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domenica 8 febbraio 2015

L’ANGOLO DEL BONELLIDE (XVII): STORIA DELL'ISLAM DISEGNATO (I parte) - QUANDO IL FUMETTO INCONTRA MAOMETTO

ULTIM'ORA: AMPI STRALCI DI QUESTA PRIMA PARTE DEL NOSTRO INTERVENTO SU FUMETTI & ISLAM SONO STATI RIPRESI CON GRANDE EVIDENZA DAL QUOTIDIANO "LIBERO" DEL 28 FEBBRAIO 2015!

di Andrea Cantucci

 
Gli Arabi usano criteri di giudizio che non ci sono affatto familiari”
Dal manuale Come Comportarsi con gli Arabi, di Thomas Edward Lawrence


Colui che perdona le offese è prossimo alla profezia”
Detto attribuito a Maometto


La Piazza Charlie, inaugurata ad Angoulême il 1° febbraio 2015

È passato un mese dalla strage di Parigi ma vale la pena di parlarne ancora, visto che quello che era stato definito, forse esagerando, "l’11 settembre europeo" sembra già abbastanza dimenticato dai media. In Francia ovviamente non è così. Il Festival International de la Bande Dessinée, che come ogni anno si è tenuto ad Angoulême, dal 29 gennaio al 1° febbraio, è stato dedicato agli autori scomparsi del giornale Charlie Hebdo. Si è istituito da quest’anno un Premio Charlie per la libertà d’espressione e si è allestita nel locale Museo del Fumetto una mostra di trecento pezzi sulla storia di Charlie Hebdo, che resterà esposta fino all’8 Marzo.
Da parte nostra, avendo già ricordato come meglio potevamo i nostri colleghi francesi caduti per la loro pacifica lotta contro la stupidità umana, possiamo soffermarci su un altro aspetto della questione, per noi occidentali forse poco comprensibile. Come possano persone del XXI secolo, pur estremamente osservanti di una religione, sentirsi offese da semplici rappresentazioni grafiche, anche se da loro considerate blasfeme, al punto da uccidere degli innocenti inermi con tale spietata ferocia o da giustificare un simile delitto.
Ricordiamo infatti che, benché dopo il massacro della redazione di Charlie Hebdo la gran parte del mondo musulmano lo abbia condannato, con molti imam che hanno dichiarato come gli assassini si ponessero coi loro atti fuori dal vero Islam, ci sono stati anche casi di singoli musulmani che hanno mostrato di approvare o comprendere una simile sanguinaria vendetta compiuta nel nome del loro profeta. In Francia si è parlato di centinaia di giovani musulmani che nelle scuole hanno rifiutato di osservare il minuto di silenzio in memoria delle vittime o si sono dissociati in altri modi da chi condannava il terrorismo, pur essendo nati in Europa.


Angoulême 2015 è stata dedicata alle vittime di Charlie Hebdo...


Sembrava poi agli occidentali, giornali americani compresi, che la copertina del primo numero di Charlie Hebdo dopo la strage, pur raffigurando Maometto, non costituisse un insulto, soprattutto dopo un simile massacro, visto che, per quanto ironica, invitava al perdono reciproco. Invece dopo la sua uscita la reazione fu di totale condanna, non solo da parte degli integralisti ma di buona parte del mondo islamico, con distruzioni di chiese e altri morti in Africa e manifestazioni di protesta in paesi come la Cecenia.
Tante proteste e violenze non si sono neanche scatenate per un intero volume a fumetti, ma per una singola vignetta in più. Perché tanto odio?... chiedeva in passato un altro disegnatore umoristico francese. Anche il sottoscritto una volta è stato apostrofato con preoccupazione da un musulmano che, saputo che disegnavo fumetti, temeva potessi fare caricature di Maometto, cosa mai passata per la mia testa perché per fare la caricatura di qualcuno bisogna sapere che faccia ha e il vero volto del profeta islamico nessuno lo conosce.
Da noi però le caricature possono anche rendere più simpatica la persona ritratta e non le consideriamo offese così terribili. Per sostenere la libertà d’espressione dopo la strage, perfino una rivista gesuita e un sito ebraico hanno pubblicato vignette di Charlie Hebdo sul Papa e sulla Shoah, dimostrando di avere auto-ironia e di non considerare così insultante scherzare un po’ sulla propria fede. Dunque qual è il problema?



Vignetta pro-Charlie pubblicata dal quotidiano del Qatar Al-Arabi Al-Jadeed. Nessuna raffigurazione di esseri viventi.


Lasciando da parte la situazione politica mediorientale e le tensioni tra Est e Ovest, il problema è che in certe culture si dà tradizionalmente più valore all’onore che alle vite umane. Il problema è che testi ancor oggi considerati sacri furono scritti in epoche in cui le violenze, verso chi apparteneva a diversi gruppi etnici o culturali, erano considerate normali. Il problema è che identificare un uomo con la divinità o un suo messaggero, e il fatto che enormi masse di persone lo credano ciecamente, prima o poi non può che generare fanatismo. Il problema è che nei paesi arabi non ci sono state rivoluzioni di pensiero laiche come quella francese che, pur con errori ed eccessi, smussassero l’intransigenza di un certo totalitarismo religioso, diffondendo idee illuministe e libertarie fino a renderle comunemente accettate. Il problema è che la tirannia di qualunque fazione passa anzitutto attraverso la negazione della più elementare libertà d’espressione. Il problema è che da sempre nell’Islam non solo c’è il divieto generale (spesso trasgredito) di rappresentare esseri viventi, ma c’è in particolare il divieto assoluto di raffigurare sia la divinità che il profeta Muhammad ibn Abdullah ibn And al–Mutalib ibn Hashim, noto da noi molto più brevemente come Maometto.
Tale divieto probabilmente non fu deciso da Maometto stesso, ma derivò dalla sua condanna verso gli idoli di qualunque genere e dal suo conseguente disprezzo verso le arti e gli artisti figurativi. Eppure la tradizione islamica dice che il Profeta tollerava che la giovane moglie Aicha gli riempisse la casa di tende decorate con animali fantastici, dimostrandosi così molto meno intransigente dei suoi seguaci dei secoli successivi.


Vignetta disegnata da Makhlouf (che ritrae se stesso con la matita in mano come scudo contro le pallottole) e pubblicata sul giornale egiziano Al-Masry Al-Youm. La scritta in arabo dice Dalla parte di Charlie Hebdo. Come si vede in questo caso la figura umana viene invece rappresentata senza remore.


Ma il motivo originario del divieto non era tanto evitare che Dio o il suo profeta fossero ridicolizzati, ma che diventassero oggetto di idolatria. Era per vietare il culto delle immagini, visto che per definizione il dio islamico non può essere raffigurato in alcun modo. Eppure quando gli occidentali rappresentano la divinità, come è successo sia nella Storia dell’Arte che in quella più modesta della Satira o della Propaganda, sembra che ai Musulmani non importi molto. O forse ritengono che il dio saltuariamente rappresentato da altri popoli non sia il loro stesso dio, nonostante sostengano si sia rivolto a loro dopo essersi rivelato a Ebrei e Cristiani.
Pare inoltre che certi musulmani, pur chiamando Dio "misericordioso e clemente" cinque volte al giorno, non gli attribuiscano un gran senso dell’umorismo, come ha fatto invece qualche vignettista (per esempio Quino).


Dio in una vignetta di Quino
Le tre versioni del dio monoteista (vignetta bolscevica antireligiosa)


Probabilmente per i Musulmani è blasfema la semplice raffigurazione di Maometto come per i Cristiani lo è l’associazione di Gesù con situazioni a carattere sessuale. Basta pensare alle proteste che ci furono, da parte di integralisti cristiani, quando un film ipotizzò che il loro messia avesse potuto anche solo sognare di sposarsi. È ciò che fanno molti buoni cristiani e non si capisce cosa potesse esserci di male, così come molti di noi continueranno a non capire cosa ci sia di così terribile nel rappresentare Maometto come un normale essere umano… visto tra l’altro che l’Islam stesso non gli attribuisce nessuna natura divina.
Ma possibile che Maometto e il mondo islamico non fossero già stati rappresentati in precedenza, nell’Arte figurativa e nel Fumetto? Ovviamente lo sono stati più volte e in vari modi, ma in epoche in cui gli scambi interculturali e le comunicazioni erano meno globali e quindi non era stato provocato altrettanto scandalo.


Vignetta pro-Charlie del marocchino Khalid Gueddar  pubblicata sulla stampa il 12 gennaio 2015

Iscrizione araba a forma di animale



Profeti e predoni

In Occidente, dove un tempo il divieto di raffigurare il profeta islamico non era molto noto, nell’atmosfera di progresso e relativa apertura verso il mondo esterno diffusasi col Rinascimento, furono realizzati da pittori europei ritratti di Maometto di pura fantasia, probabilmente pensando così di rendere onore al profeta di una religione rivale e non immaginandosi o non curandosi minimamente del fatto che questo potesse essere considerato offensivo dai suoi seguaci. Ma il divieto di disegnare il Profeta non è sempre stato osservato strettamente neppure in tutto il mondo islamico. In realtà qualche raffigurazione orientale di Maometto esiste, anche se realizzata secoli dopo la sua morte e quindi inaffidabile per conoscerne le vere fattezze. 


Maometto in un dipinto europeo

Maometto in una miniatura orientale

 
Il Profeta dell’Islam è infatti ben visibile in un certo numero di miniature antiche, realizzate in particolare tra il XIV e il XVI secolo, anche arabe ma soprattutto persiane o turche, culture in cui tradizionalmente c’è stata una maggiore considerazione verso l’arte figurativa e dove questa è stata quindi usata anche a scopi di propaganda religiosa, come accade da sempre in Occidente. In quelle miniature Maometto è in genere raffigurato come un uomo dalla lunga veste, con la testa avvolta in un turbante e a volte circondata da alte fiamme. In alcune di tali immagini anche il suo volto è ben visibile e sfoggia una lunga barba a punta, ma molto spesso ha invece il viso coperto interamente da un velo, appunto per il divieto di cui sopra.
Tali immagini sono propagandistiche, ma il loro stile non è poi molto distante da quello degli attuali fumetti. Se qualche integralista volesse condannarne a morte gli autori, va avvisato che sono già morti da secoli.


Maometto alla Mecca. Dipinto islamico del XIV secolo
Maometto in una miniatura turca del XVI secolo

Maometto vola in Paradiso. Miniatura persiana del XVI secolo


Queste però nel mondo islamico sono state decisamente eccezioni e date le premesse è difficile pensare che si possano mai realizzare fumetti o film su Maometto, anche del tutto realistici e rispettosi del personaggio, senza che una gran parte dei Musulmani si offenda profondamente. Lo si vide con un film sulla sua vita prodotto da un regista siriano e uscito nel 1977, che fece sollevare proteste e boicottaggi in quasi tutto il mondo islamico, benché nella pellicola il Profeta neanche si vedesse (!).


Maometto nella Storia d'Italia a Fumetti


Eppure in Italia Maometto è apparso almeno in un fumetto. Nel primo volume della Storia d’Italia a Fumetti attribuita a Enzo Biagi e pubblicata dalla Mondadori nel 1978. Al grande giornalista o a chi per lui pare non fosse venuto in mente che il Profeta non poteva essere raffigurato, forse perché in quegli anni di Musulmani in Italia ce n’erano pochi e non eravamo così ferrati sulle loro usanze e sulla loro suscettibilità in materia. 



Gli Arabi nella Storia d'Italia a Fumetti. Mondadori, 1978

 
Nelle prime tre pagine del capitolo Gli Arabi, Guerrieri del Deserto disegnato da Xavier Musquera, vediamo quindi Maometto iniziare la sua predicazione con dialoghi neanche molto rispettosi del personaggio, descritto come una persona onesta ma inizialmente molto insicura riguardo alla sua missione. Il breve capitolo, che poi salta a raccontare la battaglia di Poitiers, appare anche nel volume in formato bonellide La Storia dei Popoli a Fumetti, edito nel 2001 nella collana SuperMiti n°32, sempre di Mondadori. Anche stavolta nessuna organizzazione islamica sembrò notarlo, forse perché il Profeta non era in copertina (c’era però un guerriero arabo che incombeva minaccioso su un cavaliere cristiano, perché c’era appena stato l’11 settembre…).


Da Tarzan di Foster (1934)

Ma non era la prima volta che il Profeta appariva in un fumetto italiano. Nel 1949 Jacovitti disegnò a puntate su Il Vittorioso la spassosa storia Le Babbucce di Allah, in cui nel paradiso musulmano compare non solo un simpatico Maometto ma lo stesso Allah, entrambi curiosamente occhialuti. La raffigurazione del dio islamico e del suo profeta è bonaria e immersa in candide atmosfere per ragazzi, coi testi interamente in rima scritti da Beppe Costa in stile simile alle filastrocche del Corriere dei Piccoli ma estesi anche ai balloons.La storia prende l’avvio dalle babbucce di Allah che Maometto manda a far risuolare sulla Terra e che per istigazione diabolica coinvolgono il giovane ladruncolo Mustafà in una serie di strampalate disavventure magico-comiche, liberissima parodia di quelle delle Mille e una Notte, caratterizzate dalle invenzioni surreali tipiche nella migliore vena dell’autore. Nonostante il fatto, quasi provocatorio e inaudito per un giornale cattolico come Il Vittorioso, che qui si vedano regnare in paradiso il dio e il profeta islamici invece di quelli cristiani (con la parte dei cattivi riservata a diavoli e ladroni che di arabo hanno ben poco), anche questa caricatura di Maometto, benché tutto sommato abbastanza rispettosa, difficilmente potrebbe essere accettata dai Musulmani osservanti. Eppure dopo la sua prima edizione in album nel 1950 negli Albi del Vittorioso (serie di Giraffone n°23) e la sua ristampa amatoriale nel 1975, sul n°57 degli Albi dell’Avventura di Camillo Conti, Le Babbucce di Allah è apparsa nuovamente nel 2011, in una bella antologia jacovittiana di Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri dal titolo Pirati, Briganti e Carambate, senza che in apparenza nessun fedele dell’Islam abbia mostrato di essersene accorto o di essersi sentito offeso. In ogni caso il grande Jac, da tempo nel mondo dei più, è ormai al sicuro da tutte le follie con cui continuiamo ad arrabattarci quaggiù, assai meno divertenti di quelle da lui messe in scena liberamente nelle sue storie.

Da Le Babbucce di Allah, di Jacovitti e Costa (1949)

Albi del Vittorioso, serie Giraffone n. 23 (1950)



Ovviamente si possono ambientare storie a fumetti nel mondo islamico anche senza disegnarne il Profeta, anzi pare che dal punto di vista di tanti Musulmani questo sarebbe l’unico modo in cui il fumetto potrebbe rispettare Maometto, cioè fare semplicemente a meno di rappresentarlo (tipico esempio di censura religiosa).
Per esempio fin dal 1931 il Tarzan dei fumetti, disegnato inizialmente da Harold Foster e da Rex Maxon, si è scontrato più volte con predoni arabi, anche combattendo al fianco della Legione Straniera francese. In qualche occasione si trovò poi a prendere le parti di una fazione araba contro l’altra, ovviamente sempre parteggiando per sceicchi ed emiri più o meno legittimi e illuminati e guidando rivolte contro spietati dittatori o aspiranti tali, sultani o militari golpisti che fossero. Ciò accade tra gli altri nel lungo episodio Tarzan contro Dagga Ramba del 1941-42, meticolosamente disegnato da Burne Hogarth con grande attenzione alla plausibilità dei costumi orientali ma anche qualche piccola concessione al divismo di stampo hollywoodiano. Una principessa araba è infatti qui raffigurata con abbigliamento piuttosto discinto e capelli scoperti, mentre l’unica piccola concessione alle leggi islamiche è che il suo volto sia inizialmente coperto da un velo.


Da Tarzan di Hogarth (1942)

 
Altre storie a fumetti di Tarzan a contatto con popolazioni e costumi arabi sono state disegnate dai suoi autori successivi, come Bob Lubbers, Russ Manning o Joe Kubert. Anche il Phantom di Lee Falk e Ray Moore si è scontrato spesso con predoni arabi, come nel suo nono episodio a strisce del 1939, I Mercanti di Schiavi.


Da Mickey Mouse and the Sacred Jewel (1934)


Tra i fumetti comici meno rispettosi ambientati in un generico Medio Oriente, si può ricordare poi la classica storia disneyana di Floyd Gottfredson Mickey Mouse and the Sacred Jewel (Topolino nel Paese dei Califfi), uscita a strisce nel 1934, in un’epoca in cui la Disney non era ancora così politicamente corretta come oggi.
Nell’episodio, ambientato nell’immaginario Ombrellistan, tutto è approssimativo e le scritte in arabo sono ghirigori completamente inventati. Tra l’altro vi si ironizzava sulla facilità con cui gli arabi di un tempo (e purtroppo anche alcuni di oggi) vendicavano torti e offese che ritenevano d’aver subito tagliando le teste ai presunti colpevoli o a capri espiatori. Anche Paperino incontra predoni arabi, altrettanto aggressivi ma più realistici, nella storia di Carl Barks del 1950 The Magic Hourglass (Paperino e la Clessidra Magica).


Da Prince Valiant di Harold Foster (1954)


Il cavaliere per eccellenza della Storia del Fumetto, cioè il Principe Valiant di Harold Foster, pur avendo incontrato e affrontato degli Arabi nel corso di un suo viaggio a Gerusalemme, in una sequenza di tavole del 1954, non poteva ovviamente incontrare nessun musulmano, visto che la sua serie è ambientata nel VI secolo, l’epoca di re Artù, mentre Maometto cominciò a predicare all’inizio del VII. Eppure in una didascalia della stessa sequenza l’autore si sente in dovere non solo di citare direttamente il profeta islamico che di lì a poco avrebbe infiammato gli Arabi, ma anche di dare un’opinione molto negativa di tutta la faccenda come di un’età oscura sul punto di minacciare l’Europa. Forse non gli si può neanche dare del tutto torto, ma bisogna ricordare che l’età oscura del Medioevo europeo derivò più che altro dal fanatismo cristiano, mentre dobbiamo solo agli Arabi islamici se tanti testi di filosofia, scienza e storia antica sono giunti fino a noi.
Ma di eroi dei fumetti che una volta o l’altra hanno incontrato personaggi musulmani, ce ne sono molti. 


Sopra e sotto da Tex a colori n. 76 (rispettivamente pagg. 185 e 188)

 
Perfino il Tex di G.L. Bonelli, nella storia Fantasmi nel Deserto disegnata da Erio Nicolò e iniziata sul n°177 del 1975, si scontra con un gruppo di tuareg islamici che, evidentemente a loro agio tra le dune della regione tra Messico e Arizona, vi hanno fondato un’altra Medina e chiamano sé stessi Figli del Profeta.
Quello a cui si riferiscono però non è il vero Maometto, ma un altro Mohamed, ovvero un nuovo profeta a suo dire inviato anch’egli da Allah per convertire all’Islam le terre americane e che intanto si dedica a costruire la sua città usando come schiavi i soldati statunitensi fatti prigionieri. Il trattamento e la fine che Bonelli riserva a questo “Maometto” sono così irrispettosi che al confronto i vignettisti di Charlie Hebdo l’avevano trattato coi guanti, ma nonostante le periodiche ristampe dell’episodio non dovrebbero esserci da temere delle ritorsioni dagli integralisti, essendo abbastanza chiaro che non si tratta del Profeta originale.


Califfi, Sultani e Vizir

Non mancano naturalmente le parodie disneyane del mondo e delle fiabe arabe, come Paperin Babà, realizzata per il n°273 di Topolino da Carlo Chendi e Luciano Bottaro nel 1961. Ovvio che qui il ricchissimo Califfo di Bagdad si chiama Paperon Ben Paperon e i ladroni hanno le facce dei Bassotti, che si definiscono i più famosi ladri dell’Islam. Riferimenti in più all’Islam, imprecisi e irrispettosi, si trovano nella storia dello stesso periodo Paperon De’ Paperoni e la Cintura del Bucariota disegnata da Giovan Battista Carpi. 

Da Paperon De' Paperoni e la Cintura del Bucariota

 
In questo episodio Paperino e Paperone vanno alla ricerca di un tesoro nell’immaginario paese orientale di Buccaria, dove gli autori fanno un po’ di confusione tra Islam e Buddismo. Paperone infatti si traveste da lama e mugugna una rozza parodia del mantra tibetano Om Mani Padme Hum, mentre Paperino invoca su di lui il favore di Allah. Comunque le genti del posto gridano continuamente Ulla! Ullallàh!, chiara presa in giro del tradizionale grido islamico Allah al Akbar (Dio è il più Grande), e quando alla fine Paperino, scambiato per l’atteso principe che doveva detronizzare il locale Kan, viene da questo condannato a morte, gli è concesso un minuto chiamato Il Tempo di Allah, in cui appunto solo Allah, cioè Dio, può intervenire per salvarlo.
Ancora nel 1980 questa storia veniva ristampata coi testi originali ma, data l’attuale politica della Disney, in eventuali riedizioni dell’episodio sarebbero di certo censurati tutti gli scherzosi riferimenti religiosi.


Il Gran Visir Iznogoud. Panini Comics, 2013

Una rivoluzione a Baghdad, da Iznogoud di Goscinny e Tabary (1967)


La serie umoristica più esilarante completamente ambientata in una riuscita parodia della Baghdad delle Mille e una Notte, è però quella di Iznogoud, il cui nome in francese si legge come la frase inglese He’s no good, cioè "Lui non è buono". Il personaggio fu creato nel 1962 sul mensile Record dal grande sceneggiatore francese René Goscinny e dal disegnatore Jean Tabary (che sarà un caso ma ha praticamente lo stesso nome di un grande storico arabo, Tabari) e fu poi proseguito dagli stessi autori sul settimanale Pilote.
Iznogoud è un perfido vizir che cerca in ogni modo di eliminare o far cadere in disgrazia il Califfo Haroun el Poussah (in francese Haroun el Ciccione) così da prendere il suo posto, senza però mai riuscirci nonostante il Califfo sia di un candore e di un’ingenuità disarmanti. Insomma qualunque contorto piano il subdolo vizir intraprende per raggiungere il suo scopo, questo ogni volta si ritorce contro di lui, tanto che l’espressione tipica di Iznogoud “voler essere Califfo al posto del Califfo” in Francia è diventato un modo di dire per indicare chi vuole testardamente una cosa impossibile. Dato anche il pubblico giovanile a cui si rivolgevano, e nonostante il Califfo venisse chiamato continuamente guida dei credenti dai suoi sudditi, gli autori stavano abbastanza attenti a non entrare minimamente in questioni religiose e mantennero il tutto sul piano di una divertentissima boutade, ricca di spassosi incantesimi, elementi anacronistici e situazioni paradossali.

Il Califfo Haroun El Poussah, da Iznogoud di Goscinny e Tabary

Iznogoud, di Goscinny e Tabary


Va però considerato che il Califfo musulmano è una carica suprema sia politica che religiosa. In arabo significa successore, inteso come successore di Maometto. Nonostante la sua bonarietà e innocenza è quindi molto probabile che il fumetto di Goscinny e Tabary sarebbe censurato da un regime islamico, visto che mostra un Califfo ben pasciuto e quasi del tutto ozioso davanti a cui i sudditi si prosternano esageratamente.
Iznogoud apparve in Italia nel 1969, col nome trascritto Isnogud, sul SuperAlbo Audacia n°2 della Mondadori e uscì regolarmente sulla rivista cattolica per ragazzi Il Giornalino ribattezzato Ali Satan. Nel 1984 apparve col nome originale sulla seconda edizione italiana della rivista Pilot e nel 2011 è stato pubblicato dalla Panini Comics nel primo volume di una collana cronologica a lui dedicata, dal titolo Il Gran Vizir Iznogoud.


Euracomix n. 44, Dago vol. 10


Un’altra importante serie, questa volta realistica, ambientata nel mondo islamico si svolge nel Rinascimento. Il protagonista è un eroe anomalo, insieme duro ed eroico, chiamato Dago e creato nel 1980 sulla rivista Nippur Magnum dagli argentini Robin Wood e Alberto Salinas. Dago è un nobile italiano, il cui vero nome è Cesare Renzi. Vittima di una congiura in cui è sterminata tutta la sua famiglia, il giovane e fino ad allora spensierato Cesare è dato per morto in mare ma, miracolosamente sopravvissuto, è raccolto dai pirati saraceni che lo fanno schiavo e lo ribattezzano Dago, dalla corta daga che aveva conficcata nella schiena.
Spinto dal desiderio di vendetta e grazie alla sua intelligenza e prontezza, Dago non solo sopravvive alla dura schiavitù impostagli, passando da un padrone all’altro e superando scontri e battaglie, ma dopo aver salvato la vita all’ammiraglio turco Barbarossa ottiene la libertà. In cambio però deve diventare un rinnegato servendo il Sultano turco Solimano in qualità di giannizzero, cioè come membro della sua guardia scelta. 


Euracomix n. 15 - Dago vol. 5

 
Le sue doti di abilità, coraggio, onestà e incorruttibilità rendono Dago temuto e influente nella stessa corte turca, tanto che con un sotterfugio il Gran Visir ottiene di averlo al suo servizio. Ma pur essendo leale con le massime autorità turche, Dago serve soprattutto l’interesse della giustizia, senza curarsi che questa vada a vantaggio di Islamici o Cristiani. Suo unico e fidato amico è un grosso cane nero di nome Morte.
Gli autori non approfondiscono molto i temi religiosi e non chiariscono se Dago si sia convertito all’Islam. Sembrerebbe di no, visto che viene sempre chiamato cristiano. D’altra parte difficilmente i Turchi avrebbero accettato che un cristiano avesse tanto potere senza obbligarlo a convertirsi, anche se nei primi secoli dell’impero islamico i loro precursori Arabi e Persiani erano stati molto tolleranti verso gli altri monoteisti.
È questa una serie in cui avviene un certo cambiamento di ottica, cogli autori che si sforzano di osservare in modo più o meno obiettivo il mondo dell’impero islamico del XVI secolo dal suo interno, rilevandone tutta la durezza e il fascino insieme, benché i racconti oscillino tra elementi storici e situazioni abbastanza fantasiose.


Euracomix n. 54, Dago vol. 12


Dago partecipa a vere campagne turche come l’assedio di Vienna, ma più spesso si incarica di missioni speciali. Naturalmente incontra molti personaggi realmente esistiti, come il feroce principe rumeno Vlad Dracula, che si oppone all’avanzata turca e lo fa prigioniero dopo aver sterminato i soldati che erano con lui. Ma tra i due ambigui e cupi personaggi finisce per nasce una certa stima e Dracula gli fa perfino un favore...
Gli stessi autori hanno dedicato una breve serie anche a Dracula, narrando come fosse stato da giovane ostaggio dei Turchi e avesse appreso da loro le pratiche sanguinarie che avrebbe poi usato ai loro danni.
In seguito Dago torna ancora in Europa da mercenario e serve nell’esercito dell’imperatore Carlo V. Incontra tra gli altri Giovanni dalle Bande Nere, Michelangelo e Benvenuto Cellini e con quest’ultimo tenta d’impedire il sacco di Roma organizzandone la difesa. Perseguitato dall’Inquisizione per eresia, Dago è poi esiliato nelle Americhe, ma riesce infine a ritornare ad Algeri, unendosi a una società detta La Compagnia della Spada. Intanto nel corso degli anni, è riuscito a uccidere o a vedere morti quasi tutti gli assassini della sua famiglia.
La saga di Dago, tuttora in corso dopo essere passata dal 1997 nelle mani del disegnatore Carlos Gómez, è stata pubblicata in Italia a puntate sulla rivista Lanciostory dal 1983 e ristampata anche sulla rivista Skorpio come inserto. Dal 1988 è stata raccolta dall’Editoriale Eura, oggi Aurea, in una lunga serie di album cartonati a colori delle collane Euracomix prima e Aureacomix poi, che ha ormai superato il novantesimo volume.
Dal 1995 ne sono state pubblicate alcune storie inedite realizzate da altri autori in formato bonellide in bianco e nero, prima sulla collana Nuovi Fumetti Presenta e poi sulla serie mensile Dago, mentre l’analogo mensile bonellide Ristampa Dago, pubblicato dal 2002, ne ripropone le storie come sono uscite su Lanciostory e Skorpio, le stesse di cui dal 2009 è uscita anche un’ennesima ristampa a colori. Una breve antologia del personaggio in formato bonellide è inoltre apparsa nel n°52 dei I Classici del Fumetto di Repubblica del 2004.

Da Nico Macchia. Orient Express n. 18, 1984


Sono ambientati nello stesso violento Rinascimento di Dago anche i pochi episodi della serie Nico Macchia, scritta e disegnata da Carlo Ambrosini dal 1984 sulle pagine della rivista Orient Express, una serie pubblicata in contemporanea e poi proseguita brevemente anche in Francia. Da noi i due episodi più lunghi furono raccolti subito dopo, tra 1986 e 1987, in due album della serie Le Avventure della Storia della Glénat Italia.
Nonostante nel XVI secolo le guerre di religione non si fossero sopite, ma con la Riforma luterana si fossero anzi ancor più aggravate e complicate, i tre amici mercenari protagonisti della serie appartengono a tre religioni diverse (cattolica, protestante e musulmana) e pur discutendo spesso scherzosamente agiscono in perfetta sintonia. In particolare il musulmano Mal Mouhal Assad, disertore dell’armata turca, ha un carattere ambiguo e affascinante, che purtroppo non ha potuto essere sviluppato di più per la breve durata della serie.
Nel primo breve episodio, Assad mostra di non essere troppo osservante e di non approvare per niente le persecuzioni religiose. Dopo aver incontrato certi religiosi cristiani che nel loro monastero torturano spietatamente persone considerate eretiche, dà inoltre prova di possedere inquietanti facoltà ipnotiche e di saperle usare senza troppi scrupoli. Infatti nella notte fa visita da solo al capo del monastero, responsabile di quelle atrocità, e senza neanche toccarlo evoca delle visioni di demoni che gli procurano la morte. L’autore sembra non aver potuto evitare di vedere il suo personaggio musulmano collegato a un fantastico mondo di magie e incantesimi. È questa infatti un’immagine dell’antico Islam che un tempo era abbastanza comune…


Da Topolino e la Lampada di Aladino (1939)


Geni sottomessi e geni ribelli

Una leggenda islamica riportata nel Corano narra di come il profeta Maometto, reduce da una predicazione non riuscita, si fosse sfogato recitando dei versetti nel deserto e fosse stato ascoltato da un gruppo di jinn, ovvero di geni, che affascinati dalle sue parole si sarebbero convertiti sottomettendosi all’Islam.
I jinn erano spiriti di fuoco del deserto della tradizione pre-islamica, ma una volta citati nel testo sacro la loro esistenza non poté più essere messa in dubbio come accadde con quella degli dèi politeisti. La credenza nei jinn dovette necessariamente sopravvivere anche nella cultura, e soprattutto nella letteratura, musulmana.
Quindi si continuarono a lungo a narrare fiabe sui geni, come quelle raccolte in Le Mille e una Notte, geni che spesso risultavano ora sottomessi agli uomini, per esempio al padrone della lampada o del vaso in cui erano stati rinchiusi, proprio come i jinn della leggenda coranica si erano sottomessi alla parola del Profeta.
Molte storie disegnate che hanno trattato del mondo islamico si sono ispirate a questi temi fiabeschi.
Tra le più vecchie storie a fumetti in cui appare un genio in stile arabo si può ricordare Mickey Mouse and the Magic Lamp (Topolino e la Lampada di Aladino), disegnata da Floyd Gottfredson nel 1939. Qui Topolino ottiene un genio al suo servizio semplicemente acquistando una vecchia lampada usata da un rigattiere. Il remoto paese dei geni poi visitato da Topolino in questa storia è del tutto simile a un paese arabo, con tanto di tappeti volanti contrassegnati dalla mezzaluna, forse proprio perché è abitato da geni convertiti all’Islam.


Alì Khim di Bonelli e Paparella. Edizione in albo del 1950


Anche in Italia il mondo delle Mille e una Notte ispirò altri fumetti altrettanto approssimativi dal punto di vista iconografico, come Alì Khim il Ladro di Baghdad, sceneggiato da GianLuigi Bonelli e disegnato da Raffaele Paparella nel 1948, sulla scia del film Il Ladro di Baghdad uscito in quegli anni, a sua volta rifacimento sonoro e a colori di un’omonima pellicola con Douglas Fairbanks dei tempi del muto.
Il gigantesco e spregiudicato genio del film Il Ladro di Baghdad degli anni ’40, che accetta controvoglia di essere sottomesso a un padrone e che non vede l’ora di abbandonarlo dopo il terzo desiderio che è costretto a esaudire, divenne un modello della categoria per molto tempo a venire, sia nell’aspetto che nel carattere.


Locandina del film La Rosa di Bagdad



Edizione in VHS del film La Rosa di Bagdad (1999)


Un altro genio della lampada ha un ruolo risolutivo in La Rosa di Bagdad, pubblicata a metà anni ’50 su uno degli Albi della Rosa di Mondadori (di solito dedicati a storie disneyane). È la versione a fumetti di uno dei primi lungometraggi d’animazione italiani, diretto da AntonGino Domeneghini e uscito nel 1949. 


La Rosa di Bagdad a fumetti (1954)

 
La Rosa di Bagdad è una poetica storia per ragazzi che, attraverso una ben assortita unione di elementi magici, comici e sentimentali, costituiva in qualche modo una risposta italiana a Biancaneve e i Sette Nani. La parte comica è affidata al Califfo Oman e ai suoi altrettanto buffi consiglieri, l’aspetto romantico sta nella casta storia d’amore tra la principessa Zeila e il giovane musicista Amin, le componenti magiche, prima che dal genio, vengono dal mago Burk al servizio del tiranno Jafar, che vuole sposare Zeila per il suo tornaconto. Inevitabile qui l’assenza di elementi religiosi, anche se la bella Zeila ha il capo e spalle coperti da un velo.

La Compagnia della Forca (ristampa), Magnus Schegge n. 23. Granata Press, 1993


Più chiari riferimenti all’Islam sono presenti nel n°17 della serie storico-umoristica La Compagnia della Forca, realizzato da Magnus nel 1978, intitolato I Due Genii Siamesi e ambientato in l’Egitto. Qui regna un sultano turco chiamato principe dei credenti e il dio islamico è sempre chiamato l’Innominato, mentre il suo profeta è chiamato Colui, ironizzando sulla proibizione mediorientale di nominare o raffigurare Dio o Maometto.
Dall’inizio alla fine della storia, a diversi personaggi appaiono due geni dai caratteri opposti di nome Fong e Fang. Questi vivono all’interno della stessa lampada a due becchi, una lampada che nel giro di poche pagine cambia molto spesso proprietario, soprattutto a causa del carattere punitore e collerico di uno dei due geni.

La Compagnia della Forca n. 17, pag. 2. Magnus, 1978


Alla fine la lampada giunge nelle mani dell’anziano scudiero ser Crumb, che con la carica di ispettore del Sultano sta risalendo il Nilo e esaudisce il desiderio dei due geni riportandola al suo posto, nel tempio egizio da cui era stata sottratta. Qui Crumb ne incontra l’invisibile proprietario, che per ringraziarlo esaudisce a sua volta tre desideri del vecchio scudiero. È chiaramente un’antica divinità egizia, ma indicata solo come una sorgente di luce chiara (probabilmente il dio solare che è alla base di tanti culti monoteisti). Così in pratica l’autore sottolinea la derivazione dei geni dalle religioni antiche, da cui i Musulmani li avevano ereditati.


Corben, Les Mille et Une Nuits. Les Humanoides Associés, 1979


Anche nella versione de Le Mille e una Notte molto liberamente adattata a fumetti da Jan Strnad e illustrata da Richard Corben tra il 1978 e il 1979, per la rivista americana di fantascienza Heavy Metal, i riferimenti alla religione islamica sono ben presenti per tutto il corso della storia. In questo racconto i geni, compreso il loro re, non fanno misteri di credere ad Allah e di essergli sottomessi. D’altra parte, trattandosi di una versione per adulti, le donne arabe che vi appaiono in genere non si fanno pregare molto per togliersi i veli di dosso, mentre le torri di alcuni minareti hanno forme inequivocabilmente falliche. La parte ispirata ai racconti originali della narratrice Shahrazad, si risolve velocemente all’inizio, mentre la maggior parte della storia è dedicata al suo racconto dell’ultimo e inedito viaggio di Sindbad il marinaio, alla ricerca di sua moglie rapita da un terribile genio. Tale ricerca lo conduce nella Terra dei Geni, un paese ben diverso da quello visitato da Topolino nella suddetta storia del 1939. Qui oltre al solito spaventoso genio che lo minaccia, deve affrontare un esercito di non morti scheletrici agli ordini di una specie di orco che si nutre di carne umana.

Tavola tratta da Le Mille e Una Notte di Corben (1979)


Tutto appare alla fine come una prova attraverso cui Sindbad doveva passare per ritrovare la fede in Allah che aveva perduto, rinunciando all’orgoglio e alla presunzione una volta resosi conto di non poter ottenere ciò che vuole con le sue sole forze. Di tale conversione, la tipica sottomissione o abbandono alla volontà di Dio degli Islamici, è poi ricompensato ritrovando la propria amata e dandosi alla pazza gioia con lei…
Tra l’altro la tipica esclamazione di Sindbad durante tutta la storia è Bismallah!, cioè In nome di Dio!, che è la frase con cui iniziano tutti i capitoli del Corano e che viene da lui usata sia prima che dopo la conversione.
In contemporanea con l’edizione statunitense, questa storia che unisce provocatoriamente nudità e religione fu tradotta in Francia sulla rivista Metal Hurlant e pubblicata in volume da Les Humanoides Associés nel 1979, mentre in Italia è stata raccolta dall’Editrice Nuova Frontiera sul n°2 della Collana Umanoidi, nel 1981.


Da Sharaz-de di Toppi


Una versione a fumetti altrettanto affascinante, ma tratta molto più fedelmente da vari racconti originali de Le Mille e una Notte, è quella realizzata subito dopo da Sergio Toppi a partire dal 1979, sulle pagine della rivista Alter Alter, e intitolata Sharaz-de, dal nome della leggendaria narratrice delle storie. Qui di racconto in racconto si possono incontrare tra gli altri anche geni vendicativi, che a volte finiscono per essere ingannati da esseri umani più furbi di loro, ma anche lo stesso Iblis, il Diavolo della tradizione islamica, che in fondo non sembra poi molto diverso da un ennesimo genio, un subdolo spirito maligno del deserto, anche se molto più potente e pericoloso di tutti gli altri, trattandosi del ribelle e del nemico per eccellenza. 


Sharaz-de di Toppi su Alter Alter n. 6/1979

 
In quest’opera di Toppi i costumi e le scenografie, nella loro primitiva e quasi spoglia eppure elaborata bellezza, non sono però ispirati tanto a quelli reali del Medio Oriente, quanto a quelli del film Edipo Re di Pasolini. Gli elementi specifici arabi sembrano essere stati messi in secondo piano, evidenziando invece gli aspetti universali dei racconti. Infatti a parte i nomi propri Toppi non usa neanche molti termini orientali specifici, ma correttamente traduce emiro con re, jinn con demone o genio, Allah con Dio, ecc… La storia in cui a un uomo è proibito di pronunciare il nome di Dio si richiama comunque a un tipico tema mediorientale.
Raccolti in volume la prima volta dalla Milano Libri, alcuni racconti della prima parte del ciclo di Sharaz-de sono stati pubblicati anche in formato bonellide nel 2004, nel volume L’Arte di Sergio Toppi, n°54 dei Classici del Fumetto di Repubblica. Di Sharaz-de è poi uscito anche un secondo volume, le cui storie sono state ristampate insieme a quelle della prima parte sul n°10 della collana I Maestri del Fumetto, allegata a Panorama nel 2009, e sul n°4 della serie Sulle Rotte dell’Immaginario, allegata a Il Giornalino nel 2010, quest’ultimo è stato il primo volume a raccogliere integralmente tutti i racconti di entrambe le parti del ciclo. 


Da Sandman n. 50, pag. 2. DC Vertigo, 1993
 

Nel 1993, il mondo di Le Mille e una Notte, con molti riferimenti alla cultura e alle usanze islamiche, appare anche nel n°50 della serie americana Sandman – Il Signore dei Sogni, scritta dall’inglese Neil Gaiman.
La storia, intitolata Ramadan dal mese islamico riservato al digiuno in cui si svolge, è disegnata con grande accuratezza ed eleganza stilistica da P. Craig Russell. Il protagonista è Haroun Al Raschid (Haroun il Giusto), un Califfo realmente esistito che regnò a Baghdad dal 786 all’809 d.C., la cui fama fu resa immortale anche dal fatto di essere apparso in molte storie narrate da Shahrazad, appunto nelle Mille e una Notte.
Il suo dominio qui descritto è quindi il regno per eccellenza delle meraviglie e della cultura musulmana, delle arti e dell’abbondanza, delle raffinatezze orientali e delle bizzarrie esotiche, degli incanti e della magia, un regno talmente irripetibile in tutta la storia reale o immaginaria dell’impero islamico, che il Califfo teme che giunga, com’è inevitabile, un tempo in cui esso non esisterà più, in cui di tutta la bellezza inarrivabile del suo regno non rimarrà che polvere, come di tutti quelli creati dall’uomo nei secoli e nei millenni passati. Per questo Haroun Al Raschid chiama il Signore dei Sogni e gli chiede di accettare la sua magica città in dono, affinché ne preservi la bellezza per sempre all’interno del suo regno immaginario… e così è fatto.


Da Sandman n. 50, pag. 23. DC Vertigo, 1993


Ma ora che Baghdad è conservata all’interno di un sogno, così che tutti gli uomini possano continuare a visitarla per sempre nella loro fantasia, il regno reale di Haroun Al Raschid smette istantaneamente di corrispondere a quello del sogno e il Califfo si ritrova a regnare su un paese molto più prosaico e cadente, o forse era sempre stato così e l’intera storia, come spesso succede nella serie, non era altro che un sogno.
Il Signore dei Sogni in questo episodio svolge un po’ il ruolo dei geni o dei demoni islamici, che nei racconti delle Mille e una Notte sono a volte ingannati e a volte ingannatori dei mortali… e in questo caso lui è troppo potente e accorto per essere ingannato. La prima edizione italiana di Ramadan è apparsa nel 1996 sul n°8 della rivista Il Corvo Presenta della General Press, ed è stata ristampata più volte nelle varie edizioni dei volumi del ciclo di Sandman, pubblicati nel tempo da Magic Press, Planeta De Agostini e RW Lion. 


Aladdin, Legacy of the Lost n. 2. Radical, 2010

 
In un’altra serie fantasy più commerciale ispirata al mondo de Le Mille e una Notte, come la miniserie di tre numeri Aladdin Legacy of the Lost, edita dalla Radical Comics nel 2010, ogni riferimento alla vera cultura e religione islamica è del tutto eliminato. Di arabo resta solo il nome di djinn dato al genio della lampada. Ma la condizione dei geni islamici, spesso asserviti agli uomini e costretti a soddisfarne ogni desiderio, nella realtà storica può ricordare anche la vita di un’altra categoria di persone, quella delle donne…


Khomeini in una vignetta di EWK (Ewert Karlsson, 1918-2004)



Le donne e La Shari’a

Il problema della condizione femminile in certi paesi islamici, l’evidente discriminazione e sottomissione nei confronti dell’uomo, rispetto alla condizione almeno teorica di pari dignità e diritti legalmente garantita alle donne nei paesi più democratici, è forse uno dei problemi più difficili da affrontare e risolvere per arrivare a una completa integrazione tra culture occidentali e mediorientali. Secondo un’interpretazione della Shari’a, la legge islamica, l’imposizione del velo per le donne sarebbe giustificata da un brano del Corano, che in realtà parlerebbe genericamente di un semplice invito a coprirsi con mantelli per distinguersi e non essere offese.
A quanto pare infatti velo e clausura per le donne non furono resi obbligatori da Maometto ma dal Califfo Omar, il secondo successore del Profeta, che si dice li avesse imposti anche alle mogli di quest’ultimo. 


Da Persepolis di Marjane Satrapi
 

Il fumetto si è occupato della questione grazie innanzitutto all’iraniana Marjane Satrapi, che trasferitasi molto giovane in Europa e poi in Francia, ha raccontato le proprie esperienze nel romanzo a fumetti autobiografico Persepolis, pubblicato in quattro volumi a partire dal 2000 dal gruppo artistico ed editoriale L’Association.
Attraverso disegni spogli ed essenziali, che ricordano vagamente quelli tradizionali della cultura persiana, di volume in volume vediamo la piccola Marjane crescere negli anni tra il 1980 e il 1984, mentre in Iran le speranze per la cacciata del dispotico governo dello Scià lasciano il posto alla delusione per l’imporsi sempre più autoritario e repressivo della rivoluzione islamica. Nonostante da bambina fantasticasse di diventare l’ultimo profeta musulmano, l’imposizione del velo, che Marjane essendo figlia di genitori progressisti non aveva mai portato, diventa il simbolo della sua insofferenza per il regime. Da ragazzina intelligente e sveglia inizia così una sua piccola e pericolosa battaglia dialettica personale contro la propaganda integralista.
Da notare che all’inizio del suo romanzo la Satrapi rappresenta più volte Dio, con cui infine litiga al punto da non volerlo più vedere, dopo che il regime islamico ha giustiziato suo zio per le sue idee comuniste. In questo caso non si può negare che si tratti proprio del dio musulmano, ma i fanatici integralisti non sembrano averci fatto troppo caso, confermando così che per loro è più grave la raffigurazione di Maometto.


Persepolis di Marjane Satrapi. I Classici del fumetto di Repubblica, Serie Oro n. 37. Gruppo Rpubblica/Espresso, 2005


Nel 1984, dopo l’inizio della guerra con l’Iraq, per metterla al sicuro da ogni pericolo anche religioso e garantirle un’educazione democratica, i suoi genitori mandano la quattordicenne Marjane a studiare in Austria, dove si scontra con altre difficoltà, vivendo delusioni sentimentali e arrivando a vivere per strada.
Tornata in Iran dopo quattro anni, Marjane riprende gli studi d’arte, anche se la morale del regime proibisce perfino di ritrarre modelli, mentre coprifuochi e proibizioni religiose la costringono a frequentare le amiche e i ragazzi di nascosto. Infatti la legge islamica, o la sua visione distorta dell’Iran di questi anni, vieta alle persone anche di andare a semplici feste private o di passeggiare per strada senza essere sposati.
Marjane, anche per evitare il rischio di essere arrestata dai “guardiani della rivoluzione”, sposa un ragazzo con cui condivide idee e passioni ma alla lunga il matrimonio non riesce e resasi conto di non poter realizzare niente nel suo paese, nel finale della storia, riparte nuovamente per la Francia e questa volta per sempre.
In Italia i quattro volumi di Persepolis sono stati pubblicati da Lizard e la ristampa in due volumi da Sperling & Kupfer. Nel 2005 è uscito in un solo volume nel n°37 dei Classici del Fumetto di Repubblica – Serie Oro.
Nel 2008 Persepolis è stato anche trasposto in un omonimo film d’animazione, diretto dall’autrice stessa.


Gil St André n. 6. Glénat, 2003


Negli album dal sesto all’ottavo della serie thriller Gil St. André, scritti da Jean-Charles Kraehn, disegnati da Sylvain Vallée e pubblicati in Francia tra il 2006 e il 2008 dalla Glénat, viene trattato un altro aspetto di quello che è sostanzialmente lo stesso tema, cioè l’imposizione delle tradizioni islamiche meno rispettose delle libertà femminili anche a ragazze, o addirittura bambine, figlie di immigrati in un paese europeo.
Sul n°6 della serie intitolato Soeurs des Larmes (Sorelle di Lacrime), la giovane Drissia, sorella dell’ispettrice di polizia d’origine algerina Djida Feschaoui, fugge di casa per non essere costretta a sposare un uomo che neppure conosce, scelto da suo padre. A causa del fanatismo dei fratelli più grandi, Djida non può impedire che sua sorella sia portata in Algeria per il matrimonio, ma riesce a farsi invitare alle nozze e una volta sul posto le due ragazze fuggono, contando sull’aiuto dell’amico Gil Saint André, che deve venirle a prendere in aereo per riportarle in Francia. Ma come in ogni thriller che si rispetti non tutto va come previsto. Gil non può raggiungerle a causa di un attentato e Djida e Drissia sono catturare da dei fanatici islamisti.
Giunto sul posto, Gil scopre infatti che il promesso sposo di Drissia è il cugino di uno sceicco fondamentalista e che il gioco si è fatto ora molto più pesante… L’intera storia è stata pubblicata in Italia dalla GP Publishing, in collaborazione con Edizioni BD, sul volume in formato bonellide Gil St. André n°3+4, uscito nel 2013.

Jack Palmer, di Pétillon. Da L'Affaire du Voile. Albin Michel


Restando in ambito francese, riesce a sdrammatizzare l’argomento con molta intelligenza e altrettanta ironia la storia L’Affaire du Voile (La Questione del Velo), realizzata da René Pétillon e pubblicata da Albin Michel. Qui l’investigatore Jack Palmer è incaricato di ritrovare una ragazza francese fuggita di casa e che sembra essersi convertita all’Islam più fondamentalista, rinunciando a tutte le sue libertà e diritti occidentali, indossando l’hijab più integrale e andando a rinchiudersi volontariamente in una scuola coranica di Parigi. Paradossalmente una ragazza islamica figlia di immigrati integralisti vuole invece evadere dallo stesso istituto, in cui la sua famiglia l’ha rinchiusa. Il detective e chi l’ha assunto intervengono maldestramente. 


Pétillon, L'Affaire du Voile. Albin Michel

 
In tante piccole situazioni, l’autore enfatizza con leggerezza le incongruenze e assurdità di chi vive la propria religione come una specie di carcere da imporre o da subire senza la minima deviazione dalla tradizione, ma evidenzia con lo stesso umorismo anche la situazione paradossale in cui si trovano i genitori francesi che, in nome della libertà della figlia, si oppongono alle sue scelte al punto da progettare di rapirla.
Sono poi esilaranti i confronti e i litigi continui tra le due comunità islamiche presenti nel racconto e guidate da due diversi imam, una integralista che veste abiti tradizionali e segue la Shari’a alla lettera, l’altra progressista che veste abiti occidentali e in cui alle donne è riconosciuta la parità e il diritto a non portare il velo (mentre i tradizionalisti rivendicano il diritto di portarlo). Ognuno dei due imam naturalmente sostiene di rappresentare il vero Islam e la tensione è ulteriormente aggravata dal fatto che il figlio dell’uno e la figlia dell’altro finiranno per fuggire insieme, con la loro unione ovviamente condannata da entrambe le famiglie.


Da Zahra's paradise


Nel 2009 il simbolo della ribellione contro il regime islamista iraniano divenne una ragazza, una studentessa di nome Neda uccisa nel corso di una grande manifestazione a Teheran per protestare contro i brogli elettorali. Il governo tentò di negare la sua responsabilità nell’omicidio inventando delle storie inverosimili.
È una donna anche una dei principali protagonisti del romanzo a fumetti Zahra’s Paradise, realizzato subito dopo da due autori iraniani, che per non rischiare la vita devono nascondersi dietro gli pseudonimi di Amir e Khalil. Nella loro storia, diffusa prima via Internet e raccolta in volume nel 2010, è una madre iraniana di nome Zahra a cercare disperatamente il figlio Mehdi, scomparso durante quella stessa manifestazione, armandosi dell’infinita pazienza necessaria ad affrontare la trafila burocratica e l’omertà dei membri di un governo che non ha interesse ad aiutare lei e l’altro suo figlio Hassan nella loro ricerca. Come nel caso di Neda, le autorità iraniane non vogliono certo far sapere cosa stanno facendo al loro stesso popolo.


La manifestazione di Teheran del 1979, da Zahra's Paradise.


Nonostante ciò, alla fine si scoprirà che anche Mehdi è stato ucciso, come Neda e tanti altri, trascinati in disparte prima di eliminarli perché i media non potessero registrarne l’esecuzione. Le nuove tecnologie si rivelano infatti delle nuove armi fondamentali per scoprire, documentare e far conoscere i crimini del regime.
La storia è di fantasia ma non si può dire sia del tutto immaginaria, perché è la stessa di tanti giovani fatti scomparire e uccisi dalle autorità iraniane negli ultimi anni, solo per aver partecipato a una manifestazione per i loro diritti o per aver osato chiamare dittatori coloro che non si possono chiamare in nessun altro modo.
I nomi di moltissime vittime sono riportati nelle ultime pagine, scritti in caratteri piccolissimi per entrarci tutti. Va notato che per lo più questi giovani e le loro famiglie sono essi stessi convinti musulmani e che il modo in cui vivono la propria religione non va confuso con le fanatiche imposizioni del regime assassino che li uccide.
Il nome Zahra è lo stesso della figlia di Maometto e si chiama Paradiso di Zahra il principale cimitero iraniano, da cui il titolo della storia. Il volume Zahra’s Paradise è stato pubblicato in Italia nel 2011 dalla RCS, che lo ristampato anche nel 2013, come n°7 della collana Graphic Journalism allegata al Corriere della Sera


Immagine tratta da Dove la terra brucia, di Galeani e Cannatella. RCS, 2011
 

Questa carrellata di fumetti che hanno a che fare con l’Islam, si conclude (ma solo per ora) con la storia di un’altra donna e di un’altra vittima, anch’essa uccisa da dei fanatici, come i collaboratori di Charlie Hebdo, solo perché faceva al meglio il suo lavoro di giornalista. Maria Grazia Cutuli - Dove la Terra Brucia è un romanzo a fumetti dedicato all’omonima reporter siciliana e al suo viaggio verso Khabul, dove purtroppo non riuscì mai ad arrivare. Il libro scritto da Giuseppe Galeani e disegnato a mezza tinta da Paola Cannatella, è stato pubblicato dalla RCS nel 2011 e ristampato nel 2013, come n°16 della collana Graphic Journalism

Maria Grazia Cutuli, da Dove la terra brucia

 
Le scene sono montate variandone i colori a seconda dei periodi in cui si svolgono e alternando i reportage che Maria Grazia aveva realizzato in precedenza con le tappe del suo viaggio in Afghanistan del 2001. Maria Grazia Cutuli era là per scrivere sul conflitto tra Stati Uniti e Talebani, ma ne approfittò anche per intervistare uomini e donne su un tema che le stava a cuore come quello della condizione della donna nella società islamica. Nel libro, ricostruito in modo da dare la sensazione di un suo diario personale, la protagonista cerca di comprendere come il burca potesse essere visto dalle stesse donne afgane, che in certe situazioni dicevano di considerarlo l’unica possibile forma di intimità e difesa dal mondo esterno, all’interno della loro società, una difesa poi trasformatasi nel simbolo più evidente dell’oppressione maschile sulla donna.
Ma Maria Grazia non poté più approfondire né questo né altri argomenti perché, con altri due giornalisti, fu assassinata dai Talebani a poca distanza da Khabul, nell’istante equivalente all’ultima vignetta della storia.

Quest’articolo, per il poco che vale, è dedicato anche a lei, a Neda e a tutte le vittime del fanatismo umano.



Albi e volumi in formato bonellide citati nell’articolo:


Tex n. 178, agosto 1975 (Daim Press). Disegno di Galep



TEX n°177/179
Testi: GianLuigi Bonelli
Disegni: Erio Nicolò
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Daim Press
Date di uscita: Luglio – Settembre 1975


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DAGO
Testi: Robin Wood
Disegni: Alberto Salinas, Carlos Gomez e altri
Collane: Nuovi Fumetti Presenta, Dago, Ristampa Dago
Formato iniziale: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Eura – Aurea
Date di uscita: dal Marzo 1995 a oggi



La Storia dei Popoli a Fumetti, SuperMiti n. 32. Mondadori, 2001



LA STORIA DEI POPOLI A FUMETTI
Testi: Enzo Biagi
Disegni: Autori Vari
Collana: SuperMiti n°32
Formato: 520 pag. a colori
Editore: Mondadori
Data di uscita: Novembre 2001
Prezzo di copertina: € 12,86


Dago, I Classici del Fumetto di Repubblica n. 52. Gruppo La Repubblica - L'Espresso, 2004



DAGO
Testi: Robin Wood
Disegni: Alberto Salinas, Carlos Gomez
Collana: I Classici del Fumetto di Repubblica n°52
Formato: 272 pag. in bianco e nero
Editore: Gruppo La Repubblica-L’Espresso
Anno di uscita: 2004
Prezzo di copertina: € 4,90


I Classici del Fumetto di Repubblica n. 54. Gruppo La Repubblica - L'Espresso, 2004



L’ARTE DI SERGIO TOPPI
Testi e disegni: Sergio Toppi
Collana: I Classici del Fumetto di Repubblica n°54
Formato: 272 pag. in bianco e nero
Editore: Gruppo La Repubblica-L’Espresso
Anno di uscita: 2004
Prezzo di copertina: € 4,90


Gil St André 3 + 4. GP BD, 2013



GIL ST ANDRÉ n°3+4
Testi: Jean-Charles Kraehn
Disegni: Sylvain Vallée
Titolo : Inchieste Parallele + Il Sacrificio
Formato: 192 pag. in bianco e nero
Editore: GP Publishing – Edizioni BD
Data di uscita: Giugno 2013
Prezzo: € 5,80


di Andrea Cantucci

N.B. Trovate i link alle altre parti dei Bonellidi su Cronologie & Index



P.S. Riguardo la pubblicazione di ampli stralci di questo intervento avvenuta sul giornale "Libero" del 28 febbraio 2015, l'autore Andrea Cantucci ha qualcosa da puntualizzare, a livelo personale - non tanto sul fatto della pubblicazione stessa (che è avvenuta col previo consenso di Dime Web), quanto piuttosto sul titolo, sul taglio e il posizionamento dell'articolo e sui passaggi eliminati dai redattori del quotidiano. Essendo questa esigenza del nostro carissimo Andrea cosa del tutto legittima, Dime Web riporta volentieri queste sue personali precisazioni, seguite da una risposta di Giuseppe Pollicelli, giornalista di "Libero", curatore di "LiberoVeleno", esperto in calcio e fumetto (oltre che amico e storico collaboratore di Dime Press):


Sabato 28 Febbraio 2015, ampi stralci della nostra rubrica L’Angolo del Bonellide XVII, prima parte di un articolo sull’Islam nei fumetti del sottoscritto, sono stati ripubblicati su ben due pagine del quotidiano Libero, giornale chiaramente di destra (o di centrodestra che dir si voglia). Va innanzitutto premesso e riconosciuto che la redazione di Libero è stata del tutto corretta, richiedendo preventivamente a DimeWeb il permesso di riprendere i brani in questione, permesso che a sua volta la redazione di DimeWeb ha regolarmente accordato, visto anche che il giornalista che lo aveva chiesto è persona conosciuta e fidata, in quanto ex-collaboratore della sua originaria versione cartacea, Dime Press.
Dobbiamo anzi ringraziare sentitamente Giuseppe Pollicelli per l’attenzione con cui ha evidentemente seguito e apprezzato i nostri scritti e per la correttezza con cui non ha modificato neanche una virgola dei brani che ha riportato, citandone con precisione autore e fonte di provenienza, valorizzando il nostro testo e riportando perfino i titoli dei vari capitoli, pur con ampi e inevitabili tagli tra un brano e l’altro, visto che lo spazio da noi usato su internet è spesso ben maggiore di quello a disposizione dei giornalisti della carta stampata.
Da questo punto di vista quindi, niente da eccepire. Avuto il permesso i redattori di Libero hanno scelto e utilizzato i brani dal loro punto di vista considerati più utili, nel modo che hanno ritenuto più opportuno in modo del tutto legittimo. A nostra volta, ora crediamo di poter altrettanto legittimamente esprimere qualche considerazione sul modo in cui il nostro articolo è stato riportato, poiché accanto a una certa innegabile soddisfazione per il fatto che per la prima volta un nostro testo (sia di DimeWeb che di Andrea Cantucci) è stato ripreso da un quotidiano nazionale, è anche chiaro che un articolo sul delicato argomento dell’Islam, sia pure nei fumetti, rischia di assumere abbastanza facilmente un significato politico che in origine non gli apparteneva per nulla, una volta che venga inserito all’interno di un contesto di parte.
L’evidente faziosità e le simpatie politiche del giornale Libero infatti si esprimono fin dal modo in cui le (poche) pagine dedicate solo al principale partito di centrosinistra sono intitolate quasi grottescamente “I Guai della Sinistra”, mentre le pagine dedicate ai partiti di destra (che per gli altrettanto grotteschi contenuti potrebbero benissimo chiamarsi “I Guai della Destra”) sono invece intitolate con enfasi un po’ ridicola “Le Sfide del Centrodestra”. Ovviamente solo alla destra è qui affibbiato il suffisso centro, che vorrebbe essere segno di moderazione nell’attuale magma informe della politica italiana, ma spesso indica solo l’indistinta e opportunistica uniformità di posizioni di quasi tutti i protagonisti della nostra vita politica. Tutto ciò in fondo ci toccherebbe poco, visto che il nostro articolo non ha a che fare con la politica interna del nostro paese, se non fosse per un’altra conseguente caratteristica del giornale Libero, cioè la sua posizione vagamente nazionalista che si accompagna a certi toni abbastanza carichi di pregiudizi verso gli immigrati.
Su quel giornale si può infatti riscontrare una certa strisciante xenofobia (paura degli stranieri, per chi non sapesse il greco), piuttosto evidente nell’insistenza con cui molte pagine, compreso l’inserto centrale in cui è stato inserito anche il nostro articolo, sono oggi dedicate a fomentare la paura dell’integralismo islamico. Certo, tale pericolo non è per niente campato in aria ed è più che giusto parlarne, visti i recenti sanguinari attentati anche nelle città europee. È contestabile però il modo in cui un giornale che si definisce Libero spesso generalizza la minaccia del fanatismo tendendo a estenderla a quasi tutti i Musulmani, cosa di per sé ingiusta visto che nel nostro paese è riconosciuta appunto a tutti la libertà di professare la propria religione. Finché la si professa in pace e senza imporla ad altri, si può restare attaccati a tutte le tradizioni a cui si è affezionati, compresi anche i condizionamenti più antiquati. Ma su Libero non tutti sembrano pensarla così. In alcuni suoi articoli si suggerisce che ogni velo portato da molte donne musulmane, non necessariamente fanatiche, possa nascondere chissà quali ordigni, ma seguendo tale logica maniacale ciò varrebbe di più per qualunque borsa o cappotto portato da ogni donna o uomo, anche dall’apparente aspetto occidentale…
Altri articoli di Libero cavalcano le proteste contro le cosiddette moschee abusive, ma leggendo il testo si può scoprire che quello verso cui si esprimono timori, non si capisce bene motivati da cosa, è un semplice centro culturale islamico. Come dire che ogni ente culturale cristiano di cui il nostro paese è pieno (e in cui a volte dei cristiani pregano) andrebbe considerata chiesa abusiva… Ma non è il fatto che a volte qualcuno vi si riunisca a pregare, che fa di un luogo una moschea o una chiesa. Nonostante l’ottusa opposizione dei nostri connazionali più intolleranti, o semplicemente più impauriti, non si può negare a persone residenti sul suolo italiano di esercitare il proprio diritto di culto in qualunque luogo privato vogliano, a meno di voler andare contro la Costituzione. In assenza di moschee è ovvio che chi è tenuto da una religione un po’ rigida a pregare ben cinque volte al giorno deve arrangiarsi come può… ma non è per questo un terrorista. È vero che una mentalità religiosa troppo rigida, non solo islamica, in certi casi estremi può finire per portare al fanatismo, ma i terroristi vanno individuati e fermati con indagini mirate e non con l’intolleranza religiosa.
Oltre agli articoli di Libero con questo fastidioso retrogusto xenofobo, ce n’è però qualcuno che coglie di più nel segno, in particolare quelli dell’inserto centrale sul vero e proprio integralismo islamico curato in questo periodo da Pollicelli e altri. Nell’inserto del 28 Febbraio, oltre alla versione condensata del nostro prolisso ma tutto sommato modesto articolo sui fumetti che, bontà sua, Pollicelli definisce saggio, sono stati inseriti anche brani giustamente ben più lunghi di un libro che denuncia persecuzioni di vario tipo subite in diversi paesi islamici da arabi atei, o non monoteisti, o omosessuali. Tali intolleranze religiose vanno senz’altro condannate e fa benissimo Libero a segnalarle. Tra l’altro fa piacere che un giornale di destra prenda le difese degli omosessuali almeno nei paesi islamici e va riconosciuto che forse altri giornali non affrontano il tema con altrettanta decisione per timore di offendere i Musulmani o d’essere etichettati come razzisti.
Riguardo al nostro articolo, senza voler sminuire l’opera dei redattori di Libero che hanno lavorato con molta cura sulla sua rielaborazione, impaginandolo in modo molto professionale anche dal punto di vista delle immagini e della grafica, si possono rilevare giusto un paio di dettagli un po’ discutibili nel modo in cui è stato presentato. Innanzitutto nel nuovo titolo dato all’articolo, l’uso dell’espressione “i fumetti che affrontano l’islam” è abbastanza improprio, a meno che non si intendesse dire “affrontare il tema” dell’Islam, ma è più probabile che si volesse dare dell’articolo una chiave di lettura di parte, con una contrapposizione netta rispetto a tutto il mondo islamico visto complessivamente come proprio avversario, il ché non era negli intenti del testo, incentrato semmai sulle varie interpretazioni, giuste o sbagliate, che il mondo del Fumetto ha dato dell’Islam, accompagnate da un netta condanna e ridicolizzazione di ogni fanatismo religioso.
Il titolo originale, “Quando il Fumetto Incontra Maometto”, pur non essendo forse molto incisivo o efficace in senso giornalistico, dà invece una chiave di lettura dell’articolo volutamente neutra, preannunciando il tono un po’ ironico dell’articolo stesso, che tenta di sdrammatizzare per quanto possibile la situazione di conflitto e stragi esplosa negli ultimi mesi sia in Medio Oriente che in Europa per colpa della troppa seriosità dei fanatici. È quindi un titolo che può risultare meno urtante per le tante brave persone che professano in pace quella religione, che hanno tutto il diritto di farlo e che, a differenza dei fanatici violenti o assassini, meritano un certo rispetto. Comunque a parte questo uso diciamo infelice dell’espressione “affrontare l’islam”, il modo in cui i contenuti dell’articolo sono riassunti sotto il titolo è del tutto corretto ed efficace.
Secondariamente la frase “Topolino ha ironizzato sulla facilità con cui gli arabi tagliavano le teste”, che è stata inserita in grande al di sopra del titolo come citazione, non si trova nell’articolo in quei termini precisi. È una sintesi un po’ troppo libera e brutale di un dettaglio descritto nel testo in modo molto più articolato e relativo a una singola storia del personaggio, per di più esplicitamente definita come politicamente scorretta. Da un punto di vista giornalistico l’espressione è stata anche ben estrapolata, è chiaro che è una frase forte che può attirare l’attenzione e invogliare a leggere, ma togliendola così dal contesto ed enfatizzandola dà anch’essa dell’articolo un’idea sbagliata, quasi sottintendendo tra l’altro che fino a poco tempo fa tutti gli arabi se ne andassero in giro a tagliare allegramente teste di continuo, cosa come minimo alquanto esagerata (e storicamente non è che anche in Occidente di teste non se ne siano tagliate…).
Probabilmente ha qualche responsabilità anche il sottoscritto, nell’essersi espresso con un po’ troppa leggerezza, senza immaginare che qualcuno avrebbe potuto riprendere e sintetizzare così un frammento del suo testo, testo riferito a una storia buffa ma che citato in questo modo diventa decisamente troppo serio. È il caso quindi di chiarire meglio in cosa consistesse veramente, quel piccolo dettaglio della storia del 1934 “Topolino nel Paese dei Califfi” che su Libero ha finito per essere così esageratamente enfatizzato.
Si trattava di un semplice tormentone comico, con due inviati di un califfo che, lamentando lo smarrimento di un gioiello sacro, minacciavano più volte con le scimitarre in pugno un amico di Topolino, il capitano Churchmouse (o Radimare in italiano), preso da loro in ostaggio con la precisa intenzione di tagliargli la testa se il loro padrone non avesse riavuto la gemma. Alla fine arrivano abbastanza vicini a tagliargliela davvero, ma naturalmente nel frattempo Topolino ha recuperato il gioiello e all’ultimo minuto il pericolo è scongiurato, perché è chiaro che di regola in nessuna storia Disney muore mai nessuno (con rarissime eccezioni).
Ovviamente tutto rientra in uno stereotipo del mondo arabo. Anche i costumi della storia sono approssimativi e antiquati ed è chiaro che l’Ombrellistan in cui è ambientata non esiste. Ma il fatto che, mentre stanno per decapitare a sangue freddo il povero Radimare, quei due buffi sicari per di più barbuti si giustifichino invocando un sacro dovere da compiere in nome della giustizia, crea oggi un grottesco parallelo, come detto nell’articolo, coi ben più sinistri carnefici dell’Isis che hanno purtroppo reso quello stereotipo fin troppo reale.
Per il resto, senza voler contestare troppo le scelte dei redattori di Libero, è abbastanza chiaro che erano interessati a riportare solo le parti dell’articolo più critiche verso i Musulmani, in conformità coi contenuti di un inserto che fa parte di una serie intitolata “I Libri Neri dell’Islam” in cui si rilevano gli aspetti più fanatici e quindi pericolosi di quella cultura. Ciò che manca alla linea editoriale di Libero, e che è invece presente negli articoli da noi dedicati a fumetti e Islam, è il bilanciare le giuste denunce dell’intolleranza religiosa con il riconoscimento di altri casi in cui invece l’Islam ha dimostrato e dimostra tolleranza, o è stato a sua volta vittima di intolleranza, o in cui altrettanta intolleranza è stata dimostrata anche dalla nostra cultura.
Forse per questo non sono stati ripresi dei brani dalla seconda parte del nostro articolo (L’Angolo del Bonellide XVIII), dedicata ai fumetti sui conflitti con gli Islamici e quindi per Libero teoricamente più appetibile, ma in cui è riconosciuta a volte una maggiore tolleranza e umanità dei Musulmani rispetto ai Cristiani, o si parla anche delle legittime ribellioni dei paesi islamici per ottenere l’indipendenza dalle potenze coloniali europee, o delle ingiustizie e stragi di cui anche i Musulmani sono più volte stati vittime.
Si può infatti notare che sulle pagine di Libero sono stati ripubblicati stralci con nostre riflessioni contro la mentalità integralista, su scontri tra vecchi eroi dei fumetti e predoni arabi, su storie che ironizzano sul mondo arabo o che denunciano la condizione femminile nei regimi islamici, ma non è stato incluso nessun passaggio di quelli, pure qua e là presenti nell’articolo originale, in cui si fanno dei paralleli con l’analogo fanatismo cristiano o in cui si riconosce anche valore e fascino alla cultura islamica. Questi guarda caso sono stati regolarmente saltati, naturalmente forse solo perché erano fuori tema o non abbastanza interessanti...
Certo, due intere pagine di un giornale a noi dedicate sono già tante e non si poteva proprio chiedere di più, è perfettamente comprensibile che si sia dovuto lasciar fuori molto e che sia stata del tutto omessa la parte relativa al mondo puramente fantastico delle Mille e una Notte, ma mentre la recensione del libro Persepolis dedicato al caso specifico del duro regime iraniano è stata riportata praticamente per intero, non è stato citato proprio nulla per esempio della parte dedicata a Dago, rinnegato passato al servizio dell’Islam, pur essendo questi presente in un’immagine, e neppure dei Musulmani che si oppongono alla dittatura religiosa iraniana nel romanzo a fumetti Zahra’s Paradise. È chiaro che non potevano ripubblicare tutto l’articolo, a meno di dedicarci l’intero inserto, e siamo già pienamente soddisfatti delle nostre due pagine, a cui tra l’altro è stata trovata una chiusura leggera e simpatica col brano su un fumetto comico di Pétillon, ma saranno stati proprio tutti dei tagli dovuti soltanto alla mancanza di spazio…? Saremmo lieti di verificare che i nostri sospetti di una certa faziosità nella selezione dei nostri testi sono sbagliati, non avendo nulla in contrario se anche qualche altro nostro brano meno allineato con la sua linea politica fosse citato in futuro dallo stesso giornale, magari in un inserto intitolato “I Libri Bianchi dell’Islam” (o di qualunque altra cultura)...

Andrea Cantucci 


Ed ecco cosa risponde Pollicelli:

Di recente il quotidiano Libero ha pubblicato, per sei giorni consecutivi, alcuni inserti che, debitamente commentati da Francesco Borgonovo e dal professor Marco Lombardi, hanno presentato al pubblico italiano, a mio avviso molto meritoriamente, alcuni brani tratti da pubblicazioni prodotte dall'Isis o comunque a esso riferibili. L'intera operazione è stata curata da Francesco Borgonovo, caporedattore centrale di "Libero", così come è stato Borgonovo, dopo che io gliene avevo segnalato l'esistenza, a decidere quali parti pubblicare (sull'inserto uscito il 28 febbraio 2015, l'ultimo della serie) del lungo scritto su islam e fumetti redatto per Dime Web da Andrea Cantucci. Personalmente, dunque, non sono intervenuto in alcun modo né nella selezione degli estratti del saggio di Cantucci né nella loro impaginazione né nella scelta delle immagini a corredo. Preciso questo non per prendere le distanze dal lavoro, secondo me assai valido, svolto dal collega Borgonovo, ma per puro e semplice amor di verità.

Giuseppe Pollicelli 

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