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giovedì 28 marzo 2013

FREE ANCHE A MIO CUGGINO! LE VOCI CHE CORRONO: DYLAN DOG 318

di Francesco Manetti

Avevamo già parlato su Dime Web di folklore moderno, quando avevamo affrontato - insieme a Martin Mystère - il falso problema delle scie nel cielo, di recente rilanciato, come vero, da uno dei neopolitici italiani venuti fuori con le ultime elezioni. E avevamo approfondito l'argomento parlando dei Big Books della DC Paradox. Ma il capolavoro inatteso ci viene da Dylan Dog, con Leggende urbane di Giovanni Di Gregorio e Ugolino Cossu, n. 318 della collana. Inatteso perché erano mesi che non leggevamo sulla serie regolare una storia così divertente, così appassionante, così surreale, così straordinariamente "fuori di testa" come quella pubblicata a marzo!
La trama prende spunto da un argomento ormai classico, quello delle favole metropolitane, pure notizie, senza fonti e fatti collegabili. Lasciamo la parola a Jan Harold Brunvand, uno dei più importanti studiosi di questa sorta di "contemporanea affabulazione", autore nel 1981 del bestseller The mexican pet, dal quale abbiamo tratto il seguente passaggio (nella traduzione di Maria Teresa Carbone per la Costa & Nolan).

The Mexican Pet di J. H. Brunvand (1981).


Le leggende metropolitane appartengono alla sottoclasse delle narrazioni popolari, leggende che - a differenza delle fiabe - possono essere credute o sono almeno credibili, e che - a differenza dei miti - sono ambientate in un passato recente e hanno come protagonisti esseri umani normali anziché antichi dei o semidei. Le leggende sono storia popolare, o quasi. Come per tutti i tipi di leggende popolari le leggende urbane acquistano credibilità da particolari specifici di tempo e luogo o da riferimenti a determinate fonti. Per esempio, una diffusa leggenda dell'epopea western spesso comincia più o meno in questo modo: La mia bisnonna ha avuto un'esperienza davvero strana quando era una ragazza e viaggiava in una carovana nel Wyoming e c'era un capo indiano che la voleva adottare... Centinaia di diverse bisnonne dovrebbero aver vissuto la stessa dubbia esperienza (di essere cioè desiderate dal capo indiano a causa della lunga e bellissima capigliatura bionda), però questo fatto ben di rado viene avvertito da coloro che raccontano la storia; ma anche quando lo è essi ritengono che la vicenda familiare sia riuscita a diffondersi in lungo e in largo. Questa specifica leggenda popolare, nota con il nome di Ricciolidoro sulla pista dell'Oregon, interessa gli studiosi del folklore a causa delle implicazioni razziste di un selvaggio pellerossa che brama la fanciulla civilizzata ed è relativamente poco importante che la laggenda appaia totalmente apocrifa. Nel mondo delle moderne leggende metropolitane non c'è di solito nessun distacco geografico o generazionale fra chi racconta la storia e la storia stessa. La storia è vera; ha davvero avuto luogo, e da poco tempo, ed è capitata sempre a qualcun altro che è abbastanza vicino al narratore o che per lo meno è l'amico di un amico. Le leggende urbane vengono raccontate sia nel corso di casuali conversazioni, sia in situazioni particolari (le serate intorno a un fuoco, le feste di sole ragazze che durano fino a tardi, le veglie nei pensionati universitari). L'ambientazione delle leggende è spesso vicina, reale, e talvolta anche conosciuta localmente proprio per altri analoghi episodi. Sebbene i personaggi siano di solito anonimi, essi rappresentano alla perfezione il tipo di persone di cui i narratori e il loro pubblico hanno una conoscenza diretta. Uno dei grandi misteri delle ricerche sul folklore riguarda dove le tradizioni orali prendono origine e chi le inventa. Ci si potrebbe aspettare che almeno nel moderno folklore fosse facile trovare una risposta a tali domande, ma di fatto questo avviene di rado, se non mai. La maggior parte delle tracce che sembravano condurre a possibili autori o a episodi originali che potevano aver dato luogo a leggende metropolitane si sono semplicemente dissolti nel nulla.


 
Il bambino è servito di C. Bermani (Dedalo, 1991).


Cesare Bermani, autore del fondamentale Il bambino è servito (Dedalo, 1991), spiega come le leggende urbane affondino le radici nella cultura popolare più antica e nella favolistica classica, delle quali non sono niente altro che versioni contemporanee, via via aggiornate alle cangianti sensibilità dell'uomo del Seicento, del Settecento, dell'Ottocento, del Novecento, del Duemila...
Se non tra le fonti, quanto meno tra i megafoni di leggende urbane ci sono i quotidiani, con i loro famigerati articolini estivi riportanti notizie scovate ad arte per riempire le pagine in periodi solitamente morti; in realtà questo avveniva soprattutto fino a metà degli anni Novanta; con l'avvento e la super-diffusione del web la circolazione di notizie false o soltanto verosimili si è amplificata in maniera enorme e abnorme. Il caso della pantera nera nei boschi italiani è emblematico: la notizia si ripresenta continuamente sulla stampa e in TV da decenni senza che MAI nessun feroce felino sia mai stata catturato. Solo di recente si è parlato di gatti domestici, di taglie particolarmente esuberanti... Oppure il "caso dell'elefante e dell'automobile", storia nota da molti decenni e riconosciuta come leggenda urbana almeno fin dal 1975, quando un giornalista del New York Times ne fece un lungo resoconto delle apparizioni e delle trasformazioni. I punti salienti sono più o meno questi: in uno zoo safari un pachiderma al quale era rimasta incastrata la proboscide mentre gli offrivano noccioline strappa la portiera di un auto con a bordo una famiglia in gita; lasciato il parco il padre, per tirarsi su, beve un superalcoolico a un autogrill; fermato per strada dalla polizia, alla richiesta su che fine avesse fatto la portiera, e ricevuta la risposta sull'elefante, viene arrestato per guida in stato d'ebbrezza. Qui sotto potete leggere la scansione di un trafiletto firmato da Giorgio Soavi, ritagliato dal Giornale di Feltri del 7 giugno 1995, che - involontariamente - riporta questa notizia come se fosse reale, contribuendo così alla diffusione ulteriore della leggenda urbana.



L'articolo firmato dal giornalista Giorgio Soavi sul Giornale del 7 giugno 1995.


Alcune delle notizie internazionali più tragiche, che oggi tendiamo a considerare certe e reali, avevano avuto origine durante la Guerra Fredda, negli uffici moscoviti della Lubjanka preposti alla disinformazione: per esempio, gran parte del materiale riguardante il presunto complotto volto all'assassinio di Kennedy (cospirazione messa in dubbio di recente anche dallo stesso Stephen King, nelle note del suo ultimo romanzo) e il preteso traffico di bambini rapiti, usati come serbatoi viventi di organi, venne creato nelle segrete del KGB; una volta uscite e diffuse - tramite veline passate a giornali compiacenti (il caso JFK rimbalzò negli USA dall'Italia, ed ebbe eco così vasta, anche grazie a Oliver Stone, che i risultati della commisione Warren vennero considerati carta straccia) - queste notizie cominciarono a correre da sole, ingigantendosi, modficandosi, mutando. E anche sull'AIDS ci sarebbe molto da dire e ridire... Basti pensare che se la curva di diffusione della "malattia" di cui si parlava intorno a metà degli anni Ottanta fosse diventata specchio della realtà non ci sarebbe più nessun essere umano vivente sul pianeta Terra almeno dagli inizi del XXI secolo.
Negli anni Ottanta e Novanta presero poi forma i cosiddetti xeroxlore (o xerolore, dalla marca di fotocopiatrici Xerox e folklore) e faxlore (da fax e folklore): circolari fotocopiate e faxate centinaia di volte avvertivano la popolazioni sui rischi dei furti in casa (gli appartamenti più "appetitosi" venivano segnalati dagli zingari con strani glifi) e sui pericoli della droga nelle scuole (figurine all'LSD).



Faxlore, area fiorentina, anni Novanta. Il messaggio - di origine ignota, anche se veniva spacciato come un comunicato dei Carabinieri - arrivava via fax alle ditte per mettere in guardia sul "gergo dei segni" che sarebbe stato usato dai nomadi per marchiare le case da depredare.


Xeroxlore, area fiorentina, anni Novanta. Sfruttando il marchio della campagna contro le tossicodipendenze Droga Out (alla quale partecipò anche Dylan Dog come testimonial) messa in atto dal Comune di Firenze, si avvisavano le famiglie su certi prodotti "drogati" che giravano fuori dalle scuole. I francobolli all'LSD nati inizialmente come leggenda urbana sarebbero poi stati fabbricati davvero!


Una fonte però è certa, almeno per la storia di Dylan Dog. Si tratta della canzone Mio cuggino uscita nel 1996 e firmata da Elio & Le storie tese, la più grande rock band italiana - paragonabile in quanto a fantasia dei testi e a sound ai Mothers di Frank Zappa. Il video del singolo (che potete vedere qua sotto in tutto il suo splendente bianco-e-nero) venne girato interamente al contrario, in riferimento alla famigerata voce per cui alcuni noti brani del pop, se eseguiti alla rovescia, fornirebbero strane informazioni e formule demoniache. Il debito verso l'opera canora del gruppo viene riconosciuto a pagina 11, nell'ultima vignetta, quando l'Indagatore dell'Incubo esce dal pub... Helios and the Troubled Stories! Le leggende urbane citate da EELST sono, nell'ordine: il motociclista vittima di un incidente con il cranio che gli si apre in due dopo che si toglie il casco, il topo delle Filippine (o del Messico), l'untrice dell'AIDS, i ladri di reni (trafficanti di organi) e il colpo di arti marziali che uccide dopo tre giorni.




Dylan punta più in alto. Oltre alle leggende metropolitane tratte da Elio ci presenta anche: il coccodrillo albino nelle fogne, l'autostoppista fantasma, la tratta delle bianche (rapite nei camerini di prova), il rock satanico e la catena di Sant'Antonio... Il punto centrale, il cuore (non asportato) della vicenda è il sogno di Dylan, durante il quale il mostruoso rettile biancastro gli svela il significato più profondo delle leggende urbane, partorite dalle ansie e dalle paure dell'Umanità, ansie e paure che restano sempre le stesse, pur cambiando intorno a loro i nomi, i luoghi e le circostanze. E il finale, con il mezzo di scrittura che retrocede nel tempo - dal computer alla penna d'oca - ammanta d'immortalità l'arte del narrare.


Dylan Dog n. 318, marzo 2013. Copertina di Stano.
Dylan Dog 318
LEGGENDE URBANE
Marzo 2013
pagg. 100, € 2,90
Testi: Giovanni Di Gregorio
Disegni: Ugolino Cossu
Copertina: Angelo Stano


Francesco Manetti

N.B. Trovate le altre recensioni bonelliane sul Giorno del Giudizio!

4 commenti:

  1. Acquisto sempre gli albi di Dylan, ma spesso rimando la lettura a data da destinarsi: questa tua articolata recensione mi fa venire voglia di leggere l'albo in questione. Durante questi giorni festivi ne approfitterò per recuperare nella lettura: ne riparleremo!

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    1. Ciao, Giampiero!

      Quanto a me, pur non leggendo e collezionando più tutte le uscite bonelliane come facevo ai tempi di Collezionare e Dime Press, sono ancora molto affezionato ai "classici": Tex, Zagor, Martin Mystère, Dylan Dog e Nathan Never (in questo elenco - purtroppo - non c'è più da anni Mister No). Ecco perché soffro come un dannato quando mi capita di leggere delle storie non all'altezza di questi personaggi, ben sapendo quanto avevano lavorato di lima & cesello i loro creatori prima di presentarli nelle edicole. Ed ecco perché gioisco - come nel caso dell'ultimo DD - quando leggo episodi ben ideati e sceneggiati come questo sulle leggende urbane!

      Francesco

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    2. Ieri sera mi sono letto l'albo in questione e ho sussultato di soddisfazione: un racconto ironico, pungente, visionario e poetico degno dei classici.
      Grazie a questa recensione mi sono letto l'albo che altrimenti chissà quando avrei recuperato.
      Questo aspetto dà dignità al nostro lavoro di critici: dare degli input - per chi è disposto ad accoglierli - ai lettori più attenti ma non fanatici!

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