tentativo dell’autore stesso di recuperare un ricordo
completamente rimosso dalla sua memoria, ovvero l’indiretta
partecipazione alla strage di Sabra e Shatila, all’epoca in cui era
un giovane soldato dell’esercito israeliano in Libano. Come
riportato nel film e nel fumetto, la strage avvenne nel 1982, ai
danni dei rifugiati palestinesi che occupavano quei campi nei pressi
di Beirut, tra cui anche vecchi, donne e bambini, e fu compiuta dai
falangisti cristiani libanesi per vendicare l’omicidio del loro
leader Bashir Gemayel.
|
In parallelo, una scena di Valzer con Bashir e l'adattamento a fumetti |
L’esercito
israeliano, che nel conflitto sosteneva i falangisti e in quel
momento si trovava disposto intorno ai campi, contribuì ad agevolare
il lavoro degli assassini, illuminando il cielo notturno con dei
razzi al fosforo. Ari Folman, anche se non ricorda molto bene dove si
trovasse e che cosa facesse in quel momento, a distanza di parecchi
anni continua a sentirsi in colpa per aver preso parte in qualche
modo a un eccidio che ha fatto di tutto per dimenticare e di cui ha
infine deciso di affrontare il ricordo, raccontandone la storia.
È
questo un altro caso in cui la persecuzione religiosa è stata
compiuta da cristiani verso i musulmani, con i falangisti che con le
loro baionette incisero perfino delle croci sui petti dei Palestinesi
prima di ucciderli.
La
versione a fumetti di Valzer con Bashir, con un’interessante
appendice che illustra difficoltà e differenze che il disegnatore ha
riscontrato nell’adattare un film in tale forma, è stata
pubblicata in Italia dalla Rizzoli-Lizard e nel 2013 è stata
ristampata sul n°2 della collana Graphic Journalism allegata
al Corriere della Sera. Il fumetto non è stato ottenuto né
riproducendo dei fotogrammi, né ridisegnando le scene, ma con
disegni preliminari realizzati durante la preparazione del film e a
volte più dettagliati di quelli apparsi sullo schermo.
|
Valzer con Bashir a fumetti. Rizzoli Lizard, 2009 |
|
Empire USA n. 1. Mondadori Comics, 2014 |
Sono
invece il terrorismo islamista e le teorie complottiste del mondo
post-11 Settembre a essere al centro della prima parte della serie
francese Empire USA, un thriller spionistico a fumetti che è
stato pubblicato da Dargaud in due stagioni di sei album ciascuna,
uscite rispettivamente nel 2008 e nel 2011. L’autore delle
sceneggiature è Stephen Desberg, mentre alla realizzazione grafica
dei volumi si sono alternati vari disegnatori, così da far uscire
rapidamente i sei album di ogni stagione nel giro di un solo anno.
Desberg
si ispira allo stile e al ritmo dei telefilm televisivi, per creare
nella prima stagione una trama in cui si suggerisce che le famose
armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, mai rinvenute in
Iraq, gli fossero state vendute dallo stesso governo americano, ma
non avessero mai lasciato gli Stati Uniti. Ora una di quelle armi,
una micidiale bomba chimica, viene fornita a dei terroristi
islamisti, i Fratelli Assassini, che progettano di usarla in un
grande attentato a San Francisco, da dei politici americani che
vogliono manipolarli. Questi poco noti ma influenti uomini politici
intendono sfruttare l’effetto post-attentato, per instaurare a loro
volta una dittatura religiosa cristiana negli Stati Uniti e
costituire quello che diventerebbe a tutti gli effetti un vero e
proprio impero neocoloniale globale. Per la gioia dei teorici dei
complotti, l’inquietante storia, costruita con un discreto
realismo, riesce a risultare molto più credibile di quanto potrebbe
sembrare a prima vista.
|
Da Empire USA, ep. 1, pag. 6 |
Particolarmente
inquietante è la descrizione dei Fratelli Assassini come un gruppo
islamista rivale di Al-Qaeda e ancora più fondamentalista, che
riesce anche a infiltrarsi molto meglio in Occidente. O Desberg
possedeva particolari doti profetiche mentre scriveva la storia, o
non era così difficile immaginare una simile escalation, visto che
ci sono abbastanza affinità con l’attuale organizzazione dell’Isis
o Daesh che dir si voglia.
Gli
unici a scoprire e cercare di sventare il complotto sono tre agenti
della CIA abbastanza fuori dagli schemi, ma che anche per questo
appaiono a loro volta particolarmente credibili e umani nelle loro
fissazioni e problemi familiari. Rovina un po’ la plausibilità del
racconto solo il fatto che l’eroe principale, l’agente
anticonformista Jared Gail, si convinca a un certo punto d’essere
la reincarnazione di Giuda, il ché mescola a un tratto leggende
cristiane e teorie poco scientifiche con una trama altrimenti molto
concreta ed efficace.
|
Empire USA n. 4. Mondadori Comics, 2015 |
Nella
seconda stagione della serie lo scenario degli avvenimenti, sempre
incentrati sul terrorismo, si sposta dal conflitto col Medio Oriente
a quella che è quasi una nuova versione della guerra fredda, in cui
ancora una volta si contrappongono agenti statunitensi e russi,
mentre l’impero americano è ora definito tale soprattutto per il
suo potere finanziario e la sua influenza economica nel mondo. In
Italia, Empire USA è pubblicato dall’Ottobre 2014
nell’omonima collana mensile a colori edita da Mondadori, al ritmo
di due episodi per volta.
Ma
oggi lo stato canaglia per eccellenza è un organismo il cui
antiquato e violento fanatismo religioso, che fa vittime prima di
tutto tra arabi e musulmani, sembra davvero uscito da un fumetto di
quelli di una volta, quando i malvagi erano chiaramente e
incontestabilmente tali, indossavano spesso abiti e cappucci neri,
alla Fantômas o alla Diabolik, e si organizzavano in gruppi
terroristici dai nomi altisonanti, tipo Spectre o Hydra.
Lo
stato canaglia in questione è invece personificato da un gruppo
denominato con una sigla più anonima, ISIS, un acronimo che in
inglese sta per Stato Islamico Iraq-Siria e che, forse casualmente,
richiama anche il nome originario di un’antica dea egizia, che si
dilettava di arti magiche ma non compiva massacri.
La
sigla che indica lo stesso gruppo terrorista in arabo è DAESH e, a
detta dei testimoni arabi che sono fuggiti dalle zone della Siria che
ha occupato, fa proseliti innanzitutto tra i criminali dei luoghi che
invade.
Dedicato alla resistenza curda che si oppone
coraggiosamente all’Isis sul confine turco è il reportage a fumetti
intitolato Kobane Calling, del disegnatore romano
Michele Rech, in arte Zerocalcare, una storia pubblicata col n°1085
del settimanale Internazionale nel gennaio 2015 e andata
rapidamente esaurita (tanto da farla subito ristampare anche in
allegato al numero della settimana seguente).
|
Internazionale n. 1085, gennaio 2015 |
C’è
però da aspettarsi che arrivino prima o poi anche altri più ampi e
completi resoconti a fumetti, a raccontarci le atrocità di un regime
realmente folle che impone a chi vive nei territori che occupa di
aderire ciecamente al Corano, pregare cinque volte al giorno, non
bere alcool, non fumare, portare il velo se si è donne, non radersi
mai la barba se si è uomini, non indossare i jeans, non suonare né
ascoltare musica, non giocare a pallone e altre amenità simili che
secondo loro sarebbero crimini condannati dalla legge islamica.
Le
punizioni per i trasgressori consistono nella fustigazione o nella
crocifissione per una decina di ore, ma si può giungere con relativa
facilità alla decapitazione, regolarmente inflitta a nemici e
infedeli catturati, le cui teste sono poi esposte per giorni (e a
volte usate dai bambini per giocare, visto che i palloni sono
proibiti…).
I
cattivi Saraceni dell’immaginario europeo non sono mai sembrati
così vicini, ma un capo saggio e giusto come il Saladino
condannerebbe fermamente simili barbarie. La musica poi, in assenza
di ampie arti figurative, è sempre stata una delle principali
espressioni artistiche del mondo islamico. Come può qualcuno
arrivare a pensare che il Corano la proibisca? Si dice però che,
nelle loro case, i capi dell’Isis e le loro mogli facciano festa,
fumino e bevano quanto vogliono. Davanti a tali assurdità e
ipocrisie, forse qualche vero maestro di religione musulmana potrebbe
mettersi a ridere, se non ci fosse soprattutto da piangere (e da
chiedersi quali ditte, naturalmente occidentali, forniscano armi ed
equipaggiamenti allo Stato Islamico).
Ora
che la follia criminale dell’Isis, capace di trasformare bambini in
carnefici, ci guarda dalla Libia e ha dichiarato l’Italia sua
nemica, c’è sempre meno da scherzare, ma visto che tabacco e
caucciù giunsero dall’America secoli dopo la morte del Profeta,
dove sarà scritto nel Corano che non si deve giocare a pallone o
fumare (i Turchi infatti hanno sempre fumato come Turchi), o che non
si possono portare i jeans…?
Che
bastino a giustificare tutto questo le sure cui è scritto che Dio
non ama gli stravaganti, o che Dio non ama gli eccessi?
Dovrebbero essere piuttosto interpretate nel senso di non commettere
simili atrocità…
Albi
e volumi in formato bonellide citati nell’articolo:
|
L'arte di Magnus. Classici del fumetto di Repubblica n. 41, 2003 |
L’ARTE
DI MAGNUS
Testi:
Magnus e Ennio Missaglia
Disegni:
Magnus
Collana:
I Classici del Fumetto di Repubblica n°41
Formato:
272 pag. in bianco e nero
Editore:
Gruppo La Repubblica-L’Espresso
Anno
di uscita: 2003
Prezzo
di copertina: € 4,90
|
Il legionario, One Shot n. 1, novembre 2006. Copertina di Polese |
IL
LEGIONARIO
One Shot n. 1
Testi:
Stefano Piani
Disegni:
Renato Polese
Supplemento
a Tex n°553
Formato:
232 pag. in bianco e nero
Editore:
Bonelli
Data
di uscita: Novembre 2006
Prezzo
di copertina: € 6,00
|
Volto Nascosto n. 1, ottobre 2007. Disegno di Rotundo |
VOLTO
NASCOSTO
Miniserie
di 14 albi
Testi:
Gianfranco Manfredi
Disegni:
Autori Vari
Copertine: Massimo Rotundo
Formato:
96 pag. in bianco e nero
Editore:
Bonelli
Date
di uscita: Ottobre 2007 – Novembre 2008
Prezzo
di copertina: € 2,70 l’uno
|
Corto Maltese: Le Etiopiche. Collana Hugo Pratt n. 6. RCS, 2010 |
CORTO
MALTESE: LE ETIOPICHE
Testi
e disegni: Hugo Pratt
Collana:
Hugo Pratt n°6
Editore:
RCS
Anno
di uscita: 2010
Prezzo:
€ 6,99
|
Gli Scorpioni del Deserto, I parte. Collana Hugo Pratt n. 19. RCS, 2010 |
GLI
SCORPIONI DEL DESERTO – parte prima
Testi
e disegni: Hugo Pratt
Collana:
Hugo Pratt n°19
Formato:
160 pag. in bianco e nero
Editore:
RCS
Anno
di uscita: 2010
Prezzo:
€ 6,99
|
Lester Cockney n. 1, Serie Gialla n. 1. Cosmo, 2012 |
LESTER
COCKNEY n°1
Testi
e disegni: Franz Drappier
Titolo:
I Folli di Kabul
Collana:
Cosmo Serie Gialla n°1
Formato:
96 pag. in bianco e nero
Editore:
Cosmo
Data
di uscita: Ottobre 2012
Prezzo:
€ 2,90
|
Le Storie n. 3, dicembre 2012. Disegno di Di Gennaro |
LA
RIVOLTA DEI SEPOY
Testi:
Giuseppe Di Nardo
Disegni:
Bruno Brindisi
Copertina: Aldo Di Gennaro
Collana:
Le Storie n°3
Formato:
96 pag. in bianco e nero
Editore:
Bonelli
Data
di uscita: Dicembre 2012
Prezzo:
€ 3,50
|
Almanacco dell'Avventura 2014, ottobre 2013. Disegno di Toppi |
ALMANACCO
DELL’AVVENTURA 2014
Testi:
Decio Canzio
Disegni:
Sergio Toppi
Collana
Almanacchi n°123
Formato:
240 pag. a colori
Editore:
Bonelli
Data
di uscita: Ottobre 2013
Prezzo:
€ 6,00
|
Il Decalogo n. 4, Serie Blu n. 16. Cosmo, 2014 |
IL
DECALOGO n°4
Testi:
Frank Giroud
Disegni:
Autori Vari
Titolo:
Nahik
Collana:
Cosmo Serie Blu n°16
Formato:
224 pag. in bianco e nero
Editore:
Cosmo
Data
di uscita: Gennaio 2014
Prezzo:
€ 5,90
|
Templari, Serie Verde n. 16. Cosmo, 2014 |
TEMPLARI
Testi:
Jean-Luc Istin
Disegni:
Mirko Colak, Lucio Alberto Leoni e Emanuela Negrin
Titolo:
Nella Tormenta
Collana:
Cosmo Serie Verde n°16
Editore:
Cosmo
Data
di uscita: Dicembre 2014
Prezzo:
€ 5,00
|
Ramiro n. 1, Cosmo Paperback n.1. Cosmo, 2015 |
RAMIRO
– La reconquista
Testi:
Jacques Stoquart
Disegni:
William Vance
Collana:
Cosmo Paperback n°1/5
Editore:
Cosmo
Periodicità:
mensile
Data
di uscita: Febbraio – Giugno 2015
Prezzo:
€ 3,00 ad albo
Andrea Cantucci
N.B. Trovate i link alle altre parti dell'Angolo del Bonellide su Cronologie & Index!
P.S. Riguardo la pubblicazione di ampli stralci della prima parte di questo intervento avvenuta sul giornale "Libero" del 28 febbraio 2015, l'autore Andrea Cantucci
ha qualcosa da puntualizzare, a livelo personale - non tanto sul fatto
della pubblicazione stessa (che è avvenuta col previo consenso di Dime
Web), quanto piuttosto sul titolo, sul taglio e il posizionamento dell'articolo e sui passaggi eliminati dai redattori del quotidiano. Essendo questa esigenza del nostro carissimo Andrea cosa del tutto legittima, Dime Web riporta volentieri queste sue personali precisazioni, seguite da una risposta di Giuseppe Pollicelli, giornalista di "Libero", curatore di "LiberoVeleno", esperto in calcio e fumetto (oltre che amico e storico collaboratore di Dime Press):
Sabato
28 Febbraio 2015, ampi stralci della nostra rubrica L’Angolo del
Bonellide XVII, prima parte di un articolo sull’Islam nei fumetti del
sottoscritto, sono stati ripubblicati su ben due pagine del quotidiano
Libero, giornale chiaramente di destra (o di centrodestra che dir si
voglia). Va
innanzitutto premesso e riconosciuto che la redazione di Libero è stata
del tutto corretta, richiedendo preventivamente a DimeWeb il permesso
di riprendere i brani in questione, permesso che a sua volta la
redazione di DimeWeb ha regolarmente accordato, visto anche che il
giornalista che lo aveva chiesto è persona conosciuta e fidata, in
quanto ex-collaboratore della sua originaria versione cartacea, Dime
Press.
Dobbiamo
anzi ringraziare sentitamente Giuseppe Pollicelli per l’attenzione con
cui ha evidentemente seguito e apprezzato i nostri scritti e per la
correttezza con cui non ha modificato neanche una virgola dei brani che
ha riportato, citandone con precisione autore e fonte di provenienza,
valorizzando il nostro testo e riportando perfino i titoli dei vari
capitoli, pur con ampi e inevitabili tagli tra un brano e l’altro, visto
che lo spazio da noi usato su internet è spesso ben maggiore di quello a
disposizione dei giornalisti della carta stampata.
Da
questo punto di vista quindi, niente da eccepire. Avuto il permesso i
redattori di Libero hanno scelto e utilizzato i brani dal loro punto di
vista considerati più utili, nel modo che hanno ritenuto più opportuno
in modo del tutto legittimo. A nostra volta, ora crediamo di poter
altrettanto legittimamente esprimere qualche considerazione sul modo in
cui il nostro articolo è stato riportato, poiché accanto a una certa
innegabile soddisfazione per il fatto che per la prima volta un nostro
testo (sia di DimeWeb che di Andrea Cantucci) è stato ripreso da un
quotidiano nazionale, è anche chiaro che un articolo sul delicato
argomento dell’Islam, sia pure nei fumetti, rischia di assumere
abbastanza facilmente un significato politico che in origine non gli
apparteneva per nulla, una volta che venga inserito all’interno di un
contesto di parte.
L’evidente
faziosità e le simpatie politiche del giornale Libero infatti si
esprimono fin dal modo in cui le (poche) pagine dedicate solo al
principale partito di centrosinistra sono intitolate quasi
grottescamente “I Guai della Sinistra”, mentre le pagine dedicate ai
partiti di destra (che per gli altrettanto grotteschi contenuti
potrebbero benissimo chiamarsi “I Guai della Destra”) sono invece
intitolate con enfasi un po’ ridicola “Le Sfide del Centrodestra”.
Ovviamente solo alla destra è qui affibbiato il suffisso centro, che
vorrebbe essere segno di moderazione nell’attuale magma informe della
politica italiana, ma spesso indica solo l’indistinta e opportunistica
uniformità di posizioni di quasi tutti i protagonisti della nostra vita
politica. Tutto ciò in fondo ci toccherebbe poco, visto che il nostro
articolo non ha a che fare con la politica interna del nostro paese, se
non fosse per un’altra conseguente caratteristica del giornale Libero,
cioè la sua posizione vagamente nazionalista che si accompagna a certi
toni abbastanza carichi di pregiudizi verso gli immigrati.
Su
quel giornale si può infatti riscontrare una certa strisciante
xenofobia (paura degli stranieri, per chi non sapesse il greco),
piuttosto evidente nell’insistenza con cui molte pagine, compreso
l’inserto centrale in cui è stato inserito anche il nostro articolo,
sono oggi dedicate a fomentare la paura dell’integralismo islamico.
Certo, tale pericolo non è per niente campato in aria ed è più che
giusto parlarne, visti i recenti sanguinari attentati anche nelle città
europee. È contestabile però il modo in cui un giornale che si definisce
Libero spesso generalizza la minaccia del fanatismo tendendo a
estenderla a quasi tutti i Musulmani, cosa di per sé ingiusta visto che
nel nostro paese è riconosciuta appunto a tutti la libertà di professare
la propria religione. Finché la si professa in pace e senza imporla ad
altri, si può restare attaccati a tutte le tradizioni a cui si è
affezionati, compresi anche i condizionamenti più antiquati. Ma su
Libero non tutti sembrano pensarla così. In alcuni suoi articoli si
suggerisce che ogni velo portato da molte donne musulmane, non
necessariamente fanatiche, possa nascondere chissà quali ordigni, ma
seguendo tale logica maniacale ciò varrebbe di più per qualunque borsa o
cappotto portato da ogni donna o uomo, anche dall’apparente aspetto
occidentale…
Altri
articoli di Libero cavalcano le proteste contro le cosiddette moschee
abusive, ma leggendo il testo si può scoprire che quello verso cui si
esprimono timori, non si capisce bene motivati da cosa, è un semplice
centro culturale islamico. Come dire che ogni ente culturale cristiano
di cui il nostro paese è pieno (e in cui a volte dei cristiani pregano)
andrebbe considerata chiesa abusiva… Ma non è il fatto che a volte
qualcuno vi si riunisca a pregare, che fa di un luogo una moschea o una
chiesa. Nonostante l’ottusa opposizione dei nostri connazionali più
intolleranti, o semplicemente più impauriti, non si può negare a persone
residenti sul suolo italiano di esercitare il proprio diritto di culto
in qualunque luogo privato vogliano, a meno di voler andare contro la
Costituzione. In assenza di moschee è ovvio che chi è tenuto da una
religione un po’ rigida a pregare ben cinque volte al giorno deve
arrangiarsi come può… ma non è per questo un terrorista. È vero che una
mentalità religiosa troppo rigida, non solo islamica, in certi casi
estremi può finire per portare al fanatismo, ma i terroristi vanno
individuati e fermati con indagini mirate e non con l’intolleranza
religiosa.
Oltre
agli articoli di Libero con questo fastidioso retrogusto xenofobo, ce
n’è però qualcuno che coglie di più nel segno, in particolare quelli
dell’inserto centrale sul vero e proprio integralismo islamico curato in
questo periodo da Pollicelli e altri. Nell’inserto del 28 Febbraio,
oltre alla versione condensata del nostro prolisso ma tutto sommato
modesto articolo sui fumetti che, bontà sua, Pollicelli definisce
saggio, sono stati inseriti anche brani giustamente ben più lunghi di un
libro che denuncia persecuzioni di vario tipo subite in diversi paesi
islamici da arabi atei, o non monoteisti, o omosessuali. Tali
intolleranze religiose vanno senz’altro condannate e fa benissimo Libero
a segnalarle. Tra l’altro fa piacere che un giornale di destra prenda
le difese degli omosessuali almeno nei paesi islamici e va riconosciuto
che forse altri giornali non affrontano il tema con altrettanta
decisione per timore di offendere i Musulmani o d’essere etichettati
come razzisti.
Riguardo
al nostro articolo, senza voler sminuire l’opera dei redattori di
Libero che hanno lavorato con molta cura sulla sua rielaborazione,
impaginandolo in modo molto professionale anche dal punto di vista delle
immagini e della grafica, si possono rilevare giusto un paio di
dettagli un po’ discutibili nel modo in cui è stato presentato.
Innanzitutto nel nuovo titolo dato all’articolo, l’uso dell’espressione
“i fumetti che affrontano l’islam” è abbastanza improprio, a meno che
non si intendesse dire “affrontare il tema” dell’Islam, ma è più
probabile che si volesse dare dell’articolo una chiave di lettura di
parte, con una contrapposizione netta rispetto a tutto il mondo islamico
visto complessivamente come proprio avversario, il ché non era negli
intenti del testo, incentrato semmai sulle varie interpretazioni, giuste
o sbagliate, che il mondo del Fumetto ha dato dell’Islam, accompagnate
da un netta condanna e ridicolizzazione di ogni fanatismo religioso.
Il
titolo originale, “Quando il Fumetto Incontra Maometto”, pur non
essendo forse molto incisivo o efficace in senso giornalistico, dà
invece una chiave di lettura dell’articolo volutamente neutra,
preannunciando il tono un po’ ironico dell’articolo stesso, che tenta di
sdrammatizzare per quanto possibile la situazione di conflitto e stragi
esplosa negli ultimi mesi sia in Medio Oriente che in Europa per colpa
della troppa seriosità dei fanatici. È quindi un titolo che può
risultare meno urtante per le tante brave persone che professano in pace
quella religione, che hanno tutto il diritto di farlo e che, a
differenza dei fanatici violenti o assassini, meritano un certo
rispetto. Comunque a parte questo uso diciamo infelice dell’espressione
“affrontare l’islam”, il modo in cui i contenuti dell’articolo sono
riassunti sotto il titolo è del tutto corretto ed efficace.
Secondariamente
la frase “Topolino ha ironizzato sulla facilità con cui gli arabi
tagliavano le teste”, che è stata inserita in grande al di sopra del
titolo come citazione, non si trova nell’articolo in quei termini
precisi. È una sintesi un po’ troppo libera e brutale di un dettaglio
descritto nel testo in modo molto più articolato e relativo a una
singola storia del personaggio, per di più esplicitamente definita come
politicamente scorretta. Da un punto di vista giornalistico
l’espressione è stata anche ben estrapolata, è chiaro che è una frase
forte che può attirare l’attenzione e invogliare a leggere, ma
togliendola così dal contesto ed enfatizzandola dà anch’essa
dell’articolo un’idea sbagliata, quasi sottintendendo tra l’altro che
fino a poco tempo fa tutti gli arabi se ne andassero in giro a tagliare
allegramente teste di continuo, cosa come minimo alquanto esagerata (e
storicamente non è che anche in Occidente di teste non se ne siano
tagliate…).
Probabilmente
ha qualche responsabilità anche il sottoscritto, nell’essersi espresso
con un po’ troppa leggerezza, senza immaginare che qualcuno avrebbe
potuto riprendere e sintetizzare così un frammento del suo testo, testo
riferito a una storia buffa ma che citato in questo modo diventa
decisamente troppo serio. È il caso quindi di chiarire meglio in cosa
consistesse veramente, quel piccolo dettaglio della storia del 1934
“Topolino nel Paese dei Califfi” che su Libero ha finito per essere così
esageratamente enfatizzato.
Si
trattava di un semplice tormentone comico, con due inviati di un
califfo che, lamentando lo smarrimento di un gioiello sacro,
minacciavano più volte con le scimitarre in pugno un amico di Topolino,
il capitano Churchmouse (o Radimare in italiano), preso da loro in
ostaggio con la precisa intenzione di tagliargli la testa se il loro
padrone non avesse riavuto la gemma. Alla fine arrivano abbastanza
vicini a tagliargliela davvero, ma naturalmente nel frattempo Topolino
ha recuperato il gioiello e all’ultimo minuto il pericolo è scongiurato,
perché è chiaro che di regola in nessuna storia Disney muore mai
nessuno (con rarissime eccezioni).
Ovviamente
tutto rientra in uno stereotipo del mondo arabo. Anche i costumi della
storia sono approssimativi e antiquati ed è chiaro che l’Ombrellistan in
cui è ambientata non esiste. Ma il fatto che, mentre stanno per
decapitare a sangue freddo il povero Radimare, quei due buffi sicari per
di più barbuti si giustifichino invocando un sacro dovere da compiere
in nome della giustizia, crea oggi un grottesco parallelo, come detto
nell’articolo, coi ben più sinistri carnefici dell’Isis che hanno
purtroppo reso quello stereotipo fin troppo reale.
Per
il resto, senza voler contestare troppo le scelte dei redattori di
Libero, è abbastanza chiaro che erano interessati a riportare solo le
parti dell’articolo più critiche verso i Musulmani, in conformità coi
contenuti di un inserto che fa parte di una serie intitolata “I Libri
Neri dell’Islam” in cui si rilevano gli aspetti più fanatici e quindi
pericolosi di quella cultura. Ciò che manca alla linea editoriale di
Libero, e che è invece presente negli articoli da noi dedicati a fumetti
e Islam, è il bilanciare le giuste denunce dell’intolleranza religiosa
con il riconoscimento di altri casi in cui invece l’Islam ha dimostrato e
dimostra tolleranza, o è stato a sua volta vittima di intolleranza, o
in cui altrettanta intolleranza è stata dimostrata anche dalla nostra
cultura.
Forse
per questo non sono stati ripresi dei brani dalla seconda parte del
nostro articolo (L’Angolo del Bonellide XVIII), dedicata ai fumetti sui
conflitti con gli Islamici e quindi per Libero teoricamente più
appetibile, ma in cui è riconosciuta a volte una maggiore tolleranza e
umanità dei Musulmani rispetto ai Cristiani, o si parla anche delle
legittime ribellioni dei paesi islamici per ottenere l’indipendenza
dalle potenze coloniali europee, o delle ingiustizie e stragi di cui
anche i Musulmani sono più volte stati vittime.
Si
può infatti notare che sulle pagine di Libero sono stati ripubblicati
stralci con nostre riflessioni contro la mentalità integralista, su
scontri tra vecchi eroi dei fumetti e predoni arabi, su storie che
ironizzano sul mondo arabo o che denunciano la condizione femminile nei
regimi islamici, ma non è stato incluso nessun passaggio di quelli, pure
qua e là presenti nell’articolo originale, in cui si fanno dei
paralleli con l’analogo fanatismo cristiano o in cui si riconosce anche
valore e fascino alla cultura islamica. Questi guarda caso sono stati
regolarmente saltati, naturalmente forse solo perché erano fuori tema o
non abbastanza interessanti...
Certo,
due intere pagine di un giornale a noi dedicate sono già tante e non si
poteva proprio chiedere di più, è perfettamente comprensibile che si
sia dovuto lasciar fuori molto e che sia stata del tutto omessa la parte
relativa al mondo puramente fantastico delle Mille e una Notte, ma
mentre la recensione del libro Persepolis dedicato al caso specifico del
duro regime iraniano è stata riportata praticamente per intero, non è
stato citato proprio nulla per esempio della parte dedicata a Dago,
rinnegato passato al servizio dell’Islam, pur essendo questi presente in
un’immagine, e neppure dei Musulmani che si oppongono alla dittatura
religiosa iraniana nel romanzo a fumetti Zahra’s Paradise. È chiaro che
non potevano ripubblicare tutto l’articolo, a meno di dedicarci l’intero
inserto, e siamo già pienamente soddisfatti delle nostre due pagine, a
cui tra l’altro è stata trovata una chiusura leggera e simpatica col
brano su un fumetto comico di Pétillon, ma saranno stati proprio tutti
dei tagli dovuti soltanto alla mancanza di spazio…? Saremmo lieti di
verificare che i nostri sospetti di una certa faziosità nella selezione
dei nostri testi sono sbagliati, non avendo nulla in contrario se anche
qualche altro nostro brano meno allineato con la sua linea politica
fosse citato in futuro dallo stesso giornale, magari in un inserto
intitolato “I Libri Bianchi dell’Islam” (o di qualunque altra
cultura)...
Andrea Cantucci
Ed ecco cosa risponde Pollicelli:
Di recente il quotidiano Libero ha pubblicato, per sei giorni
consecutivi, alcuni inserti che, debitamente commentati da Francesco
Borgonovo e dal professor Marco Lombardi, hanno presentato al pubblico
italiano, a mio avviso molto meritoriamente, alcuni brani tratti da
pubblicazioni prodotte dall'Isis o comunque a esso riferibili. L'intera
operazione è stata curata da Francesco Borgonovo, caporedattore centrale
di "Libero", così come è stato Borgonovo, dopo che io gliene avevo
segnalato l'esistenza, a decidere quali parti pubblicare (sull'inserto
uscito il 28 febbraio 2015, l'ultimo della serie) del lungo scritto su
islam e fumetti redatto per Dime Web da Andrea Cantucci. Personalmente,
dunque, non sono intervenuto in alcun modo né nella selezione degli
estratti del saggio di Cantucci né nella loro impaginazione né nella
scelta delle immagini a corredo. Preciso questo non per prendere le
distanze dal lavoro, secondo me assai valido, svolto dal collega
Borgonovo, ma per puro e semplice amor di verità.
Giuseppe Pollicelli
1.“Con la scusa di “liberare” la città sacra, le Crociate, […]”
RispondiEliminaSiamo sicuri che la liberazione del Santo Sepolcro fosse solo una scusa?
Per i cristiani dell’epoca – tanto i latini quanto i bizantini – Gerusalemme era il corrispettivo de La Mecca per i musulmani, né più né meno. Gerusalemme era il primo dei luoghi santi del Cristianesimo, molto più importante di Roma, Costantinopoli e Santiago di Compostela.
Si può capire, pertanto, lo sdegno suscitato in Europa dalle notizie delle angherie e delle violenze che i pellegrini, e anche i cristiani residenti nella città, subivano da parte dei Turchi Selgiuchidi.
“Sul piano della giustificazione “morale” per l’epoca – ha affermato lo storico francese Jean Flori - la Crociata potrebbe essere dunque paragonata a un Jihad volto a recuperare La Mecca caduta in mano cristiana”.
Tuttavia, bisogna dire che, a partire dalla Quarta Crociata – nella quale si ebbe l’infame saccheggio di Costantinopoli – lo spirito originario della Crociata andò affievolendosi e alla causa di Gerusalemme si affiancarono altri scopi. Ciononostante, non credo proprio che la liberazione del Santo Sepolcro fosse una mera scusa, tenuto conto pure del fervore religioso dei cristiani medievali.
2. “più che guerre sante, […]”
Come affermato – in un’intervista del 2007 – da Marco Meschini, medievalista dell’Università Cattolica di Milano, una guerra santa, per poter essere definita tale, ha bisogno dei seguenti requisiti: 1. per chi vi aderisce, è una guerra voluta da Dio e promossa dai suoi legittimi rappresentanti; 2. parteciparvi apre le porte del Paradiso.
Le Crociate possedevano senza dubbio questi due requisiti, pertanto furono guerre sante. Lo stesso dicasi del Jihad, anch’esso provvisto dei suddetti requisiti. C’è però un’importante differenza tra Jihad e Crociata: mentre il primo è il sesto “pilastro” dell’Islam, ovvero un elemento fondamentale di questa religione; la Crociata, invece, non fa parte della Rivelazione, non fa parte del nocciolo della fede cristiana.
Continua...
3. “le Crociate […] furono guerre di conquista condotte in modo spietato.”
RispondiEliminaSemmai, furono guerre di riconquista, visto che miravano a strappare ai musulmani terre che non solo erano cristiane già da prima che l’Islam nascesse, ma che – come ho già detto nel punto 1 – ricoprivano un’enorme importanza per la Cristianità. Ad ogni modo, è assai probabile che senza l’occupazione selgiuchide della Terra Santa, con tutto quello che di negativo ne seguì per i pellegrini e i cristiani del luogo, non ci sarebbe stata nessuna Crociata.
Quanto alla spietatezza, bisogna dire che sì, i Crociati si comportarono spesso con brutale violenza con le popolazioni delle città conquistate (soprattutto se, come nel caso di Gerusalemme nel 1099, gli assediati avevano rifiutato la resa), ma va anche detto che, una volta insediatisi nella regione, dimostrarono, salvo qualche episodio isolato, una certa tolleranza religiosa nei confronti di musulmani e ebrei. Ad esempio, nel XII secolo, lo scrittore e poeta islamico Ibn Jubayr osservava addirittura che i musulmani preferivano vivere nelle terre amministrate dai Crociati piuttosto che nei vari califfati.
4. “Com’era loro abitudine, quando presero Gerusalemme i Crociati compirono un enorme massacro indiscriminato, non solo uccidendo anche vecchi, donne e bambini, ma per assurdo perfino i tanti Cristiani ortodossi della città, visto che gli invasori erano incapaci di distinguerli dai Musulmani.”
Se è vero che fu un orrendo massacro, non è affatto vero invece che i Crociati uccisero anche i cristiani ortodossi di Gerusalemme. All’avvicinarsi dell’esercito crociato, infatti, il governatore della città - Ifitkhar al-Dawla - espulse quasi tutta la popolazione cristiana, probabilmente perché temeva che, una volta iniziato l’assedio, essa – superiore di numero alla popolazione musulmana – gli si sarebbe rivoltata contro.
5. “Eppure quando il sultano d’Egitto Salāhal-Dīn (noto in Occidente come Saladino) riconquistò Gerusalemme nel 1188, risparmiò tutti i cristiani che si arresero e li lasciò liberi, conquistandosi anche presso gli Europei la fama di condottiero saggio e magnanimo.”
Fatta salva la saggezza e la magnanimità di Saladino, non è vero che tutti i cristiani di Gerusalemme vennero lasciati liberi. Circa 15000 di essi – per i quali non si riuscì a raccogliere il riscatto stabilito da Saladino – furono fatti schiavi.
6. “il Corano, pur autorizzando talvolta l’uso della forza […]”
In realtà, il Corano è un testo molto ambiguo, dove – come scrivi tu stesso in un’altra parte di questo articolo – c’è scritto tutto e il contrario di tutto. Una cosa però è certa: l’Islam si è affermato e si è diffuso tramite l’uso della forza, attraverso la guerra.
Ciao,
Max
Grazie per l'attenzione. Alcune mi sembrano interessanti note che aggiungono dettagli in più. Non pretendevo d'essere esauriente. Ho cercato solo di dare dei cenni storici e sfatare qualche pregiudizio.
EliminaSulla definizione di guerra santa applicabile alle Crociate non sono d'accordo. Sono tra quelli che negano che l'aggettivo santa possa applicarsi a una guerra, anche se in ogni conflitto ci sono fanatici e opportunisti.
Riguardo al fatto che l'Islam sostenga l'obbligo della jihad come lotta armata, è stato vero fin dai tempi di Maometto, ma oggi in una consistente parte del mondo islamico sta prevalendo una distinzione, che risale a Maometto stesso, tra piccola jihad (armata) e grande jihad, cioè la lotta non armata ma interiore per migliorarsi e diventare buoni musulmani. Molti islamici considerano ora come obbligatoria solo quest'ultima e conviene a tutti che prevalga questa posizione.
Altro dettaglio che contesto è che le Crociate non possano essere considerate guerre di conquista solo perché prima delle invasioni arabe parte di quei territori erano cristiani. Non mi sembra infatti che cavalieri e nobili europei che assunsero le cariche di re e faudatari con le Crociate, avessero a che fare coi popoli che vi dominavano nei secoli precedenti.
Si può anche dire che se non ci fossero state le persecuzioni dei Selgiuchidi, gli Europei non avrebbero avuto una scusa religiosa valida per attaccare.
Riguardo alla strage dei cristiani ortodossi di Gerusalemme da parte dei Crociati, è citata da documentari trasmessi dalla RAI. Mi pare strano che siano basati solo su illazioni. Mi chiedo se sia possibile che parte degli ortodossi fosse stata evacuata e parte fosse rimasta...
Riguardo al discorso della tolleranza religiosa, se fosse maggiore da una parte o dall'altra, in entrambi i casi dipende anche dai periodi e dai singoli regnanti. Il Saladino ad esempio era pur sempre meno sanguinario di certi condottieri cristiani considerati eroici come Riccardo Cuor Di Leone.
Se è vero che l'Islam è stato diffuso con le armi e le conversioni forzate dei politeisti, lo stesso vale per il Cristianesimo in Europa.
E anche i pregiudizi e i fanatismi cristiani non ci hanno affatto abbandonati, esattamente come quelli islamici.
Grazie dei commenti,
Andrea Cantucci
Errata corrige:
RispondiElimina"mentre il Jihad è il sesto “pilastro” dell’Islam [...]"
In realtà, il Jihad non fa parte dei pilastri dell'Islam (che sono solo cinque), ma è comunque un dovere prescritto da Allah attraverso Maometto.
"Sulla definizione di guerra santa applicabile alle Crociate non sono d'accordo. Sono tra quelli che negano che l'aggettivo santa possa applicarsi a una guerra, anche se in ogni conflitto ci sono fanatici e opportunisti."
RispondiEliminaStai confondendo, però, l'aggettivo santa con l'aggettivo giusta. Nel caso specifico delle Crociate, esse erano guerre sante non perché fossero oggettivamente giuste, ma per il semplice fatto che la Chiesa stessa - promuovendole - aveva stabilito che fossero sante. In altre parole: mentre la "giustezza" di una guerra è soggettiva, la sua santità – cioè il fatto che tale guerra: 1. è promossa dai legittimi rappresentanti di Dio (in questo caso la Chiesa); 2. apre le porte del Paradiso a chi vi partecipa (non nel senso che chi vi ha partecipato è davvero volato dritto in Paradiso [su questo non vi è certezza], ma nel senso che la Chiesa garantiva a chi partiva per le Crociate la remissione dei peccati e quindi l’accesso alla Salvezza) - è un dato oggettivo, un dato storico. Esempio: se, per assurdo, Papa Francesco dovesse un domani proclamare una guerra santa, io e te potremmo discutere se tale guerra sia giusta o meno, ma essa sempre santa rimarrebbe. Potrebbe essere anche la più brutale e insensata delle guerre, ma poiché l’ha proclamata il Papa, si tratterebbe appunto di una guerra santa. Lo stesso dicasi del (piccolo) Jihad, il cosiddetto Jihad al-Asgar(ph): poiché a promuoverlo sono le autorità religiose islamiche e poiché queste assicurano a coloro che vi partecipano l’accesso al Paradiso, esso è ipso facto una guerra santa.
In conclusione: affermare che le Crociate erano guerre sante non significa esprimere su di esse un giudizio di valore, ma dire semplicemente che tipo di guerre esse furono.
"Altro dettaglio che contesto è che le Crociate non possano essere considerate guerre di conquista solo perché prima delle invasioni arabe parte di quei territori erano cristiani. Non mi sembra infatti che cavalieri e nobili europei che assunsero le cariche di re e feudatari con le Crociate, avessero a che fare coi popoli che vi dominavano nei secoli precedenti."
I succitati popoli (armeni, siriani, palestinesi, libanesi ecc.) e i succitati cavalieri e nobili avevano in comune qualcosa di assai importante per l’epoca: la fede cristiana. Nella richiesta di aiuto inviata nel 1091 a a Roberto I conte di Fiandra, l’imperatore bizantino Alessio Comneno faceva leva proprio sul comune sentimento di fede. Inoltre, nel 1096, Papa Urbano II paragonò esplicitamente la Crociata alla Reconquista iberica, il che sta a significare che la Terra Santa e i territori limitrofi erano considerati parte integrante della Cristianità, non quindi una regione straniera da invadere e colonizzare, bensì una regione cristiana da riconquistare, un territorio cristiano che in quel preciso momento storico andava liberato dagli invasori musulmani. Se trascuriamo questo dato e, soprattutto, trascuriamo il fatto che Gerusalemme era per i cristiani del tempo il luogo sacro per eccellenza, diventa difficile comprendere perché il comportamento intollerante dei Turchi Selgiuchidi portò alle Crociate.
D’altronde, gli storici contemporanei (se non tutti, una buona parte) ritengono, per l’appunto, che le Crociate furono guerre mosse non dalla sete di conquista, ma dalla fede, e come risposta all’aggressività dei Selgiuchidi (che, ricordiamolo, minacciavano la stessa Costantinopoli). Pertanto, la liberazione di Gerusalemme e dintorni non può essere liquidata come un semplice pretesto.
Continua...
"Riguardo al discorso della tolleranza religiosa, se fosse maggiore da una parte o dall'altra, in entrambi i casi dipende anche dai periodi e dai singoli regnanti."
RispondiEliminaUn dato è certo: eccetto qualche episodio isolato, i Crociati non cercarono mai di convertire, forzatamente o meno, i musulmani. Solo nel XIII secolo, dopo la Quarta Crociata, vi furono, da parte dei francescani, alcuni tentativi – del tutto pacifici - di conversione, che però non ebbero successo, e non di rado i suddetti monaci finirono uccisi: è il caso, ad esempio, dei cinque missionari – i cinque Protomartiri - inviati da San Francesco in persona. A proposito di San Francesco, bisogna aggiungere che egli stesso – come dimostrano le fonti, a cominciare dalla sua biografia ufficiale: la “Legenda majior” di San Bonaventura - era un sostenitore delle Crociate, checché se ne pensi e checché ne dicano i film farlocchi di Liliana Cavani (che ha girato ben tre film sul santo di Assisi, tutt’e tre pieni di inesattezze storiche). San Francesco medesimo, nel 1219 (al tempo della Quinta Crociata), tentò invano di convertire il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil.
"Il Saladino ad esempio era pur sempre meno sanguinario di certi condottieri cristiani considerati eroici come Riccardo Cuor Di Leone."
E’ noto che Saladino e Riccardo si stimavano a vicenda. A parte ciò, entrambi non andavano troppo per il sottile con i prigionieri di guerra: Riccardo, nel 1191, ordinò l’uccisione di 3000 soldati musulmani (il famoso massacro di Ayyadieh); Saladino invece, dopo la celebre battaglia di Hattin (1187), ordinò l’esecuzione in massa dei prigionieri Crociati. Secondo il suo segretario, Imaded-Din, Saladino “ordinò che fossero decapitati, preferendo l'ucciderli al farli schiavi. C'era presso di lui tutta una schiera di dottori e sufi, e un certo numero di devoti e asceti: ognuno chiese di poterne ammazzare uno, e sguainò la spada, e si rimboccò la manica. Il Sultano era assiso con lieto viso, mentre i miscredenti eran neri”.
"Riguardo alla strage dei cristiani ortodossi di Gerusalemme da parte dei Crociati, è citata da documentari trasmessi dalla RAI. Mi pare strano che siano basati solo su illazioni. Mi chiedo se sia possibile che parte degli ortodossi fosse stata evacuata e parte fosse rimasta..."
Che si tratti di illazioni lo dimostrano sia le fonti antiche sia i principali studi pubblicati nel secolo scorso e in questi ultimi anni.
Per quanto riguarda le prime, le principali fonti latine (che poi sono, in assoluto, le fonti più importanti per la storia delle Crociate) – la Historia Hierosolymitana di Fulcherio di Chartres, la Historia rerum di Guglielmo di Tiro e la Gesta Francorum – non fanno il minimo accenno a questa presunta strage. Non solo, ma nella Gesta Francorum si legge che, due settimane dopo la conquista di Gerusalemme, i sacerdoti ortodossi e latini fecero assieme una processione di ringraziamento che si concluse nella Chiesa del Santo Sepolcro. Nemmeno la principale fonte bizantina – l’ ”Alessiade” di Anna Comnena, figlia dell’imperatore Alessio I - parla di uccisioni di cristiani-ortodossi da parte dei Crociati; lo stesso dicasi della famosa Cronaca di Matteo di Edessa e delle fonti arabe, ad esempio quelle di Ibn al-Gawzi e Ibn al-Atir, entrambe scritte nell’XI secolo. In compenso, la Cronaca Siriaca Anonima afferma appunto che, prima dell’arrivo dei Crociati, quasi tutta la popolazione cristiana di Gerusalemme venne espulsa.
Continua...
Per quanto riguarda gli studi dell’età moderna e contemporanea, nessun accenno a ortodossi ammazzati si trova nella “History of the Crusades” (1776-1778) del celebre storico inglese Edward Gibbon. Una smentita della strage in questione la troviamo poi in quella che probabilmente è la più nota opera del ‘900 sulle Crociate, ossia “Storia delle Crociate” dell’inglese Steven Runciman (Einaudi, 1966). A p. 241 della suddetta edizione, nel Capitolo Secondo: intitolato “Il trionfo della croce”, si legge infatti:
RispondiElimina“La difesa della città era affidata al governatore fatimita Iftikhar ad-Dawla. […] Alla notizia dell’avvicinarsi dei franchi […] ordinò a tutta la popolazione cristiana della città, sia ortodossi che eretici, di andarsene fuori dalle mura; agli ebrei, tuttavia, fu permesso di rimanere. Fu una decisione saggia: nel secolo X i cristiani erano a Gerusalemme più numerosi dei musulmani e, sebbene le persecuzioni del califfo Hakim avessero ridotto il loro numero, e molti altri compresa la maggior parte del clero ortodosso fossero partiti con il patriarca durante i difficili tempi che seguirono alla morte di Ortoq, ne erano rimaste ancora alcune migliaia, inutili come combattenti perché era loro proibito portare le armi e infidi in una battaglia contro correligionari cristiani. Inoltre il loro esilio significava che vi sarebbero state meno bocche da sfamare nella città assediata.”
Per quanto riguarda infine gli studi più recenti, non troviamo nessun accenno alla presunta strage nelle importanti opere dei medievalisti inglesi Christopher Tyerman e Jonathan Riley-Smith – rispettivamente: “Fighting for Christendom. Holy War and the Crusades” (Oxford University Press, 2004); “The First Crusade and the idea of Crusading” (Athlone Press, 1993) -, e in quelle del medievalista americano Thomas F. Madden, come “Le Crociate. Una storia nuova” (Lindau, 2005).
In definitiva, possiamo affermare che la strage dei cristiano-ortodossi di Gerusalemme è nient’altro che una bufala.
"Se è vero che l'Islam è stato diffuso con le armi e le conversioni forzate dei politeisti, lo stesso vale per il Cristianesimo in Europa."
Ti sbagli, Andrea. Le conversioni forzate dei politeisti costituirono l’eccezione, non certo la regola, nella secolare storia della cristianizzazione dell’Europa.
Gli unici episodi davvero rilevanti in tal senso furono la sottomissione dei Sassoni, nell’attuale Germania settentrionale, a opera di Carlo Magno (fine VIII secolo), e quella dei popoli baltici nel XIII secolo tramite le Crociate del Nord (chiamate così per distinguerle appunto dalle Crociate propriamente dette).
E’ un dato storico, invece, che in gran parte dell’Europa il Cristianesimo si diffuse in modo del tutto pacifico, grazie all'opera di evangelizzazione compiuta inizialmente da San Paolo e dalle prime comunità cristiane, poi dai monaci missionari.
Limitandoci ai popoli pagani dell’Europa occidentale:
1. I Greci furono evangelizzati nel I secolo d. C. dal già citato San Paolo. Tuttavia, la conversione riguardò i centri urbani, non le campagne, che rimasero pagane addirittura fino al X secolo.
2. Anche in Italia, nella Francia meridionale e nella penisola iberica, a convertirsi per prime furono – nel corso dei primi secoli d. C. e in maniera volontaria - le popolazioni urbane, mentre la cristianizzazione delle aree rurali fu assai più lenta;
3. Nella Francia settentrionale, la conversione dei Franchi (V secolo d. C.) fu resa possibile grazie all’influenza esercitata da San Remigio, vescovo di Reims, sul re Clodoveo, che si fece battezzare nel 496;
4. La conversione dei Celti (degli attuali Galles, Irlanda e Scozia), avvenne, sempre nel V secolo, grazie all’opera missionaria di San Patrizio e San Niniano;
5. Quella degli Anglo-Sassoni, tra il V e il VII secolo, avvenne grazie all’opera evangelizzatrice di Agostino di Canterbury e dei monaci irlandesi e scozzesi;
6. Quella degli Alemanni dell'attuale Germania meridionale avvenne, nell'VIII secolo, grazie a San Colombano e a San Gallo.