sabato 30 gennaio 2016

LA SELLA DEL COWBOY: LA PRIMA COSA CHE SI PROCURAVA, E L’ULTIMA CHE AVREBBE DATO VIA! LA STORIA DEL WEST by WILSON VIEIRA (XXXI PARTE).

di Wilson Vieira

Stavolta, passata la boa del 30° srvizio storico del nostro Wilson Vieira, entriamo davvero nel... "particolare"! La sella, la grande amica muta e fedel del cow-boy e del cavaliere della Frontiere: ne leggerete delle belle! Ricordiamo infine che tutte le immagini non bonelliane sono state selezionate e inserite nel testo appositamente da Wilson. (s.c. & f.m.)




Nella lunga storia della sella dei cowboy non si è mai perso di vista lo scopo essenziale: la sella doveva essere costruita specialmente per il duro lavoro del cowboy col suo cavallo, e doveva essere concepita in modo che né il cavallo, né il cavaliere, si stancassero inutilmente quando si stava delle ore, dei giorni o persino delle settimane in sella, con qualsiasi condizione atmosferica. La sella era la prima cosa che un cowboy si procurava, ed era l’ultima che avrebbe dato via, perché costituiva l’elemento più importante del suo equipaggiamento. Un cowboy poteva vendere il suo cavallo, le sue armi, persino i suoi stivali, però quando vendeva la sua sella, non era più un vero cowboy.







Come diceva Charles Marion Russell (1864 – 1926), un uomo senza sella è come un pittore cieco.








La sella del cowboy era molto pesante, tra i 15 e i 25 chili: se fosse stata più leggera non avrebbe resistito allo sforzo. L’impalcatura era l’albero della sella, composto da due coppe di legno unite tra di loro dall’arco anteriore e posteriore. Talvolta questo “albero” veniva rinforzato con cerchi d’acciaio ed era sempre costruito in modo che le due coppe di legno lasciassero libero dorso e garrese del cavallo. Tutta l’impalcatura di legno era foderata di pelle grezza. L’arco posteriore della sella era rialzato per formare una spalliera alta, che sosteneva il cavaliere anche in caso di scosse laterali. L’arco anteriore, rinforzato in modo speciale con cerchi d’acciaio, sia all’interno che all’esterno sotto la fodera di pelle, era munito del pomo d’acciaio - una specie di manico rivestito di pelle, avvitato all’arco della sella con cerchi d’acciaio biforcuti. Questo pomo doveva poter resistere a sforzi notevoli ogni qual volta gli veniva fissato un capo del laccio. La sella era inoltre rivestita di cuoio forte e resistente che copriva tutta la superficie, dall’arco anteriore a quello posteriore, come anche le due “impalcature” laterali, per fare da sedile vero e proprio. Immediatamente sotto la sella si mettevano due lastre di cuoio duro fissate all’impalcatura di legno in modo che ci fosse del gioco col dorso del cavallo: queste due lastre erano inoltre imbottite di feltro morbido e bordate ai lati da nastri parasudore. Se si metteva anche una copertina sottosella il cavallo aveva un’imbottitura sufficiente tra l’impalcatura dura e il suo dorso.





Sotto la sella vi era poi una specie di coperta di cuoio morbido, cucita insieme al cuoio che copriva la sella dall’arco anteriore a quello posteriore. La parte che sporgeva anteriormente da sotto la sella si chiamava Front Jockey; quella che usciva da sotto la spalliera Back Jockey. Le cinghie delle staffe d il sottopancia erano fissati a degli anelli di ferro che sporgevano dalle impalcature laterali e che fuoriuscivano dal Front e Back Jockey. Per proteggere le gambe del cavaliere dal sudore del cavallo c’erano due lunghe strisce di cuoio fissate alla sella, pendenti giù fino alle staffe. Il sottopancia con gli anelli di fissaggio teneva la sella ben ferma al cavallo. Da ambedue i lati della sella erano fissati tre dischi, detti Conchas, formati da un cerchio concavo di argento, rame, lamiera nichelata o cromata, con dei buchi assomiglianti ad una fibbia, in modo da poterci passare una cinghia di cuoio. Servivano come ornamento e nello stesso tempo come fermaglio per oggetti di pelle come la sella e il morso, Chaps e cinturoni. Fissati uno contro l’altro al cavezzone del cavallo, i Conchas producono un suono argentino che si può udire anche da molto lontano.


Tex n. 485, marzo 2001. Disegno di Villa


Da ambedue i lati della sella erano dunque fissati tre Conchas che fuoriuscivano dai cosiddetti Jockeys, che, muniti di cinghie intrecciate, servivano a un doppio scopo: in primo luogo, per il fissaggio del cuoio dei Jockeys al rivestimento della sella, e in secondo luogo per agganciare alla sella gli oggetti più svariati - per esempio il laccio arrotolato il fodero del fucile, dietro il sedile il rotolo del letto, la sacca, il poncho, ecc.
Anche se la sella era prevalentemente costruita per il lavoro, il cowboy la ornava dov’era possibile. Ornamenti pressati o stampati su tutte le sue parti in cuoio facevano di ogni sella un pezzo unico e personale. Anche oggigiorno è raro vedere una sella liscia in America: sono tutte ornate anche se quasi tutte prodotte industrialmente. I primi cowboys vi applicavano anche i cosidetti “Gioielli da cavallo”: pezzettini d’argento, fibbie di ottone, guarnizioni tintinnanti, ecc. Le cinghie delle staffe e i sottopancia, come le Conchas erano multicolori e lavorati in maniera artistica.






Napoleone n. 2, novembre 1997. Disegno di Ambrosini


Cenni Storici


Le staffe erano intagliate a mano e ornate di metallo prezioso; i copristivali costituivano delle vere e proprie opere d’arte.


Evoluzione delle staffe americane:

Staffa usata dai Conquistatori Spagnoli del XVI secolo;
Staffa Spagnola ricavata da un unico pezzo di legno del XVI;
Staffa Spagnola e Messicana a “Cassa di legno”;
Staffa Spagnola e Messicana a “Cassa d’acciaio” con ornamenti in argento;
Staffa Messicana tipo “California”, di legno con banda di metallo;
Staffa Texana vecchio tipo di cuoio duro;
Staffa “Visalia” di legno con rivestimento metallico;
Staffa “Giogo di buoi” o “Fondo Rotondo”, di acciaio;
Staffa Messicana di ghisa con lamina zincata;
Staffa “Giogo di buoi” con avvolgimenti di cuoio nella parte inferiore;
Staffa di ghisa con pianale di cuoio;
Staffa “Giogo di buoi” per cavalieri di rodeo o per cavalcare cavalli selvaggi;
Staffa con anello di ottone per clown da rodeo;
Staffa con anello di ottone speciale per domatori di cavalli selvaggi;
Staffa con anello speciale, di acciaio, laminato argento, con pianale rivestito di cuoio;
Staffa tipo Bucking ad anello;
Staffa di ghisa, con pianale rivestito di cuoio;
Staffa con anello di ferro ad ottone, con barra di sicurezza che evita di scivolare in avanti.


Dylan Dog n. 89, febbraio 1994. Disegno di Stano


Evoluzione dei rivestimenti delle staffe Americane:

“Tapaderos” Spagnoli dei Conquistadores;
“Tapaderos” dei vaqueiros Messicani, vecchio tipo Californiano;
“Tapaderos” a naso di toro, dei rancheros Messicani;
“Texas Taps” vecchio tipo Texano;
“Taps” a punta di sciabola;
“Taps” a becco d’aquila;
“Taps” a muso d’asino;
“Taps” tipo “Hamley”;
“Bulldog Taps” a naso d’asino, col fondo aperto;
“Taps” “Visalia-Escelsior”;
“Taps” a naso d’asino;
“Tapaderos” Messicani a naso di toro.





Zagor Speciale n. 10, aprile 1998. Disegno di Ferri


La sella Americana del cowboy è derivata nel corso di deccenni e secoli dalla sella Spagnolo-Moresca da guerra, che i Conquistatori Spagnoli avevano portato in America. Erano selle pesantissime, sulle quali sedevano i cavalieri con la loro armatura. Dall’arco anteriore e posteriore erano coperte di ornamenti, e il sottosella era bordato di velluto rosso.


Martin Mystère n. 173, agosto 1996. Disegno di Alessandrini







Da questa sella Araba-Europea si è sviluppata poco per volta la tipica sella del Nuovo Mondo; nel 1770 la sella Spagnola, detta “Hacendado”, presentava già le caratteristiche di quella da cowboy: il pomo sull’arco anteriore e la spalliera alta sull’arco posteriore. Tutto era però di legno duro lucidato e non foderato, e il cuoio della sella semplicemente steso sopra, con una fessura per far uscire la spalliera. Questa soprasella di cuoio pendeva ai lati in forma circolare quasi fino alle staffe. Nel 1880 le Missioni Francescane introdussero la sella dei pastori, che aveva come coprisella una pelle di pecora, ed era chiamata “Sella delle Missioni Californiane”. I primi d usarle furono i mandriani indios cristianizzati dalle Missioni che furono anche i precursori dei “Vaqueiros” Messicani.

Tex n. 178, agosto 1975. Disegno di Galep







A loro seguirono i mezzosangue Spagnolo-Indiani come cavalieri per i latifondisti Messicani (Hacienderos = possesori di bestiame; Rancheros = allevatori). Il nome Vaquero deriva dalla parola Spagnola (Vaca (Mucca) = bovino).








Intorno al 1827, quando la Repubblica Messicana aveva già proclamato la sua indipendenza dalla madre-patria Spagnola, e le Missioni già secolarizzate da un pezzo avevano visto le loro terre e le loro mandrie confiscate e divise fra i “Rancheros” Messicani, la sella di questi “Rancheros” aveva già la struttura dalla tipica sella del cowboy Americano, di cui nessun’altra poteva essere migliore. Da questa sella derivò intorno al 1835 la sella tipica del “Vaquero” Messicano. L’unica differenza erano le staffe: iInvece delle usuali staffe di ottone fuso, si applicavano delle staffe di legno rivestite di cuoio, con una larga striscia di cuoio cucita sopra. La sella “Santa Fé” era invece maggiormente usata per il lento commercio di Santa Fé, e dai corrieri che si spostavano tra i vari depositi. L’albero della sella era rivestito di fresca pelle grezza che, asciugandosi, si restringeva e teneva così la sella saldamente unita. La pelle grezza di un animale (bufalo, manzo, pecora, capriolo, antilope, ecc.) seccata e alla quale era stato asportato il pelo. Era una materia prima molto utile e variamente impiegata dagli abitanti della grande steppa Americana. Chiamata “Ferro Messicano” o “Ferro Indiano”, la pelle grezza serviva per confezionare selle; tagliata a strisce veniva intrecciata o serviva a fare corde, finimenti, redini. Il crine tagliato serviva per imbottiture. Le pelli non ancora disseccate, tagliate a strisce, venivano usate per legare i pali dei recinti. Quando il sole le essiccava, diventavano dure come un filo di ferro. Strisce di pelle disseccata, nel “Ranch”, potevano anche sostituire chiodi, filo di ferro, cerniere e altri oggetti che normalmente erano di ferro o acciaio.


Tex Albo Speciale n. 15, giugno 2001. Disegno di Kubert


La fabbricazione della pelle grezza è relativamente semplice. La pelle di una bestia macellata viene lavata e messa per 3-4 giorni in acqua corrente. Dopo viene messa su un tronco d’albero scortecciato e il pelo viene levato con un coltello non affilato. Quando anche gli ultimi rimasugli di carne sono stati levati, la pelle viene inchiodata, tesa a una parete di legno, oppure in una cornice di legno, oppure, tirata, fra pali. Dopo 3-4 giorni di esposizione all’ombra, la pelle è secca e pronta per l’uso. In ogni momento, dopo essere stata per breve tempo intinta nell’acqua, essa è pronta per la lavorazione.
"Pelli grezze": con questa espressione i cowboy del Nord-Ovest definivano i loro colleghi del Texas, perché questi, usavano corde di pelle grezza per riparare tutto, da una redine, ad un tirante rotto, ad un timone di carro.
Quando nel 1850 la Repubblica del Texas ebbe vitoriosamente conquistato l’indipendenza dal Messico, apparve per la prima volta anche il cowboy Texano, come mandriano a cavallo e la sua sella, la “Sella Texana dal pomo di ferro”, era in conclusione la sella del cowboy Americano. L’arco anteirore era stato sensibilmente rialzato, il pomo di ferro snellito si drizzava in alto, l’arco posteriore formava una spalliera alta e rotonda, rivestita di cuoio.






Erano state introdotte come novità dei copristaffe di cuoio e l’orgoglio dell’indipendenza si manifestava nell’imprimere una stella che era lo stemma dello Stato del Texas all’interno della spalliera. Tutte le ulteriore modifiche della sella presero a campione questa sella Texana; furono però modifiche irrilevanti. Nella sella “Apple-Horn” si cambia solo la forma del pomo di ferro, sostituendolo con pomo tozzo di legno duro, che nella forma rassomigliava ad una mela tagliata a metà. La sella “California Caballero”, apparsa nel 1860, era solo una variante di lusso della precedente.





Nel 1861 i dirigenti del “Pony Express” si ricordarono della “Mochila” Spagnola, questo coprisella di cuoio che si buttava semplicemente sopra; era una idea brillante quella di attaccarci i sacchi dela posta. Questa “Pony-Express-Mochila” aveva due fissure per fare passare l’arco col pomo e spalliera, e poteva essere cambiata in un lampo.
Pony Express: il 3 aprile del 1860 la grande ditta di spedizioni Russel, Majors & Waddell, inaugurò il servizio di “Corrieri Veloci” a cavallo più spettacolare mai esistito, servizio che collegava l’estrema frontiera Occidentale del West con la Costa Californiana e che provvedeva al trasporto veloce della posta. La distanza da St. Joseph nel Missouri, estremo limite Occidentale, a Sacramento in California era di 3.120 km. 156 giovani, arditi cavalieri avevano a disposizione 500 dei migliori cavalli per i percorsi di grandi distanze; 156 stazioni intermedie nella prateria, nelle montagne, nel deserto salato e nelle alte giogaie della Sierra Nevada. La paga per questi ragazzi (con tutti i pericoli ai quali si esponevano) era tra i 100 ed i 250 dollari al mese. Il titolare di uma stazione intermedia ne prendeva 100 e i suoi aiutanti 50 dollari al mese.

Tex n. 73, novembre 1966. Disegno di Galep


Tex n. 74, dicembre 1966. Disegno di Galep


La sella speciale per questo servizio, la “Mochila”, poteva caricare non più di 20 libbre di posta. La tassa di 5 dollari per una lettera di 14 gr. era cara, ma in compenso i cavalieri, che facevano un percorso giornaliero medio di 320 km., portavano la posta in circa dieci giorni dal Missouri alla California e vice-versa.
Il giornale St. Joseph Weekly West publicava il 3 aprile del 1860, il seguente programma:
St. Joseph – Marysville = 12 ore, Fort Kearney = 34 ore, Fort Laramie – 80 ore, Fort Bridger = 108 ore, Great Salt Lake = 124 ore, Camp Floyd = 128 ore, Carson City = 188 ore, Placerville = 226 ore, Sacramento = 234 ore e San Francisco = 240 ore. 
Assai di rado I cavalieri riuscirono a percorrere questa immane distanza in 8 giorni, o in 9 giorni: la media era di 10 giorni. Il 21 ottobre del 1861, quando la Western Union Telegraph Company ebbe stabilito il primo collegamento telegrafico fra il Missouri e la California, il servizio a cavallo non aveva più ragione di esistere e perciò venne a cessare.





Al giovane Buffalo Bill Cody vengono attribuite ardite avventure durante l’effettuazione di questo servizio: in realtà non fece che poche e tranquille cavalcate, ma altri cavalieri, che espletavano questo servizio postale veloce, ebbero effetivamente delle avventure terrificanti.
Dalla forma originaria della sella del Pony Express si sviluppò in seguito la sella di “Madre Hubbard” verso il 1870, alla quale la “Mochila” era cucita saldamente sull’albero della sella e l’arco anteriore biforcuto, coperto di un cuscinetto rotondo verso il sedile della sella, doveva dare un solido appoggio alle cosce del cavaliere quando il suo cavallo s’impuntava. Questo rotolo rigonfio e biforcuto doveva dare trent’anni dopo la forma definitiva della sella moderna del cowboy Americano. La sella Texana del 1872 possedeva, come innovazione, da ambedue i lati i cosidetti “Jockey Laterali”, che proteggevano maggiormente l’interno delle cosce del cavaliere. Il cuoio del sottosella era arrotondato agli angoli e le staffe erano delle larghe bandelle di ferro rivestite di cuoio. La sella Texana arrivò nel Nord e nell’Ovest degli USA e servì da campione per altre modifiche, secondo le neccessità delle varie regioni. Il risultato di quelle modifiche fu in California la sella “California Center Fire”, nell’Oregon la sella “Ahlstrom & Gunther”, entrambe munite di magnifici copristaffe a forma di becco d’aquilla. La sella “Montana”, invece ne faceva a meno.

Mister No n. 69, febbraio 1981. Disegno di Ferri


Nel 1880 la fabbrica di selle Aleck Taylor a Monterey in California, aveva creato due tipi di alberi da sella. Il “Ladesma” e il “Visalia”, che diedero la forma definitive a quella sella Californiana che è fabbricata tuttora ed è un vero gioiello da parata. La sella che si fabbricava nell’Oregon nel 1892, e che aveva come modello la sella di “Madre Hubbard” col rigonfio biforcuto dell’arco anteriore, aveva tenuto conto di questo detto rigonfio nella costruzione dell’impalcatura di legno della sella.
Di tutti questi diversi tipi di selle spiccano tre basilari:
1 - La sella Texana, prevalentemente in uso nel Sud-Ovest.
2 - La sella California Center Fire, in uso nei territori lungo le coste Occidentali.
3 - La sella Swell Fork, usata nel Nord-Ovest.







Ci sarebbe ancora da menzionare la sella “McClellan”, costruita da George Brinton McClellan (1826 – 1885) per la Cavalleria, chiamata anche sella “Cavalry”, che per qualche oscura ragione fu costituita secondo il vecchissimo modelo Spagnolo-Moresco da guerra, e tutti i cowboys erano concordi nel giudicarla scomoda come un portaspilli dentro una gabbia di animali feroci! 
Contrariamente all’opinione difusa in tutto il mondo secondo la quale gli Indiani non avrebbero usato la sella montando sul dorso nudo del cavallo, o sopra una símplice coperta, bisogna constatare che gli Indiani usano quasi sempre la sella.




Tutte le tribù a cavallo usavano la sella di legno: due assi di legno ai lati, uniti tra di loro con degli archi a forma di “A”, e il tutto ricoperto da pelle grezza. Sottopancia e staffe si aggiungevano a questa costruzione, che era semplicemente fissata sul dorso del cavallo sopra una copertina sotosella. Infine un pezzo di cuoio grezzo, ma duro, la completava.




Al contrario dei cowboys che montavano a gambe diritte, quase stando eretti sulle selle, gli Indiani erano seduti a ginocchia piegate, molleggiandosi coi piedi sulle staffe.





La sella-coperta Indiana consisteva in due pelli di cuoio grezzo affumicate e quindi indurite, che erano tagliate a forma di clessidra, messe sopra il dorso del cavallo e cucite assieme nel mezzo e alle estremità con cinghie di pelle grezza. Sugli anelli di cuoio a metà dell’orlo inferiore, erano fissati il sottopancia e le cinghie delle staffe. Come sotto e soprasella servivano delle coperte o delle pelli di pecora. Queste selle-coperta erano usate dalle tribù Nordiche sopratutto durante attacchi a breve distanza. Permettevano agli Indiani di lasciarsi scivolare giù da un lato in qualsiasi momento, potendo così - invisibili per gli attaccanti - sparare sotto il collo del cavallo in corsa.







La sella Europea, concepita espressamente per le donne, fu sempre impopolare nel West; su questo tipo di sella la donna doveva stare seduta lateralmente, con le due gambe penzoloni da una parte. Nel giudicare questa sella Shirly F. Sotheby nel 1891 sosteneva:
Queste cose per donne, se fossero state usate per cavalcare nel selvaggio West, sarebbero state più pericolose degli Indiani o dei serpenti a sonagli. Sicuramente ci sarebbero un paio di milioni di Americani in meno se le donne non fossero state in sella come gli uomini...






Wilson Vieira


N.B. Trovate i link alle altre parti della Storia del West su Cronologie & Index!

TEX-RELAX

di Filippo Pieri

Sul numero 477 del mensile Relax Enigmistico a pag. 60 c'è "Caccia alla casella". Il 16 verticale chiede: Il Willer dei fumetti.


N.B. Trovate i link alle altre incursioni enigmistico-bonelliane su Interviste & News

domenica 24 gennaio 2016

DIME WEB INTERVISTA VAL ROMEO! (LE INTERVISTE XXIII)

a cura di Franco Lana 

Dopo un paio di interviste extra-bonelliane il nostro inviato Franco "Frank Wool" Lana ritorna ad occuparsi di un illustratore in forza all'editore di Via Buonarroti, anzi di una illustratrice, la messinese Valentina Romeo, classe 1977, che dopo aver frequentato la scuola di comix di Napoli, si è fatta le ossa in casa Star Comics sulla seconda serie di Jonathan Steele e per Rourke, entrambi personaggi di Federico Memola, per poi passare nel 2010 alla Bonelli, per la quale ha realizzato due brevi avventure di Dylan Dog e 166 tavole per Nathan Never, prima di entrare nella scuderia di Morgan Lost, per il quale ha realizzato il quarto albo della serie,  in questi giorni nelle edicole. (s.c. & f.m.)



DIME WEB - Parlaci della tua collaborazione con la Star Comics.

VAL ROMEO - La Star Comics è stata la prima casa editrice con cui ho collaborato, ma i miei riferimenti erano prima Ade Capone, grande professionista, gentile e disponibile, che rimase molto colpito dai miei disegni all'esame dell'ultimo anno della scuola italiana di Comix, e poi Federico Memola.
Avrei dovuto collaborare con Lazarus Ledd, ma in quell'anno si decise di chiuderlo, purtroppo.
Ade consigliò a Federico Memola di assumermi per disegnare Jonathan Steele, all'epoca edito da Star Comics, e grazie alla fiducia di entrambi, ho cominciato la mia carriera da fumettista professionista.
Stimo moltissimo Federico Memola, autore talentuoso e mosso da una grande passione per la scrittura e per il disegno. Insieme abbiamo pubblicato varie storie di Jonathan Steele e due episodi della miniserie Rourke, quest'ultima è stata una delle esperienze più belle vissute, e se ci fossero state le occasioni giuste avrei sicuramente fatto parte anche di un possibile seguito.
Sono stati degli anni di gavetta insoliti, perché con Federico c'è  stato un rapporto bellissimo, pieno di entusiasmo  e di stima reciproca. E' fondamentale che ci sia armonia tra collaboratori per avere dei buoni risultati, ed io sono stata molto fortunata, in tal senso.


Rourke 7, l'ultimo albo della Star Comics illustrato da Val. Copertina di Sergio Gerasi.
DW - Quali sono i tuoi modelli, per quanto riguarda le tue illustrazioni?

VR - Una volta avrei saputo rispondere a questa domanda con molta più semplicità. Oggi non so focalizzare il punto. L'illustrazione libera nasce da un'emozione, un messaggio che vuoi trasmettere. Poi ci sono le illustrazioni commissionate, emozioni che devi prima fare tue e dopo devi tradurre in immagini. Ci sono molti artisti che stimolano la composizione artistica, la musica che scegli ti mantiene alta l'emozione che vuoi trasmettere, tantissimi riferimenti visivi, tra cinema e serie tv, ma quando ho il foglio bianco davanti non so mai cosa ne nascerà, la mia mano va libera e le illustrazioni nascono da sole. Un po' come dice quella bella canzone di Vasco Rossi: "vengon da sole son come i sogni..."

Dylan Dog e Nathan Never i primi due personaggi bonelliani interpretati di Val Romeo

DW - Prima Nathan Never e Dylan Dog, e ora Morgan Lost. Cosa ti affascina di quest'ultimo misterioso personaggio?

VR - Nathan Never e Dylan Dog sono stati il mio esordio in casa Bonelli, non è stato facile convincermi di meritarmelo, per me è stato un grande privilegio e anche una grande sfida.
Ho dovuto rapportarmi con dei personaggi che, dopo tanti anni di pubblicazione, risultano così ben  definiti da avere una propria identità.
Questo può aiutare da una parte, ma dall'altra un po' ti costringe a correre su binari ben saldi. Quando ho cominciato la mia avventura su Morgan Lost ho rivissuto quell'emozione che sentivo quando lavoravo su Rourke.
Lavorare a un personaggio è bellissimo perché cresce con te, diviene anche una tua creatura. Riesci a trasmettere molte più emozioni quando lasci correre la tua creatività come un cavallo in una prateria. ( Ovviamente nel rispetto dell'autore e della sceneggiatura).


Val Romeo disegna Haiku, su testi di Alberto Ostini, una delle più belle storie di Nathan Never degli ultimi anni.
Il Morgan Lost di Val Romeo
DW - Una curiosità: è vero che sei stata, campionessa di Biliardo? Ci narri qualcosa, su questo?

VR - Sì è verissimo. Ho giocato a Biliardo dai 18 ai 28, sono stata 9 anni nella nazionale Femminile di Pool.
Ho partecipato a parecchi campionati italiani, Femminili e misti, 8 Europei e 3 Mondiali. Il risultato più bello che ricordo è stato il primo podio europeo nella storia del pool Femminile italiano.
E' uno sport molto complesso, ma anche molto ipnotico e quando impari a giocarci non riesci a smettere.
E' stato doloroso dover smettere ma necessita di molte ore di allenamento e non era compatibile con il lavoro di fumettista, che comunque è la mia più grande passione.  



a cura di Franco Lana


N.B. Trovate i link agli altri incontri con gli autori su Interviste & News!


WHAT IF (XII): GIUDA PAPERINO!

di Filippo Pieri
Giuda Paperino! Prendiamo in prestito l'espressione usata da Fabio Celoni in un disegno di Paperino/Dylan Dog per segnalare che su Cuore e acciaio si parla di Ivano Codina e delle sue interpretazioni di Paperino o Topolino vestiti come alcuni personaggi bonelli, rintracciabili anche sul suo profilo Facebook. 









Sul Blog spagnolo Bonellis2 si parla ancora di Codina e del suo Dylan Duck con reinterpretazioni delle copertine di Dylan Dog. Vi segnaliamo la reinterpretazione del numero 1, l'alba dei morti viventi, del 16 Il castello della paura e del 25 Morgana.




Rimanendo in tema indagatore dell'incubo vi proponiamo anche la parodia di Maurizio Boscarol con Matteo Renzi nei panni dell'inquilino di Craven Road 7.


Filippo Pieri

N.B. trovate i link alle altre novità e agli altri "What If" su Interviste & News