sabato 24 gennaio 2015

ON EST TOUS CHARLIE! MA CHI È CHARLIE?

di Andrea Cantucci 
Il nostro Andrea Cantucci, che conoscete tutti come esperto di fumetto francese grazie alla serie di articoli dedicati ai "bonellidi", ha tratteggiato per noi una puntuale "storia ragionata" di Charlie Hebdo e dei suoi autori, vivi e morti - perché tutti ora conoscono il tragico presente, ma non il gioioso passato della rivista parigina la cui redazione è stata attaccata dai terroristi islamisti, come punizione per aver pubblicato vignette a loro dire "blasfeme". Il sangue tanto bramato l'hanno sicuramente sparso, e si saranno anche vendicati e martirizzati, quei sicari... ottenendo però, come effetto collaterale (e forse nemmeno immaginato), di veder ripubblicare quelle stesse "vignette sataniche" in milioni di copie cartacee ed elettroniche - rendendole celebri e familiari - non solo in Francia, bensì in tutto il mondo... e ovviamente su Dime Web!
Ma di tutto questo vi parlerà dettagliatamente Andrea...
Per correttezza (e a costo di sembrare inutilmente pignoli o addirittura "moralisti") avvisiamo comunque i lettori che alcune delle immagini contenute nel post potrebbero da qualcuno essere considerate offensive o sconvenienti. 
Dunque, se non vi sentite a vostro agio, basta un "clic" per andar via di qui. (s.c. & f.m.)



La politica di Charlie è non violenta e non carica di odio. È allegra. Vuole essere così. Nessun problema politico deve resistere a una buona risata.
Bernard Maris

Né le religioni e i loro integralisti, né le ideologie e i loro militanti devono poter fermare il diritto alla satira.
Jean Cabut

Noi non crediamo alle menzogne delle religioni e questo ci rende liberi dai condizionamenti per ricercare la verità, nella misura in cui esista questa verità.
Georges Wolinski

La libertà di ridere senza alcun ritegno la legge ce la dà già, la violenza sistematica degli estremisti ce la rinnova.
Stéphane Charbonnier

Tutti coloro che pretendono di difendere i musulmani accettando il discorso totalitario religioso in realtà difendono i loro stessi carnefici.
Gérard Biard

I terroristi in fondo sono solo persone che hanno dimenticato di essere stati bambini e che hanno perso il senso dell’umorismo.
Gerald Luzier



Sant'Arlecchino Martire di Kant (Andrea Cantucci)


Passato un po’ di tempo sia dalla strage del 7 e 8 Gennaio 2015 in cui sono morti tra gli altri molti vignettisti, redattori e collaboratori del giornale satirico francese Charlie Hebdo (abbreviazione giornalistica per Charlie Hebdomadaire, cioè Charlie Settimanale), sia dalla grande manifestazione di Parigi dell’11 Gennaio contro il terrorismo e per la libertà d’espressione, sia dall’uscita del nuovo numero con Maometto in copertina (da noi allegato a Il Fatto Quotidiano) a cui hanno risposto nuove proteste anche cruente nel mondo islamico, si può ora tentare di analizzare più freddamente l’accaduto, ma soprattutto la Storia del periodico e dei suoi autori, su cui i media italiani, in preda agli incalzanti eventi di quei giorni, non si sono soffermati granché.
Tutti, e soprattutto chi di noi si occupa di fumetti, avremmo certo voluto che il nuovo anno iniziasse in modo ben diverso. Era giusto unirsi senza se e senza ma (anche se poi ce ne sono stati) al coro di chi ha dichiarato Je Suis Charlie per manifestare l’unione di tutti contro l’odio, la violenza e l’intolleranza, eppure sorge il legittimo dubbio che molti di quelli che hanno ripetuto la frase quasi meccanicamente fuori dalla Francia non avessero mai sentito parlare prima di quel giornale, che da noi non era mai stato pubblicato, e solo la giusta ma isolata iniziativa de Il Fatto Quotidiano ha colmato in piccola parte la lacuna. Inoltre va detto che si sono uniti al coro anche personaggi che, su quanto è successo, potrebbero perfino avere qualche responsabilità.

Charlie Hebdo contro i preti pedofili (2013). Copertina di Cabu


Ricordiamo che la scorta di guardia alla sede della rivista e quella al direttore Charb erano ridicolmente esigue, per la protezione di persone che da tempo erano minacciate pesantemente e avevano già subito un attentato. Quando avevano cambiato sede, le misure di protezione erano state drasticamente abbassate senza motivo. Di ciò sembra che nessuna autorità francese si sia sentita responsabile, o abbia chiesto scusa alle famiglie delle vittime. Era come se non valesse la pena di proteggere dei disegnatori satirici, come se il loro lavoro e il loro impegno per tenere desto il senso critico e il diritto alla libertà di tutti non fossero ritenuti poi troppo importanti. Ci si è resi conto di quanto lo erano solo dopo, quando per loro era troppo tardi.
Ricordiamoci anche che, al di fuori dell’Europa, la violenza dell’intolleranza colpisce da tempo in modi molto più vasti e sistematici, a volte anche con la connivenza più o meno tacita di alcuni dei governi occidentali o europei che si ergono ora a difensori della libertà e della tolleranza all’interno dei propri confini. Sono anche queste le situazioni (e le contraddizioni) che le vignette e gli articoli di Charlie Hebdo denunciano, nel modo politicamente scorretto di chi non ha altri mezzi per manifestare pacificamente ma con forza le sue idee.
E se alcune caricature di esponenti religiosi o popoli extraeuropei possono risultare imbarazzanti per la loro apparente generalizzazione nei tratti somatici o abbigliamenti, è evidente che ciò è dovuto alla necessità di usare stereotipi subito riconoscibili tipica del linguaggio del cartoon, non a una volontà discriminatoria degli autori. Del resto non è che gli Europei, cristiani o laici, siano disegnati con fisionomie meno beffarde.

Gli Inglesi stereotipati su Charlie Hebdo (2011). Copertina di Charb


I vignettisti francesi, scomparsi e superstiti, denunciano soprattutto l’evidente rapporto che certe violenze di vario tipo possono avere con certi contenuti delle religioni monoteiste, così come con qualunque ideologia a cui si aderisca in modo acritico e fanatico, un rapporto che dopo la strage quasi tutti i religiosi di ogni fede si sono affannati a negare, per paura di dover mettere in discussione, anche in minima parte, le loro credenze.
D’altronde la satira della rivista può anche rischiare di fallire il bersaglio, quando denigra giustamente dittatori e fondamentalisti del Medio Oriente che difficilmente la leggeranno, mentre a leggerla e a risentirsi in Francia sono soprattutto gli strati più poveri dei cittadini delle periferie, in buona parte d’origine e religione islamica. A questi appartengono infatti anche gli esecutori del sanguinario attentato contro la redazione della rivista, che hanno dimostrato una volta di più quanto abbiano ragione i vignettisti di Charlie Hebdo a denunciare l’influenza negativa che i dogmatismi religiosi possono avere, su chiunque si convinca di detenere l’unica verità e si identifichi totalmente con essa, rendendosi incline al fanatismo e alla vendetta… e il fatto di essere nati in Francia non è ovviamente di per sé un automatico antidoto contro la stupidità.
Per chi non è francese però, occorre spiegare un po’ meglio chi e cosa sia esattamente questo Charlie di cui improvvisamente si è parlato in tutto il mondo, per chiarire l’importanza e la Storia del simbolo che è stato colpito e degli autori la cui carriera è stata così bruscamente e assurdamente interrotta dalla follia umana. Fare un po’ di Storia è necessario, anche perché i mass media si sono soffermati enormemente sul cordoglio esibito dei potenti, ma hanno parlato abbastanza poco di coloro che sono stati uccisi e del loro lavoro.


hara-Kiri n. 1, 1960. Copertina di Fred



Hara Kiri, Cabu e Wolinski


Tutto cominciò con Hara Kiri, testata mensile fondata nel settembre 1960 dal direttore François Cavanna, che si ispirò alla rivista umoristica americana Mad, e dall’editore Georges Bernier, detto professor Choron dal nome della via dove si riunirono per la prima volta e proprietario delle Éditions du Square (letteralmente Edizioni dei Giardinetti Pubblici), mentre il direttore artistico era il disegnatore Frédéric Othon Aristidès (in arte Fred), autore delle prime copertine e del logo col samurai che si suicida. I tre si erano conosciuti negli anni ’50 collaborando alla rivista Zéro, da cui vennero anche alcuni dei primi disegnatori di Hara Kiri.


Hara-Kiri n. 8, 1961. Copertina di Fred


Hara Kiri adottò ben presto il sottotitolo journal bête e méchant ("giornale stupido e cattivo"), essendo stato apostrofato in tal modo nella posta dei lettori di uno dei primi numeri e alludendo alla ferocia goliardica della sua satira dissacrante senza compromessi, che pur di colpire nel segno non si preoccupava di risultare di “cattivo gusto” nei contenuti né d’essere sgradevole esteticamente. Tale impostazione aveva un parziale precursore nel disegnatore Maurice Sinet (in arte Siné), che sarà poi tra i collaboratori anche di Charlie Hebdo, mentre lo stile semplice e senza fronzoli dei disegni ricordava anche altri vignettisti francesi, come Chaval e Sempé. Disegni e articoli della nuova testata avevano contenuti molto più iconoclasti e irriverenti, ma data la periodicità mensile non potevano occuparsi direttamente dei fatti politici di più stretta attualità. 


Una vignetta di Siné


Dopo gli inizi un po’ improvvisati e stentati dei primi mesi, in cui Hara Kiri tirava appena diecimila copie ed era venduto soltanto per le strade, e dopo essere approdato rapidamente anche in edicola, il mensile riscosse un certo successo raggiungendo le centocinquantamila copie circa di tiratura. Ma all’epoca la libertà d’espressione in Francia non era ancora così garantita come sembra essere oggi e, a causa della sua sbandierata e reiterata derisione delle autorità costituite, la rivista fu più volte sequestrata e la sua pubblicazione fatta sospendere dalla magistratura per periodi più o meno lunghi, sia nel 1961 che nel 1966. 



Una vignetta di Wolinski del 1965


Gli autori delle vignette e dei fumetti comprendevano nomi poi diventati abbastanza famosi anche in Italia, come l’eclettico Roland Topor, noto anche come scrittore e pittore, o Jean Marc Reiser, autore del repellente personaggio del Gros Dégueulasse (il Grosso Schifoso), entrambi apparsi in seguito sulla rivista italiana Linus. Altri autori sono rimasti da noi meno noti, come Georges Gébé o il già citato Fred. Di quest’ultimo in Italia sono apparse solo delle brevi storie della candida e poetica serie per ragazzi Philémon, uscite in Francia sul tascabile Super Pocket Pilote e tradotte da noi sul SuperAlbo Audacia di Mondadori tra il 1969 e il 1970.






Jodelle di Peellaert, 1966

 


Nel 1966, sulla scia di Barbarella, apparve su Hara Kiri il fumetto fanta-satirico Les Aventures de Jodelle, scritto da Pierre Bartier, disegnato con un bello stile pop da Guy Peellaert e ambientato in una via di mezzo tra l’antica Roma e il mondo moderno. Jodelle, una disinibita spia somigliante a Silvie Tartan che incontra vari personaggi della cronaca o della fiction, fu poi pubblicata a puntate anche in Italia, sul settimanale Men.
Tra i primissimi collaboratori di Hara Kiri c’erano inoltre anche i due vignettisti più anziani uccisi il 7 Gennaio, ovvero due dei più importanti autori in assoluto della satira francese: Jean Cabut e Georges Wolinski.
Jean Cabut (in arte semplicemente Cabu), nato nel 1938 a Châlons-sur-Marne, si ispirò inizialmente al buffo stile grottesco di uno dei più classici vignettisti francesi, Albert Dubout, e cominciò la sua carriera nel 1954 pubblicando illustrazioni sul giornale L’Union De Reims. Fu poi richiamato sotto le armi durante la Guerra d’Algeria e il contatto con le imposizioni e il ridicolo pomposo autoritarismo della vita militare contribuì per reazione a renderlo un po’ anarchico, nonché anti-militarista, anti-autoritario… e quindi anche anti-religioso. 


Cabu


Il suo stile si allontanò poi dal modello iniziale facendosi più abbozzato, immediato e dinamico. Si affermò dal 1960 tra i fondatori di Hara Kiri e collaborò con altri giornali satirici, come lo storico Le Canard Enchaîné.

Per i suoi attacchi al potere politico collezionò molte querele, ma realizzò anche una serie a fumetti rivolta a un pubblico più giovane, almeno inizialmente: Le Grand Duduche, apparsa sulla rivista Pilote dal 1967. 

Presentazione di Duduche (ribattezzato in Italia Dudù) sul Super Albo Audacia n. 2. Mondadori, 1969


Il protagonista è uno studente magro, occhialuto e furbetto, in cui si può intravedere un vago autoritratto giovanile del suo autore, che si ispirò ai suoi ricordi del liceo di Châlons. Le avventure di Duduche, per quanto bonarie, fin dall’inizio mettono in ridicolo in vari modi istituzioni e valori delle vecchie generazioni, mostrando professori incompetenti, poliziotti ingenui e in generale adulti molto meno svegli e intraprendenti del giovane protagonista, che non ottiene da loro nessuna risposta alle sue domande esistenziali o pratiche. 



Duduche di Cabu, da SuperAlbo Audacia n. 1. Mondadori, 1969


Nell’Aprile 1969 il Duduche di Cabu fu pubblicato in Italia da Mondadori col nome di Dudù, sul tascabile SuperAlbo Audacia, in un solo episodio in cui collabora a un giornale con l’amico Momo, gestendo le notizie in modo a dir poco disinvolto fino ad arrivare a inventarle di sana pianta. Dal n°2 del SuperAlbo Audacia il personaggio scomparve, benché fosse ancora citato tra i personaggi presenti, forse escluso all’ultimo momento perché ritenuto troppo provocatorio per il pubblico dei ragazzi italiani a cui si rivolgeva il tascabile di Mondadori. In Francia invece, dal 1972, Cabu proseguì la serie Le Grand Duduche anche su Charlie Hebdo, aumentandone e calcandone maggiormente proprio gli aspetti più satirici e anticonformisti. 


Le Grand Duduche di Cabu


Ma il personaggio più caratteristico di Cabu è Mon Beauf (contrazione di Mon Beau Frère, cioè Mio Cognato), che più che un personaggio è un archetipo, un tipo di francese becero e nazionalista, militarista e volgare, intollerante e razzista, che discrimina sia gli stranieri che le donne e i giovani, tanto che in francese il termine è entrato nell’uso comune a indicare questo tipo di rozzi individui antiquati, fanatici e mentalmente limitati. 



Mon Beauf di Cabu


Per il resto, col suo stile efficace ed espressivo, Cabu ha sbeffeggiato gli uomini politici più potenti e influenti di Francia ritraendoli nelle sue caricature. Alle battute su Pompidou, che nel 1973 lo querelò (non avendo gradito le vignette su sua moglie raccolte l’anno prima nel libro Les Aventures de Madame Pompidou), seguirono quelle su Mitterand, Chirac, Sarkozy e anche sul leader di estrema destra Jean-Marie Le Pen, protagonista dei suoi volumi Le Gros Blond avec une Chemise Noire (Il Grosso Biondo con una Camicia Nera) del 1987 e Le Retour du Gros Blond (Il Ritorno del Grosso Biondo) del 1998. Non c’è da stupirsi se la figlia Marine Le Pen non ha voluto sfilare in onore di Cabu, dissociandosi dalla grande manifestazione di Parigi. 


Sarkozy in una vignetta di Cabu


Cabu divennne poi popolarissimo in Francia apparendo regolarmente in programmi TV, anche per bambini. 


Peut-on rire (encore) de Tout? Non! di Cabu


Foto recente di Wolinski



Il più anziano tra le vittime e il più noto anche in Italia era Georges David Wolinski, nato a Tunisi nel 1934 da un padre ebreo-polacco in fuga dal nazismo, che morì quando Georges aveva due anni, e da una madre italiana, anzi per la precisione toscana, il ché forse spiega il suo spirito goliardico. Trasferitosi adolescente in Francia con la famiglia, fu anche lui richiamato nell’esercito durante la Guerra d’Algeria, mentre nel 1961 iniziò l’attività di disegnatore satirico e poi di redattore su Hara Kiri. Qui inizialmente usava un disegno abbastanza curato e dettagliato, ispirato allo stile della rivista americana Mad, ma in cui si intravedeva anche l’influenza dell’allora imperante Albert Dubout, arricchita a volte da tratteggi alla Roland Topor. 


Un giovane Georges Wolinski




 

Bozzetto di Wolinski per una copertina di Hara Kiri

Poi, mentre Hara Kiri cominciò a ospitare sempre meno vignette singole e sempre più fumetti di un’intera pagina (per motivi soprattutto economici, poiché ciò permetteva agli autori di essere pagati di più), i protagonisti delle storie di Wolinski si fecero improvvisamente molto più stilizzati e abbozzati. 

Tpiche vignette di Wolinski


In quegli anni l’autore cominciò a mettere in scena, con verve esilarante ma anche con apparente o effettivo cinismo, le idiosincrasie di meschini omini e donnine imprigionati in ruoli paradossali e piccolo-borghesi, privi di qualunque vera possibilità di riscatto da una vita ipocrita e vuota, mettendo così i lettori di fronte all’incapacità dell’Umanità di salvarsi da sé stessa, se non attraverso una liberatoria ma amara risata. 


Le donnine di Wolinski


Il suo maggior pessimismo e la minor cura dei suoi disegni erano subentrati dopo la morte della moglie in un incidente, che lo lasciò con due figlie piccole da crescere, ma il primo di cui Wolinski rideva era sé stesso. Anche l’antieroe fisso che creò nel 1969, un altro semplice omino stilizzato, si chiamava infatti Georges. 


Georges Wolinski nel 1968


In seguito si è anche dedicato alla scrittura di un paio di commedie, naturalmente ispirate ai suoi fumetti, con gli stessi titoli di due dei suoi volumi migliori e di maggior successo editi in Francia: Je ne Veux pas Mourir Idiot (Non Voglio Morire Idiota) e Je ne Pense qu’à Ça (Non Penso che a Quello). Come si capisce da quest’ultimo titolo, le brevi storie disegnate da Wolinski erano infatti spesso incentrate su situazioni sessuali goliardiche, anche se dalla seconda metà degli anni ’70, passando a collaborare anche col giornale del Partito Comunista Francese cambiò un po’ temi, spostandosi molto di più verso la critica sociale e politica. Lo si può già vedere nel volume È Duro Essere Padroni!, edito in Italia da Bompiani nel 1978. 


Wolinski, È duro essere padroni!. Bompiani, 1978



La Gloire de Hara-Kiri 1960-1985 (Glénat)


Negli anni ’80, le tavole satiriche di Wolinski erano pubblicate regolarmente anche in Italia, sulla rivista Linus. Il sesso comunque rimase sempre uno dei bersagli preferiti delle sue vignette e delle sue brevi storie, piene di donnine allegre e omini frustrati. Lo dimostra anche il suo libro Ti Ho Reso Felice, Cara? edito dalla Glénat Italia nel 1986, così come i suoi fumetti e disegni più recenti pubblicati sulle pagine di Charlie Hebdo. 



Hara-Kiri n. 182, 1976



Charlie Mensuel


Fu nel Febbraio 1968 che apparvero anche in Italia le prime storie e vignette di Wolinski, sia su Linus che sulla più corposa ma effimera rivista Ali Baba, sempre edita dalla Milano Libri. Il contatto tra Wolinski e la redazione di Linus avvenne probabilmente perché l’editore di Hara Kiri, Georges Bernier, decise di pubblicare la versione francese di Linus, che uscì in Francia esattamente un anno dopo, nel Febbraio 1969, col nome di Charlie e il sottotitolo journal plein de humour e de bandes dessinées (giornale pieno di umorismo e di fumetti). Ecco quindi a chi si riferiva in origine il nome Charlie. Si trattava per la precisione di Charlie Brown, il protagonista vero e proprio della striscia Peanuts di Charles Schulz, a cui i francesi diedero l’onore della testata al posto del comprimario Linus (forse anche perché letto alla francese Linus non avrebbe suonato altrettanto bene). La nuova testata, diretta inizialmente da Delfeil de Ton, sarebbe stata poi chiamata anche Charlie Mensuel, cioè mensile, per distinguerla dal settimanale Charlie Hebdo nato poco dopo. 


Charlie n. 1, 1969


Charlie oltre alle strisce di Schulz, pubblicava anche altre serie in comune con la consorella Linus: classici delle strip statunitensi come Li’l Abner, Krazy Kat, Popeye o Dick Tracy, fumetti italiani come Valentina di Guido Crepax, o fumetti di autori francesi come l’Ulysse di Lob e Pichard, che rileggeva l’Odissea in chiave fantascientifica e che in Italia proseguì poi sulla rivista AlterLinus. Fin dall’inizio la formula di Charlie fu però leggermente diversa da quella di Linus. A parte il fatto che avrebbe poi ospitato anche strisce di personaggi che in Italia apparivano su riviste concorrenti, come Andy Capp o Mafalda, la differenza principale fu che Charlie, potendo contare sulla squadra dei collaboratori di Hara Kiri, diede spazio fin dall’inizio anche un buon numero di autori umoristici francesi, autori come Cabu, Georges Wolinski, Jean Marc Reiser, Georges Gébé e Jean Giraud, che in quel periodo iniziava a firmarsi Moebius creando brevi storie fanta-umoristiche.

Qualcosa di simile sarebbe poi successo anche in Italia su Linus, che tra gli anni ’70 e ’80 pubblicò molti disegnatori satirici italiani. Le due riviste tra l’altro condividevano anche una vaga collocazione politica di sinistra, anche se su Charlie Mensuel, come sui primi Linus, la vera e propria satira politica non era presente.


Charlie n. 6, 1969. Copertina di Wolinski


In seguito sarebbero comunque apparsi su Charlie anche alcuni fumettisti italiani non provenienti da Linus, a partire da Guido Buzzelli, che dal 1970 prese a pubblicare le sue opere direttamente in Francia prima ancora che in Italia, a cominciare dalla storia La Rivolta dei Racchi pubblicata proprio su Charlie. Tra i collaboratori agli articoli di Charlie esordì inoltre anche Jacques Glénat, che avrebbe poi fondato l’omonima casa editrice.
Dal 1970 la direzione del mensile Charlie passò proprio a Georges Wolinski, che vi pubblicava regolarmente i suoi fumetti dai primi numeri. Nel 1969 creò infatti su Charlie la breve saga di Georges Le Tueur (Georges L’Uccisore), inizialmente detto Le Matrequeur (Il Manganellatore), un assassino che vive la sua attività di criminale come una qualsiasi routine o una normale carriera a cui dedicarsi, passando dagli ammazzamenti da strada agli omicidi su commissione e restando coinvolto in situazioni assurde e storie d’amore senza speranza, fino a diventare un annoiato dittatore e ad assistere alla quasi totale distruzione dell’Umanità. 

Georges Le Tueur di Wolinski (1969)


Les Aventures de Georges le Tueur uscì in Italia in album nel 1971, edito dalle Edizioni Homerus col titolo Chiamatemi Georges, corrispondente al francese Appelez-Moi Georges, che indicava uno dei capitoli. 



Wolinski, Chiamatemi Georges. Edizioni Homerus, 1971


Ben più lunga e complessa fu la serie di Paulette, sempre scritta da Wolinski a partire dal 1970 ma disegnata da Georges Pichard, un’altra serie che fu pubblicata su Charlie in Francia e su Linus in Italia. 







Charlie n. 36, 1972

 


Paulette Gulderbilt è una giovane e disinibita ereditiera che, dopo essere stata rapita, vive delle paradossali e mirabolanti avventure in compagnia di un vecchio magicamente trasformato in una bella ragazza, con tutte le ambiguità sessuali che ciò comporta. Improvvisamente convertitasi al Comunismo, nelle storie successive Paulette va a lavorare in fabbrica e arriva a regalare i suoi soldi a chiunque li voglia, cosa che la fa rinchiudere in manicomio per un po’. In seguito un dirottamento aereo la fa precipitare in Amazzonia, dove per qualche tempo vive felicemente in mezzo a una tribù di indios, finché questa non è sterminata da un gruppo di nazisti. Seguendo questi ultimi, Paulette incontra anche un vecchio Adolf Hitler ormai rimbambito e si imbatte nelle spietate dittature fasciste sudamericane. Tornata in patria, coi suoi soldi crea infine una società utopica in un’isola remota, dove tutti possono vivere senza lavorare e fare tutto ciò che vogliono. 


Frontespizio del volume Paulette (Milano Libri, 1975). Disegno di Pichard


In questo moderno feuilleton satirico, l’abituale pessimismo di Wolinski, grazie anche ai disegni sensuali di Pichard, è mitigato da certi momenti di felicità e speranza dell’ingenua protagonista, che alla fine dimostra in qualche modo d’aver compiuto una vera e propria maturazione e presa di coscienza politica. 



Paulette su Alter Linus n. 12/1974


Pubblicata in Italia su Linus e i suoi supplementi e conclusasi su Alterlinus, l’intera saga di Paulette fu poi raccolta dalla Milano Libri nell’omonimo volume cartonato di ben trecentocinquanta pagine uscito nel 1975. Un secondo ciclo realizzato dagli stessi autori, intitolato Paulette al Circo e ambientato prima del precedente, uscì anch’esso a puntate su Alterlinus, ma da noi fu improvvisamente sospeso perché considerato troppo erotico e sadico in certe scene, per essere poi pubblicato integralmente in Italia solo nell’edizione in volume. 



Charlie n. 47, 1972. Copertina con Valentina di Crepax


Nel 1981 la prima serie di Charlie chiuse col numero 152, dopodichè l’editore Dargaud rilevò la testata e ne pubblicò una seconda serie, che durò dal 1982 al 1986. In quell’anno, a causa delle basse vendite, Charlie si fuse con la storica rivista della Dargaud Pilote, che fu così ribattezzata per qualche tempo Pilote et Charlie.

Nella seconda serie di Charlie furono comunque pubblicati altri autori che non avevano nulla a che fare con Linus né con Hara Kiri, anche spagnoli o italiani, come Paolo Eleuteri Serpieri e Franco Saudelli. 


Hara-Kiri Hebdo n. 1, 1969. Copertina di Wolinski



Charlie Hebdo


Nello stesso Febbraio 1969 in cui nasceva Charlie, il gruppo di Hara Kiri diede vita a un settimanale che potesse seguire meglio e a breve distanza di tempo i fatti politici di attualità. Fu battezzato prima Hara-Kiri Hebdo e poi L'Hebdo Hara-Kiri dal n°16. Meno di due anni dopo però la testata dovette sospendere le pubblicazioni, per uno dei guai giudiziari in cui come già detto i suoi autori incorrevano abbastanza spesso. 


Hara-Kiri Hebdo n. 11, 1969. Copertina di Gébé



Charlie Hebdo n. 6, 1970. Copertina di Wolinski


Nel Novembre 1970 l’uso della testata L'Hebdo Hara-Kiri fu definitivamente interdetto, si dice dal Ministro dell’interno, dopo la pubblicazione sulla copertina del n°94 di un titolo sulla morte del generale Charles De Gaulle giudicato troppo irrispettoso. Il gruppo di Hara Kiri, per continuare a uscire in edicola ogni settimana, ebbe allora l’idea di aggirare il divieto cambiando nome al giornale e chiamandolo Charlie Hebdo, come l’altro mensile pubblicato all’epoca dallo stesso editore e a cui collaboravano molti degli stessi autori. Il nome Charlie era poi lo stesso del generale De Gaulle e poteva quindi essere considerato un ennesimo sberleffo. 


Charlie Hebdo, 1976. Copertina di Wolinski


Charlie Hebdo, che poté quindi contare sui migliori disegnatori di Hara Kiri e Charlie, come Cabu, Gébé, Reiser e Wolinski, e sui redattori storici Cavanna, Choron e Delfeil De Ton, ricominciò necessariamente dal numero uno e proseguì per una decina d’anni col beffardo spirito dissacratorio di sempre, anche se nel 1977 Wolinski lasciò la testata per passare a collaborare col giornale del Partito Comunista Francese, L’Humanité. 



Charlie Hebdo, copertina di Reiser


La prima serie di Charlie Hebdo continuò anche ad avere i soliti guai giudiziari, però quando si concluse nel 1982 non fu perché perseguitata dalle autorità ma semplicemente per carenza di abbonati.

Poco dopo, alla fine del 1985, chiuse anche il mensile Hara Kiri, dopo aver fatto satira per primo anche attraverso rielaborazioni di foto (spesso osé) e fotoromanzi, false pubblicità e gadget allegati. 



Les Meilleures Couvertures de Charlie Hebdo. Disegno di Reiser


Nel 1991 Cabu e Gébé, insieme ad altri disegnatori più giovani, tra cui Charb e Tignous, collaboravano col nuovo giornale satirico La Grosse Bertha, ma nel giro di un anno decisero di creare un proprio settimanale e chiesero aiuto ai più esperti François Cavanna, Delfeil de Ton e Georges Wolinski, che erano stati direttori di Hara Kiri e Charlie. Fu Wolinski a proporre che il nuovo giornale si chiamasse Charlie Hebdo, cosa che gli assicurò subito una certa base di lettori. Così nel 1992 uscì la seconda serie del settimanale, che vendette subito centomila copie. L’editore questa volta erano gli stessi autori, ovvero una società per azioni la cui maggioranza era detenuta da Cabu, Philippe Val e Gébé, con gli ultimi due che ricoprivano rispettivamente i ruoli di direttore responsabile e direttore artistico, il ché garantiva al giornale la totale indipendenza politica.
Questa volta lo spirito contestatario della testata aveva una più netta collocazione di estrema sinistra e quindi portò avanti anche delle battaglie politiche, come una raccolta di firme per tentare di far mettere fuori legge il partito di estrema destra Front National nel 1996. D’altra parte il gruppo risultò essere meno stabile di quello dei vecchi Hara Kiri e Charlie Hebdo e si assistette all’alternarsi di molti collaboratori diversi.

 

Charlie Hebdo n. 1, 1992. Copertina di Cabu


La mancanza di un gruppo compatto e affiatato come quello del vecchio Hara Kiri forse fu tra le cause, dopo il lancio iniziale, di un certo calo di vendite, scese nei primi anni del duemila a sessantamila copie.
Dopo la morte di Gébé, nel 2004 restò unico direttore Philippe Val e nel febbraio 2006 furono ripubblicate su Charlie Hebdo delle caricature di Maometto che erano apparse sul giornale danese Jyllands-Posten. In quel caso si trattava di rozze vignette di propaganda xenofoba, ma il fatto che qualche mese dopo la loro pubblicazione in Danimarca fossero state duramente condannate da gruppi islamici più o meno integralisti, con pesanti minacce al giornale danese, spinse il gruppo di Charlie non solo a ripubblicarle in Francia, come affermazione di libertà di stampa e di critica all’intolleranza religiosa, ma anche a creare proprie vignette contro l’integralismo islamico, che si aggiungevano a quelle contro il fanatismo cristiano o ebraico, o contro ogni politica più o meno reazionaria. In quell’occasione Cabu disegnò la copertina con la scritta Maometto Accerchiato dagli Integralisti e il Profeta che dice È duro essere amato da degli stronzi, riferito ovviamente ai fondamentalisti, non a tutti i Musulmani. Il fatto poi che qui Maometto si copra in parte la faccia, sembra una piccola concessione al divieto islamico di mostrare il volto del Profeta, ma non bastò a evitare le proteste. 

Charlie Hebdo, speciale 2006. Copertina di Cabu



In realtà, l’estensione della feroce satira di Charlie Hebdo al mondo islamico e ai suoi problemi ed eccessi, anziché come una discriminazione o un’offesa particolare ai Musulmani, si potrebbe vedere come un atto di inclusione. Visto che Cabu, Charb, Wolinski e gli altri deridevano tutti e tutto (in modo anche cattivo e blasfemo, ma sempre e soprattutto allegramente giocoso), sarebbe stato più discriminatorio non satireggiare anche un certo Islam fanatico, data la diffusione e importanza che tale fede ha oggi nel panorama mondiale e in particolare in Francia. Ma ovviamente molti religiosi non vedono le cose in questa ottica e anche alcune organizzazioni musulmane francesi chiesero la messa al bando del giornale, senza riuscire a ottenerla. Questo perché una delle cose che appare più blasfema per molti Musulmani, è il semplice fatto di raffigurare Maometto, ancora più grave quando è ritratto in caricature, quindi in un modo che ai loro occhi lo ridicolizza.
Forse si sarebbero potute evitare molte proteste semplicemente evitando di dire che quel certo personaggio raffigurato in alcune vignette e copertine era Maometto (del resto nessuno sa che aspetto avesse e infatti i vari vignettisti lo raffiguravano in modi molto diversi l’uno dall’altro), ma è chiaro che per alcuni disegnatori divenne una questione di principio non cedere alle minacce intimidatorie dell’intransigenza religiosa.
Bisogna anche dire che il primo numero con le vignette su Maometto, grazie a tali polemiche, fu per Charlie Hebdo un piccolo affare commerciale, visto che il giornale, che in quel periodo tirava centoquarantamila copie, ebbe un’impennata di vendite e attraverso due ristampe raggiunse le quattrocentomila copie vendute.


Charb, con una sua vignetta


Charb, Honoré, Tignous…

Nel 2009 la carica di direttore di Charlie Hebdo passò a Stéphane Charbonnier (in arte Charb), altra vittima della strage del 7 Gennaio 2015, che era sia disegnatore che redattore. Nato a Conflans-Sainte-Honorine nel 1967, Charb ha collaborato coi suoi disegni anche con la rivista a fumetti L’Echo des Savanes e col giornale comunista L’Humanité. Era nel gruppo che nel 1992 diede vita alla seconda serie di Charlie Hebdo, su cui dal 1996 teneva la rubrica di cronache politiche Charb n'aime pas les gens (A Charb non Piacciono le Persone), mentre sulla rivista a fumetti Fluide Glacial ne scriveva una dal titolo La Fatwa de l'Ayatollah Charb.
Come fumettista ha creato una serie a strisce su un cane e un gatto stilizzati dalle idee anti-capitaliste, Maurice et Patapon, raccolta in Francia in quattro volumi pubblicati dal 2005 al 2009 dall’editrice Hoebeke. Altre raccolte di suoi disegni e testi sono state pubblicate da vari editori, soprattutto tra il 2008 e il 2010.
Nelle sue vignette appaiono per lo più piccoli omini simili a sgorbi deformi, con espressioni stralunate e non molto intelligenti, ma se necessario sapeva anche disegnare efficaci caricature di personaggi famosi, come Papa Ratzinger o Gerard Depardieu, che immortalò su due copertine del settimanale da lui diretto. Forse la sua copertina più buffa è quella che dice Bin Laden è Vivo!, mostrando il terrorista saudita vestito da Elvis.

Charlie Hebdo n. 962, 24 novembre 2010. Copertina di Charb

Nel novembre 2011, sotto la direzione di Charb e in occasione della vittoria di un partito fondamentalista islamico in Tunisia, il n°1011 di Charlie Hebdo fu dedicato all’Islam integralista e intitolato Charia Hebdo (in francese si legge come Shari’a, la legge islamica), di nuovo con Maometto in copertina. La notte precedente alla sua uscita, la sede del giornale fu incendiata e distrutta con molotov e, a seguito dell’attentato, Charb e due suoi colleghi furono messi sotto scorta. Si rese poi necessario un presidio di polizia davanti alla redazione del giornale, mentre nel 2012 giungevano altre pesanti minacce di morte a Charb, che in quel periodo, scherzando sulla sua stessa incoscienza, aggiunse alla testata il sottotitolo Giornale Irresponsabile


Charb, dopo l'attentato del 2011, con la copertina di Charlie Hebdo disegnata da Luz
 

Naturalmente, anche durante la gestione di Charb, Charlie Hebdo non fece satira solo sull’Islam ma su tutte le religioni. Qualcuno fece una parodia di Charlie Hebdo intitolandola Shoah Hebdo e dedicandola agli Ebrei, che comunque anche sul settimanale erano saltuariamente ritratti in delle vignette satiriche, e anche questo sollevò qualche polemica. Charb disegnò quindi una copertina su Ebrei e Islamici definendoli intoccabili. Comunque dal mondo ebraico non vennero minacce di morte. Del resto l’auto-ironia del tipico umorismo ebraico è tradizionalmente capace di scherzare anche sulla propria religione e sulle persecuzioni subite, salvo lanciare accuse di antisemitismo con relativa facilità se lo scherzo viene da altri. 

Charlie Hebdo, 2012. Copertina di Charb, parodia del film Intouchables (Quasi amici in Italia)


Ma anche nella redazione di Charlie Hebdo non tutti condivisero la linea editoriale di Charb (com’era già successo anche con quella precedente di Philippe Val) e in particolare se ne andò l’anziano e storico redattore Delfeil De Ton, che aveva fatto parte dei gruppi fondatori di entrambe le serie di Charlie Hebdo. 



La vita di Maometto (I parte) di Charb & Zineb


Charb però non si fece intimidire da nessuna protesta religiosa né dalle minacce degli integralisti, tanto da disegnare anche una Vita di Maometto a fumetti, scritta da Zineb el Rhazoui e pubblicata nel 2013 sulla collana Hors-Série Charlie Hebdo (Charlie Hebdo Fuoriserie), in cui il Profeta è rappresentato ancora una volta in modo caricaturale. Certi fanatici, notoriamente incapaci di sorridere e in cerca di vendetta per ingiustizie senza nessun rapporto con le sue vignette, non lo hanno perdonato né a lui né ai suoi compagni. Quell’anno stesso, Al-Qaeda inserì Charb nella sua lista dei condannati a morte per crimini contro l'Islam. 


Papa Francesco disegnato da Honoré, da Charlie Hebdo n. 1178

Gli altri due disegnatori uccisi nella strage del 7 Gennaio, insieme a redattori, collaboratori vari e agenti di polizia, sono stati Philippe Honoré e Bernard Verlhac (in arte Tignous, cioè Piccola Tigna in lingua occitana). Entrambi avevano collaborato anche al settimanale L’Evenement du Jeudi (L’Avvenimento del Giovedì). 


Philippe Honoré


Philippe Honorè, nato a Vichy nel 1941, era un altro dei disegnatori più anziani, aveva collaborato anche con Hara Kiri e i colleghi lo ricordano come un uomo di grande cultura. I suoi disegni si distinguono da quelli di tutti gli altri per essere senza dubbio i più realistici, tecnicamente ineccepibili e con contrasti netti, ispirati chiaramente a fotografie ma realizzati con un gusto retrò d’altri tempi. Tra gli autori di vignette satiriche italiane, quelle di Honoré sono paragonabili in qualche modo solo a quelle di Leonardo Cemak. 



Hollande, in una vignetta di Honoré, da Charlie Hebdo n. 1178


In pratica si può ben dire che Honoré fosse un vero e proprio illustratore, più che un semplice vignettista. Oltre che su Hara Kiri e Charlie Hebdo, aveva infatti pubblicato suoi disegni anche su quotidiani di prestigio come Le Monde e Libération e su riviste letterarie o d’altro genere. Forse avrebbe potuto tranquillamente disegnare anche fumetti d’avventura, cosa ancor più notevole se si considera che era autodidatta. Anche nella grafica dei testi che accompagnavano le sue immagini era elegante e ricercato, coerentemente allo stile dei disegni. Scriveva didascalie in corsivo e dialoghi in stampatello minuscolo. Un paio delle sue ultime vignette, pubblicate anche su Charlie Hebdo n°1178, raffigurano il leader dello stato islamico Al-Baghdadi. 



Al-Baghdadi, in una vignetta di Honoré, da Charlie n. 1178


Bernard Verlhac, alias Tignous, nato a Parigi nel 1957, dopo un’esperienza nei fumetti ha disegnato vignette per varie testate giornalistiche dall’inizio degli anni ’80. In seguito collaborò coi giornali satirici L’Idiot International e La Grosse Bertha, per poi entrare nel gruppo della seconda serie di Charlie Hebdo. Ha lavorato inoltre anche per il settimanale di sinistra Marianne e per la rivista a fumetti Fluide Glacial.


Tignous davanti ad alcuni suoi libri


In Francia anche le vignette di Tignous sono state raccolte in vari volumi, usciti tra il 1991 e il 2011. Il suo stile era particolarmente originale ed espressivo, basato su pochi segni rapidi, a tracciare fisionomie molto esasperate e grottesche, poi però per lo più bilanciate dall’aggiunta di delicati colori acquerellati.


Un disegno di Tignous condannato dagli integralisti. Da Charlie Hebdo n. 1178


Uno dei suoi disegni più condannati dal mondo islamico è quello realizzato nel periodo delle recenti rivolte nei paesi arabi, in cui una donna coperta da un burca ne solleva il pesante velo mostrando il suo bel corpo nudo con tanto di calze a rete e giarrettiere. La didascalia diceva: Dopo la primavera araba, l'estate araba… 


Autoritratto di Tignous da Charlie Hebdo n. 1178


I superstiti e il numero dopo la strage


A parte il delitto di aver troncato delle vite, anche di alcuni grandi vignettisti, il solo risultato ottenuto dalla violenza degli attentatori è stato far diffondere immensamente di più in tutto il mondo le vignette incriminate e far aumentare esponenzialmente la fama e la tiratura di Charlie Hebdo, che prima arrancava stampando centomila copie di cui ne vendeva appena sessantamila e ora può sperare di venderne anche cinque milioni.
Prima della strage, Charb aveva chiesto all’amico Hollande (che lui prendeva regolarmente in giro sulle sue copertine disegnandolo per esempio come un clown) una piccola sovvenzione per far sopravvivere il giornale senza ottenere nessuna risposta. Ora pare che il Ministero della Cultura francese stanzierà un milione di euro per finanziarlo perennemente, senza contare le offerte di sovvenzioni piovute da ogni parte. Ma si tratta comunque di una ben magra consolazione per gli scomparsi, le loro famiglie e i loro amici e colleghi... 

Charlie Hebdo dell'8 novembre 2011. Copertina di Luz


Il direttore di Charlie Hebdo è ora Gérard Biard, mentre i nuovi direttori artistici sono i disegnatori superstiti Catherine Meurisse (che si firma semplicemente Catherine) e Renald Luzier, che si firma Luz e che ironicamente è proprio il vignettista più specializzato nel disegnare la caricatura di Maometto. È lui l’autore di alcune delle copertine più scomode del settimanale, come quella che dice L’Amore più Forte dell’Odio, mostrando un bacio omosessuale tra un arabo (forse Maometto) e un redattore del giornale (forse Charb), o quella con la scritta Legalizziamo la Pozione Magica e sotto Asterix e Obelix con lo sguardo allucinato e il secondo che anziché un menhir porta sulle spalle un’enorme foglia di cannabis, copertine dai contenuti allegramente progressisti e perciò condannate senza appello da integralisti e moralisti, dell’Est e dell’Ovest. 



Charlie Hebdo n. 1061, 2012. Copertina di Luz


Poiché il giornale non potrà più fare affidamento sugli autori scomparsi, i neo-direttori dovranno adesso arruolare anche altri disegnatori, che si aggiungano ai sopravvissuti Corinne Rey (in arte Coco), il primo ostaggio dei terroristi poi rimasta illesa riparandosi sotto una scrivania, Laurent Sourisseau (in arte Riss), un altro autore di alcune discusse copertine politicamente scorrette che nell’attacco era rimasto gravemente ferito ma è stato presente lo stesso nel numero dopo la strage, e poi Riad Sattouf, che riporta a fumetti con obiettività il punto di vista dei giovani francesi d’origine araba e non integralisti, Schvartz e pochi altri. 



Una vignetta di Catherine da Charlie Hebdo n. 1178

Nonostante la strage che ha decimato la redazione, mercoledì 14 Gennaio 2015 il giornale è quindi tornato puntualmente in edicola non solo in Francia, ma in ben venticinque paesi e tradotto in sedici lingue, con l’enorme tiratura iniziale di oltre tre milioni di copie. Un facsimile del numero in questione, il 1178, è uscito anche in Italia insieme alla traduzione di alcuni articoli e di molte vignette, allegato al giornale Il Fatto Quotidiano, l’unico del nostro paese ad aver chiesto di pubblicarlo. La cosa che più consola nell’operazione, è che parte del ricavato delle vendite dovrebbe andare alle famiglie di coloro che sono stati uccisi il 7 Gennaio. 


La prima uscita dopo la strage: Charlie Hebdo n. 1178, 14 gennaio 2015. Copertina di Luz


Come ormai tutti sanno, sulla copertina del numero dopo la strage è apparso di nuovo Maometto, anche lui col cartello Je Suis Charlie e la didascalia Tutto è Perdonato. Una frase di cui si può dare una lettura poetica e commovente (ovvero che anche Maometto sarebbe stato solidale con le vittime) o beffarda (cioè che ora basta dichiarare Je Suis Charlie per essere assolti da ogni colpa o responsabilità), ma possono esserci altre chiavi di lettura. Dai commenti dell’autore della copertina Luz, sembra che intendesse davvero esprimere un sincero perdono agli autori della strage, considerando anche loro come delle vittime del proprio fanatismo.

In ogni caso non si ravvisa nel numero in questione nessun particolare risentimento o sfogo vendicativo, come ci si sarebbe anche potuti aspettare dopo una simile strage. La satira all’interno è più o meno quella di sempre, anche perché è stato dato giustamente ampio spazio a una selezione dei migliori disegni dei vignettisti uccisi, così da dar voce ancora una volta soprattutto a loro. Non è chiaro se siano inediti pubblicati postumi o ristampe (una vignetta di Wolinski dice Buon 2001), ma un paio erano già apparsi in rete e solo gli affollatissimi disegni di Charb e un angelico autoritratto di Tignous sembrerebbero davvero schizzi inediti. C’è anche qualche testo scritto da alcune delle vittime, da Bernard Maris, da Elsa Cayat e dallo stesso Charb, che ironicamente scrive che i Francesi d’origine araba non sono islamici, quindi non c’è da temerne l’integralismo. 


Disegni di Charb, da Charlie Hebdo n. 1178


I nuovi contributi sono costituiti in gran parte da articoli che commentano in vari modi quanto accaduto, ma senza che vi si possa mai ravvisare nessun minimo sentimento di vendetta, solo di legittima e beffarda critica contro l’odio e l’ipocrisia imperanti nel mondo. Tra quelli disegnati spicca il paginone centrale sulla grande manifestazione di Domenica 11 Gennaio, intitolato ironicamente Più gente per “Charlie” che alla Messa.

Insomma non sembrava che né copertina né contenuti fossero particolarmente offensivi. Anzi la copertina, seppure con po’ d’ironia e di ambiguità, pareva auspicare la riconciliazione e il perdono reciproco. Per lo meno a noi Occidentali non sembrava essere insultante, soprattutto dopo un simile ingiustificabile massacro compiuto in nome del fanatismo e che da più parti anche esponenti e governi musulmani hanno condannato.
Perfino vari giornali americani come il Wall Street Journal o il Washington Post, che come quasi tutta la stampa anglosassone non avevano mai osato prima mostrare le vignette incriminate per non indisporre i lettori musulmani, hanno pubblicato la copertina del n°1178 non considerandola per niente offensiva.
Invece nella settimana successiva alla sua uscita, la reazione è stata di totale e inappellabile condanna, non solo da parte dei fanatici integralisti, cosa scontata, ma di una buona parte del mondo islamico, dall’Egitto alla Cecenia, passando per la Turchia. In paesi africani dei fanatici hanno distrutto chiese cristiane (che non si vede cosa c’entrino con i laicissimi vignettisti di Charlie Hebdo) e fatto molti altri morti, che non essendo europei pare non abbiano a loro volta diritto a essere ricordati, non dico con un’altra marcia, ma almeno con un po’ più d’attenzione da parte dei media. Altri Musulmani hanno protestato anche con manifestazioni enormi, pacifiche e perciò legittime, per quanto possa esserlo protestare contro la libertà di qualcun altro. 


Un'altra vignetta di Catherine pubblicata su Charlie Hebdo n. 1178


Anche questa volta il problema principale non era tanto il contenuto, quanto il fatto di aver disegnato Maometto, cosa vietata dall’Islam, ma non si capisce perché chi non è islamico e non vive neanche in un paese islamico dovrebbe seguire dei precetti e dei divieti islamici. Purtroppo da sempre molti monoteisti, convinti di detenere l’unica verità, tendono a voler imporre le proprie idee e i propri dogmi anche agli altri.

Alla fine aveva avuto ragione il disegnatore Luz con la sua copertina, che letta col senno di poi sembra sottintendere come non possa certo bastare una serie di vaghe e tardive dichiarazioni di solidarietà, perché le cose cambino davvero e tutte le ostilità e conflitti siano superati e dimenticati. Era stato però troppo ottimista, quando nel presentarla aveva dichiarato di avere fiducia nell’intelligenza e nel senso dell’umorismo delle persone. Purtroppo sembra esistere anche chi non ha né l’una né l’altro... e non solo tra i Musulmani.


E dopo…?

Poi a Charlie Hebdo si sono presi due settimane di tempo per riorganizzarsi e il loro n°1179 sarà nelle edicole francesi il 28 Gennaio. Vedremo se, a tre settimane dalla strage, il loro lavoro sarà ancora seguito dei media internazionali e con quanta attenzione e se qualcuno avrà il coraggio di continuare a proporlo anche in Italia. 

Charlie Hebdo Speciale Processo. Copertina di Cabu


Per cercare di capire il simbolo che Charlie incarna per i Francesi, è un po’ come se in Italia fossero state sterminate le redazioni di Linus e de Il Male messe assieme. Anche da noi molti sono cresciuti leggendo Linus, così come molti Francesi leggendo Charlie e Charlie Hebdo, solo che Oltralpe si ha molta più considerazione per i fumetti e la narrativa grafica in genere. Inoltre da noi il mensile Linus non ha più oggi quella forte connotazione satirica che aveva negli anni ’80, quando vi collaboravano molti autori italiani.

D'altronde in Italia gli spazi di satira libera, su stampa o TV, negli ultimi anni sono stati sempre più limitati, mentre questi vignettisti francesi, almeno su certi giornali, pare oggi godano davvero di libertà ben maggiore della nostra, forse anche perché comincia nella loro testa, in una formazione culturale veramente laica.
Perfino molti politici italiani sul momento avevano dichiarato che andava difesa la libertà d’espressione di Charlie Hebdo, ma poi solo Il Fatto Quotidiano ha avuto il coraggio di pubblicarlo da noi e, nonostante il clamore sollevato e le speculazioni, è abbastanza difficile che dopo quell’unico numero qualcuno cominci veramente a tradurlo e a pubblicarlo regolarmente anche in Italia. Eppure all’interno non c’è nulla che inneggi alla violenza (neppure contro gli animali…), solo una liberatoria derisione delle troppe autorità e assolutismi con cui molti si identificano esageratamente. Vero è che in Italia, data la pesante influenza politica della Chiesa Cattolica, è ancora in vigore l’anacronistico reato di vilipendio della religione, in cui in teoria potrebbe incorrere facilmente chi si lasci scappare anche solo una bestemmia per strada. 


Una striscia di Charb sulle religioni


Si considera offensivo ridere di tutte le assurdità ridicole, le confusioni tra simboli mitici e fatti storici, le elucubrazioni irrazionali con cui per secoli si è condizionato e controllato il pensiero e la vita dei popoli, creando o sostenendo volta a volta questo o quel regime dittatoriale o imperialista, ma lo scherzo non è forse l’arma non violenta ideale, per difendersi dalla troppa serietà del totalitarismo dichiarato o strisciante?

Se poi la satira è davvero ingiusta, non ci sarebbe motivo di sentirsene offesi. Ma quel semplice e pacifico sberleffo a qualcuno sembra fare ancora più paura di bombe e pallottole e perciò è colpito dai fanatici. Forse si teme possa preludere a una presa di coscienza che conduca a un pensiero più libero dai condizionamenti.
Consoliamoci sperando che la risposta di relativa unità e solidarietà data per ora dalla Francia e dall’Europa, oltre a inasprire la lotta al terrorismo ribadisca davvero anche le libertà individuali anziché sfociare in reazioni restrittive, torture autorizzate e aggressioni militari come accadde negli USA dopo l’11 Settembre, poiché ancora una volta abbiamo verificato, se mai ce ne fosse stato bisogno, come la violenza indiscriminata alla lunga porti soltanto altra violenza indiscriminata (anche solo perché le fornisce il facile alibi della vendetta). 

Una vignetta di Tignous


Comunque con la morte contemporanea di Cabu, di Wolinski, di Honoré e degli altri, si è chiusa una fase fondamentale e irripetibile della satira francese, di cui per ora non si intravedono all’orizzonte molti eredi.

Se avessero potuto disegnare delle vignette post mortem, avrebbero magari ironizzato sul fatto che subito dopo la strage, benché le vittime fossero loro, in TV si sono continuati a vedere solo i politici e il Papa, che parlavano di tutto tranne che dei contenuti squisitamente anarchici delle loro vignette (col Papa ben presto unitosi all’altro coro, quello di chi dice un po’ superficialmente che le vittime hanno provocato...)
Wolinski, col suo abituale e disincantato cinismo, aveva dichiarato in un’intervista che la sola cosa di cui era sicuro riguardo al futuro era che sarebbe morto. Quello che forse non avrebbe mai immaginato, benché fosse stato insignito della Legion d’Onore nel 2005, era che la sua morte sarebbe stata definita eroica e che tanti capi di stato sarebbero sfilati a Parigi insieme a milioni di persone in onore suo e dei suoi compagni. Quando la realtà supera i fumetti più paradossali...


Andrea Cantucci


N.B. Trovate i link alle altre situazioni non bonelliane su Cronologie & Index!

1 commento:

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