ULTIM'ORA: AMPI STRALCI DI QUESTA PRIMA PARTE DEL NOSTRO INTERVENTO SU FUMETTI & ISLAM SONO STATI RIPRESI CON GRANDE EVIDENZA DAL QUOTIDIANO "LIBERO" DEL 28 FEBBRAIO 2015!
di Andrea Cantucci
di Andrea Cantucci
“Gli
Arabi usano criteri di giudizio che non ci sono affatto familiari”
Dal
manuale Come
Comportarsi con gli Arabi,
di
Thomas Edward Lawrence
“Colui
che perdona le offese è prossimo alla profezia”
Detto
attribuito a Maometto
La Piazza Charlie, inaugurata ad Angoulême il 1° febbraio 2015 |
È
passato un mese dalla strage di Parigi ma vale la pena di parlarne
ancora, visto che quello che era stato definito, forse esagerando,
"l’11 settembre europeo" sembra già abbastanza dimenticato dai
media. In Francia ovviamente non è così. Il Festival International
de la Bande Dessinée, che come ogni anno si è tenuto ad Angoulême,
dal 29 gennaio al 1° febbraio, è stato dedicato agli autori
scomparsi del giornale Charlie
Hebdo.
Si è istituito da quest’anno un Premio Charlie per la libertà
d’espressione e si è allestita nel locale Museo del Fumetto una
mostra di trecento pezzi sulla storia di Charlie
Hebdo,
che resterà esposta fino all’8 Marzo.
Da
parte nostra, avendo già ricordato come meglio potevamo i nostri
colleghi francesi caduti per la loro pacifica lotta contro la
stupidità umana, possiamo soffermarci su un altro aspetto della
questione, per noi occidentali forse poco comprensibile. Come possano
persone del XXI secolo, pur estremamente osservanti di una religione,
sentirsi offese da semplici rappresentazioni grafiche, anche se da
loro considerate blasfeme, al punto da uccidere degli innocenti
inermi con tale spietata ferocia o da giustificare un simile delitto.
Ricordiamo
infatti che, benché dopo il massacro della redazione di Charlie
Hebdo
la gran parte del mondo musulmano lo abbia condannato, con molti imam
che hanno dichiarato come gli assassini si ponessero coi loro atti
fuori dal vero Islam, ci sono stati anche casi di singoli musulmani
che hanno mostrato di approvare o comprendere una simile sanguinaria
vendetta compiuta nel nome del loro profeta. In Francia si è parlato
di centinaia di giovani musulmani che nelle scuole hanno rifiutato di
osservare il minuto di silenzio in memoria delle vittime o si sono
dissociati in altri modi da chi condannava il terrorismo, pur essendo
nati in Europa.
Angoulême 2015 è stata dedicata alle vittime di Charlie Hebdo... |
Sembrava
poi agli occidentali, giornali americani compresi, che la copertina
del primo numero di Charlie
Hebdo
dopo la strage, pur raffigurando Maometto, non costituisse un insulto,
soprattutto dopo un simile massacro, visto che, per quanto ironica,
invitava al perdono reciproco. Invece dopo la sua uscita la reazione
fu di totale condanna, non solo da parte degli integralisti ma di
buona parte del mondo islamico, con distruzioni di chiese e altri
morti in Africa e manifestazioni di protesta in paesi come la
Cecenia.
Tante
proteste e violenze non si sono neanche scatenate per un intero
volume a fumetti, ma per una singola vignetta in più. Perché tanto
odio?... chiedeva in passato un altro disegnatore umoristico
francese. Anche il sottoscritto una volta è stato apostrofato con
preoccupazione da un musulmano che, saputo che disegnavo fumetti,
temeva potessi fare caricature di Maometto, cosa mai passata per la
mia testa perché per fare la caricatura di qualcuno bisogna sapere
che faccia ha e il vero volto del profeta islamico nessuno lo
conosce.
Da
noi però le caricature possono anche rendere più simpatica la
persona ritratta e non le consideriamo offese così terribili. Per
sostenere la libertà d’espressione dopo la strage, perfino una
rivista gesuita e un sito ebraico hanno pubblicato vignette di
Charlie
Hebdo
sul Papa e sulla Shoah, dimostrando di avere auto-ironia e di non
considerare così insultante scherzare un po’ sulla propria fede.
Dunque qual è il problema?
Vignetta pro-Charlie pubblicata dal quotidiano del Qatar Al-Arabi Al-Jadeed. Nessuna raffigurazione di esseri viventi. |
Lasciando
da parte la situazione politica mediorientale e le tensioni tra Est e
Ovest, il problema è che in certe culture si dà tradizionalmente
più valore all’onore che alle vite umane. Il problema è che testi
ancor oggi considerati sacri furono scritti in epoche in cui le
violenze, verso chi apparteneva a diversi gruppi etnici o culturali,
erano considerate normali. Il problema è che identificare un uomo
con la divinità o un suo messaggero, e il fatto che enormi masse di
persone lo credano ciecamente, prima o poi non può che generare
fanatismo. Il problema è che nei paesi arabi non ci sono state
rivoluzioni di pensiero laiche come quella francese che, pur con
errori ed eccessi, smussassero l’intransigenza di un certo
totalitarismo religioso, diffondendo idee illuministe e libertarie
fino a renderle comunemente accettate. Il problema è che la tirannia
di qualunque fazione passa anzitutto attraverso la negazione della
più elementare libertà d’espressione. Il problema è che da
sempre nell’Islam non solo c’è il divieto generale (spesso
trasgredito) di rappresentare esseri viventi, ma c’è in
particolare il divieto assoluto di raffigurare sia la divinità che
il profeta Muhammad ibn Abdullah ibn And al–Mutalib ibn Hashim,
noto da noi molto più brevemente come Maometto.
Tale
divieto probabilmente non fu deciso da Maometto stesso, ma derivò
dalla sua condanna verso gli idoli di qualunque genere e dal suo
conseguente disprezzo verso le arti e gli artisti figurativi. Eppure
la tradizione islamica dice che il Profeta tollerava che la giovane
moglie Aicha gli riempisse la casa di tende decorate con animali
fantastici, dimostrandosi così molto meno intransigente dei suoi
seguaci dei secoli successivi.
Ma
il motivo originario del divieto non era tanto evitare che Dio o il
suo profeta fossero ridicolizzati, ma che diventassero oggetto di
idolatria. Era per vietare il culto delle immagini, visto che per
definizione il dio islamico non può essere raffigurato in alcun
modo. Eppure quando gli occidentali rappresentano la divinità, come
è successo sia nella Storia dell’Arte che in quella più modesta
della Satira o della Propaganda, sembra che ai Musulmani non importi
molto. O forse ritengono che il dio saltuariamente rappresentato da
altri popoli non sia il loro stesso dio, nonostante sostengano si sia
rivolto a loro dopo essersi rivelato a Ebrei e Cristiani.
Pare
inoltre che certi musulmani, pur chiamando Dio "misericordioso e
clemente" cinque volte al giorno, non gli attribuiscano un gran senso
dell’umorismo, come ha fatto invece qualche vignettista (per esempio
Quino).
Dio in una vignetta di Quino |
Le tre versioni del dio monoteista (vignetta bolscevica antireligiosa) |
Probabilmente
per i Musulmani è blasfema la semplice raffigurazione di Maometto
come per i Cristiani lo è l’associazione di Gesù con situazioni a
carattere sessuale. Basta pensare alle proteste che ci furono, da
parte di integralisti cristiani, quando un film ipotizzò che il loro
messia avesse potuto anche solo sognare di sposarsi. È ciò che
fanno molti buoni cristiani e non si capisce cosa potesse esserci di
male, così come molti di noi continueranno a non capire cosa ci sia
di così terribile nel rappresentare Maometto come un normale essere
umano… visto tra l’altro che l’Islam stesso non gli attribuisce
nessuna natura divina.
Ma
possibile che Maometto e il mondo islamico non fossero già stati
rappresentati in precedenza, nell’Arte figurativa e nel Fumetto?
Ovviamente lo sono stati più volte e in vari modi, ma in epoche in
cui gli scambi interculturali e le comunicazioni erano meno globali e
quindi non era stato provocato altrettanto scandalo.
Vignetta pro-Charlie del marocchino Khalid Gueddar pubblicata sulla stampa il 12 gennaio 2015 |
Iscrizione araba a forma di animale |
Profeti
e predoni
In
Occidente, dove un tempo il divieto di raffigurare il profeta
islamico non era molto noto, nell’atmosfera di progresso e relativa
apertura verso il mondo esterno diffusasi col Rinascimento, furono
realizzati da pittori europei ritratti di Maometto di pura
fantasia, probabilmente pensando così di rendere onore al profeta di
una religione rivale e non immaginandosi o non curandosi minimamente
del fatto che questo potesse essere considerato offensivo dai suoi
seguaci. Ma il divieto di disegnare il Profeta non è sempre stato
osservato strettamente neppure in tutto il mondo islamico. In realtà
qualche raffigurazione orientale di Maometto esiste, anche se
realizzata secoli dopo la sua morte e quindi inaffidabile per
conoscerne le vere fattezze.
Maometto in un dipinto europeo |
Maometto in una miniatura orientale |
Il
Profeta dell’Islam è infatti ben visibile in un certo numero di
miniature antiche, realizzate in particolare tra il XIV e il XVI
secolo, anche arabe ma soprattutto persiane o turche, culture in cui
tradizionalmente c’è stata una maggiore considerazione verso
l’arte figurativa e dove questa è stata quindi usata anche a scopi
di propaganda religiosa, come accade da sempre in Occidente. In
quelle miniature Maometto è in genere raffigurato come un uomo dalla
lunga veste, con la testa avvolta in un turbante e a volte circondata
da alte fiamme. In alcune di tali immagini anche il suo volto è ben
visibile e sfoggia una lunga barba a punta, ma molto spesso ha invece
il viso coperto interamente da un velo, appunto per il divieto di cui
sopra.
Tali
immagini sono propagandistiche, ma il loro stile non è poi molto
distante da quello degli attuali fumetti. Se qualche integralista
volesse condannarne a morte gli autori, va avvisato che sono già
morti da secoli.
Maometto alla Mecca. Dipinto islamico del XIV secolo |
Maometto in una miniatura turca del XVI secolo |
Maometto vola in Paradiso. Miniatura persiana del XVI secolo |
Queste
però nel mondo islamico sono state decisamente eccezioni e
date le premesse è difficile pensare che si possano mai realizzare fumetti o film su Maometto, anche del tutto realistici e
rispettosi del personaggio, senza che una gran parte dei Musulmani si
offenda profondamente. Lo si vide con un film sulla sua vita prodotto
da un regista siriano e uscito nel 1977, che fece sollevare proteste
e boicottaggi in quasi tutto il mondo islamico, benché nella
pellicola il Profeta neanche si vedesse (!).
Maometto nella Storia d'Italia a Fumetti |
Eppure
in Italia Maometto è apparso almeno in un fumetto. Nel primo volume
della Storia
d’Italia a Fumetti
attribuita a Enzo Biagi e pubblicata dalla Mondadori nel 1978. Al
grande giornalista o a chi per lui pare non fosse venuto in mente che
il Profeta non poteva essere raffigurato, forse perché in quegli
anni di Musulmani in Italia ce n’erano pochi e non eravamo così
ferrati sulle loro usanze e sulla loro suscettibilità in materia.
Gli Arabi nella Storia d'Italia a Fumetti. Mondadori, 1978 |
Nelle
prime tre pagine del capitolo Gli
Arabi, Guerrieri del Deserto disegnato
da Xavier Musquera, vediamo quindi Maometto iniziare
la
sua predicazione con dialoghi neanche molto rispettosi del
personaggio, descritto come una persona onesta ma inizialmente molto
insicura riguardo alla sua missione. Il breve capitolo, che poi salta
a raccontare la battaglia di Poitiers, appare anche nel volume in
formato bonellide La
Storia dei Popoli a Fumetti,
edito nel 2001 nella collana SuperMiti
n°32,
sempre di Mondadori. Anche stavolta nessuna organizzazione islamica
sembrò notarlo, forse perché il Profeta non era in copertina (c’era
però un guerriero arabo che incombeva minaccioso su un cavaliere
cristiano, perché c’era appena stato l’11 settembre…).
Da Tarzan di Foster (1934) |
Ma non era la prima volta che il Profeta appariva in un fumetto italiano. Nel 1949 Jacovitti disegnò a puntate su Il Vittorioso la spassosa storia Le Babbucce di Allah, in cui nel paradiso musulmano compare non solo un simpatico Maometto ma lo stesso Allah, entrambi curiosamente occhialuti. La raffigurazione del dio islamico e del suo profeta è bonaria e immersa in candide atmosfere per ragazzi, coi testi interamente in rima scritti da Beppe Costa in stile simile alle filastrocche del Corriere dei Piccoli ma estesi anche ai balloons.La storia prende l’avvio dalle babbucce di Allah che Maometto manda a far risuolare sulla Terra e che per istigazione diabolica coinvolgono il giovane ladruncolo Mustafà in una serie di strampalate disavventure magico-comiche, liberissima parodia di quelle delle Mille e una Notte, caratterizzate dalle invenzioni surreali tipiche nella migliore vena dell’autore. Nonostante il fatto, quasi provocatorio e inaudito per un giornale cattolico come Il Vittorioso, che qui si vedano regnare in paradiso il dio e il profeta islamici invece di quelli cristiani (con la parte dei cattivi riservata a diavoli e ladroni che di arabo hanno ben poco), anche questa caricatura di Maometto, benché tutto sommato abbastanza rispettosa, difficilmente potrebbe essere accettata dai Musulmani osservanti. Eppure dopo la sua prima edizione in album nel 1950 negli Albi del Vittorioso (serie di Giraffone n°23) e la sua ristampa amatoriale nel 1975, sul n°57 degli Albi dell’Avventura di Camillo Conti, Le Babbucce di Allah è apparsa nuovamente nel 2011, in una bella antologia jacovittiana di Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri dal titolo Pirati, Briganti e Carambate, senza che in apparenza nessun fedele dell’Islam abbia mostrato di essersene accorto o di essersi sentito offeso. In ogni caso il grande Jac, da tempo nel mondo dei più, è ormai al sicuro da tutte le follie con cui continuiamo ad arrabattarci quaggiù, assai meno divertenti di quelle da lui messe in scena liberamente nelle sue storie.
Da Le Babbucce di Allah, di Jacovitti e Costa (1949) |
Albi del Vittorioso, serie Giraffone n. 23 (1950) |
Ovviamente
si possono ambientare storie a fumetti nel mondo islamico anche senza
disegnarne il Profeta, anzi pare che dal punto di vista di tanti
Musulmani questo sarebbe l’unico modo in cui il fumetto potrebbe
rispettare Maometto, cioè fare semplicemente a meno di
rappresentarlo (tipico esempio di censura religiosa).
Per
esempio fin dal 1931 il Tarzan dei fumetti, disegnato inizialmente da
Harold Foster e da Rex Maxon, si è scontrato più volte con predoni
arabi, anche combattendo al fianco della Legione Straniera francese.
In qualche occasione si trovò poi a prendere le parti di una fazione
araba contro l’altra, ovviamente sempre parteggiando per sceicchi
ed emiri più o meno legittimi e illuminati e guidando rivolte contro
spietati dittatori o aspiranti tali, sultani o militari golpisti che
fossero. Ciò accade tra gli altri nel lungo episodio Tarzan
contro Dagga Ramba
del 1941-42, meticolosamente disegnato da Burne Hogarth con grande
attenzione alla plausibilità dei costumi orientali ma anche qualche
piccola concessione al divismo di stampo hollywoodiano. Una
principessa araba è infatti qui raffigurata con abbigliamento
piuttosto discinto e capelli scoperti, mentre l’unica piccola
concessione alle leggi islamiche è che il suo volto sia inizialmente
coperto da un velo.
Da Tarzan di Hogarth (1942) |
Altre
storie a fumetti di Tarzan a contatto con popolazioni e costumi arabi
sono state disegnate dai suoi autori successivi, come Bob Lubbers,
Russ Manning o Joe Kubert. Anche il Phantom di Lee Falk e Ray Moore
si è scontrato spesso con predoni arabi, come nel suo nono episodio
a strisce del 1939, I
Mercanti di Schiavi.
Da Mickey Mouse and the Sacred Jewel (1934) |
Tra
i fumetti comici meno rispettosi ambientati in un generico Medio
Oriente, si può ricordare poi la classica storia disneyana di Floyd
Gottfredson Mickey
Mouse and the Sacred Jewel (Topolino
nel Paese dei Califfi),
uscita a strisce nel 1934, in un’epoca in cui la Disney non era
ancora così politicamente corretta come oggi.
Nell’episodio,
ambientato nell’immaginario Ombrellistan, tutto è approssimativo e
le scritte in arabo sono ghirigori completamente inventati. Tra
l’altro vi si ironizzava sulla facilità con cui gli arabi di un
tempo (e purtroppo anche alcuni di oggi) vendicavano torti e offese
che ritenevano d’aver subito tagliando le teste ai presunti
colpevoli o a capri espiatori. Anche Paperino incontra predoni
arabi, altrettanto aggressivi ma più realistici, nella storia di
Carl Barks del 1950 The
Magic Hourglass (Paperino
e la Clessidra Magica).
Da Prince Valiant di Harold Foster (1954) |
Il
cavaliere per eccellenza della Storia del Fumetto, cioè il Principe
Valiant di Harold Foster, pur avendo incontrato e affrontato degli
Arabi nel corso di un suo viaggio a Gerusalemme, in una sequenza di
tavole del 1954, non poteva ovviamente incontrare nessun musulmano,
visto che la sua serie è ambientata nel VI secolo, l’epoca di re
Artù, mentre Maometto cominciò a predicare all’inizio del VII.
Eppure in una didascalia della stessa sequenza l’autore si sente in
dovere non solo di citare direttamente il profeta islamico che di lì
a poco avrebbe infiammato
gli Arabi,
ma anche di dare un’opinione molto negativa di tutta la faccenda
come di un’età
oscura
sul punto di minacciare l’Europa. Forse non gli si può neanche
dare del tutto torto, ma bisogna ricordare che l’età
oscura del
Medioevo europeo derivò più che altro dal fanatismo cristiano,
mentre dobbiamo solo agli Arabi islamici se tanti testi di filosofia,
scienza e storia antica sono giunti fino a noi.
Ma
di eroi dei fumetti che una volta o l’altra hanno incontrato personaggi musulmani, ce ne sono molti.
Sopra e sotto da Tex a colori n. 76 (rispettivamente pagg. 185 e 188) |
Perfino
il Tex di G.L. Bonelli, nella storia Fantasmi
nel Deserto
disegnata da Erio Nicolò e iniziata sul n°177 del 1975, si scontra
con un gruppo di tuareg islamici che, evidentemente a loro agio tra
le dune della regione tra Messico e Arizona, vi hanno fondato
un’altra Medina e chiamano sé stessi Figli
del Profeta.
Quello
a cui si riferiscono però non è il vero Maometto, ma un altro
Mohamed, ovvero un nuovo profeta a suo dire inviato anch’egli da
Allah per convertire all’Islam le terre americane e che intanto si
dedica a costruire la sua città usando come schiavi i soldati
statunitensi fatti prigionieri. Il trattamento e la fine che Bonelli
riserva a questo “Maometto” sono così irrispettosi che al
confronto i vignettisti di Charlie
Hebdo l’avevano
trattato coi guanti, ma nonostante le periodiche ristampe
dell’episodio non dovrebbero esserci da temere delle ritorsioni
dagli integralisti, essendo abbastanza chiaro che non si tratta del
Profeta originale.
Califfi,
Sultani e Vizir
Non
mancano naturalmente le parodie disneyane del mondo e delle fiabe
arabe, come Paperin
Babà,
realizzata per il n°273 di Topolino
da Carlo Chendi e Luciano Bottaro nel 1961. Ovvio che qui il
ricchissimo Califfo di Bagdad si chiama Paperon Ben Paperon e i
ladroni hanno le facce dei Bassotti, che si definiscono i
più famosi ladri dell’Islam. Riferimenti in più all’Islam, imprecisi e irrispettosi, si
trovano nella storia dello stesso periodo Paperon
De’ Paperoni e la Cintura del Bucariota
disegnata da Giovan Battista Carpi.
Da Paperon De' Paperoni e la Cintura del Bucariota |
In
questo episodio Paperino e Paperone vanno alla ricerca di un tesoro
nell’immaginario paese orientale di Buccaria, dove gli autori fanno
un po’ di confusione tra Islam e Buddismo. Paperone infatti si
traveste da lama e mugugna una rozza parodia del mantra tibetano Om
Mani Padme Hum,
mentre Paperino invoca su di lui il favore di Allah. Comunque le
genti del posto gridano continuamente Ulla!
Ullallàh!,
chiara presa in giro del tradizionale grido islamico Allah
al Akbar
(Dio
è il più Grande),
e quando alla fine Paperino, scambiato per l’atteso principe che
doveva detronizzare il locale Kan, viene da questo condannato a
morte, gli è concesso un minuto chiamato Il
Tempo di Allah,
in cui appunto solo Allah, cioè Dio, può intervenire per salvarlo.
Ancora
nel 1980 questa storia veniva ristampata coi testi originali ma, data
l’attuale politica della Disney, in eventuali riedizioni
dell’episodio sarebbero di certo censurati tutti gli scherzosi
riferimenti religiosi.
Il Gran Visir Iznogoud. Panini Comics, 2013 |
Una rivoluzione a Baghdad, da Iznogoud di Goscinny e Tabary (1967) |
La
serie umoristica più esilarante completamente ambientata in una
riuscita parodia della Baghdad delle Mille e una Notte, è però
quella di Iznogoud,
il cui nome in francese si legge come la frase inglese He’s no
good, cioè "Lui
non è buono".
Il personaggio fu creato nel 1962 sul mensile Record
dal
grande sceneggiatore francese René Goscinny e dal disegnatore Jean
Tabary (che sarà un caso ma ha praticamente lo stesso nome di un
grande storico arabo, Tabari) e fu poi proseguito dagli stessi autori
sul settimanale Pilote.
Iznogoud
è un perfido vizir che cerca in ogni modo di eliminare o far cadere
in disgrazia il Califfo Haroun el Poussah (in francese Haroun
el Ciccione)
così da prendere il suo posto, senza però mai riuscirci nonostante
il Califfo sia di un candore e di un’ingenuità disarmanti. Insomma
qualunque contorto piano il subdolo vizir intraprende per raggiungere
il suo scopo, questo ogni volta si ritorce contro di lui, tanto che
l’espressione tipica di Iznogoud “voler
essere Califfo al posto del Califfo”
in Francia è diventato un modo di dire per indicare chi vuole
testardamente una cosa impossibile. Dato anche il pubblico giovanile
a cui si rivolgevano, e nonostante il Califfo venisse chiamato
continuamente guida
dei credenti
dai suoi sudditi, gli autori stavano abbastanza attenti a non entrare
minimamente in questioni religiose e mantennero il tutto sul piano di
una divertentissima boutade, ricca di spassosi incantesimi, elementi
anacronistici e situazioni paradossali.
Il Califfo Haroun El Poussah, da Iznogoud di Goscinny e Tabary |
Iznogoud, di Goscinny e Tabary |
Va
però considerato che il Califfo musulmano è una carica suprema sia
politica che religiosa. In arabo significa successore,
inteso come successore di Maometto. Nonostante la sua bonarietà e
innocenza è quindi molto probabile che il fumetto di Goscinny e
Tabary sarebbe censurato da un regime islamico, visto che mostra un
Califfo ben pasciuto e quasi del tutto ozioso davanti a cui i sudditi
si prosternano esageratamente.
Iznogoud
apparve in Italia nel 1969, col nome trascritto Isnogud, sul
SuperAlbo
Audacia
n°2 della Mondadori e uscì regolarmente sulla rivista cattolica per
ragazzi Il
Giornalino
ribattezzato Ali Satan. Nel 1984 apparve col nome originale sulla
seconda edizione italiana della rivista Pilot
e
nel
2011 è stato pubblicato dalla Panini Comics nel primo volume di una
collana cronologica a lui dedicata, dal titolo Il
Gran Vizir Iznogoud.
Euracomix n. 44, Dago vol. 10 |
Un’altra
importante serie, questa volta realistica, ambientata nel mondo
islamico si svolge nel Rinascimento. Il protagonista è un eroe
anomalo, insieme duro ed eroico, chiamato Dago e creato nel 1980
sulla rivista Nippur
Magnum dagli
argentini Robin Wood e Alberto Salinas. Dago è un nobile italiano,
il cui vero nome è Cesare Renzi. Vittima di una congiura in cui è
sterminata tutta la sua famiglia, il giovane e fino ad allora
spensierato Cesare è dato per morto in mare ma, miracolosamente
sopravvissuto, è raccolto dai pirati saraceni che lo fanno
schiavo e lo ribattezzano Dago, dalla corta daga che aveva conficcata
nella schiena.
Spinto
dal desiderio di vendetta e grazie alla sua intelligenza e prontezza,
Dago non solo sopravvive alla dura schiavitù impostagli, passando da
un padrone all’altro e superando scontri e battaglie, ma dopo aver
salvato la vita all’ammiraglio turco Barbarossa ottiene la libertà.
In cambio però deve diventare un rinnegato servendo il Sultano turco
Solimano in qualità di giannizzero, cioè come membro della sua
guardia scelta.
Euracomix n. 15 - Dago vol. 5 |
Le
sue doti di abilità, coraggio, onestà e incorruttibilità rendono
Dago temuto e influente nella stessa corte turca, tanto che con un
sotterfugio il Gran Visir ottiene di averlo al suo servizio. Ma pur
essendo leale con le massime autorità turche, Dago serve soprattutto
l’interesse della giustizia, senza curarsi che questa vada a
vantaggio di Islamici o Cristiani. Suo unico e fidato amico è un
grosso cane nero di nome Morte.
Gli
autori non approfondiscono molto i temi religiosi e non chiariscono
se Dago si sia convertito all’Islam. Sembrerebbe di no, visto che
viene sempre chiamato cristiano. D’altra parte difficilmente i
Turchi avrebbero accettato che un cristiano avesse tanto potere senza
obbligarlo a convertirsi, anche se nei primi secoli dell’impero
islamico i loro precursori Arabi e Persiani erano stati molto
tolleranti verso gli altri monoteisti.
È
questa una serie in cui avviene un certo cambiamento di ottica, cogli
autori che si sforzano di osservare in modo più o meno obiettivo il
mondo dell’impero islamico del XVI secolo dal suo interno,
rilevandone tutta la durezza e il fascino insieme, benché i racconti
oscillino tra elementi storici e situazioni abbastanza fantasiose.
Euracomix n. 54, Dago vol. 12 |
Dago
partecipa a vere campagne turche come l’assedio di Vienna, ma più
spesso si incarica di missioni speciali. Naturalmente incontra molti
personaggi realmente esistiti, come il feroce principe rumeno Vlad
Dracula, che si oppone all’avanzata turca e lo fa prigioniero dopo
aver sterminato i soldati che erano con lui. Ma tra i due ambigui e
cupi personaggi finisce per nasce una certa stima e Dracula gli fa
perfino un favore...
Gli
stessi autori hanno dedicato una breve serie anche a Dracula,
narrando come fosse stato da giovane ostaggio dei Turchi e avesse
appreso da loro le pratiche sanguinarie che avrebbe poi usato ai loro
danni.
In
seguito Dago torna ancora in Europa da mercenario e serve
nell’esercito dell’imperatore Carlo V. Incontra tra gli altri
Giovanni dalle Bande Nere, Michelangelo e Benvenuto Cellini e con
quest’ultimo tenta d’impedire il sacco di Roma organizzandone la
difesa. Perseguitato dall’Inquisizione per eresia, Dago è poi
esiliato nelle Americhe, ma riesce infine a ritornare ad Algeri,
unendosi a una società detta La Compagnia della Spada. Intanto nel
corso degli anni, è riuscito a uccidere o a vedere morti quasi tutti
gli assassini della sua famiglia.
La
saga di Dago, tuttora in corso dopo essere passata dal 1997 nelle
mani del disegnatore Carlos Gómez, è stata pubblicata in Italia a
puntate sulla rivista Lanciostory
dal
1983 e ristampata anche sulla rivista Skorpio
come inserto. Dal 1988 è stata raccolta dall’Editoriale Eura, oggi
Aurea, in una lunga serie di album cartonati a colori delle collane
Euracomix
prima e Aureacomix
poi,
che ha ormai superato il novantesimo volume.
Dal
1995 ne sono state pubblicate alcune storie inedite realizzate da
altri autori in formato bonellide in bianco e nero, prima sulla
collana Nuovi
Fumetti Presenta
e poi sulla serie mensile Dago,
mentre l’analogo mensile bonellide Ristampa
Dago,
pubblicato dal 2002, ne ripropone le storie come sono uscite su
Lanciostory
e
Skorpio,
le stesse di cui dal 2009 è uscita anche un’ennesima ristampa a
colori. Una breve antologia del personaggio in formato bonellide è
inoltre apparsa nel n°52 dei I
Classici del Fumetto di Repubblica
del 2004.
Da Nico Macchia. Orient Express n. 18, 1984 |
Sono
ambientati nello stesso violento Rinascimento di Dago
anche i pochi episodi della serie Nico
Macchia,
scritta e disegnata da Carlo Ambrosini dal 1984 sulle pagine della
rivista Orient
Express,
una serie pubblicata in contemporanea e poi proseguita brevemente
anche in Francia. Da noi i due episodi più lunghi furono raccolti
subito dopo, tra 1986 e 1987, in due album della serie Le
Avventure della Storia della
Glénat Italia.
Nonostante
nel XVI secolo le guerre di religione non si fossero sopite, ma con
la Riforma luterana si fossero anzi ancor più aggravate e
complicate, i tre amici mercenari protagonisti della serie
appartengono a tre religioni diverse (cattolica, protestante e
musulmana) e pur discutendo spesso scherzosamente agiscono in
perfetta sintonia. In particolare il musulmano Mal Mouhal Assad,
disertore dell’armata turca, ha un carattere ambiguo e
affascinante, che purtroppo non ha potuto essere sviluppato di più
per la breve durata della serie.
Nel
primo breve episodio, Assad mostra di non essere troppo osservante e
di non approvare per niente le persecuzioni religiose. Dopo aver
incontrato certi religiosi cristiani che nel loro monastero torturano
spietatamente persone considerate eretiche, dà inoltre prova di
possedere inquietanti facoltà ipnotiche e di saperle usare senza
troppi scrupoli. Infatti nella notte fa visita da solo al capo del
monastero, responsabile di quelle atrocità, e senza neanche toccarlo
evoca delle visioni di demoni che gli procurano la morte. L’autore
sembra non aver potuto evitare di vedere il suo personaggio musulmano
collegato a un fantastico mondo di magie e incantesimi. È questa
infatti un’immagine dell’antico Islam che un tempo era abbastanza
comune…
Da Topolino e la Lampada di Aladino (1939) |
Geni
sottomessi e geni ribelli
Una
leggenda islamica riportata nel Corano narra di come il profeta
Maometto, reduce da una predicazione non riuscita, si fosse sfogato
recitando dei versetti nel deserto e fosse stato ascoltato da un
gruppo di jinn, ovvero di geni, che affascinati dalle sue parole si
sarebbero convertiti sottomettendosi all’Islam.
I
jinn erano spiriti di fuoco del deserto della tradizione
pre-islamica, ma una volta citati nel testo sacro la loro esistenza
non poté più essere messa in dubbio come accadde con quella degli
dèi politeisti. La credenza nei jinn dovette necessariamente
sopravvivere anche nella cultura, e soprattutto nella letteratura,
musulmana.
Quindi
si continuarono a lungo a narrare fiabe sui geni, come quelle
raccolte in Le
Mille e una Notte,
geni che spesso risultavano ora sottomessi agli uomini, per esempio
al padrone della lampada o del vaso in cui erano stati rinchiusi,
proprio come i jinn della leggenda coranica si erano sottomessi alla
parola del Profeta.
Molte
storie disegnate che hanno trattato del mondo islamico si sono
ispirate a questi temi fiabeschi.
Tra
le più vecchie storie a fumetti in cui appare un genio in stile
arabo si può ricordare Mickey
Mouse and the Magic Lamp (Topolino
e la Lampada di Aladino),
disegnata da Floyd Gottfredson nel 1939. Qui Topolino ottiene un
genio al suo servizio semplicemente acquistando una vecchia lampada
usata da un rigattiere. Il remoto paese dei geni poi visitato da
Topolino in questa storia è del tutto simile a un paese arabo, con
tanto di tappeti volanti contrassegnati dalla mezzaluna, forse
proprio perché è abitato da geni convertiti all’Islam.
Alì Khim di Bonelli e Paparella. Edizione in albo del 1950 |
Anche
in Italia il mondo delle Mille
e una Notte
ispirò altri fumetti altrettanto approssimativi dal punto di vista
iconografico, come Alì
Khim il Ladro di Baghdad,
sceneggiato da GianLuigi Bonelli e disegnato da Raffaele Paparella
nel 1948, sulla scia del film Il
Ladro di Baghdad
uscito in quegli anni, a sua volta rifacimento sonoro e a colori di
un’omonima pellicola con Douglas Fairbanks dei tempi del muto.
Il
gigantesco e spregiudicato genio del film Il
Ladro di Baghdad degli
anni ’40, che accetta controvoglia di essere sottomesso a un
padrone e che non vede l’ora di abbandonarlo dopo il terzo
desiderio che è costretto a esaudire, divenne un modello della
categoria per molto tempo a venire, sia nell’aspetto che nel
carattere.
Locandina del film La Rosa di Bagdad |
Edizione in VHS del film La Rosa di Bagdad (1999) |
Un
altro genio della lampada ha un ruolo risolutivo in La
Rosa di Bagdad,
pubblicata a metà anni ’50 su uno degli Albi
della Rosa
di Mondadori (di solito dedicati a storie disneyane). È la versione
a fumetti di uno dei primi lungometraggi d’animazione italiani,
diretto da AntonGino Domeneghini e uscito nel 1949.
La Rosa di Bagdad a fumetti (1954) |
La
Rosa di Bagdad
è una poetica storia per ragazzi che, attraverso una ben assortita
unione di elementi magici, comici e sentimentali, costituiva in
qualche modo una risposta italiana a Biancaneve
e i Sette Nani.
La parte comica è affidata al Califfo Oman e ai suoi altrettanto
buffi consiglieri, l’aspetto romantico sta nella casta storia
d’amore tra la principessa Zeila e il giovane musicista Amin, le
componenti magiche, prima che dal genio, vengono dal mago Burk al
servizio del tiranno Jafar, che vuole sposare Zeila per il suo
tornaconto. Inevitabile qui l’assenza di elementi religiosi, anche
se la bella Zeila ha il capo e spalle coperti da un velo.
La Compagnia della Forca (ristampa), Magnus Schegge n. 23. Granata Press, 1993 |
Più
chiari riferimenti all’Islam sono presenti nel n°17 della serie
storico-umoristica La
Compagnia della Forca,
realizzato
da Magnus nel 1978, intitolato I
Due Genii Siamesi e
ambientato in l’Egitto. Qui regna un sultano turco chiamato
principe
dei credenti
e il dio islamico è sempre chiamato l’Innominato,
mentre il suo profeta è chiamato Colui, ironizzando sulla
proibizione mediorientale di nominare o raffigurare Dio o Maometto.
Dall’inizio
alla fine della storia, a diversi personaggi appaiono due geni dai
caratteri opposti di nome Fong e Fang. Questi vivono all’interno
della stessa lampada a due becchi, una lampada che nel giro di poche
pagine cambia molto spesso proprietario, soprattutto a causa del
carattere punitore e collerico di uno dei due geni.
La Compagnia della Forca n. 17, pag. 2. Magnus, 1978 |
Alla
fine la lampada giunge nelle mani dell’anziano scudiero ser Crumb,
che con la carica di ispettore del Sultano sta risalendo il Nilo e
esaudisce il desiderio dei due geni riportandola al suo posto, nel
tempio egizio da cui era stata sottratta. Qui Crumb ne incontra
l’invisibile proprietario, che per ringraziarlo esaudisce a sua
volta tre desideri del vecchio scudiero. È chiaramente un’antica
divinità egizia, ma indicata solo come una
sorgente di luce chiara (probabilmente
il dio solare che è alla base di tanti culti monoteisti).
Così in pratica l’autore sottolinea la derivazione dei geni dalle
religioni antiche, da cui i Musulmani li avevano ereditati.
Corben, Les Mille et Une Nuits. Les Humanoides Associés, 1979 |
Anche
nella versione de Le
Mille e una Notte
molto liberamente adattata a fumetti da Jan Strnad e illustrata da
Richard Corben tra il 1978 e il 1979, per la rivista americana di
fantascienza Heavy
Metal,
i riferimenti alla religione islamica sono ben presenti per tutto il
corso della storia. In questo racconto i geni, compreso il loro re,
non fanno misteri di credere ad Allah e di essergli sottomessi.
D’altra parte, trattandosi di una versione per adulti, le donne
arabe che vi appaiono in genere non si fanno pregare molto per
togliersi i veli di dosso, mentre le torri di alcuni minareti hanno
forme inequivocabilmente falliche. La parte ispirata ai racconti
originali della narratrice Shahrazad, si risolve velocemente
all’inizio, mentre la maggior parte della storia è dedicata al suo
racconto dell’ultimo e inedito viaggio di Sindbad il marinaio, alla
ricerca di sua moglie rapita da un terribile genio. Tale ricerca lo
conduce nella Terra dei Geni, un paese ben diverso da quello visitato
da Topolino nella suddetta storia del 1939. Qui oltre al solito
spaventoso genio che lo minaccia, deve affrontare un esercito di non
morti scheletrici agli ordini di una specie di orco che si nutre di
carne umana.
Tavola tratta da Le Mille e Una Notte di Corben (1979) |
Tutto
appare alla fine come una prova attraverso cui Sindbad doveva passare
per ritrovare la fede in Allah che aveva perduto, rinunciando
all’orgoglio e alla presunzione una volta resosi conto di non poter
ottenere ciò che vuole con le sue sole forze. Di tale conversione,
la tipica sottomissione o abbandono alla volontà di Dio degli
Islamici, è poi ricompensato ritrovando la propria amata e dandosi
alla pazza gioia con lei…
Tra
l’altro la tipica esclamazione di Sindbad durante tutta la storia è
Bismallah!,
cioè In
nome di Dio!,
che è la frase con cui iniziano tutti i capitoli del Corano e che
viene da lui usata sia prima che dopo la conversione.
In
contemporanea con l’edizione statunitense, questa storia che unisce
provocatoriamente nudità e religione fu tradotta in Francia sulla
rivista Metal
Hurlant
e pubblicata in volume da Les Humanoides Associés nel 1979, mentre
in Italia è stata raccolta dall’Editrice Nuova Frontiera sul n°2
della Collana
Umanoidi,
nel 1981.
Da Sharaz-de di Toppi |
Una
versione a fumetti altrettanto affascinante, ma tratta molto più
fedelmente da vari racconti originali de Le
Mille e una Notte,
è quella realizzata subito dopo da Sergio Toppi a partire dal 1979,
sulle pagine della rivista Alter
Alter,
e intitolata Sharaz-de,
dal nome della leggendaria narratrice delle storie. Qui di racconto
in racconto si possono incontrare tra gli altri anche geni
vendicativi, che a volte finiscono per essere ingannati da esseri
umani più furbi di loro, ma anche lo stesso Iblis, il Diavolo della
tradizione islamica, che in fondo non sembra poi molto diverso da un
ennesimo genio, un subdolo spirito maligno del deserto, anche se
molto più potente e pericoloso di tutti gli altri, trattandosi del
ribelle e del nemico per eccellenza.
Sharaz-de di Toppi su Alter Alter n. 6/1979 |
In
quest’opera di Toppi i costumi e le scenografie, nella loro
primitiva e quasi spoglia eppure elaborata bellezza, non sono però
ispirati tanto a quelli reali del Medio Oriente, quanto a quelli del
film Edipo
Re
di Pasolini. Gli elementi specifici arabi sembrano essere stati messi
in secondo piano, evidenziando invece gli aspetti universali dei
racconti. Infatti a parte i nomi propri Toppi non usa neanche molti
termini orientali specifici, ma correttamente traduce emiro con re,
jinn con demone o genio, Allah con Dio, ecc… La storia in cui a un
uomo è proibito di pronunciare il nome di Dio si richiama comunque a
un tipico tema mediorientale.
Raccolti
in volume la prima volta dalla Milano Libri, alcuni racconti della
prima parte del ciclo di Sharaz-de
sono stati pubblicati anche in formato bonellide nel 2004, nel volume
L’Arte
di Sergio Toppi,
n°54 dei Classici del Fumetto di Repubblica.
Di Sharaz-de
è poi uscito anche un secondo volume, le cui storie sono state
ristampate insieme a quelle della prima parte sul n°10 della collana
I
Maestri del Fumetto,
allegata
a Panorama
nel 2009, e sul n°4 della serie Sulle
Rotte dell’Immaginario,
allegata
a Il
Giornalino
nel 2010, quest’ultimo è stato il primo volume a raccogliere
integralmente tutti i racconti di entrambe le parti del ciclo.
Da Sandman n. 50, pag. 2. DC Vertigo, 1993 |
Nel
1993, il mondo di Le Mille
e una Notte,
con
molti riferimenti alla cultura e alle usanze islamiche, appare anche
nel n°50 della serie americana Sandman
– Il Signore dei Sogni, scritta
dall’inglese Neil Gaiman.
La
storia, intitolata Ramadan
dal mese islamico riservato al digiuno in cui si svolge, è disegnata
con grande accuratezza ed eleganza stilistica da P. Craig Russell. Il
protagonista è Haroun Al Raschid (Haroun
il Giusto),
un Califfo realmente esistito che regnò a Baghdad dal 786 all’809
d.C., la cui fama fu resa immortale anche dal fatto di essere apparso
in molte storie narrate da Shahrazad, appunto nelle Mille e una Notte.
Il
suo dominio qui descritto è quindi il regno per eccellenza delle
meraviglie e della cultura musulmana, delle arti e dell’abbondanza,
delle raffinatezze orientali e delle bizzarrie esotiche, degli
incanti e della magia, un regno talmente irripetibile in tutta la
storia reale o immaginaria dell’impero islamico, che il Califfo
teme che giunga, com’è inevitabile, un tempo in cui esso non
esisterà più, in cui di tutta la bellezza inarrivabile del suo
regno non rimarrà che polvere, come di tutti quelli creati dall’uomo
nei secoli e nei millenni passati. Per questo Haroun Al Raschid
chiama il Signore dei Sogni e gli chiede di accettare la sua magica
città in dono, affinché ne preservi la bellezza per sempre
all’interno del suo regno immaginario… e così è fatto.
Da Sandman n. 50, pag. 23. DC Vertigo, 1993 |
Ma
ora che Baghdad è conservata all’interno di un sogno, così che
tutti gli uomini possano continuare a visitarla per sempre nella loro
fantasia, il regno reale di Haroun Al Raschid smette istantaneamente
di corrispondere a quello del sogno e il Califfo si ritrova a regnare
su un paese molto più prosaico e cadente, o forse era sempre stato
così e l’intera storia, come spesso succede nella serie, non era
altro che un sogno.
Il
Signore dei Sogni in questo episodio svolge un po’ il ruolo dei
geni o dei demoni islamici, che nei racconti delle Mille
e una Notte sono
a volte ingannati e a volte ingannatori dei mortali… e in questo
caso lui è troppo potente e accorto per essere ingannato. La prima
edizione italiana di Ramadan
è
apparsa nel 1996 sul n°8 della rivista Il
Corvo Presenta della
General Press, ed è stata ristampata più volte nelle varie edizioni
dei volumi del ciclo di Sandman, pubblicati nel tempo da Magic Press,
Planeta De Agostini e RW Lion.
Aladdin, Legacy of the Lost n. 2. Radical, 2010 |
In
un’altra serie fantasy più commerciale ispirata al mondo de Le
Mille e una Notte,
come la miniserie di tre numeri Aladdin
Legacy of the Lost,
edita dalla Radical Comics nel 2010, ogni riferimento alla vera
cultura e religione islamica è del tutto eliminato. Di arabo resta
solo il nome di djinn dato al genio della lampada. Ma la condizione
dei geni islamici, spesso asserviti agli uomini e costretti a
soddisfarne ogni desiderio, nella realtà storica può ricordare
anche la vita di un’altra categoria di persone, quella delle donne…
Khomeini in una vignetta di EWK (Ewert Karlsson, 1918-2004) |
Le
donne e La Shari’a
Il
problema della condizione femminile in certi paesi islamici,
l’evidente discriminazione e sottomissione nei confronti dell’uomo,
rispetto alla condizione almeno teorica di pari dignità e diritti
legalmente garantita alle donne nei paesi più democratici, è forse
uno dei problemi più difficili da affrontare e risolvere per
arrivare a una completa integrazione tra culture occidentali e
mediorientali. Secondo un’interpretazione della Shari’a, la legge
islamica, l’imposizione del velo per le donne sarebbe giustificata
da un brano del Corano, che in realtà parlerebbe genericamente di un
semplice invito a coprirsi con mantelli per distinguersi e non essere
offese.
A
quanto pare infatti velo e clausura per le donne non furono resi
obbligatori da Maometto ma dal Califfo Omar, il secondo successore
del Profeta, che si dice li avesse imposti anche alle mogli di
quest’ultimo.
Da Persepolis di Marjane Satrapi |
Il
fumetto si è occupato della questione grazie innanzitutto
all’iraniana Marjane Satrapi, che trasferitasi molto giovane in
Europa e poi in Francia, ha raccontato le proprie esperienze nel
romanzo a fumetti autobiografico Persepolis,
pubblicato in quattro volumi a partire dal 2000 dal gruppo artistico
ed editoriale L’Association.
Attraverso disegni spogli ed essenziali, che ricordano vagamente quelli
tradizionali della cultura persiana, di volume in volume vediamo la
piccola Marjane crescere negli anni tra il 1980 e il 1984, mentre in
Iran le speranze per la cacciata del dispotico governo dello Scià
lasciano il posto alla delusione per l’imporsi sempre più
autoritario e repressivo della rivoluzione islamica. Nonostante da
bambina fantasticasse di diventare l’ultimo profeta musulmano,
l’imposizione del velo, che Marjane essendo figlia di genitori
progressisti non aveva mai portato, diventa il simbolo della sua
insofferenza per il regime. Da ragazzina intelligente e sveglia
inizia così una sua piccola e pericolosa battaglia dialettica
personale contro la propaganda integralista.
Da
notare che all’inizio del suo romanzo la Satrapi rappresenta più
volte Dio, con cui infine litiga al punto da non volerlo più vedere,
dopo che il regime islamico ha giustiziato suo zio per le sue idee
comuniste. In questo caso non si può negare che si tratti proprio
del dio musulmano, ma i fanatici integralisti non sembrano averci
fatto troppo caso, confermando così che per loro è più grave la
raffigurazione di Maometto.
Persepolis di Marjane Satrapi. I Classici del fumetto di Repubblica, Serie Oro n. 37. Gruppo Rpubblica/Espresso, 2005 |
Nel
1984, dopo l’inizio della guerra con l’Iraq, per metterla al
sicuro da ogni pericolo anche religioso e garantirle un’educazione
democratica, i suoi genitori mandano la quattordicenne Marjane a
studiare in Austria, dove si scontra con altre difficoltà, vivendo
delusioni sentimentali e arrivando a vivere per strada.
Tornata
in Iran dopo quattro anni, Marjane riprende gli studi d’arte, anche
se la morale del regime proibisce perfino di ritrarre modelli,
mentre coprifuochi e proibizioni religiose la costringono a
frequentare le amiche e i ragazzi di nascosto. Infatti la legge
islamica, o la sua visione distorta dell’Iran di questi anni, vieta
alle persone anche di andare a semplici feste private o di
passeggiare per strada senza essere sposati.
Marjane,
anche per evitare il rischio di essere arrestata dai “guardiani
della rivoluzione”, sposa un ragazzo con cui condivide idee e
passioni ma alla lunga il matrimonio non riesce e resasi conto di non
poter realizzare niente nel suo paese, nel finale della storia,
riparte nuovamente per la Francia e questa volta per sempre.
In
Italia i quattro volumi di Persepolis
sono stati pubblicati da Lizard e la ristampa in due volumi da
Sperling & Kupfer. Nel 2005 è uscito in un solo volume nel n°37
dei
Classici del Fumetto di Repubblica – Serie Oro.
Nel
2008 Persepolis è stato anche trasposto in un omonimo film
d’animazione, diretto dall’autrice stessa.
Gil St André n. 6. Glénat, 2003 |
Negli
album dal sesto all’ottavo della serie thriller Gil
St. André,
scritti da Jean-Charles Kraehn, disegnati da Sylvain Vallée e
pubblicati in Francia tra il 2006 e il 2008 dalla Glénat, viene
trattato un altro aspetto di quello che è sostanzialmente lo stesso
tema, cioè l’imposizione delle tradizioni islamiche meno
rispettose delle libertà femminili anche a ragazze, o addirittura
bambine, figlie di immigrati in un paese europeo.
Sul
n°6 della serie intitolato Soeurs
des Larmes
(Sorelle
di Lacrime),
la giovane Drissia, sorella dell’ispettrice di polizia d’origine
algerina Djida Feschaoui, fugge di casa per non essere costretta a
sposare un uomo che neppure conosce, scelto da suo padre. A causa del
fanatismo dei fratelli più grandi, Djida non può impedire che sua
sorella sia portata in Algeria per il matrimonio, ma riesce a farsi
invitare alle nozze e una volta sul posto le due ragazze fuggono,
contando sull’aiuto dell’amico Gil Saint André, che deve venirle
a prendere in aereo per riportarle in Francia. Ma come in ogni
thriller che si rispetti non tutto va come previsto. Gil non può
raggiungerle a causa di un attentato e Djida e Drissia sono catturare
da dei fanatici islamisti.
Giunto
sul posto, Gil scopre infatti che il promesso sposo di Drissia è il
cugino di uno sceicco fondamentalista e che il gioco si è fatto ora
molto più pesante… L’intera storia è stata pubblicata in Italia
dalla GP Publishing, in collaborazione con Edizioni BD, sul volume in
formato bonellide Gil St. André n°3+4, uscito nel 2013.
Jack Palmer, di Pétillon. Da L'Affaire du Voile. Albin Michel |
Restando
in ambito francese, riesce a sdrammatizzare l’argomento con molta
intelligenza e altrettanta ironia la storia L’Affaire
du Voile
(La
Questione del Velo),
realizzata da René Pétillon e pubblicata da Albin
Michel.
Qui l’investigatore Jack Palmer è incaricato di ritrovare una
ragazza francese fuggita di casa e che sembra essersi convertita
all’Islam più fondamentalista, rinunciando a tutte le sue libertà
e diritti occidentali, indossando l’hijab più integrale e andando
a rinchiudersi volontariamente in una scuola coranica di Parigi.
Paradossalmente una ragazza islamica figlia di immigrati integralisti
vuole invece evadere dallo stesso istituto, in cui la sua famiglia
l’ha rinchiusa. Il detective e chi l’ha assunto intervengono
maldestramente.
Pétillon, L'Affaire du Voile. Albin Michel |
In
tante piccole situazioni, l’autore enfatizza con leggerezza le
incongruenze e assurdità di chi vive la propria religione come una
specie di carcere da imporre o da subire senza la minima deviazione
dalla tradizione, ma evidenzia con lo stesso umorismo anche la
situazione paradossale in cui si trovano i genitori francesi che,
in nome della libertà della figlia, si oppongono alle sue scelte al
punto da progettare di rapirla.
Sono
poi esilaranti i confronti e i litigi continui tra le due comunità
islamiche presenti nel racconto e guidate da due diversi imam, una
integralista che veste abiti tradizionali e segue la Shari’a alla
lettera, l’altra progressista che veste abiti occidentali e in cui
alle donne è riconosciuta la parità e il diritto a non portare il
velo (mentre i tradizionalisti rivendicano il diritto di portarlo).
Ognuno dei due imam naturalmente sostiene di rappresentare il vero
Islam e la tensione è ulteriormente aggravata dal fatto che il
figlio dell’uno e la figlia dell’altro finiranno per fuggire
insieme, con la loro unione ovviamente condannata da entrambe le
famiglie.
Da Zahra's paradise |
Nel
2009 il simbolo della ribellione contro il regime islamista iraniano
divenne una ragazza, una studentessa di nome Neda uccisa nel corso di
una grande manifestazione a Teheran per protestare contro i brogli
elettorali. Il governo tentò di negare la sua responsabilità
nell’omicidio inventando delle storie inverosimili.
È
una donna anche una dei principali protagonisti del romanzo a fumetti
Zahra’s
Paradise,
realizzato subito dopo da due autori iraniani, che per non rischiare
la vita devono nascondersi dietro gli pseudonimi di Amir e Khalil.
Nella loro storia, diffusa prima via Internet e raccolta in volume
nel 2010, è una madre iraniana di nome Zahra a cercare
disperatamente il figlio Mehdi, scomparso durante quella stessa
manifestazione, armandosi dell’infinita pazienza necessaria ad
affrontare la trafila burocratica e l’omertà dei membri di un
governo che non ha interesse ad aiutare lei e l’altro suo figlio
Hassan nella loro ricerca. Come nel caso di Neda, le autorità
iraniane non vogliono certo far sapere cosa stanno facendo al loro
stesso popolo.
La manifestazione di Teheran del 1979, da Zahra's Paradise. |
Nonostante
ciò, alla fine si scoprirà che anche Mehdi è stato ucciso, come
Neda e tanti altri, trascinati in disparte prima di eliminarli perché
i media non potessero registrarne l’esecuzione. Le nuove tecnologie
si rivelano infatti delle nuove armi fondamentali per scoprire,
documentare e far conoscere i crimini del regime.
La
storia è di fantasia ma non si può dire sia del tutto immaginaria,
perché è la stessa di tanti giovani fatti scomparire e uccisi dalle
autorità iraniane negli ultimi anni, solo per aver partecipato a una
manifestazione per i loro diritti o per aver osato chiamare dittatori
coloro che non si possono chiamare in nessun altro modo.
I
nomi di moltissime vittime sono riportati nelle ultime pagine,
scritti in caratteri piccolissimi per entrarci tutti. Va notato che
per lo più questi giovani e le loro famiglie sono essi stessi
convinti musulmani e che il modo in cui vivono la propria religione
non va confuso con le fanatiche imposizioni del regime assassino che
li uccide.
Il
nome Zahra è lo stesso della figlia di Maometto e si chiama
Paradiso di Zahra
il principale cimitero iraniano, da cui il titolo della storia. Il
volume Zahra’s
Paradise
è stato pubblicato in Italia nel 2011 dalla RCS, che lo ristampato
anche nel 2013, come n°7 della collana Graphic
Journalism
allegata al Corriere
della Sera.
Immagine tratta da Dove la terra brucia, di Galeani e Cannatella. RCS, 2011 |
Questa
carrellata di fumetti che hanno a che fare con l’Islam, si conclude
(ma solo per ora) con la storia di un’altra donna e di un’altra
vittima, anch’essa uccisa da dei fanatici, come i collaboratori di
Charlie
Hebdo, solo
perché faceva al meglio il suo lavoro di giornalista. Maria
Grazia Cutuli - Dove la Terra Brucia
è un romanzo a fumetti dedicato all’omonima reporter siciliana e
al suo viaggio verso Khabul, dove purtroppo non riuscì mai ad
arrivare. Il libro scritto da Giuseppe Galeani e disegnato a mezza
tinta da Paola Cannatella, è stato pubblicato dalla RCS nel 2011 e
ristampato nel 2013, come n°16 della collana Graphic
Journalism.
Maria Grazia Cutuli, da Dove la terra brucia |
Le
scene sono montate variandone i colori a seconda dei periodi in cui
si svolgono e alternando i reportage che Maria Grazia aveva
realizzato in precedenza con le tappe del suo viaggio in Afghanistan
del 2001. Maria Grazia Cutuli era là per scrivere sul conflitto tra
Stati Uniti e Talebani, ma ne approfittò anche per intervistare
uomini e donne su un tema che le stava a cuore come quello della
condizione della donna nella società islamica. Nel libro,
ricostruito in modo da dare la sensazione di un suo diario personale,
la protagonista cerca di comprendere come il burca potesse essere
visto dalle stesse donne afgane, che in certe situazioni dicevano di
considerarlo l’unica possibile forma di intimità e difesa dal
mondo esterno, all’interno della loro società, una difesa poi
trasformatasi nel simbolo più evidente dell’oppressione maschile
sulla donna.
Ma
Maria Grazia non poté più approfondire né questo né altri
argomenti perché, con altri due giornalisti, fu assassinata dai
Talebani a poca distanza da Khabul, nell’istante equivalente
all’ultima vignetta della storia.
Quest’articolo, per il poco che
vale, è dedicato anche a lei, a Neda e a tutte le vittime del
fanatismo umano.
Albi
e volumi in formato bonellide citati nell’articolo:
Tex n. 178, agosto 1975 (Daim Press). Disegno di Galep |
TEX
n°177/179
Testi:
GianLuigi Bonelli
Disegni:
Erio Nicolò
Formato:
96 pag. in bianco e nero
Editore:
Daim Press
Date
di uscita: Luglio – Settembre 1975
Aggiungi didascalia |
DAGO
Testi:
Robin Wood
Disegni:
Alberto Salinas, Carlos Gomez e altri
Collane:
Nuovi Fumetti Presenta, Dago, Ristampa Dago
Formato
iniziale: 96 pag. in bianco e nero
Editore:
Eura – Aurea
Date
di uscita: dal Marzo 1995 a oggi
La Storia dei Popoli a Fumetti, SuperMiti n. 32. Mondadori, 2001 |
LA
STORIA DEI POPOLI A FUMETTI
Testi:
Enzo Biagi
Disegni:
Autori Vari
Collana:
SuperMiti n°32
Formato:
520 pag. a colori
Editore:
Mondadori
Data
di uscita: Novembre 2001
Prezzo
di copertina: € 12,86
Dago, I Classici del Fumetto di Repubblica n. 52. Gruppo La Repubblica - L'Espresso, 2004 |
DAGO
Testi:
Robin Wood
Disegni:
Alberto Salinas, Carlos Gomez
Collana:
I Classici del Fumetto di Repubblica n°52
Formato:
272 pag. in bianco e nero
Editore:
Gruppo La Repubblica-L’Espresso
Anno
di uscita: 2004
Prezzo
di copertina: € 4,90
I Classici del Fumetto di Repubblica n. 54. Gruppo La Repubblica - L'Espresso, 2004 |
L’ARTE
DI SERGIO TOPPI
Testi
e disegni: Sergio Toppi
Collana:
I Classici del Fumetto di Repubblica n°54
Formato:
272 pag. in bianco e nero
Editore:
Gruppo La Repubblica-L’Espresso
Anno
di uscita: 2004
Prezzo
di copertina: € 4,90
Gil St André 3 + 4. GP BD, 2013 |
GIL
ST ANDRÉ n°3+4
Testi:
Jean-Charles Kraehn
Disegni:
Sylvain Vallée
Titolo :
Inchieste Parallele + Il Sacrificio
Formato:
192 pag. in bianco e nero
Editore:
GP Publishing – Edizioni BD
Data
di uscita: Giugno 2013
Prezzo:
€ 5,80
di Andrea Cantucci
Questo e altri post di Andrea Cantucci hanno riscosso un ottimo succeso in Rete!
Eccovi alcuni link di riscontro:
http://www.afnews.info/wordpress/2014/12/01/thriller-a-la-francaise-seconda-e-ultima-parte-1960-oggi/
http://www.afnews.info/wordpress/2015/01/10/kant-e-i-fumetti/
http://www.afnews.info/wordpress/2015/02/17/voglio-essere-califfo-al-posto-del-califfo-fumetto-e-mondo-musulmano/
http://www.afnews.info/wordpress/2015/02/28/storia-dellislam-disegnato-ii-parte-jihad-e-saalam-guerra-e-pace/
N.B. Trovate i link alle altre parti dei Bonellidi su Cronologie & Index!
P.S. Riguardo la pubblicazione di ampli stralci di questo intervento avvenuta sul giornale "Libero" del 28 febbraio 2015, l'autore Andrea Cantucci ha qualcosa da puntualizzare, a livelo personale - non tanto sul fatto della pubblicazione stessa (che è avvenuta col previo consenso di Dime Web), quanto piuttosto sul titolo, sul taglio e il posizionamento dell'articolo e sui passaggi eliminati dai redattori del quotidiano. Essendo questa esigenza del nostro carissimo Andrea cosa del tutto legittima, Dime Web riporta volentieri queste sue personali precisazioni, seguite da una risposta di Giuseppe Pollicelli, giornalista di "Libero", curatore di "LiberoVeleno", esperto in calcio e fumetto (oltre che amico e storico collaboratore di Dime Press):
P.S. Riguardo la pubblicazione di ampli stralci di questo intervento avvenuta sul giornale "Libero" del 28 febbraio 2015, l'autore Andrea Cantucci ha qualcosa da puntualizzare, a livelo personale - non tanto sul fatto della pubblicazione stessa (che è avvenuta col previo consenso di Dime Web), quanto piuttosto sul titolo, sul taglio e il posizionamento dell'articolo e sui passaggi eliminati dai redattori del quotidiano. Essendo questa esigenza del nostro carissimo Andrea cosa del tutto legittima, Dime Web riporta volentieri queste sue personali precisazioni, seguite da una risposta di Giuseppe Pollicelli, giornalista di "Libero", curatore di "LiberoVeleno", esperto in calcio e fumetto (oltre che amico e storico collaboratore di Dime Press):
Sabato 28 Febbraio 2015, ampi stralci della nostra rubrica L’Angolo del Bonellide XVII, prima parte di un articolo sull’Islam nei fumetti del sottoscritto, sono stati ripubblicati su ben due pagine del quotidiano Libero, giornale chiaramente di destra (o di centrodestra che dir si voglia). Va innanzitutto premesso e riconosciuto che la redazione di Libero è stata del tutto corretta, richiedendo preventivamente a DimeWeb il permesso di riprendere i brani in questione, permesso che a sua volta la redazione di DimeWeb ha regolarmente accordato, visto anche che il giornalista che lo aveva chiesto è persona conosciuta e fidata, in quanto ex-collaboratore della sua originaria versione cartacea, Dime Press.
Dobbiamo anzi ringraziare sentitamente Giuseppe Pollicelli per l’attenzione con cui ha evidentemente seguito e apprezzato i nostri scritti e per la correttezza con cui non ha modificato neanche una virgola dei brani che ha riportato, citandone con precisione autore e fonte di provenienza, valorizzando il nostro testo e riportando perfino i titoli dei vari capitoli, pur con ampi e inevitabili tagli tra un brano e l’altro, visto che lo spazio da noi usato su internet è spesso ben maggiore di quello a disposizione dei giornalisti della carta stampata.
Da questo punto di vista quindi, niente da eccepire. Avuto il permesso i redattori di Libero hanno scelto e utilizzato i brani dal loro punto di vista considerati più utili, nel modo che hanno ritenuto più opportuno in modo del tutto legittimo. A nostra volta, ora crediamo di poter altrettanto legittimamente esprimere qualche considerazione sul modo in cui il nostro articolo è stato riportato, poiché accanto a una certa innegabile soddisfazione per il fatto che per la prima volta un nostro testo (sia di DimeWeb che di Andrea Cantucci) è stato ripreso da un quotidiano nazionale, è anche chiaro che un articolo sul delicato argomento dell’Islam, sia pure nei fumetti, rischia di assumere abbastanza facilmente un significato politico che in origine non gli apparteneva per nulla, una volta che venga inserito all’interno di un contesto di parte.
L’evidente faziosità e le simpatie politiche del giornale Libero infatti si esprimono fin dal modo in cui le (poche) pagine dedicate solo al principale partito di centrosinistra sono intitolate quasi grottescamente “I Guai della Sinistra”, mentre le pagine dedicate ai partiti di destra (che per gli altrettanto grotteschi contenuti potrebbero benissimo chiamarsi “I Guai della Destra”) sono invece intitolate con enfasi un po’ ridicola “Le Sfide del Centrodestra”. Ovviamente solo alla destra è qui affibbiato il suffisso centro, che vorrebbe essere segno di moderazione nell’attuale magma informe della politica italiana, ma spesso indica solo l’indistinta e opportunistica uniformità di posizioni di quasi tutti i protagonisti della nostra vita politica. Tutto ciò in fondo ci toccherebbe poco, visto che il nostro articolo non ha a che fare con la politica interna del nostro paese, se non fosse per un’altra conseguente caratteristica del giornale Libero, cioè la sua posizione vagamente nazionalista che si accompagna a certi toni abbastanza carichi di pregiudizi verso gli immigrati.
Su quel giornale si può infatti riscontrare una certa strisciante xenofobia (paura degli stranieri, per chi non sapesse il greco), piuttosto evidente nell’insistenza con cui molte pagine, compreso l’inserto centrale in cui è stato inserito anche il nostro articolo, sono oggi dedicate a fomentare la paura dell’integralismo islamico. Certo, tale pericolo non è per niente campato in aria ed è più che giusto parlarne, visti i recenti sanguinari attentati anche nelle città europee. È contestabile però il modo in cui un giornale che si definisce Libero spesso generalizza la minaccia del fanatismo tendendo a estenderla a quasi tutti i Musulmani, cosa di per sé ingiusta visto che nel nostro paese è riconosciuta appunto a tutti la libertà di professare la propria religione. Finché la si professa in pace e senza imporla ad altri, si può restare attaccati a tutte le tradizioni a cui si è affezionati, compresi anche i condizionamenti più antiquati. Ma su Libero non tutti sembrano pensarla così. In alcuni suoi articoli si suggerisce che ogni velo portato da molte donne musulmane, non necessariamente fanatiche, possa nascondere chissà quali ordigni, ma seguendo tale logica maniacale ciò varrebbe di più per qualunque borsa o cappotto portato da ogni donna o uomo, anche dall’apparente aspetto occidentale…
Altri articoli di Libero cavalcano le proteste contro le cosiddette moschee abusive, ma leggendo il testo si può scoprire che quello verso cui si esprimono timori, non si capisce bene motivati da cosa, è un semplice centro culturale islamico. Come dire che ogni ente culturale cristiano di cui il nostro paese è pieno (e in cui a volte dei cristiani pregano) andrebbe considerata chiesa abusiva… Ma non è il fatto che a volte qualcuno vi si riunisca a pregare, che fa di un luogo una moschea o una chiesa. Nonostante l’ottusa opposizione dei nostri connazionali più intolleranti, o semplicemente più impauriti, non si può negare a persone residenti sul suolo italiano di esercitare il proprio diritto di culto in qualunque luogo privato vogliano, a meno di voler andare contro la Costituzione. In assenza di moschee è ovvio che chi è tenuto da una religione un po’ rigida a pregare ben cinque volte al giorno deve arrangiarsi come può… ma non è per questo un terrorista. È vero che una mentalità religiosa troppo rigida, non solo islamica, in certi casi estremi può finire per portare al fanatismo, ma i terroristi vanno individuati e fermati con indagini mirate e non con l’intolleranza religiosa.
Oltre agli articoli di Libero con questo fastidioso retrogusto xenofobo, ce n’è però qualcuno che coglie di più nel segno, in particolare quelli dell’inserto centrale sul vero e proprio integralismo islamico curato in questo periodo da Pollicelli e altri. Nell’inserto del 28 Febbraio, oltre alla versione condensata del nostro prolisso ma tutto sommato modesto articolo sui fumetti che, bontà sua, Pollicelli definisce saggio, sono stati inseriti anche brani giustamente ben più lunghi di un libro che denuncia persecuzioni di vario tipo subite in diversi paesi islamici da arabi atei, o non monoteisti, o omosessuali. Tali intolleranze religiose vanno senz’altro condannate e fa benissimo Libero a segnalarle. Tra l’altro fa piacere che un giornale di destra prenda le difese degli omosessuali almeno nei paesi islamici e va riconosciuto che forse altri giornali non affrontano il tema con altrettanta decisione per timore di offendere i Musulmani o d’essere etichettati come razzisti.
Riguardo al nostro articolo, senza voler sminuire l’opera dei redattori di Libero che hanno lavorato con molta cura sulla sua rielaborazione, impaginandolo in modo molto professionale anche dal punto di vista delle immagini e della grafica, si possono rilevare giusto un paio di dettagli un po’ discutibili nel modo in cui è stato presentato. Innanzitutto nel nuovo titolo dato all’articolo, l’uso dell’espressione “i fumetti che affrontano l’islam” è abbastanza improprio, a meno che non si intendesse dire “affrontare il tema” dell’Islam, ma è più probabile che si volesse dare dell’articolo una chiave di lettura di parte, con una contrapposizione netta rispetto a tutto il mondo islamico visto complessivamente come proprio avversario, il ché non era negli intenti del testo, incentrato semmai sulle varie interpretazioni, giuste o sbagliate, che il mondo del Fumetto ha dato dell’Islam, accompagnate da un netta condanna e ridicolizzazione di ogni fanatismo religioso.
Il titolo originale, “Quando il Fumetto Incontra Maometto”, pur non essendo forse molto incisivo o efficace in senso giornalistico, dà invece una chiave di lettura dell’articolo volutamente neutra, preannunciando il tono un po’ ironico dell’articolo stesso, che tenta di sdrammatizzare per quanto possibile la situazione di conflitto e stragi esplosa negli ultimi mesi sia in Medio Oriente che in Europa per colpa della troppa seriosità dei fanatici. È quindi un titolo che può risultare meno urtante per le tante brave persone che professano in pace quella religione, che hanno tutto il diritto di farlo e che, a differenza dei fanatici violenti o assassini, meritano un certo rispetto. Comunque a parte questo uso diciamo infelice dell’espressione “affrontare l’islam”, il modo in cui i contenuti dell’articolo sono riassunti sotto il titolo è del tutto corretto ed efficace.
Secondariamente la frase “Topolino ha ironizzato sulla facilità con cui gli arabi tagliavano le teste”, che è stata inserita in grande al di sopra del titolo come citazione, non si trova nell’articolo in quei termini precisi. È una sintesi un po’ troppo libera e brutale di un dettaglio descritto nel testo in modo molto più articolato e relativo a una singola storia del personaggio, per di più esplicitamente definita come politicamente scorretta. Da un punto di vista giornalistico l’espressione è stata anche ben estrapolata, è chiaro che è una frase forte che può attirare l’attenzione e invogliare a leggere, ma togliendola così dal contesto ed enfatizzandola dà anch’essa dell’articolo un’idea sbagliata, quasi sottintendendo tra l’altro che fino a poco tempo fa tutti gli arabi se ne andassero in giro a tagliare allegramente teste di continuo, cosa come minimo alquanto esagerata (e storicamente non è che anche in Occidente di teste non se ne siano tagliate…).
Probabilmente ha qualche responsabilità anche il sottoscritto, nell’essersi espresso con un po’ troppa leggerezza, senza immaginare che qualcuno avrebbe potuto riprendere e sintetizzare così un frammento del suo testo, testo riferito a una storia buffa ma che citato in questo modo diventa decisamente troppo serio. È il caso quindi di chiarire meglio in cosa consistesse veramente, quel piccolo dettaglio della storia del 1934 “Topolino nel Paese dei Califfi” che su Libero ha finito per essere così esageratamente enfatizzato.
Si trattava di un semplice tormentone comico, con due inviati di un califfo che, lamentando lo smarrimento di un gioiello sacro, minacciavano più volte con le scimitarre in pugno un amico di Topolino, il capitano Churchmouse (o Radimare in italiano), preso da loro in ostaggio con la precisa intenzione di tagliargli la testa se il loro padrone non avesse riavuto la gemma. Alla fine arrivano abbastanza vicini a tagliargliela davvero, ma naturalmente nel frattempo Topolino ha recuperato il gioiello e all’ultimo minuto il pericolo è scongiurato, perché è chiaro che di regola in nessuna storia Disney muore mai nessuno (con rarissime eccezioni).
Ovviamente tutto rientra in uno stereotipo del mondo arabo. Anche i costumi della storia sono approssimativi e antiquati ed è chiaro che l’Ombrellistan in cui è ambientata non esiste. Ma il fatto che, mentre stanno per decapitare a sangue freddo il povero Radimare, quei due buffi sicari per di più barbuti si giustifichino invocando un sacro dovere da compiere in nome della giustizia, crea oggi un grottesco parallelo, come detto nell’articolo, coi ben più sinistri carnefici dell’Isis che hanno purtroppo reso quello stereotipo fin troppo reale.
Per il resto, senza voler contestare troppo le scelte dei redattori di Libero, è abbastanza chiaro che erano interessati a riportare solo le parti dell’articolo più critiche verso i Musulmani, in conformità coi contenuti di un inserto che fa parte di una serie intitolata “I Libri Neri dell’Islam” in cui si rilevano gli aspetti più fanatici e quindi pericolosi di quella cultura. Ciò che manca alla linea editoriale di Libero, e che è invece presente negli articoli da noi dedicati a fumetti e Islam, è il bilanciare le giuste denunce dell’intolleranza religiosa con il riconoscimento di altri casi in cui invece l’Islam ha dimostrato e dimostra tolleranza, o è stato a sua volta vittima di intolleranza, o in cui altrettanta intolleranza è stata dimostrata anche dalla nostra cultura.
Forse per questo non sono stati ripresi dei brani dalla seconda parte del nostro articolo (L’Angolo del Bonellide XVIII), dedicata ai fumetti sui conflitti con gli Islamici e quindi per Libero teoricamente più appetibile, ma in cui è riconosciuta a volte una maggiore tolleranza e umanità dei Musulmani rispetto ai Cristiani, o si parla anche delle legittime ribellioni dei paesi islamici per ottenere l’indipendenza dalle potenze coloniali europee, o delle ingiustizie e stragi di cui anche i Musulmani sono più volte stati vittime.
Si può infatti notare che sulle pagine di Libero sono stati ripubblicati stralci con nostre riflessioni contro la mentalità integralista, su scontri tra vecchi eroi dei fumetti e predoni arabi, su storie che ironizzano sul mondo arabo o che denunciano la condizione femminile nei regimi islamici, ma non è stato incluso nessun passaggio di quelli, pure qua e là presenti nell’articolo originale, in cui si fanno dei paralleli con l’analogo fanatismo cristiano o in cui si riconosce anche valore e fascino alla cultura islamica. Questi guarda caso sono stati regolarmente saltati, naturalmente forse solo perché erano fuori tema o non abbastanza interessanti...
Certo, due intere pagine di un giornale a noi dedicate sono già tante e non si poteva proprio chiedere di più, è perfettamente comprensibile che si sia dovuto lasciar fuori molto e che sia stata del tutto omessa la parte relativa al mondo puramente fantastico delle Mille e una Notte, ma mentre la recensione del libro Persepolis dedicato al caso specifico del duro regime iraniano è stata riportata praticamente per intero, non è stato citato proprio nulla per esempio della parte dedicata a Dago, rinnegato passato al servizio dell’Islam, pur essendo questi presente in un’immagine, e neppure dei Musulmani che si oppongono alla dittatura religiosa iraniana nel romanzo a fumetti Zahra’s Paradise. È chiaro che non potevano ripubblicare tutto l’articolo, a meno di dedicarci l’intero inserto, e siamo già pienamente soddisfatti delle nostre due pagine, a cui tra l’altro è stata trovata una chiusura leggera e simpatica col brano su un fumetto comico di Pétillon, ma saranno stati proprio tutti dei tagli dovuti soltanto alla mancanza di spazio…? Saremmo lieti di verificare che i nostri sospetti di una certa faziosità nella selezione dei nostri testi sono sbagliati, non avendo nulla in contrario se anche qualche altro nostro brano meno allineato con la sua linea politica fosse citato in futuro dallo stesso giornale, magari in un inserto intitolato “I Libri Bianchi dell’Islam” (o di qualunque altra cultura)...
Andrea Cantucci
Ed ecco cosa risponde Pollicelli:
Di recente il quotidiano Libero ha pubblicato, per sei giorni consecutivi, alcuni inserti che, debitamente commentati da Francesco Borgonovo e dal professor Marco Lombardi, hanno presentato al pubblico italiano, a mio avviso molto meritoriamente, alcuni brani tratti da pubblicazioni prodotte dall'Isis o comunque a esso riferibili. L'intera operazione è stata curata da Francesco Borgonovo, caporedattore centrale di "Libero", così come è stato Borgonovo, dopo che io gliene avevo segnalato l'esistenza, a decidere quali parti pubblicare (sull'inserto uscito il 28 febbraio 2015, l'ultimo della serie) del lungo scritto su islam e fumetti redatto per Dime Web da Andrea Cantucci. Personalmente, dunque, non sono intervenuto in alcun modo né nella selezione degli estratti del saggio di Cantucci né nella loro impaginazione né nella scelta delle immagini a corredo. Preciso questo non per prendere le distanze dal lavoro, secondo me assai valido, svolto dal collega Borgonovo, ma per puro e semplice amor di verità.
Giuseppe Pollicelli
Dobbiamo anzi ringraziare sentitamente Giuseppe Pollicelli per l’attenzione con cui ha evidentemente seguito e apprezzato i nostri scritti e per la correttezza con cui non ha modificato neanche una virgola dei brani che ha riportato, citandone con precisione autore e fonte di provenienza, valorizzando il nostro testo e riportando perfino i titoli dei vari capitoli, pur con ampi e inevitabili tagli tra un brano e l’altro, visto che lo spazio da noi usato su internet è spesso ben maggiore di quello a disposizione dei giornalisti della carta stampata.
Da questo punto di vista quindi, niente da eccepire. Avuto il permesso i redattori di Libero hanno scelto e utilizzato i brani dal loro punto di vista considerati più utili, nel modo che hanno ritenuto più opportuno in modo del tutto legittimo. A nostra volta, ora crediamo di poter altrettanto legittimamente esprimere qualche considerazione sul modo in cui il nostro articolo è stato riportato, poiché accanto a una certa innegabile soddisfazione per il fatto che per la prima volta un nostro testo (sia di DimeWeb che di Andrea Cantucci) è stato ripreso da un quotidiano nazionale, è anche chiaro che un articolo sul delicato argomento dell’Islam, sia pure nei fumetti, rischia di assumere abbastanza facilmente un significato politico che in origine non gli apparteneva per nulla, una volta che venga inserito all’interno di un contesto di parte.
L’evidente faziosità e le simpatie politiche del giornale Libero infatti si esprimono fin dal modo in cui le (poche) pagine dedicate solo al principale partito di centrosinistra sono intitolate quasi grottescamente “I Guai della Sinistra”, mentre le pagine dedicate ai partiti di destra (che per gli altrettanto grotteschi contenuti potrebbero benissimo chiamarsi “I Guai della Destra”) sono invece intitolate con enfasi un po’ ridicola “Le Sfide del Centrodestra”. Ovviamente solo alla destra è qui affibbiato il suffisso centro, che vorrebbe essere segno di moderazione nell’attuale magma informe della politica italiana, ma spesso indica solo l’indistinta e opportunistica uniformità di posizioni di quasi tutti i protagonisti della nostra vita politica. Tutto ciò in fondo ci toccherebbe poco, visto che il nostro articolo non ha a che fare con la politica interna del nostro paese, se non fosse per un’altra conseguente caratteristica del giornale Libero, cioè la sua posizione vagamente nazionalista che si accompagna a certi toni abbastanza carichi di pregiudizi verso gli immigrati.
Su quel giornale si può infatti riscontrare una certa strisciante xenofobia (paura degli stranieri, per chi non sapesse il greco), piuttosto evidente nell’insistenza con cui molte pagine, compreso l’inserto centrale in cui è stato inserito anche il nostro articolo, sono oggi dedicate a fomentare la paura dell’integralismo islamico. Certo, tale pericolo non è per niente campato in aria ed è più che giusto parlarne, visti i recenti sanguinari attentati anche nelle città europee. È contestabile però il modo in cui un giornale che si definisce Libero spesso generalizza la minaccia del fanatismo tendendo a estenderla a quasi tutti i Musulmani, cosa di per sé ingiusta visto che nel nostro paese è riconosciuta appunto a tutti la libertà di professare la propria religione. Finché la si professa in pace e senza imporla ad altri, si può restare attaccati a tutte le tradizioni a cui si è affezionati, compresi anche i condizionamenti più antiquati. Ma su Libero non tutti sembrano pensarla così. In alcuni suoi articoli si suggerisce che ogni velo portato da molte donne musulmane, non necessariamente fanatiche, possa nascondere chissà quali ordigni, ma seguendo tale logica maniacale ciò varrebbe di più per qualunque borsa o cappotto portato da ogni donna o uomo, anche dall’apparente aspetto occidentale…
Altri articoli di Libero cavalcano le proteste contro le cosiddette moschee abusive, ma leggendo il testo si può scoprire che quello verso cui si esprimono timori, non si capisce bene motivati da cosa, è un semplice centro culturale islamico. Come dire che ogni ente culturale cristiano di cui il nostro paese è pieno (e in cui a volte dei cristiani pregano) andrebbe considerata chiesa abusiva… Ma non è il fatto che a volte qualcuno vi si riunisca a pregare, che fa di un luogo una moschea o una chiesa. Nonostante l’ottusa opposizione dei nostri connazionali più intolleranti, o semplicemente più impauriti, non si può negare a persone residenti sul suolo italiano di esercitare il proprio diritto di culto in qualunque luogo privato vogliano, a meno di voler andare contro la Costituzione. In assenza di moschee è ovvio che chi è tenuto da una religione un po’ rigida a pregare ben cinque volte al giorno deve arrangiarsi come può… ma non è per questo un terrorista. È vero che una mentalità religiosa troppo rigida, non solo islamica, in certi casi estremi può finire per portare al fanatismo, ma i terroristi vanno individuati e fermati con indagini mirate e non con l’intolleranza religiosa.
Oltre agli articoli di Libero con questo fastidioso retrogusto xenofobo, ce n’è però qualcuno che coglie di più nel segno, in particolare quelli dell’inserto centrale sul vero e proprio integralismo islamico curato in questo periodo da Pollicelli e altri. Nell’inserto del 28 Febbraio, oltre alla versione condensata del nostro prolisso ma tutto sommato modesto articolo sui fumetti che, bontà sua, Pollicelli definisce saggio, sono stati inseriti anche brani giustamente ben più lunghi di un libro che denuncia persecuzioni di vario tipo subite in diversi paesi islamici da arabi atei, o non monoteisti, o omosessuali. Tali intolleranze religiose vanno senz’altro condannate e fa benissimo Libero a segnalarle. Tra l’altro fa piacere che un giornale di destra prenda le difese degli omosessuali almeno nei paesi islamici e va riconosciuto che forse altri giornali non affrontano il tema con altrettanta decisione per timore di offendere i Musulmani o d’essere etichettati come razzisti.
Riguardo al nostro articolo, senza voler sminuire l’opera dei redattori di Libero che hanno lavorato con molta cura sulla sua rielaborazione, impaginandolo in modo molto professionale anche dal punto di vista delle immagini e della grafica, si possono rilevare giusto un paio di dettagli un po’ discutibili nel modo in cui è stato presentato. Innanzitutto nel nuovo titolo dato all’articolo, l’uso dell’espressione “i fumetti che affrontano l’islam” è abbastanza improprio, a meno che non si intendesse dire “affrontare il tema” dell’Islam, ma è più probabile che si volesse dare dell’articolo una chiave di lettura di parte, con una contrapposizione netta rispetto a tutto il mondo islamico visto complessivamente come proprio avversario, il ché non era negli intenti del testo, incentrato semmai sulle varie interpretazioni, giuste o sbagliate, che il mondo del Fumetto ha dato dell’Islam, accompagnate da un netta condanna e ridicolizzazione di ogni fanatismo religioso.
Il titolo originale, “Quando il Fumetto Incontra Maometto”, pur non essendo forse molto incisivo o efficace in senso giornalistico, dà invece una chiave di lettura dell’articolo volutamente neutra, preannunciando il tono un po’ ironico dell’articolo stesso, che tenta di sdrammatizzare per quanto possibile la situazione di conflitto e stragi esplosa negli ultimi mesi sia in Medio Oriente che in Europa per colpa della troppa seriosità dei fanatici. È quindi un titolo che può risultare meno urtante per le tante brave persone che professano in pace quella religione, che hanno tutto il diritto di farlo e che, a differenza dei fanatici violenti o assassini, meritano un certo rispetto. Comunque a parte questo uso diciamo infelice dell’espressione “affrontare l’islam”, il modo in cui i contenuti dell’articolo sono riassunti sotto il titolo è del tutto corretto ed efficace.
Secondariamente la frase “Topolino ha ironizzato sulla facilità con cui gli arabi tagliavano le teste”, che è stata inserita in grande al di sopra del titolo come citazione, non si trova nell’articolo in quei termini precisi. È una sintesi un po’ troppo libera e brutale di un dettaglio descritto nel testo in modo molto più articolato e relativo a una singola storia del personaggio, per di più esplicitamente definita come politicamente scorretta. Da un punto di vista giornalistico l’espressione è stata anche ben estrapolata, è chiaro che è una frase forte che può attirare l’attenzione e invogliare a leggere, ma togliendola così dal contesto ed enfatizzandola dà anch’essa dell’articolo un’idea sbagliata, quasi sottintendendo tra l’altro che fino a poco tempo fa tutti gli arabi se ne andassero in giro a tagliare allegramente teste di continuo, cosa come minimo alquanto esagerata (e storicamente non è che anche in Occidente di teste non se ne siano tagliate…).
Probabilmente ha qualche responsabilità anche il sottoscritto, nell’essersi espresso con un po’ troppa leggerezza, senza immaginare che qualcuno avrebbe potuto riprendere e sintetizzare così un frammento del suo testo, testo riferito a una storia buffa ma che citato in questo modo diventa decisamente troppo serio. È il caso quindi di chiarire meglio in cosa consistesse veramente, quel piccolo dettaglio della storia del 1934 “Topolino nel Paese dei Califfi” che su Libero ha finito per essere così esageratamente enfatizzato.
Si trattava di un semplice tormentone comico, con due inviati di un califfo che, lamentando lo smarrimento di un gioiello sacro, minacciavano più volte con le scimitarre in pugno un amico di Topolino, il capitano Churchmouse (o Radimare in italiano), preso da loro in ostaggio con la precisa intenzione di tagliargli la testa se il loro padrone non avesse riavuto la gemma. Alla fine arrivano abbastanza vicini a tagliargliela davvero, ma naturalmente nel frattempo Topolino ha recuperato il gioiello e all’ultimo minuto il pericolo è scongiurato, perché è chiaro che di regola in nessuna storia Disney muore mai nessuno (con rarissime eccezioni).
Ovviamente tutto rientra in uno stereotipo del mondo arabo. Anche i costumi della storia sono approssimativi e antiquati ed è chiaro che l’Ombrellistan in cui è ambientata non esiste. Ma il fatto che, mentre stanno per decapitare a sangue freddo il povero Radimare, quei due buffi sicari per di più barbuti si giustifichino invocando un sacro dovere da compiere in nome della giustizia, crea oggi un grottesco parallelo, come detto nell’articolo, coi ben più sinistri carnefici dell’Isis che hanno purtroppo reso quello stereotipo fin troppo reale.
Per il resto, senza voler contestare troppo le scelte dei redattori di Libero, è abbastanza chiaro che erano interessati a riportare solo le parti dell’articolo più critiche verso i Musulmani, in conformità coi contenuti di un inserto che fa parte di una serie intitolata “I Libri Neri dell’Islam” in cui si rilevano gli aspetti più fanatici e quindi pericolosi di quella cultura. Ciò che manca alla linea editoriale di Libero, e che è invece presente negli articoli da noi dedicati a fumetti e Islam, è il bilanciare le giuste denunce dell’intolleranza religiosa con il riconoscimento di altri casi in cui invece l’Islam ha dimostrato e dimostra tolleranza, o è stato a sua volta vittima di intolleranza, o in cui altrettanta intolleranza è stata dimostrata anche dalla nostra cultura.
Forse per questo non sono stati ripresi dei brani dalla seconda parte del nostro articolo (L’Angolo del Bonellide XVIII), dedicata ai fumetti sui conflitti con gli Islamici e quindi per Libero teoricamente più appetibile, ma in cui è riconosciuta a volte una maggiore tolleranza e umanità dei Musulmani rispetto ai Cristiani, o si parla anche delle legittime ribellioni dei paesi islamici per ottenere l’indipendenza dalle potenze coloniali europee, o delle ingiustizie e stragi di cui anche i Musulmani sono più volte stati vittime.
Si può infatti notare che sulle pagine di Libero sono stati ripubblicati stralci con nostre riflessioni contro la mentalità integralista, su scontri tra vecchi eroi dei fumetti e predoni arabi, su storie che ironizzano sul mondo arabo o che denunciano la condizione femminile nei regimi islamici, ma non è stato incluso nessun passaggio di quelli, pure qua e là presenti nell’articolo originale, in cui si fanno dei paralleli con l’analogo fanatismo cristiano o in cui si riconosce anche valore e fascino alla cultura islamica. Questi guarda caso sono stati regolarmente saltati, naturalmente forse solo perché erano fuori tema o non abbastanza interessanti...
Certo, due intere pagine di un giornale a noi dedicate sono già tante e non si poteva proprio chiedere di più, è perfettamente comprensibile che si sia dovuto lasciar fuori molto e che sia stata del tutto omessa la parte relativa al mondo puramente fantastico delle Mille e una Notte, ma mentre la recensione del libro Persepolis dedicato al caso specifico del duro regime iraniano è stata riportata praticamente per intero, non è stato citato proprio nulla per esempio della parte dedicata a Dago, rinnegato passato al servizio dell’Islam, pur essendo questi presente in un’immagine, e neppure dei Musulmani che si oppongono alla dittatura religiosa iraniana nel romanzo a fumetti Zahra’s Paradise. È chiaro che non potevano ripubblicare tutto l’articolo, a meno di dedicarci l’intero inserto, e siamo già pienamente soddisfatti delle nostre due pagine, a cui tra l’altro è stata trovata una chiusura leggera e simpatica col brano su un fumetto comico di Pétillon, ma saranno stati proprio tutti dei tagli dovuti soltanto alla mancanza di spazio…? Saremmo lieti di verificare che i nostri sospetti di una certa faziosità nella selezione dei nostri testi sono sbagliati, non avendo nulla in contrario se anche qualche altro nostro brano meno allineato con la sua linea politica fosse citato in futuro dallo stesso giornale, magari in un inserto intitolato “I Libri Bianchi dell’Islam” (o di qualunque altra cultura)...
Andrea Cantucci
Ed ecco cosa risponde Pollicelli:
Di recente il quotidiano Libero ha pubblicato, per sei giorni consecutivi, alcuni inserti che, debitamente commentati da Francesco Borgonovo e dal professor Marco Lombardi, hanno presentato al pubblico italiano, a mio avviso molto meritoriamente, alcuni brani tratti da pubblicazioni prodotte dall'Isis o comunque a esso riferibili. L'intera operazione è stata curata da Francesco Borgonovo, caporedattore centrale di "Libero", così come è stato Borgonovo, dopo che io gliene avevo segnalato l'esistenza, a decidere quali parti pubblicare (sull'inserto uscito il 28 febbraio 2015, l'ultimo della serie) del lungo scritto su islam e fumetti redatto per Dime Web da Andrea Cantucci. Personalmente, dunque, non sono intervenuto in alcun modo né nella selezione degli estratti del saggio di Cantucci né nella loro impaginazione né nella scelta delle immagini a corredo. Preciso questo non per prendere le distanze dal lavoro, secondo me assai valido, svolto dal collega Borgonovo, ma per puro e semplice amor di verità.
Giuseppe Pollicelli
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