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giovedì 11 settembre 2014

LE GUERRE INDIANE (2a parte). LITTLE BIG HORN: L’IMPLACABILE FURIA PELLEROSSA! LA STORIA DEL WEST by WILSON VIEIRA (XVI PARTE)

di Wilson Vieira

All'interno della sua straordinaria e puntuale Storia del West - che tanto successo sta riscuotendo in Rete, in Italia come in Brasile - Wilson Vieira continua - dopo Adobe Walls - a occuparsi delle Guerre Indiane, narrandoci adesso i drammatici accadimenti di Little Big Horn, il cruento scontro fra Bianchi e Pellerossa dove videro fine ingloriosa il "generale" Custer e i suoi uomini del 7° Cavalleggeri! Ricordiamo che le immagini non bonelliane sono tutte selezionate e posizionate all'interno del post dallo stesso Wilson, mentre le cover bonelliane sono liberamente scelte della redazione per la loro attinenza con il testo. (s.c. & f.m.)




Nel 1866, vicino a Fort Kearney, l’Esercito USA subì una memorabile sconfitta a opera dei Sioux comandati dal vecchio capo Red Cloud (1822 – 1909).





Red Cloud fu il capo piú famos degli Oglala Teton Sioux, uno dei principali clan del Dakota. Nel 1835 egli protestò contro la costruzione iniziata dagli Americani, di una strada che partiva da Fort Laramie nel Wyoming, in direzione dei giacimenti d’oro della regione di Bonanza, nel territorio del Montana. Vedendo che i Visi Pallidi si installavano nelle praterie piú fertili, dove pascolavano grosse mandrie di bisonti, egli riunì 2.000 uomini e annientò un distaccamento di 80 militari davanti a Fort Phil Kaerny, nel dicembre del 1866. Ebbero allora luogo la battaglia contro Fetterman e la battaglia di Wagon Box.
Il trattato di Fort Laramie, nell’autunno di 1868, segna la fine della Prima Guerra con i Sioux. La commissione dei Bianchi è presieduta dal generale William Tecumseh Sherman (1820 – 1891). Red Cloud, in uno straordinario discorso di qualche mese dopo, disse tra l’altro:
Nel 1868 vennero degli uomini e ci portarono dei pezzi di carta; quando andai a Washington vidi il Grande Padre (il Presidente) che mi mostrò cosa erano i trattati e disse che gli interpreti mi avevano ingannato. Tutto quello che voglio è Diritto e Giustizia. Guardatemi: sono povero e disarmato, ma sono il capo della Nazione dei Sioux. Io vorrei sapere perchè i Commissari vengono mandati da noi solo per derubarci. Uomini che bevono whiskey, che bevono e litigano, e che sono così cattivi che il Grande Padre non può tenerseli a casa. Vogliamo soltanto vivere tranquilli nelle nostre Riserve. 


Magico Vento n. 86, luglio 2004. Disegno di Mastantuono


Il Governo finì col decidersi ad abbandonare la costruzione della strada e Red Cloud dette ancora del filo da torcere durante la Guerra dei Sioux del 1870, alla fine della quale dovette cedere le Black Hills, sulle quali era stato trovato l’oro. Red Cloud fu un grande condottiero, un capo militare, un uomo di Stato, un oratore e un grande patriota che lottò solo per il bene della sua tribú. L’Esercito era stato incaricato di aprire una nuova pista tra Fort Laramie e le miniere del Montana, attraverso il territorio Sioux. Nonostante I trattati e gli accordi, molti cercatori si erano stabiliti nelle Black Hills, nel Dakota, quando vi era stato trovato l’oro. Si voleva che gli Indiani se ne andassero da quella regione, ma quando essi vennero a conoscenza di questa decisione, rifiutarono di abbandonare le terre dove riposavano i loro antenati.
Fra il 1784 - quando il Governo Americano aveva svolto i primi negoziati con gli Indiani - e il 1871 erano stati firmati ben 370 trattati di pace, nell’inutile sforzo di permettere ai Bianchi di strappare ai Pellerossa i loro territori. Gli Indiani, infatti, non erano in grado di afferrare l’intero significato di un trattato, né disponevano di organizzazioni sociali capaci di farlo rispettare; d’altro lato, i Bianchi non avevano forza sufficiente per rendere effettivi gli accordi. Ogni minima infrazione ai trattati da parte degli Indiani veniva punita ovviamente dall’Esercito, che aveva la mano decisamente piuttosto pesante. Nel 1874 un drappello di soldati era penetrato nel territorio delle Black Hills, che era stato assegnato agli Indiani come Riserva (finché i fiumi scorreranno e l’erba crescerà, diceva il trattato), e vi aveva scoperto un ricco giacimento d’oro. Appena si sparse la notizia, migliaia di cercatori d’oro e di avventurieri si precipitarono nelle Black Hills. Com’era logico, i Pellirosse si ritennero traditi e scesero sul sentiero di guerra, abbandonando le Riserve e attaccando senza sosta gli invasori Bianchi. 





Il Governo Americano fu avvisato che da qualche tempo i capi dei Minniconjoux, degli Oglala, dei Cheyenne e dei Sans Arc, aderivano all’appello di Sitting Bull (1834 – 1890), capo dei Sioux Hunkpapa, che si preparava a combattere.





Il piú famoso dei Pellerossa fu uno straordinario guerriero, medicine-man e capotribú dei Sioux Hunkpapa. Nacque sulle rive del Grande Fiume, nel Sud Dakota. Aveva appena dieci anni quando uccise il suo primo bisonte e soltanto quattordici quando abbatté, nel corso di una battaglia contro i Crow, il primo nemico. Si chiamava allora Four Horns, e fu soltanto nel 1857, quando divenne medicine-man, che ebbe il nome di Tatanka Yotanka, o Sitting Bull, cioè Toro Seduto. Sitting Bull fu ininterrottamente sul sentiero di guerra dal 1869 al 1876, anno in cui si rifiutò, insieme ai suoi compagni, di farsi rinchiudere in una Riserva. Partecipò alla battaglia di Little Big Horn: ottenuta la vittoria, si rifugiò in Canada, dove rimase fino al 1881. Ritornato negli Stati Uniti, fu condotto nella Riserva di Standing Rock, dove ebbe il riconoscimento di capo della Religione della Ghost Dance.





Fu ucciso da un agente Indiano di Polizia, Red Tomahawk (1849 – 1931), il 15 dicembre 1890, nel corso di un tafferuglio scoppiato quando andarono ad arrestarlo.






Il presidente degli Stati Uniti, Ulysses S. Grant (1822 – 1885), incaricò il generale Alfred H. Terry (1827 – 1890) di dirigere le operazioni contro di essi. Quest’ultimo si reco a Fort Lincoln dove mise a punto il suo piano per la Campagna, in modo da dare una buona lezione agli "sporchi Indiani". Il primo d’aprile, il generale John Gibbon (1827 – 1896) aveva lasciato Fort Ellis e aveva seguito il corso dello Yellowstone, esplorandone le rive. Alfred Terry aveva immaginato che gli Indiani si sarebbero spostati alla chetichella verso Sud. Allora il generale George Crook (1828 – 1890) ricevette l’ordine di lasciare Fort Fetterman nel Wyoming, e il 29 maggio si mise in cammino con sei Compagnie di Fanteria. Presi fra tre eserciti, gli Indiani non avrebbero avuto alcuna possibilità di sfuggire, ma il piano di Alfred Terry diede in realtà ben altri risultati. John Gibbon e il capo delle operazioni si incontrarono a bordo del battello Far West.






Fu allora che la presenza di molti distaccamenti indiani fu segnalata nei dintorni: il maggiore Marcus A. Reno (1834 – 1889) uscí in ricognizione ma non scorse nulla di anormale. I Pellerossa dovevano trovarsi tra i fiumi Yellowstone e Rosebud. Pur non avendo notizie di Crook, Terry e Gibbon si misero in cammino: pensavano che Crook fosse stato ritardato.






In realtà quest’ultimo, da dieci giorni, era bloccato da numerosi capitribú fra cui Crazy Horse (184.? – 1877). Fu uno dei piú grandi fra i grandi capi Sioux. Pare che egli avesse ricevuto il nome di Cavallo Pazzo perché, al momento della sua nascita, un cavallo imbizzarrito aveva attraversato al galoppo il centro del suo villaggio. Certi sostengono che il suo nome è stato deformato dai Bianchi e che egli in realtà si chiamava His Horse is Crazy (ovvero Il Suo Cavallo è Pazzo). Fin dalla più tenera età, Crazy Horse diffidò dei Bianchi, che aveva incontrato per la prima volta nel corso di una visita fatta a Fort Laramie, nel Wyoming. In seguito egli ebbe molte occasioni per soffrire della loro ingiustizia.
Si unì a Sitting Bull quando quest’ultimo predicò la Guerra come unico modo di liberarsi di coloro che, a dispetto dei trattati, erano venuti a stabilirsi nelle Black Hills dove era stato scoperto l’oro. Partecipò alla battaglia di Little Big Horn, inseguito dopo nelle Big Horn Mountains dal generale Ranald Sliddell Mackenzie (1840 – 1889), detto “Bad Hand” oppure “No-Finger Chief”, al commando di 1.400 uomini del IV Cavalleggeri e fornito di una potente Artiglieria; Cavallo Pazzo fu fatto prigioniero nel 1877 e vigliaccamente ucciso da una sentinella che sostenne di averlo sorpreso mentre tentava di scappare il 7 settembre dello stesso anno. Crazy Horse fu condotto alla sua ultima dimora da pochi amici e ancora oggi solo qualche iniziato conosce il luogo dov’è stato sepolto.
Il 17 giugno i cavalleggeri di George Crook furono attaccati sul Rosebud da un gruppo di Sioux. Furono gli Snake, gli eterni nemici dei Sioux, che permisero ai Bianchi di riprendersi. George Croock, che non conosceva la potenza dei suoi avversari, ritornò sui suoi passi e andò a chiedere rinforzi: senza saperlo si era imbattuto nelle avanguardie di Sitting Bull. Alfred H. Terry decise di dare il colpo decisivo. Comunicò a George Armstrong Custer, a Fort Lincoln, l’ordine di mettersi immediatamente in cammino.







Chiamato "Capigliatura Gialla" dagli Indiani, nel 1868 si era reso responsabile del massacro della pacifica tribú dei Cheyenne di Caldaia Nera. Vennero massacrati fino all’ultimo bambino, nonostante che sulla tenda del capo sventolasse, in segno di pace, la bandiera americana.



Custer mosse contro di loro deciso a troncare nel sangue la rivolta degli Indiani. Sebbene - in molti libri di storia americana e dall’Esercito degli USA - sia ancora oggi chiamato “generale”, Custer non è mai stato in vita sua né generale, né comandante del Settimo Cavalleggeri. Dopo la Guerra, quando la maggioranza delle truppe venne congedata, ricevette il grado di capitano del Quinto Reggimento Cavalleggeri. Entrò come tenente nel Settimo Reggimento Cavalleggeri a Fort Riley, nel Kansas. Poiché contro di lui furono presi alcuni provvedimenti disciplinari, fu posto sotto tuttela del maggiore generale John W. Davidson (1825 – 1881), del Secondo Reggimento Cavalleggeri. 

Magico vento n. 97, giugno 2005. Disegno di Mastantuono


Comandante del Settimo Reggimento Cavalleggeri fu in realtà il cononnello Andrew J. Smith (1815 – 1897). Soltanto il 26 marzo 1876 Custer ebbe dal maggiore generale Hancock - che comandava il Dipartimento della Prateria del Missouri - l'incarico di maggiore per il Comando provvisorio del Settimo Reggimento Cavalleggeri e, secondo l’ordine del giorno, solo per la durata della spedizione contro i Sioux. Al termine di questa Campagna Custer avrebbe dovuto lasciare il Comando; siccome era in attesa di un processo disciplinare, che minacciava di fare finire la sua carriera come Ufficiale, egli non obbedì all’ordine del suo generale superiore Terry di ritirarsi all’apparire del nemico e di attendere rinforzi e attaccò le forze unite delle tribù al Little Big Horn. Fino a quel giorno, Custer fu tenente del Settimo Reggimento Cavalleggeri per quasi esattamente tre mesi. Il Settimo Cavalleggeri era esistito fino a quel giorno per 120 mesi, comandato per 117 mesi da altri Ufficiali.
Custer doveva snidare gli Indiani seguendo la pista battuta pochi giorni prima dal maggiore Marcus Reno. Quest’ultimo avanzava verso i fiumi Big Horn e Little Big Horn, dove, una volta scoperta la posizione di Sitting Bull, doveva aspettare Alfred H. Terry. Mark Henry Kellogg (1831 – 1876), un giornalista del Bismarck Tribune e corrispondente del New York Herald, accompagnava Custer e i suoi uomini del VII Cavalleria.






Il 25 giugno gli Indiani, guidati da Gall (1840 – 1894), senza disperdere le proprie forze, si fecero encontro a Marcus Reno e lo misero nell’impossibilità di prendere qualsiasi iniziativa, ricacciandolo indietro e obbligandolo a raggiungere certe alture dove egli si appostò sulla difensiva. Gall fu uno dei piú straorinari strateghi Indiani. Nacque nel Sud Dakota e divenne capo degli Hunkpapa della tribú dei Sioux. Fin dalla piú tenera età si appassionò alle armi; a Little Big Horn si trovò a fianco di Sitting Bull e fu certamente uno degli artefici della vittoria. Seguì anch’egli Sitting Bull nel suo rifugio in Canada, e poco dopo si arrese agli Americani, andandosi a stabilire in una fattoria, diventando amico dei Bianchi. Cominciò allora a discreditare Sitting Bull, dicendo che era un imbroglione e un incapace. Nel 1889 divenne Giudice dell’Indian Court della Riserva di Standing Rock.

Tex n. 490, agosto 2001. Disegno di Villa.


Nel frattempo gli Indiani forzavano in direzione di Custer che, con i suoi cinque Squadroni, avanzava sulla riva destra del Little Big Horn. A Nord del villaggio indiano, quattro guerrieri pellerossa sulle loro cavalcature fremevano di impazienza. Al segnale convenuto salirono al galoppo il breve pendio e si arrestarono in cima alla collina. Il primo vide la colonna di Custer nella valle e i suoi tre compagni andarono a riferire la notizia ai guerrieri ammassati piú indietro. Custer pensò che, se quattro Indiani osavano sfidarlo, voleva dire che gli era stata tesa un’imboscata e mandò una pattuglia in ricognizione. Egli, dal punto in cui si trovava, poteva chiaramente distinguere i Cheyenne e i Sioux e, non lontano da essi, il guado che doveva attraversare. Esitò a raggiungerlo e questo fu il suo grande, inesplicabile e fatale errore. Osservò il villaggio Indiano e decise di passare all’attacco senza attendere, come era previsto, l’arrivo di Terry. Dividendo in altre due parti le sue forze, lasciando due Squadroni di rinforzo al Comando del colonnello Fred Benteen (1834 – 1889) sulla riva destra, si preparò ad attraversare il fiume a valle del villaggio, mentre il maggiore Marcus Reno doveva attraversarlo a monte.






Nemmeno per un istante Custer sospettò che gli Indiani potessero essere numericamente superiori. Le due truppe si separarono e avanzarono in direzioni diverse. Marcus Reno si avviò verso il guado senza incontrare difficoltà, ma poco dopo fu accerchiato da parecchie centinaia di guerrieri nemici. Dovette allora battere in ritirata e riparare dietro un massiccio roccioso; attese invano che Custer attaccasse in suo aiuto e la sua situazione peggiorò. Dopo essersi raggruppate, le truppe del maggiore attraversarono il guado sotto un fuoco infernale; piú di metà degli uomini caddero. Marcus Reno riuscí tuttavia a raggiungere un’altura sulla quale si preparava a ricevere il nemico, quando, all’improvviso, questi cessò il fuoco. Il colonnello Benteen, che aspettava non lontano, udí i colpi di arma da fuoco e si precipitò alla riscossa. Furono date munizioni agli uomini di Reno, quando in lontananza risuonò uno sparo: doveva trattarsi di Custer. Il maggiore volle subito recarsi in suo soccorso, ma nuove bande di Indiani lo obbligarono a pensare solo alla propria difesa. La notte portò una breve tregua, ma il giorno successivo, a mezzogiorno, la situazione peggiorò ulteriormente e la calma ritornò solo al tramonto. L’indomani gli attacchi indiani ripresero e durarono fino all’arrivo dei primi uomini di Terry e di Gibbon, quando i Pellerossa si ritirarono prudentemente.




Tutti pensavano che Custer, per prudenza, si fosse allontanato verso Nord, ma le cose erano andate ben altrimenti. Dopo aver lasciato Custer, Alfred H. Terry si era messo in marcia seguendo il corso dello Yellowstone per raggiungere, il 25 giugno, la confluenza col Big Horn River. Gli si erano allora presentati alcuni Indiani che affermavano di essere scout e di aver lavorato per Custer; dicevano che Custer si era scontrato con una folta schiera di Sioux e che era rimasto ucciso con tutti i suoi uomini. Il generale Terry, però, non aveva voluto creder loro. Riprendendo il suo cammino Terry giunse al grande villaggio indiano che era stato abbandonato. Il terreno era cosparso di cadaveri e fra questi vi erano molti uomini del VII Cavalleggeri. Il 27 giugno le pattuglie gli comunicarono la tragica notizia; allora egli, seguendo le tracce di Custer dal punto in cui era separato dal maggiore Reno, riuscí a ricostruire il dramma. Quando Custer aveva dato il segnale della carica, i suoi uomini si erano gettati all’assalto ma, subito bloccati, avevano dovuto buttarsi a terra sotto un lancio serrato di frecce. I Sioux e i Cheyenne avevano inoltre avuto a loro disposizione fucili migliori di quelli dei soldati americani. I Pellerossa erano avanzati progressivamente, guadagnando posizioni da ogni lato, e i soldati, senza più vie d’uscita, consapevoli della loro sorte, si erano battuti difendendosi con la forza della disperazione. Gli Indiani si erano avvicinati al massimo fino a combattere all’arma bianca, mentre altri lanciavano migliaia di frecce e si servivano dei fucili tolti ai cadaveri.



I militari si erano allora raggruppati su una collinetta, ma anche quest’ultimo manipolo era stato annientato da un nutrito fuoco di fila. George Armstrong Custer era caduto in mezzo ai suoi ufficiali e ai suoi soldati. Sitting Bull, che aveva seguito il combattimento dalla cima di un’altura vicino al villaggio indiano sulla riva del fiume, era stato avvertito con queste parole: È finita, sono tutti morti.
Sette capi Sioux e Cheyenne avevano giurato di scotennare Custer in battaglia: Gall (Sioux), Spotted Eagle (Sioux), Two-Moon (1847 – 1917, Cheyenne), White-Bull (1849 – 1947, Cheyenne), Hump (1848 – 1908, Sioux), Crow-King (? – 1884, Sioux) e Crazy-Horse (Sioux).












La scoperta dell’oro nelle Colline Nere provoca l’arrivo dei cercatori Bianchi, a migliaia. A nulla vale la proibizione del Governo a recarsi sul luogo prima che siano stati presi accordi con gli Indiani. Dalle cime delle loro sacre colline i Sioux e i Cheyenne guardano con amarezza le città dell’oro che spuntano come funghi.
Dice Toro Seduto:
Non ho mai occupato terre appartenenti all’Uomo Bianco. Non ho mai commesso saccheggi nella terra dell’Uomo Bianco. L’Uomo Bianco ha invaso la mia terra e mi ha perseguitato. L’Uomo Bianco mi ha costretto a combattere per i miei territori di caccia. L’Uomo Bianco mi ha costretto a ucciderlo per evitare che lui uccidesse i miei amici, le mie donne e i miei bambini.


Magico Vento n. 98, luglio 2005. Disegno di Mastantuono


Racconterà un guerriero dopo la disastrosa battaglia sulle rive del Little Big Horn:
I soldati combattevano a piedi, così noi alla fine corremmo contro di loro con i nostri pony velocissimi e ben riposati. I nostri accerchiarono i “Lunghi Coltelli”  e, lanciandosi all’attacco al grido "È una buona giornata per morire!", massacrarono fino all’ultimo gli uomini del Settimo Cavalleggeri. Invece i cavalli dei soldati erano così affamati che pascolavano mentre infuriava la battaglia.
Circondati da 3.000 Indiani per ogni lato, Custer e i suoi uomini soccombono al termine di una terribile lotta corpo a corpo, che andò avanti dalle ore 16.40 fino alle ore 17.35. Pochi sono i sopravvissuti: 256 i soldati morti e 54 i feriti. 

Tex n. 492, ottobre 2001. Disegno di Villa.






I corpi erano stati atrocemente mutilati e tutti erano stati scotennati - a eccezione di Mark Henry Kellogg, il giornalista, e un capitano irlandese che portava uno scapolare. Il cadavere di Custer non viene mai identificato; alcuni affermano che il giorno precedente si fosse tagliare i lunghi capelli biondi, dopo che gli Indiani avevano solennemente promesso di farne il loro più glorioso trofeo di Guerra. Insomma, siamo di fronte a una grande beffa del destino, senza alcuna risposta plausibile. La Battaglia di Little Big Horn è stata la più grande disfatta inflitta agli USA dagli Indiani. Finita la battaglia gli Indiani avevano ritenuto piú prudente andare a rifugiarsi in Canada. 





Sul suo cammino, però, Sitting Bull incontrò il generale Nelson A. Miles (1839 – 1925), al quale rifiutò di arrendersi. Ebbe luogo uno scontro durante il quale entrarono in azione le mitragliatrici Gatling che uccisero molti Pellerossa.Atterriti dall’artiglieria, prostati dal gelo e dalla fame, gli Indiani si arrendono. Sitting Bull e la sua gente riuscirono lo stesso ad attraversare la frontiera.
Nel giugno del 1877 il generale Miles inizia la campagna contro i Nasi Forati per costringerli ad abbandonare il territorio di Wallowa Valley, nell’Idaho. Sono cira 250 guerrieri che difendono disperatamente 400 fra donne e bambini; li comanda Capo Joseph (1840 – 1904), protagonista di un’avventura giudicata fra le maggiori imprese militari di tutti i tempi. Egli guida la sua tribù in una ritirata di 200 chilometri attraverso il Montana fino al confine del Canada. Quindici volte batte le truppe federali. Quando si arrende, dopo aver sostenuto per cinque giorni il fuoco dell’atigleria americana, ha perduto 151 guerrieri - più le donne, i vecchi e i bambini morti di freddo e di stenti.



Del distaccamento di Custer un solo uomo sopravvisse: lo scout indiano Curly (1856 – 1923) a cui il generale aveva impedito di combattere contro la propria gente.






Scampò al massacro anche il cavallo Comanche, che morí di vecchiaia. Deferito al Consiglio di Guerra, il maggiore Marcus Reno fu accusato di non aver portato soccorso a Custer e degradato. Egli chiese la revisione del processo e fu riabilitato alla memoria nel 1969. Custer è tuttora una delle figure piú discusse della Storia del West; molti storici - tra cui mi metto anch’io - lo accusano di temerarietà e di essersi gettato nella battaglia con molta arroganza e leggerezza. 

Magico Vento n. 99, agosto 2005. Disegno di Mastantuono





Però dopottutto, alla fine, le sacre Black Hills non hanno avuto pietà e questa fu l’implacabile furia pellerossa...


Wilson Vieira


N.B. Trovate i link alle altre puntate della Storia del West andando su Cronologie & Index!

1 commento:

  1. Un altro bel capitolo. Tante citazioni fumettistiche possibili per Little Big Horn, da "La leggenda del generale" (Ken Parker) a "Il calumet di pietra rossa" dell'immenso Sergio Toppi

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