Il 21 maggio 2013 c'è stato a Firenze il funerale di Carlo Monni.
Sono intervenute tutte le autorità e tante star della commedia contemporanea italiana - tra le quali l'amico e collega di sempre Benigni che, commosso, ha detto che lo credeva immortale, come una divinità: lo straordinario attore teatrale e cinematografico aveva lavorato in coppia con il Robertaccio nazionale finché quest'ultimo si era un po' "imborghesito", percorrendo sentieri hollywoodiani (Jarmush, Matthau, l'Academy Award, etc.). Monni era invece rimasto ruspante e naturale. Fino all'ultimo aveva recitata alle feste paesane e nei teatri di periferia.
Un nobile artista contadino che non si era mai "montato la testa". Era bello, imponente: sembrava Wotan di Asgard!
Aveva lavorato per la TV, sulla RAI. E poi per il cinema, ininterrottamente, dal 1974 al 2013, molto spesso con piccole parti, ma sempre con animo grande. Fra i suoi più grandi successi su celluloide ricordiamo Berlinguer ti voglio bene (Bertolucci, 1978), Tu mi turbi (Benigni, 1983) e Non ci resta che piangere (Benigni/Troisi, 1984) - le prime opere del comico di Vergaio; ma aveva lavorato anche sotto la regia di Ferreri, Citti, Nuti, Lizzani, Monicelli, Avati, Brass, Benvenuti, Chiti, De Sica, Ceccherini, Virzì, Veronesi e via dicendo.
Il suo mestiere era anche quello del cantante e del poeta. Un poeta in sandali, comode calzature che non abbandonava mai, tutto l'anno. Al massimo, d'inverno, si metteva i calzini. E d'estate era facile vederlo girare a torso nudo, con la sua corportura imponente, a passeggiare alle Cascine - il Central Park di Firenze. Oppure stornellare da Moscerino, nei Renai di Signa.
Sentite e accorate le rievocazioni di chi lo aveva conosciuto e frequentato. Sul quotidiano La Nazione di quei giorni di lutto si era parlato del prete che aveva recitato la messa funebre. Monni l'aveva conosciuto solo di recente, quasi per caso, a una cena. Animato da uno spirito conviviale di antico stampo, Monni aveva bevuto, mangiato... e si era permesso anche qualche imprecazione di troppo!
(Un inciso: chi viene a Firenze o nella provincia della città gigliata - per turismo, lavoro, studio, sesso o per semplice fancazzismo - qualora dovesse stupirsi a sentir "tirare qualche moccolo", farebbe forse meglio a cambiar meta, ché lo "smadonnare" fa parte dello spirito di questa gente. Non è cattiveria, non è voler essere blasfemi: è ribellione, e forse è addirittura un modo violento di pregare! Chiuso l'inciso).
Dopo le bestemmie di prammatica, Monni si era dunque rivolto a un commensale, a lui ignoto: O te, chi 'ttu 'ssei? E solo allora gli altri gli avevano detto che era un sacerdote! Proprio quel parroco che lo avrebbe accompagnato sul suo ultimo e più impegnativo set...
Carlo Monni - al centro - nei panni di Vitellozzo, con Troisi e Benigni in Non ci resta che piangere (1984), forse il suo capolavoro e la sua interpretazione più nota in Italia. |
Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, ma - per la sua posizione geografica nella piana alluvionale dell'Arno e dei suoi affluenti - molto vicino all'area pratese. Anche culturalmente (basti pensare che molti campigiani fanno le superiori a Prato, piuttosto che a Firenze): ecco dunque i contatti fra Monni e i comici della città laniera - i Giancattivi e Benigni.
Peretola, Brozzi e Campi - la peggior genìa che Iddio gli stampi, dicono le malelingue... Nonostante questo la cittadina di Campi è molto cara a noi di Dime Web perché era lì la sede del Club del Collezionista e la redazione di Collezionare. Era lì (e c'è ancora!) il negozio Il Rifugio del Fumetto della Giuliana e di Mario dove la fanzine veniva inizialmente e gratuitamente diffusa, a metà degli anni Ottanta. Lì vivevano Moreno Burattini, Saverio Ceri e Alessandro Monti (l'unico "alieno" era il sottoscritto, che veniva da Lastra a Signa, un comune lontano pochi chilometri, ma storicamente e logisticamente più inserito nell'orbita fiorentina).
Ed è lì - nel paese dove Monni era nato nel 1943 - che pensammo per la prima volta a Dime Press...
Ho letto da qualche parte che il Monni aveva una cultura vastissima. Forse letteraria e teatrale. Io ho visto solo "Non ci resta che piangere" e lì mi è piaciuto molto. Comunque ho la sensazione che Benigni più che "imborghesito" abbia la capacità di comunicare a un pubblico molto più vasto, ed è autore di moltissime sue interpretazioni.
RispondiEliminaGiovanni Fantini
Ciao, Giovanni!
EliminaTi rispondo con un po' di ritardo perché mi ero preso una settimana di relax!
La tua - sulla nuova genesi di Robertaccio - è un'ottima e condivisibile spiegazione!
Io, questa sua metamorfosi, la vedo però da un'altra angolazione.
Benigni è sicuramente un genio della commedia contemporanea italiana, artefice di capolavori e di vette interpretative (con Monni quasi sempre presente); ma il Benigni degli ultimi quindici anni (dall'Oscar "La vita è bella" in poi) proprio per il fatto di strizzare l'occhio a una platea più vasta - per esigenze di botteghino (vedi quei papocchi di "Asterix" e della "Pantera Rosa")- non è all'altezza del Benigni del periodo precedente (quello della tivù e del cinema fino a "Johnny Stecchino" e "Il mostro"). E' molto pieno di sé con tutte le sue nuove pretese "curturali" (le letture della Costituzione, dell'Inno di Mameli, della Divina Commedia, etc.) e ha perso diverse fette di quell'arte dell'improvvisazione e di quella freschezza - un po' ruspante, strapaesana, campanilista, gergale - degli anni '70 e '80. Com'è successo anche a Nuti, del resto, per rimanere in ambito toscano.
Per il resto, d'accordo con te.
Il Benigni di adesso parla a un pubblico più grande - incinepanettonito e ingrandefratellizzato - che difficilmente riuscirebbe a digerire (per es.) il surrealismo e i monologhi finto sboccati di "Berlinguer ti voglio bene" o gli intermezzi folli da Arbore; ma il Benigni "storico" rimane lì (su Internet, nei DVD, nelle repliche...) immortale, splendido e inossidabile!
;-)
Francesco