domenica 30 novembre 2014

MÉXICO, 1519: UNA DEA DAGLI ARTIGLI D'OSSIDIANA. LILITH 13


di Andrea Cantucci

 
Gli dei Tezcatlipoca e Quetzalcoatl. Decorazione murale


Nessuno vorrà che muoiano anche
I fiori e i canti,
Essi continueranno a vivere
(da un poema di Ayocuan, principe di Tecamachalco)

Alcuni dei nostri soldati si chiedevano perfino se tutto ciò che vedevano non fosse un sogno
(dalle memorie di Bernal Díaz del Castillo)

Finché il mondo avrà vita, la fama e la gloria della città azteca di Tenochtitlán non potrà perire
(Monumento della Civiltà Azteca)





Forse non è casuale che l’albo di Lilith ambientato nell’antico México sia proprio il n. 13 della serie, poiché il tredici per gli Aztechi era il numero supremo su cui si basava il loro calendario divinatorio, che si divideva in venti periodi di tredici giorni ciascuno. Il giorno 13 di ogni periodo era considerato fausto, fino a ché l’impero azteco non crollò, quando cadde definitivamente la capitale Tenochtitlán, in quello che per gli Aztechi era il giorno 1-Serpente dell’anno 3-Casa e che per i conquistadores era il 13 agosto 1521. Chissà che la superstizione diffusa in America che considera il 13 un numero sfortunato non risalga proprio a questa coincidenza numerica. In questa storia di Luca Enoch però, le cose vanno in modo completamente diverso.
Il n. 13 di Lilith sembra portare sfortuna solo a Hernán Cortés e ai suoi circa cinquecento conquistadores, che, dopo essere sbarcati in Messico nel 1519, si trovano di fronte un impero azteco un po’ diverso da quello che hanno affrontato e distrutto nella realtà storica. I continui viaggi nel tempo di Lilith infatti, hanno ormai apportato delle consistenti modifiche al passato, che si ripercuotono anche nei secoli successivi.
In tutto l’episodio la parola usata per dire Aztechi è Mexica, il termine con cui essi stessi si definivano. In origine può venire da Mixcoatl (Serpente di Nubi), un antico dio delle tribù cicimeche da cui gli Aztechi si staccarono, identificato con la Via Lattea. Da esso sembra derivare il nome del primo mitico condottiero e gran sacerdote azteco, Mexicatl, o Mexitli, o Mexi, poi divinizzato come dio della Luna, o fratello della Luna, e infine identificato col principale dio tribale azteco, Huitzilopochtli (Mago Colibrì), dio del Sole e della guerra.


Capi dell'armata mexica. Codice Mendoza, 1541


Un'altra parola usata dagli Aztechi per indicarsi era Tenocha, nome collegato alla loro prima città e capitale Tenochtitlán, che significa Vicino al Cactus, perché secondo la leggenda fu fondata dov’era un’aquila su un cactus con un serpente nel becco, che è oggi il simbolo del Repubblica del Messico. Azteca invece deriva da Aztlán, la terra favolosa da cui i Mexica dicevano di venire prima di stabilirsi ad Anáhuac (la Terra sulle Rive dell’Acqua), ovvero nella zona dei laghi della Valle del Messico. Ma si iniziò a usare il termine Aztechi per indicarli solo nell’Ottocento, per distinguerli dai moderni Messicani che avevano ripreso l’antico nome dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla Spagna, quindi è giusta la scelta dell’autore di non usarlo nel racconto.
La prima novità che salta agli occhi è che il popolo Mexica, in questa storia di Luca Enoch, dispone di cavalli addomesticati e anche di un vero e proprio corpo di cavalleria, mentre è risaputo che prima dell’arrivo degli Spagnoli il cavallo era completamente sconosciuto nelle Americhe. Altrettanto sconosciuto ai veri Aztechi era l’uso del ferro, ma anche questo metallo è invece loro già noto da tempo nel tredicesimo episodio di Lilith. Anzi sono proprio le armi di ferro che ora permettono loro di assoggettare e controllare le province del loro impero in modo più stabile. Invece non usano corazze di ferro per dimostrare il loro coraggio e continuano a portare come protezioni in guerra delle tuniche imbottite di cotone, più adatte al clima caldo della loro terra.

Copertina "pulita" di Lilith n. 5


Tali conoscenze anacronistiche dei Mexica derivano dal viaggio temporale compiuto da Lilith sul n°5 della serie, all’epoca delle spedizioni vichinghe in America, e privano gli invasori spagnoli di due grossi vantaggi che ebbero nella realtà, ovvero le loro armi e armature di ferro e le loro cavalcature (anche se di cavalli ne avevano appena sedici). Nella realtà la natura di entrambe le cose per gli indigeni fu così incomprensibile e nuova, da convincere molti Mexica che gli invasori fossero degli dèi, anche perché le loro profezie dicevano che il bianco e barbuto dio-re tolteco Quetzalcóatl (Serpente Piumato) dopo secoli doveva ritornare proprio quell’anno da Oriente, su un grande cervo e vestito di abiti neri, e questa descrizione si adattava benissimo a Cortés, visto tra l’altro che hueimamazah, grandi cervi, fu appunto il nome che i Mexica diedero ai cavalli.
Qui a essere presa per una dea dai Mexica, a causa dei suoi poteri, è invece naturalmente Lilith, definita da loro come una tzitzimitl, uno dei mostri scheletrici che nelle loro credenze sorgeranno dalle tenebre ai confini del mondo per annientare l’umanità, un’idea che Lilith accentua dipingendosi sul volto la forma di un teschio. 

Motecuhzoma (pag. 31)

 
Il Uei Tlatoani (Gran Portavoce del popolo) Motecuhzoma, chiamato dagli Spagnoli imperatore Moctezuma, promuove Lilith al rango di chiuateotl (dio-donna) scambiandola per la dea Itzpapálotl (Farfalla d’Ossidiana), che regnerebbe sul Tamoanchán, il paradiso degli antenati, e lei lo asseconda indossandone i tipici attributi.
Curiosamente Itzalpapálotl era considerata dai Mexica proprio la moglie di Quetzalcóatl, come se l’autore, volutamente o meno, avesse contrapposto al falso dio Cortés, giunto a distruggerne civiltà, una equivalente falsa dea Lilith, venuta incidentalmente a proteggerli. Come Lilith, anche quella dea aveva sia un aspetto benevolo che uno molto più inquietante. Inizialmente presiedeva alle stelle e a volte all’Agricoltura, ma più tardi fu associata al terribile dio della notte e dei sacrifici Tezcatlipoca (Specchio Fumante) col nome di Itztli, cioè Coltello di Ossidiana, la dura e affilata pietra vulcanica usata per immolare le vittime sacrificali.


Motecuhzoma incontra Cortés e Dona Marina a Tenochtitlan. Disegno del 1560


I Mexica infatti credevano che gli dèi si cibassero di sangue e che, senza i sacrifici, il Sole non avrebbe più dato luce e calore e quindi la Terra non avrebbe più generato fiori e frutti. Quelli in onore degli dèi Tláloc e Tezcatlipoca si svolgevano a primavera e le vittime erano adornate di fiori profumati prima di essere uccise. Perciò la periodica guerra rituale attuata dai Mexica per procurarsi i prigionieri col cui sangue nutrire gli dèi, principalmente ai danni del selvaggio popolo montanaro di Tlaxcala (la Terra del Pane), era chiamata xochiyaoyotl, guerra dei fiori, un nome paradossalmente poetico per una pratica dagli effetti tanto cruenti. All’inizio dell’albo, la guerra dei fiori è rappresentata come una vera e propria caccia all’uomo, mentre Lilith si tiene in disparte nascondendosi sui chinampa, i giardini galleggianti creati dai Mexica per la coltivazione.
Anche se il compatto e ben organizzato esercito dei Mexica avrebbe potuto conquistare con la forza l’enclave di Tlaxcala e gli altri territori non ancora assoggettati al loro impero, ne tolleravano l’indipendenza proprio per poter continuare a procurarsi i prigionieri per i sacrifici attraverso queste scaramucce o tornei periodici. Ma ovviamente i Tlaxcaltechi, così come i Totonechi, gli Otomi, i Tepanechi e gran parte degli altri popoli del Messico, erano stanchi di subire le pesanti vessazioni dell’impero mexica. Quindi si allearono agli Spagnoli dando loro un fondamentale appoggio, come si vede anche nel racconto, in cui i costumi dei Tlaxcaltechi, così come quelli degli Aztechi, sono riprodotti esattamente come appaiono nei codici illustrati del XVI secolo.


Frontespizio del Codice Mendoza, 1541


Del resto tutta la documentazione di Enoch anche su questo albo è come d’abitudine accuratissima, sia nella descrizione di usi e costumi dei Mexica che nell’uso di termini e nomi nella loro lingua, il náhuatl. L’autore ha ripreso fedelmente abiti, acconciature, manufatti, armi e architetture da reperti e testimonianze storiche giunte fino a noi grazie a memorie e codici redatti sia da autori indigeni che dai colonizzatori spagnoli, quasi che alcuni di questi, come Bernal Díaz del Castillo che appare nell’albo, si fossero pentiti della distruzione da loro apportata ai danni di un’intera cultura e cercassero, seppur tardivamente, di perpetuarne la memoria. 
Possono così essere qui accuratamente riprodotte le vesti dei vari ordini militari dei Mexica, come le pelli maculate dei guerrieri-giaguaro o le penne intessute dei guerrieri-Aquila, insieme agli scudi, che ora sono fatti di ferro anziché di legno ma sono sempre contrassegnati dalle insegne totemiche dei vari clan, o agli elaborati stendardi composti da penne multicolori. L’autore inventa anche delle bardature immaginarie, anch’esse ornate di penne, per gli allora inesistenti cavalli che ora rendono possibile anche un ordine di guerrieri-cervo, cioè di cavalieri. Non mancano naturalmente neanche le tipiche e originali armi azteche, come i macana, una specie di grossi manganelli di legno, le teputzopilli, delle lance lunghe due o tre metri ornate di piume e colori, o le maquauhuitl, una specie di asce dal lungo manico di legno, la cui parte arcuata qui è interamente fatta di ferro anziché essere solo irta di lame d’ossidiana come nella realtà storica.

Aztechi con scudi di ferro (pag. 95)






In molte scene troviamo anche una precisa e dettagliata ricostruzione della capitale azteca di Tenochtitlán, in cui si svolge buona parte del racconto e che, poiché oggi al suo posto sorge Città del Messico, può essere qui riprodotta a somiglianza dell’originale proprio grazie alle incisioni realizzate in passato dagli europei.
Tra i monumenti della città spicca il teocalli (tempio degli dèi), il grande santuario piramidale su cui si celebravano i sacrifici umani, sormontato dai templi dedicati rispettivamente al dio della pioggia Tláloc (Colui che Fa Crescere) e al già citato dio supremo Huitzilopochtli, ed è vero, come si vede qui, che gli Spagnoli furono sconvolti dalla vista del sangue umano incrostato che ricopriva idoli e pareti dei templi aztechi.
In una delle scene finali del fumetto si vede anche la grande pietra rotonda con scolpita in rilievo l’immagine smembrata di Coyolxauhqui (Volto Dipinto a Sonagli), la dea della Luna che nei miti aztechi fu fatta a pezzi dal dio del Sole Huitzilopochtli, un reperto riportato alla luce solo nel 1978 scavando alla base della piramide.

Guerrieri aztechi (pag. 106)


Anche lo tzompantli, il muro dei teschi raffigurato nell’albo, in cui si conservavano le teste delle vittime sacrificali infilate in pali orizzontali, esisteva davvero nelle città azteche ed è raffigurato nei codici antichi.
La quetzalapanecayotl, ovvero la corona di piume di uccello quetzal, indossata da Motecuhzoma in una scena in cui riceve gli Spagnoli, è invece stata chiaramente ripresa da quella analoga che probabilmente l’imperatore mexica donò a Cortés e questi al re di Spagna Carlo V, poi conservata in un museo di Vienna.
L’autore rappresenta Motecuhzoma in modo verosimile, con un abbigliamento fedele ai suoi ritratti più noti, raffigurandolo come un sovrano raffinato e sensibile come sembra fosse anche nella realtà, che si dedica a dissertazioni filosofiche prendendosi cura degli uccelli dei suoi serragli e che è convinto dell’ineluttabilità del destino, una fissazione comune a vari popoli precolombiani, ma che, come nelle storie tramandate su di lui, è anche molto insicuro e indeciso sull’atteggiamento e i provvedimenti da prendere riguardo agli invasori. 


Hernan Cortés. Ritratto del XVII secolo


Hernan Cortés e Pedro de Alvarado (pag. 64)

 
Enoch dà un volto anche a molti altri personaggi reali, come la donna azteca battezzata dagli Spagnoli Doña Marina, che per odio verso l’aristocrazia del suo popolo che l’aveva venduta come schiava, divenne davvero l’interprete, la guida e l’amante di Cortés, per cui i Mexica la chiamarono Malintzin (Lingua), nome poi reso in spagnolo come La Malinche, che riferendosi a una traditrice assunse il senso spregiativo di Malalingua.
Ha un ruolo di rilievo nella storia anche il vero luogotenente di Cortés, Pedro de Alvarado, qui raffigurato come un arrogante soldato senza scrupoli, che storicamente a Tenochtitlán massacrò seicento Mexica per derubarli dei loro ornamenti d’oro, una strage che qui non farà in tempo a commettere poiché sarà il primo a cadere vittima di Lilith. Al contrario Bernal Díaz del Castillo, altro avventuriero al seguito di Cortés, è qui descritto come il più compassionevole e umano della spedizione e nelle sue memorie descrisse realmente le meraviglie dell’impero mexica, anche se a causa di Lilith avrà ora da raccontare una storia ben diversa.

Lilith sacrifica Alvarado (pag. 102)


Tra i personaggi storici più importanti di Tenochtitlán, appaiono invece il fratello e il nipote di Motecuhzoma, Cuitlahuac e Cuauhtémoc, che nel rapido susseguirsi degli eventi reali sarebbero diventati, uno dopo l’altro, i nuovi Uei Tlatoani dopo di lui, entrambi opponendosi fieramente ai conquistadores. I due, in quanto parenti stretti dell’imperatore in carica, rivestono qui le funzioni di capi militari e anche in questa storia si dimostrano altrettanto decisi e ostili verso gli invasori bianchi come lo furono nella realtà, ma non dovranno sostituire così presto l’illustre parente, che grazie all’assistenza e ai consigli di Lilith potrà vivere molto più a lungo.


Spagnoli e Tlaxcaltechi massacrano i Mexica


L’autore cita naturalmente anche episodi storici, come la strage di migliaia di Mexica compiuta dagli Spagnoli e dai loro alleati nella città santa di Cholula, ironicamente dedicata proprio a quel dio Quetzalcóatl con cui molti Aztechi identificavano Cortés. Ai fatti storici però si alternano qui delle piccole e determinanti modifiche immaginarie al corso degli eventi, a causa di Lilith che più che da eroina funge da vero e proprio deus ex-machina della situazione. Una delle più rilevanti è che Lilith sventa il tentativo di Cortés di prendere prigioniero Motecuhzoma come ostaggio. Nella realtà tale tentativo riuscì in pieno, anche perché lo stesso imperatore, convinto che Cortés fosse l’antico dio Quetzalcóatl di ritorno in patria, lo aveva accolto sottomettendosi alla sua autorità e si era quindi già messo totalmente nelle sue mani. Qui invece, per sua fortuna, c’è la “dea” Lilith a consigliare Motecuhzoma per il meglio e a impedirgli di fare simili sciocchezze. Probabilmente si deve ai suoi consigli anche il divieto di far entrare i vendicativi nemici Tlaxcaltechi nella capitale insieme agli Spagnoli, un altro terribile errore che nella realtà l’ingenuo Motecuhzoma commise. 

Tenochtitlan vista da Tlaltelolco. Affresco di Diego Rivera, 1945

Drakkar aztechi (pag. 61)

 
Per evocare la maestosità della capitale mexica che i conquistadores si trovano di fronte, tra l’altro Enoch attua una piccola innovazione grafica, almeno per l’ambito dei fumetti Bonelli, usando due larghe vignette disposte su due pagine. La prima rappresenta l’isola in mezzo al lago di Texcoco su cui sorgono la capitale politico-religiosa di Tenochtitlán e la città-mercato di Tlaltelolco, unite alla terraferma da lunghi piani rialzati e circondate da moltissimi giardini galleggianti. Una novità rispetto alla città di México storica è che nel lago, oltre a piccole canoe azteche, ci sono anche grosse barche a vela costruite sul modello dei drakkar vichinghi. Benché anche qui, come nella realtà, agli Spagnoli sia permesso di istallarsi nel palazzo di Axayácatl, grazie all’intervento di Lilith la loro permanenza a Tenochtitlán si concluderà però in un modo abbastanza diverso. 


Il lago Texcoco (pagg. 54/55)



I giardini galleggianti di Tenochtitlan

 
Il solo provvisorio vantaggio che i pochi soldati di Cortés mantengono in questo racconto, rispetto ai milioni di abitanti del Messico che hanno l’ambizione di sottomettere, è il possesso delle armi da fuoco. Nella vera Storia delle Americhe, fu uno degli elementi che assicurarono loro la vittoria. Infatti anche se, dopo aver sopportato per un po’ la dittatura e i saccheggi dei conquistadores, i Mexica reagirono alla strage compiuta da Alvarado e cacciarono gli invasori uccidendone un gran numero, ciò non bastò a metterli al sicuro. Cortés fuggì a Tlaxcala, che continuò a dargli protezione e sostegno, avvantaggiato dal fatto che quasi nessuno degli altri popoli indigeni dette aiuto agli oppressori Mexica, ma al contrario si unirono in gran numero agli Spagnoli contro di loro. Come se non bastasse, un’epidemia di vaiolo, portato da uno schiavo cubano e diffusosi in tutto il Messico, ridusse enormemente la popolazione azteca. Cortés, con una nuova armata di seicento Spagnoli e centomila Indiani, poté così assediare Tenochtitlán, portando nel lago di Texcoco che la circondava tredici brigantini armati di cannoni che la bombardarono senza sosta, mentre i suoi alleati controllavano le rive, finché dopo vari assalti la città cadde nonostante l’eroica resistenza dei Mexica.

Tenochtitlan (pag. 30)



Il teocalli di Tenochtitlan. Ricostruzione in un'antica incisione


Ma nella storia di Lilith, a parte qualche cannonata che uccide un certo numero di Aztechi, non si verifica niente di tutto ciò, anche perché l’uso dei cavalli e delle armi di ferro permette ai Mexica di esercitare un potere molto più saldo sugli altri popoli dell’impero. Ma soprattutto i contatti coi Vichinghi provocati da Lilith secoli prima hanno ormai fornito agli antichi Messicani gli anticorpi per il vaiolo e altre malattie portate in America dagli Europei, quindi questa volta non si diffonde nessuna epidemia. Inoltre l’aver separato gli Spagnoli dai loro alleati indiani fa sì che qui i Mexica debbano affrontare solo pochi uomini e sarà quindi molto difficile che questa volta Cortés possa uscire dalla situazione disperata in cui si è cacciato.
Nella realtà storica invece la caduta di Tenochtitlán fu uno dei primi atti dell’immensa ecatombe, provocata dall’invasione compiuta nel nome del dio e dei re di Spagna, che in un secolo portò alla morte di qualcosa come ventiquattro milioni di persone nel solo Messico. Infatti anche i popoli che si erano rifiutati di aiutare i Mexica, uno dopo l’altro furono a loro volta massacrati e/o sottomessi dai conquistadores aiutati dai fedeli Tlaxcaltechi, oltre che decimati più volte da altre pestilenze di vaiolo, morbillo o influenza che l’arrivo degli Spagnoli diffuse nel paese. 

L'arrivo di Cortés sulla costa. Affresco di Diego Rivera, 1949

 
Una fondamentale differenza tra le due culture, stava nel modo stesso di concepire e combattere le guerre.
Come sottolineato all’inizio di questa storia, pare che i Mexica, nel compiere sacrifici umani, fossero davvero candidamente convinti di obbedire al disegno superiore della volontà divina e che le vittime sarebbero state accolte in una prateria celeste chiamata la Casa del Sole, per reincarnarsi dopo quattro anni sotto forma di colibrì o farfalle. Credevano addirittura di fare l’interesse anche dei popoli da cui prendevano i prigionieri da sacrificare, perché ritenevano di assumersi responsabilmente il compito di impedire la distruzione del mondo. I Mexica si erano convinti del tutto che i sacrifici umani servissero a placare gli dèi e ottenerne il favore un secolo prima, dopo aver avuto l’impressione che avessero messo fine a un periodo di calamità e carestie protrattosi per quattro anni e da allora ne avevano incrementato enormemente il numero.
In Lilith n°13, la protagonista deve comportarsi proprio come i Mexica per salvare l’umanità. Non potendo individuare con precisione il parassita alieno a cui dà la caccia, qui è infatti Lilith a compiere l’asportazione del cuore di centinaia di prigionieri spagnoli, portati ancora vivi in cima al teocalli di Tenochtitlán. Era questa una tecnica che i Mexica appresero dai Toltechi due secoli prima e che attuarono davvero anche su alcune decine di Spagnoli, catturati sia durante la cacciata di Cortés che nel successivo assedio di Tenochtitlán.




Per estrarre gli organi cardiaci, Lilith, per nulla entusiasta di ciò che fa ma che come gli antichi Messicani ritiene d’esservi costretta per un bene superiore, non usa la tradizionale lama di pietra vulcanica ma solo i propri affilatissimi artigli, dimostrando ulteriormente ai Mexica di essere davvero la dea fatta di ossidiana.
Tra l’altro vediamo qui la pratica rituale più comune usata nei sacrifici umani aztechi, con quattro o cinque sacerdoti che tenevano la vittima per le braccia e le gambe, mentre un altro ne asportava il cuore. Anche il modo di raffigurare i sacerdoti, con lunghi abiti di panno nero e capelli molto lunghi e arruffati, è fedele a come li descrive Bernal Díaz, come il fatto che erano macchiati di sangue. Un dettaglio che Enoch interpreta disegnandoli con la pelle interamente nera, come fossero ricoperti di sangue rappreso dalla testa ai piedi.
Dovendosi procurare sempre nuove vittime sacrificali, i Mexica non concepivano un conflitto a oltranza con cui sterminare i nemici fino all’ultimo e, per gli stessi motivi, anche gli altri popoli messicani tendevano a catturare i nemici vivi anziché ucciderli in combattimento, il ché era un altro vantaggio per i soldati europei. 

Pietra della dea Coyolxauhqui (pag. 119)

 
È più dubbio se gli Spagnoli, nel compiere i loro massacri, pensassero davvero di fare la volontà del loro dio, nel cui nome certi loro sacerdoti insegnavano che era lecito uccidere i non cristiani, come fa anche in questa storia un frate al seguito dei conquistadores. Se i Mexica erano convinti di uccidere per nutrire degli dèi con cui avevano instaurato un rapporto di dipendenza reciproca, gli Spagnoli sostenevano di uccidere per la vanagloria di un dio che non aveva bisogno di niente e di nessuno, ma che secondo loro voleva essere considerato l’unico a costo di far massacrare chiunque non credesse in lui, affinché l’intera umanità, ovvero quella superstite, gli si sottomettesse e gli obbedisse. Come qui dice Lilith a Motecuhzoma, mentre i Mexica, come gli antichi Romani, almeno rispettavano le culture e le religioni dei popoli che sottomettevano, accogliendone gli dèi nel loro pantheon e imponendo solo dei tributi, il dio degli Spagnoli e di altri popoli monoteisti prima di loro, esprimeva una precisa volontà di distruggere ogni cultura diversa sostituendola con la propria. Tale religione era usata come una scusa per acquisire ricchezza e potere a scapito di altri popoli.
Era in particolare ridicolmente arrogante la pratica del requerimiento, l’ingiunzione di cui i soldati spagnoli davano lettura, come si vede anche nell’albo, per sostenere le pretese del papa e dei re di Spagna di avere ogni diritto di dominio su quelle terre, prima di attaccare e massacrare senza pietà le popolazioni locali. 


La pietra della dea Coyolxauhqui nella realtà

 
Nella realtà storica, con tale estrema e opportunistica ipocrisia, gli Spagnoli colonizzarono tutto il Messico ribattezzandolo Nuova Spagna e sottomettendo quel milione di indigeni che di lì a un secolo sopravvisse alla strage, sia con la forza che col condizionamento della loro religione incentrata non a caso sull’obbedienza e la rassegnazione. I pochi superstiti di quei popoli che giustamente avevano voluto ribellarsi al duro dominio azteco, nel cambio quindi non guadagnarono granché, a parte la fine del rischio di poter essere sacrificati...
Forse i Mexica sopravvissuti trovarono nella comunione cattolica un soddisfacente sostituto simbolico del cannibalismo rituale, che secondo alcune testimonianze praticavano e a cui saggiamente Enoch fa solo un vago cenno, poiché in merito ci sono varie opinioni e non è del tutto sicuro in cosa consistesse esattamente.
Anche il fatto che forme di battesimo e confessione fossero già presenti nella religione mexica, o che il luogo di culto dell’antica Dea Madre Tonantzin sia stato semplicemente “re-interpretato” come il santuario cristiano della Vergine di Guadalupe, dovettero attenuare il trauma culturale e facilitare il nuovo indottrinamento religioso. Ma il motivo principale per cui molti superstiti dei popoli del Messico accettarono di convertirsi in massa al Cattolicesimo fu un altro. Credevano ingenuamente che quelle potenti divinità, che ai loro occhi avevano assicurato la vittoria agli invasori bianchi, avrebbero potuto in futuro favorirli allo stesso modo. 

Lilith come dea azteca (pag. 74)

 
Ovviamente non andò così. Dopo la conquista gli indios furono relegati alla più bassa condizione subalterna di asservimento. L’inevitabile mescolanza tra loro e gli spagnoli generò la classe intermedia dei meticci, ma per quattro secoli il potere restò in mano ai bianchi d’origine europea, ovvero ai creoli tra cui la componente meticcia era meno evidente. Dopo la rivoluzione del 1821, che portò all’indipendenza dalla Spagna, il paese riprese l’antico nome di Mexico, ma per i veri discendenti dei Mexica e altri popoli antichi non cambiò nulla.
Le cose iniziarono a migliorare per gli indios, che nonostante tutto sono riusciti a conservare parte della loro cultura e tradizioni, dopo la rivoluzione del 1910. Solo allora furono riconosciuti i loro diritti civili e la loro dignità di popoli, che oggi costituisce per il Messico una ricchezza e una fonte di coesione nazionale.
Questo racconto immaginario, in cui le cose vanno ben diversamente, può essere visto come una simbolica rivalsa dei Nativi Americani rispetto alle enormi ingiustizie da loro subite per secoli nella realtà, mentre nell’economia interna alla serie di Lilith, l’episodio potrebbe addirittura contribuire a cambiare radicalmente la Storia futura dell’intero pianeta, come potremo verificare leggendo i numeri successivi.

Lilith n. 13, novembre 2014. Disegno di Enoch


Lilith 13
LA GUERRA DEI FIORI
Novembre 2014
pag. 128, € 4,00 
Testi, disegni, copertina e rubriche: Luca Enoch
Formato: 128 pagine in bianco e nero


Andrea Cantucci


N.B. Trovate i link alle altre recensioni bonelliane sul Giorno del Giudizio

giovedì 27 novembre 2014

THE DARK SIDE OF TEX! "M", II PARTE: "MAÎTRE ANDRÉ" E "MAKANDRA"!

di Massimo Capalbo

Seconda parte, con altre due inquietanti voci, per la lettera M di The Dark Side of Tex, l'enciclopedia dei mostri affrontati dal Ranger e dai pards nel corso delle loro avventure. Ricordiamo che tutte le immagini di corredo al post sono state scelte dallo stesso Max Capalbo (autore anche degli altri due straordinari dizionari bonelliani di Dime Web, ovvero Zagor Monsters e L'Atlante di Mister No), eccetto quelle introduttive - tutte e tre firmate Pasquale Frisenda, "pescate in rete" e realizzate dall'artista fra il 2009 e il 2013. In questo caso i "colpevoli" sono i curatori che vi invitano a segnalarci al nostro indirizzo o tramite commento eventuali omissioni o inasattezze riguardanti le fonti! (s.c. & f.m.)





LEGENDA 
  • I nomi in stampatello e grassetto rimandano a una voce dell’opera. Fanno eccezione i nomi del protagonista della serie, TEX, e quelli dei suoi pards – KIT CARSONTIGER JACKKIT WILLER - che sono sempre scritti in questo modo, tranne quando sono inseriti nei crediti di una storia o fanno parte del titolo di un libro (ad esempio: Atlante di Tex). 
  • Con l’unica eccezione di TÉNÈBRES, RAPHAEL, i personaggi dalla doppia identità sono stati indicati con la loro identità fittizia piuttosto che con il nome vero (ad es.:TAGLIATORE DI TESTE invece che BARRERA, JUANSVENTRATORE invece che BARLOW, SALLY).
  • Alcuni personaggi sono stati indicati con il soprannome piuttosto che con il nome vero (ad es.: COLORADO BELLE invece che MORROW, ALICEEL MORISCO invece che JAMAL, AHMED). Riguardo al citato EL MORISCO, la voce a lui dedicata è stata inserita sotto l’iniziale del soprannome vero e proprio – quindi la M -, invece che sotto la E, cioè l’iniziale dell’articolo. 
Per quanto riguarda la serie regolare, il titolo attribuito a ciascuna storia è tratto da uno degli albi che la compongono ed è quello, a nostro avviso, più rappresentativo, quello che meglio sintetizza la trama o che, rispetto ai titoli degli altri albi, richiama la storia alla memoria dei lettori in modo più efficace (anche se, in alcuni casi, il nostrotitolo non coincide con quello usato abitualmente dai lettori). Ad esempio, la storia dei nn. 265-268 viene indicata con il titolo del n. 267, Tex contro Yama, perché esso è, per l’appunto, più rappresentativo rispetto a L’ombra di Mefisto (n. 265), La strega (n. 266) e I Figli del Sole (n. 268).




Nota sui collegamenti ipertestuali

The Dark Side of Tex è un "lavoro in corso" che si svilupperà nei prossimi mesi, abbracciando numerosi post - uno per ogni lettera dell'alfabeto - fino ad arrivare alla conclusione. I collegamenti ipertestuali fra le varie voci non saranno dunque possibili tutti e subito... e vi spieghiamo subito perché! Collegheremo con link diretti ogni riferimento ad altre voci dell'opera partendo necessariamente dalle voci già apparse. Ci preme dunque ribadire e sottolineare che, non essendo possibile creare link a post futuri, ricostruiremo tutti i link a ritroso solo quando sarà possibile. I link saranno però sempre e soltanto fra URL diverse e non all'interno di uno stesso post. Vorrete perdonarci (e segnalarci!) eventuali errori e omissioni! I link - essendo come abbiamo detto sopra fra URL diverse - porteranno sempre e comunque all'inizio di un altro post e non esattamente alla voce di riferimento. Per facilitare fin dall'inizio l'uso dell'opera, abbiamo creato una pagina apposita di collegamenti alle varie voci, alla quale potete accedere dovunque siate, andando sotto al logo Dime Web: anche in questo caso il link vi porterà al post giusto, scorrendo il quale troverete in un attimo la voce cercata!







M2
MAÎTRE ANDRÉ
MAKANDRA


MAÎTRE ANDRÉ

Il malvagio hungan (sacerdote) VUDU che compare ne I ribelli di Cuba (G. Nolitta [sog.] – M. Boselli [scen.] – O. Suarez [dis.], Speciale Tex n. 24). Nell’incipit della storia, vediamo Maître André presiedere, nelle paludi intorno a New Orleans, a una cerimonia in onore del dio Legba. L’apparizione improvvisa di due enormi serpenti nel tempio spinge l’hungan a interrompere la cerimonia e a mandare via i fedeli: egli ha infatti capito – a differenza del suo braccio destro, il possente Zambo - che gli spaventosi rettili sono latori di un messaggio dei loa. Maître André sente una voce che gli parla nella mente e chiede ai serpenti se essi sono i messaggeri del dio Damballah o del dio Shangó. E’ in nome di Shangó, Mastro André, che ti rivolgiamo la richiesta… - rispondono i rettili - …confidando che sarà eseguita, in nome della nostra comune fede negli antichi dei della Guinea… La nostra voce ti arriva di lontano, dall’isola dove si pratica il culto della “santeria”… [Cuba, nda]. L’hungan dice di aver sentito parlare di un solo uomo capace di compiere un simile prodigio, ma i serpenti gli proibiscono di pronunciarne il nome, ricordandogli che possono punirlo con la morte.

Tex Albo Speciale ("Texone") n. 24, giugno 2010. Disegno di Suarez
Davanti allo sbalordito Zambo, Maître André parla con i mostruosi serpenti del dio Shangó – Speciale TEX 24, p. 22


Che cosa vuoi da me?, chiede allora Maître André, e i serpenti rispondono: Il fuoco scriverà un nome… …è lui che vogliamo!, dopodiché scompaiono, e una torcia, spezzandosi e cadendo sul pavimento del tempio traccia il seguente nome: Matt Picard. Questi è il figlio tredicenne di Henri Picard, ricco piantatore della Louisiana, nonché uomo di fiducia del Segretario di Stato americano. Picard, come tutto il governo degli Stati Uniti, simpatizza per gli indipendentisti cubani, a uno dei quali – il suo amico Rafael Serrano, anch’egli un grande proprietario - ha inviato segretamente in passato un carico di fucili e munizioni. Di questo invio di armi è venuto a conoscenza lo stregone cubano Rayado, che comanda una banda di ribelli. E’ proprio Rayado ad aver ordinato a Maître André, nel modo che abbiamo descritto in precedenza, di rapire Matt Picard, in modo da costringere suo padre a inviare anche a lui un carico di armi. Per eseguire il compito affidatogli dal potente stregone, Maître André entra di nascosto nella tenuta di Henri Picard e consegna a Etienne, l’anziano maggiordomo, un wanga. Terrorizzato dal feticcio (secondo le credenze VUDU, chi lo riceve deve per forza obbedire all’hungan, altrimenti verrà trasformato in uno zombi), Etienne consente agli uomini di Maître André di rapire il piccolo Matt, sul cui letto viene lasciato un messaggio per suo padre, recante i simboli della santería. Picard si rivolge pertanto al suo vecchio amico messicano Montales, che a propria volta chiama in aiuto l’amico fraterno TEX, il quale giunge alla tenuta due settimane dopo il rapimento. Picard mette al corrente il ranger, che nota fin da subito lo strano nervosismo di Etienne. Durante la cena, il sempre più teso maggiordomo rientra nella sua camera e scopre che la domestica, Mamie, ha trovato il wanga.

Il fuoco scrive sul pavimento dell’humfó il nome di colui che Maître André dovrà rapire - Speciale TEX 24, p. 24

Etienne riceve dall’hungan il sinistro wanga - Speciale TEX 24, p. 27


Disperato, Etienne confessa la verità alla donna e, afferrato un coltello, la immobilizza con l’intenzione di ucciderla: Trovandoti morta accanto al feticcio penseranno che sei stata tu… e che ti sei uccisa per il rimorso, tagliandoti la gola!. Interviene però TEX, il quale, oltre a salvare la povera Mamie, costringe il maggiordomo – che poco dopo si suiciderà con il suddetto coltello, chiedendo perdono a Picard - a rivelargli i nomi dei rapitori e del loro capo. Quella stessa notte, TEX e Montales, accompagnati da due fedeli guardiani di Picard: Roger e Martin, si recano al Vieux Lavoir, una locanda frequentata abitualmente da due dei rapitori, Lame Joseph e Zachary Dobbs. Quest’ultimo, malgrado venga pestato da TEX, non parla; il terrorizzato Lame Joseph, invece, accetta di condurre i Nostri al covo dell’hungan, ma viene ucciso dal già citato Zambo, che poi fugge. Ad aiutare TEX è un altro cliente della locanda, il vecchio Marcel, il quale vuole vendicarsi di Maître André perché questi, dopo aver accettato le sue offerte, non ha pregato i loa affinché guarissero sua figlia, che quindi è morta. Guidati da Marcel, TEX e Montales – a cui si uniscono due cacciatori Cajun conosciuti al Vieux Lavoir – si addentrano nelle paludi. Gli uomini di Maître André tentano di fermare i Nostri, ma vengono quasi tutti uccisi. Tra coloro che la scampano c’è Zambo, che corre ad avvertire l’hungan. Pochi minuti dopo, TEX arriva con gli altri al santuario VUDU e, incurante delle minacce di Maître André, profana il tempio a fucilate. Zambo, allora, gli si avventa contro con il suo coltellaccio, ma il ranger lo stordisce con il calcio del winchester. Sistemato il gorilla, TEX colpisce l’hungan per costringerlo a rivelare dov’è il ragazzo.  

Tex si occupa a modo suo di Maître André - Speciale TEX 24, p. 95

Le fiamme di Shangó avvolgono l’hungan - Speciale TEX 24, p. 97

Le ultime, importanti parole di Maître André - Speciale TEX 24, p. 99


Chi… chi me l’ha richiesto abita molto lontano…, risponde l’impaurito Maître André, e TEX capisce subito che si riferisce a Cuba. Il ranger, però, vuole informazioni più precise e, per ottenerle, colpisce nuovamente l’hungan, che a questo punto invoca l’aiuto di Shangó. Il dio si manifesta, ma invece di aiutare Maître André, lo punisce, facendo scoppiare un incendio nel tempio e avvolgendo tra le fiamme l’hungan. TEX trascina via Maître André, ma per lui resta poco da fare. Prima di morire, però, l’hungan dice al ranger di cercare tra gli insurrectos cubani il mayombero, cioè – come TEX scoprirà in seguito – lo stregone RAYADO.
Curiosità: In un passaggio della scena iniziale che non abbiamo riportato, i serpenti di Shangó definiscono Maître André (il cui nome nella storia viene a volte italianizzato in Mastro André) il più grande bokor del vudu di New Orleans. Come si legge a p. 26 della Guida a vudu e macumba (cit.), il bokor è un hungan o mambo dotato di grandi conoscenze ma privo di scrupoli, che non esita a servire il male e a rivolgersi ai loa diab [i loa malvagi della famiglia petro, nda (vedi LOA)]. Per quanto riguarda il VUDU di New Orleans, va detto che, sebbene sia meno famoso di quello haitiano, può però vantare una delle figure storiche più importanti della suddetta città, la mambo Marie Laveau (1801?-1881). Si tratta di un personaggio ben noto ai lettori di Zagor, avendo ispirato l’omonima e bellissima strega – creata proprio da Mauro Boselli – che nutre un debole per lo Spirito con la Scure (e viceversa). 


Un famoso bokor cinematografico: Dargent Peytraud (Zakes Mokae), villain principale de Il serpente e l’arcobaleno (Wes Craven, 1988)

Tarocchi vudu di New Orleans

Marie Laveau, la celebre Voodoo Queen di New Orleans


 
MAKANDRA

I bellicosi cavernicoli che compaiono nella seconda parte de Le Terre dell’Abisso (G. L. Bonelli [sog.&scen.] – A. Galleppini [dis.], nn. 47-48). Barbuti, vestiti di pelli e armati di lance e mazze di pietra, i Makandra sono gli unici esseri umani che vivono nella valle ipogea esplorata da TEX, KIT e TIGER. I tre sono alla ricerca dei ragazzi indiani che, dopo essersi calati nella suddetta valle per procurare alla strega MAH-SHAI i fiori della magia, vi sono stati abbandonati. Di essi, l’unico sopravvissuto è un giovane Hopi chiamato Kotomi, il quale, giunto al villaggio dei Makandra viene accolto come un figlio dal capo Kador, che è privo di eredi maschi. L’inaspettata apparizione di Kotomi – ritenuta dai Makandra un dono del Dio del Fuoco al loro capo, che lo aveva a lungo implorato - mette in allarme il fratello dello stregone, il perfido Gorka, il quale contava proprio sulla mancanza di eredi maschi di Kador per succedergli nel comando. Dopo aver tentato invano di eliminare Kotomi (tentativi fatti passare per incidenti, giacché tra i Makandra il figlio del capo è sacro), Gorka, in combutta con Uktar (il fratello stregone, appunto), avvelena Kador e accusa Kotomi dell’omicidio. I due malvagi fratelli intendono sottoporre il giovane pellerossa alla prova della verità, che consiste nel far bere un filtro - preparato appositamente dallo stregone - all’accusato: se questi sopravvive, è considerato innocente; se invece muore (tra atroci spasmi), è considerato colpevole.


Tex n. 48, ottobre 1964. Disegno di Galep


Kotomi racconta ai pards l’esperienza vissuta tra i Makandra – TEX 48, p. 32

Malgrado l’avvertimento di Kotomi, Gorka ordina ai suoi guerrieri di attaccare - TEX 48, p. 37


Per sua fortuna, Kotomi gode della simpatia della sorella minore di Gorka, la graziosa Moya, la quale lo avverte di nascosto, rivelandogli che Uktar, d’accordo con il cospiratore, ha preparato per lui un filtro mortale. Ciò consentirebbe a Gorka di diventare l’incontrastato capo dei Makandra. Per evitare di bere il veleno, Kotomi fugge assieme a Moya; il suo preciso intento è raggiungere la superficie attraverso un passaggio che si trova oltre le grotte del Dio del Fuoco. I due giovani vengono però catturati dai guerrieri di Gorka e condannati a morte, ovvero legati a una zattera e lasciati alla mercé dei mostri che popolano il lago sotterraneo. A salvarli da questa terribile sorte sono i tre pards, ai quali poi Kotomi racconta tutto ciò che gli è capitato dal momento in cui è stato abbandonato nella valle da MAH-SHAI. Accortisi di quanto avvenuto, i Makandra, guidati da Gorka, assalgono i Nostri, ignorando l’avvertimento di Kotomi, il quale - su ordine di TEX – dice loro che i tre stranieri possiedono il tuono che uccide (atu sakamo nella lingua dei cavernicoli), cioè i fucili. Vedendo saettare le lance dei Makandra, i pards aprono il fuoco: la prima fila degli assalitori viene falciata e gli altri, spaventati, si danno alla fuga. Nello stesso momento, però, i Nostri vengono attaccati dai GRANCHI GIGANTI e sono costretti anch’essi a fuggire, proprio in direzione del villaggio di Gorka e compagni. Durante la fuga, le acque del lago cominciano a ribollire, e il fumo raggiunge le capanne dei cavernicoli. Il Dio del Fuoco è in collera con i Makandra!, esclama uno di essi, e Uktar aggiunge: Il Dio del Fuoco è in collera perché gli uomini del tuono che uccide hanno impedito il sacrificio agli spiriti delle acque! [lo stregone si riferisce ovviamente alla condanna inflitta a Kotomi e Moya, nda]. Si fa sentire anche Gorka: Avete inteso le parole del grande Uktar?... I Makandra periranno tutti se non uccideranno gli invasori. Seguitemi!... Ci apposteremo fra le rocce vicine all’inizio del sentiero e, quando saranno a tiro, le punte delle nostre lance berranno il sangue degli uomini del tuono!.


I tre pards respingono il primo assalto dei Makandra - TEX 48, p. 38

Kit uccide lo stregone Uktar – TEX 48, p. 51

Investiti dal piombo dei pards, i Makandra sono costretti a rifugiarsi nelle loro capanne - TEX 48, p. 52


TEX e gli altri però, giunti in vista del villaggio, non cadono nella trappola dei Makandra, i quali sono costretti a venire allo scoperto. Incitati da Gorka, i cavernicoli vanno nuovamente all’assalto dei Nostri, che ancora una volta li respingono a colpi di winchester, uccidendone più di prima. Falciati dal tiro micidiale dei pards, i Makandra – compreso lo stesso Gorka – indietreggiano terrorizzati. A questo punto, Uktar, che era rimasto al riparo di un enorme feticcio di pietra, si mette a battere il tamburo della magia, allo scopo di spingere i suoi compagni a tornare all’attacco. Come spiega infatti Kotomi a TEX, coloro che morranno mentre rulla il tamburo della magia rivivranno in eterno nel paese degli dei!. A far cessare il suddetto tamburo, che ha galvanizzato i cavernicoli, ci pensa KIT, che uccide lo stregone con una fucilata, per poi far fuoco - assieme a TEX e TIGER - contro il grosso dei Makandra. Costoro, dopo aver lasciato sul terreno altre vittime, gettano le armi e si rifugiano nelle loro capanne. I tre pards ne approfittano e, guidati da Kotomi e Moya, s’incamminano con loro verso le grotte del Dio del Fuoco, lungo una pista che serpeggia tra enormi sculture di pietra e che sbocca davanti a una spettacolare città morta: quanto rimane dell’antichissima civiltà da cui discendono i Makandra. Diavolo!... – esclama TEX, impressionato dalle rovine - Gli uomini che sono stati capaci di costruire una simile città dovevano aver raggiunto un considerevole progresso. KIT, anch’egli affascinato dalla città morta, dice al padre: Hai notato la grande piramide al centro?... Ricorda un po’ gli antichi templi aztechi.
I Nostri attraversano le millenarie rovine, ma, all’improvviso, la terra comincia a tremare: è l’inizio di uno spaventoso cataclisma. Dal lago si sollevano colossali onde che si abbattono sul villaggio dei Makandra, i quali tentano invano di fuggire. Alla fine, solo i tre pards si salvano: Moya, infatti, rifiuta di entrare nelle grotte de Dio del Fuoco (considerate tabù dal suo popolo) e Kotomi decide di restare accanto a lei. E’ veramente toccante l’immagine dei due giovani amanti che, stretti in un ultimo abbraccio, vengono ingoiati dalle acque. 

La spettacolare città morta, edificata dagli antenati dei Makandra - TEX 48, p. 54

La drammatica fine dei cavernicoli - TEX 48, p. 56

Le acque si abbattono sulla città morta e ingoiano Kotomi e Moya – TEX 48, p. 58

Curiosità: Se sostituissimo la a finale con una e, il nome Makandra diventerebbe l’anagramma di Mandrake, il celeberrimo mago creato nel 1934 dai fumettisti americani Lee Falk e Phil Davis. Può darsi che la cosa sia casuale, ma siamo propensi a credere il contrario, giacché – come già abbiamo scritto nell’Introduzione – non solo GL apprezzava Mandrake, ma Galep ebbe anche l’occasione, nel 1948, di disegnare alcune sue storie per la casa editrice Nerbini. Tornando ai Makandra, è davvero sorprendente che questa tribù così primitiva discenda da una civiltà che invece, come dice TEX, doveva essere molto progredita. Gli aggressivi, ma in fondo simpatici, cavernicoli costituiscono quindi un eclatante esempio di involuzione: basti solo confrontare le loro rozze capanne con la piramide in stile azteco costruita dai loro antenati, per non parlare delle altre spettacolari vestigia della città morta. Forse distrutta, a suo tempo, da un cataclisma simile a quello che nel finale della storia la spazzerà via definitivamente, la suddetta città è una sorta di Atlantide del sottosuolo. D'altronde, questa seconda parte de Le Terre dell'Abisso rientra a pieno titolo nel genere della valle perduta, i cui elementi tipici sono, per l'appunto, antiche e misteriose civiltà, popoli preistorici, dinosauri e altre mostruose creature. Tra le principali opere appartenenti a questo fortunato genere, troviamo - oltre naturalmente al romanzo che ha ispirato GL: Viaggio al centro della Terra (1864) di Jules Verne -, Il mondo perduto (1912) di Arthur Conan Doyle, la saga di Pellucidar (1914-1963) di Edgar Rice Burroughs e La terra dimenticata dal tempo (1924), sempre di Burroughs. 

Il Mandrake disegnato da Galep nel 1948

Copertina della recente edizione Bompiani del romanzo di Arthur Conan Doyle Il mondo perduto (1912)

I cavernicoli del film La terra dimenticata dal tempo (Kevin Connor, 1975), tratto dall’omonimo romanzo del 1918 di Edgar Rice Burroughs.


Massimo Capalbo


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