lunedì 11 novembre 2013

GLI INDIANI, I PRIMI AMERICANI! GLI UOMINI BIANCHI SONO SOLTANTO I NUOVI VENUTI! LA STORIA DEL WEST by WILSON VIEIRA. V PARTE.

Con questo avvincente, appassionante ed esauriente saggio sugli Amerindi, sul loro rapporto con la natura - in special modo con il bisonte - e sui contrasti con l'invasore anglosassone, siamo arrivati alla quinta parte della Storia del West scritta da Wilson Vieira, sceneggiatore e disegntore brasiliano di fama internazionale che tra gli anni '70 e '80 realizzò in Italia per la Bonelli - all'interno dello Staff di If - alcune storie del Piccolo Ranger: potete leggere notizie più dettagliate sulla sua biografia artistica andando sulla pagina dei collaboratori!
Le illustrazioni di corredo sono state scelte personalmente da Wilson: noi abbiamo aggiunto solo i riferimenti iconografici bonelliani. (s.c. & f.m.)

di Wilson Vieira 





Quando Cristoforo Colombo, nel corso del suo secondo viaggio, toccò nel 1493 le nuove terre, diede agli indigeni che incontrò il nome di Indiani, poichè credeva di aver raggiunto le Indie. I Francesi, che in seguito visitarono il nuovo continente, chiamarono i nativi "selvaggi" o "pellerossa" - a torto, in quanto la loro pelle aveva piuttosto un colore bruno. Nonostante il trascorrere degli anni i due termini "indiani" e “pellerossa” sono rimasti e i primi abitanti del continente americano vengono tuttora chiamati cosí. Gli Indiani stessi, per definirsi, non hanno un termine particolare: le tribú, riferendosi alle altre tribú, usano semplicemente i termini di Popolo o di Uomini.
Però questi Uomini, indiani o pellerossa, chi sono in realtà?
Un giorno, a Parigi, mentre uno storico visitava il Museo del Louvre con l’amico Indiano Acoma del New Mexico, Bleu Sky Eagle, orafo del suo Stato, quest'ultimo rimase quasi inchiodato per la sorpresa davanti ai gioielli dei Faraoni esposti nelle sale Egizie, e disse: Queste turchesi, che da noi sono considerate pietre sacre, quelle collane e questi braccialetti rassomigliano stranamente a quelli che facciamo noi. Poi, dopo aver riflettuto, l’indiano aggiunse: Dopotutto non vi è nulla di straordinario. Non si disse forse che noi Indiani veniamo dalla Palestina? Un discendente di Noè avrebbe preso posto con i suoi su un’imbarcazione di papiro che, spinta dai venti e trascinata dalle correnti, avvrebe toccato terra sulle coste di un continente molto lontano, l’America.
Questa è una supposizione, ma ce n’è un’altra, considerata dagli studiosi e dagli etnologi come l’unica vera risposta alla domanda che ci poniamo. Gli Indiani d’America sarebbero originari dell’Asia.
15.000 anni fa, o 40.000 secondo alcuni, durante l’ultimo periodo glaciale, quando un enorme guscio di ghiaccio ricopriva la calotta del globo terrestre fino al 30° meridiano, alcuni uomini, vestiti di pelli d’animale, giunti da diversi punti dell’Asia, avrebbero attraversato il ponte di ghiaccio che copriva lo Stretto di Bering, unendo la punta Est dela Siberia all’estremità Nord-Ovest del continente americano. Le terre che essi incontrarono nelle prime tappe del loro viaggio erano inospitali: dappertutto solo immensi campi di ghiaccio.




Continuando la loro avanzata arrivarono alle Montagne Rocciose e si divisero in due gruppi. Il primo, scendendo verso Sud fra le montagne e la costa dell’oceano, arrivò fino all’attuale Messico, seguí la Cordigliera delle Ande e si disperse nell’immenso continente Sudamericano. Il secondo, andato verso Est, occupò le terre che oggi formano il Canada e, un pó piú a Sud, gli Stati Uniti: secondo le loro preferenze, si stabilirono nelle diverse regioni fra i due oceani.
I ghiacci, sciogliendosi, lasciarono il posto a ridenti vallate percorse da fiumi, ad alte montagne, a profondi canyon, a pianure verdi di pascoli dove gli Indiani trovarono abbondante selvaggina, mammuth, antilopi, cavalli selvatici, alci; felini giganteschi e orsi dalle proporzioni incredibili popolavano le foreste. Nelle pianure scorrazzavano branchi di lupi e transitavano mandrie di bisonti. Nei fiumi vivevano grandi rettili, con moltitudini di pesci e di castori.
Finché molto, molto tempo dopo, sorgono le cinque categorie degli grandi famiglie indiane conosciute: Indiani delle Foreste e dei Laghi, Indiani delle Pianure del Sud, del Sud-Est e infine del Sud-Ovest.


Tex n. 50, gennaio 1965. Disegno di Galep.


Gli etnologi hanno suddiviso gli Indiani in dodici famiglie distinte che spesso hanno numerose ramificazioni. A volte, queste famiglie passano da una categoria all’altra e si possono trovare tribú che, in seguito a una forzata migrazione, vivono in regioni distanti centinaia di miglia da quelle della famiglia da cui discendono. Ci sembra perciò piú logico incontrare gli Indiani una tribù per volta, secondo la regioni che essi abitano.
Gli Algonchini rappresentano una delle famiglie principali. Nel Nord-Est, lungo la costa atlantica, troviamo le tribú degli Abnaki, degli Algonchini, dei Delaware, degli Hatteras, dei Mahican, dei Massacchussetts, dei Mohegan (e non Mohicani), dei Micmac, dei Narraganset, dei Pennacooks o Merriamac, dei Penobscot, dei Pequot, dei Podunk, dei Potomac, dei Powhatan, degli Wampanoag, degli Ottawa, dei Chippewways e degli Irochesi (la Lega degli Irochesi composta da cinque nazioni civili: Mohawk, Cayuse, Oneida, Onondaga e Seneca).
Nei deserti e nei canyon del Sud la regione è prevalentemente formata da altopiani e da canyon; sulle rive dei fiumi, spesso asciutti, che vi attraversano, si trovano piccole strisce di terra fertile dove gli Indiani si dedicavano con successo all’agricoltura. Là sorgono i pueblo. La tribù principale del Sud-Ovest è quella degli Apaches, che discende dalla famiglia degli Algonchini. Essa si suddivide in numerosi clan ben definiti.




In Arizona si trovano i San Carlo, i Mescalero, i Jicarilla, i Gila, i Chiricahua, gli White Mountain, i Kiowa, i Lipans, i Coyotero, gli Zunis (famiglia degli Zunian) e i Navajo.
Nelle pianure del Mississippi e nelle paludi dela Florida si trovano i Natchez, i Cherokee, i Chocktaw, i Chickasaw, i Creeck e i Seminole.
I cacciatori nomadi delle Grandi Pianure erano i Sioux, i Kiowa, gli Otis, gli Omaha, i Biloxi, i Catawba, i Quapaw, i Tuledos, gli Winnebago, gli Osages, gli Assinobini o Stoney, i Dakota Orientali, i Santee, gli Yankion, i Teton, (questi ultimi sono ulteriormente suddivisi in gruppi: i Black Feet, i Brulé, gli Hunkpapa, i Minniconjoux, gli Ogalas, i Sans Arc, i Two Kettle, i Mandans, gli Shoshoni, gli Ute, i Paiute, i Digger, i Comanche, i Cheyenne, gli Arapahoe, i Bannock, gli Hopi, i Chembuevi, i Nez Percé, i Têtes-Plate, i Peuds d’Oreille, i Coeur d’Alene, i Muskhogean e i Salishans).



Lungo il Pacifico - dall’Alaska alla California - si trovano i Costanoan, i Maidus, gli Wintu, i Liwok, gli Yotuk, i Modoc, i Chinook, i Muskholean, i Clatsop, i Tlingit, gli Eschimesi, gli e gli Aleutini.
Quando i pellerossa incontrarono i bianchi per la prima volta, li accolsero con franca cordialità. Per loro si trattava di creature venute da un altro mondo.





Quando Meriwether Lewis (1774 – 1809) e William Clark (1770 – 1838) intrapresero, nel 1805, il loro primo viaggio di esplorazione verso Ovest, furono ben accolti dagli indiani che vivevano sulle rive del Missouri. Dopo aver passato l’inverno in loro compagnia a Fort Mandan, con la primavera si rimisero in cammino guidati da un’indiana Shoshone, Sacajawea (Donna Uccelo), che li presentò alle tribú vicine. Con qualche rara eccezione, i contatti con gli Indiani furono sempre molto cortesi, ma in seguito - e spesso per colpa dei nuovi venuti - i rapporti si guastarono degenerando in litigi e guerre.




Alcune tribú, fino ad allora alleate dei Francesi e degli Inglesi - e poi degli Americani, si ribellarono ai loro antichi alleati.
In generale gli Indiani non avevano nomi precisi per indicare i bianchi: la definizione "visi pallidi" è stata introdotta dai bianchi stessi per distinguersi dai pellerosse. Alcune tribú chiamarono i visitatori riferendosi a un dettaglio che avevano osservato al momento del loro primo incontro: il modo in cui erano vestiti, le loro barche, le loro armi e anche la merce che avevano portato com sé. Molte tribú usavano un termine speciale per precisare che la pelle dei ianchi era piú chiara della loro. Gli Arapaho chiamarono i nuovi venuti “capelli gialli” o “pelle bianca"; altri li indicarono come “gli uomini del sale”, cioè del mare. I Navajo usavano il termine balagana, che era il loro modo di pronunciare la parola spagnola americano. Gli Irochesi, pur facendo allusione al colore chiaro dela pelle, usavano un’espressione che significava “colui che costruisce i carri”; altri dicevanoinvece  “il popolo dela luce del mattino” e anche i “grandi coltelli”. Per i Kiowa l’Uomo Bianco era “colui che ha la bocca pelosa” o “le orecchie che puzzano”; i Comanche lo consideravano “l’uomo venuto dall’Est”, per i loro vicini, i Sioux, i bianchi erano “i costruttori di ferro”, “il popolo ricco” e ancora i “grandi coltelli”. L’espressione “lunghi coltelli” era usata dagli Indiani della costa atlantica per indicare i primi coloni americani, mentre gli Inglesi che li avevano preceduti erano “gli uomini vestiti”.
Negli anni intorno al 1845, precisi trattati fra il governo di Washington e gli Indiani avevano portato alla creazione di una Riserva Indiana nella quale i bianchi non avevano accesso. Tuttavia gli Indiani avevano cominciato a conoscere il sapore della sconfitta già da quando, nel 1836, Samuel Colt (1814 – 1862) aveva inventato la famosa pistola a ripetizione che portava il suo nome.






Con la Colt .44 in pugno, per la prima volta nella storia del West, il soldato, il colono e il cowboy riuscirono a superare il ritmo di tiro permesso agli Indiani dall’arco con le frecce. Come se diceva allora erroneamente nel West, la Colt aveva reso tutti gli uomini uguali.
Fin dalle origini lo scalpo era entrato nei costumi delle tribú. Questa barbara usanza, tipica degli Irochesi, rimase per molto tempo sconosciuta nel New England e sulla costa dell’Atlantico. Gli Indiani delle pianure e della costa della California non la praticavano, ma la appresero quando i rappresentanti dei governi inglese, francese, spagnolo e olandese promisero ricompense per ogni indiano abbattuto. Furono organizzate allora delle vere e proprie battutte di caccia all’uomo e, poiché bisognava portare delle prove, si cominciò col presentare le teste dei pellerossa uccisi. Poi, dato che esse erano pesanti e ingombranti, ci si accontentò delle capigliature. Perciò gli Indiani feccero altrettanto e cominciarono a scotennare i loro nemici. Poteva succedere che un uomo a cui fosse stato tolto lo scalpo sopravvivesse... Se si trattava di un bianco diventava una specie di attrazione e traeva vantaggio dalla propria disgrazia; se si trattava di um Indiano, veniva invece considerato come un paria. Gli scalpi presi ai nemici, una volta seccati e decorati con piume e colori, ornavano gli scudi e i teepee dei vincitori. 







André Maurois (1885 - 1967), pseudonimo di Émile Solomon Wilhelm Herzog, nella sua Storia degli Stati Uniti (1492 – 1828 e 1829 – 1949), scrive: L’usanza di scotennare - ossia di strappare la cute del cranio e I capelli di un nemico - non era generalizzata in epoca Pre-colombiana. Gli Indiani delle Pianure preferivano addirittura decapitare i prigionieri, ma incominciarano a scottenarli quando le amministrazioni coloniali europee istituirono dei "premi di scalpo". Gli scalpi erano più leggeri, più facilmente trasportabili delle teste - dicevano loro.






Ma, scoperto l’oro nel West, i bianchi, violando i patti, attraversano sempre più numerosi i territori indiani, imponendosi con la violenza e decimando le mandrie di bisonti, fonte di vita per le tribú. Per un certo periodo il governo americano, allo scopo di impedire che gli Indiani vengano truffati da mercanti senza scrupoli, ha mantenuto nei vari territori degli agenti con l’incarico di fornire mercanzie in cambio di pellicce, senza alcun guadagno.
La storia e la leggenda si fondono nel descrivere la sanguinosa lotta fra le forze armate degli Stati Uniti e le popolazioni indiane, le quali spesso accettano deliberatamente lo sterminio anzichè sottomettersi alla volontà degli uomini bianchi.






Il mondo degli Indiani aveva soltanto una parola importante: "bisonte". Era un animale indispensabile agli Indiani delle Pianure che, senza di esso, non sarebbero potuti sopravvivere.





Il bison o buffalo, il gigante dei mammiferi americani, con una lunghezza di 2,6 – 2,9 m, coda esclusa, e un peso tra i 600 e i 1.000 kg, che un tempo abbondava nelle Pianure dell’Ovest (si pensa che ce ne fossero più di 60.000.000 di capi), forniva ai pellerossa tutto ciò di cui potevano aver bisogno per nutrirsi, per vestirsi, per confezionare migliaia di oggetti di prima necessità e anche per il combustibile con cui alimentare il fuoco. Per cacciare il bisonte, gli Assiniboini, i Blackfeet e i Creek non si servivono di armi; le altre tribú andavano armate solo di archi e di frecce. Molto spesso per la caccia gli Indiani si toglievano gli abiti portando soltanto un símplice perizoma. Ci fu un capo Kiowa, Katzatos (Scudo Affumicato), alto piú di due metri, che non riusciva a trovare una cavalcatura adatta alla sua statura; rincorreva allora i bisonti a piedi e li uccideva con la sua lancia.
Un esploratore che verso la metà del XIX secolo visitò le tribú dell’Ovest, mentre era ospite dei Kiowa, sentí un giorno raccontare questa leggenda.


Tex n. 521, aprile 2004. Disegno di Villa.

Il Grande Manitú piantò fin dal primo giorno, sulle rive di un grande fiume, l’Albero della Vita i cui rami salivano molto in alto verso il cielo. Lungo questi rami tutte le creature discesero sulla Terra. Gli ultimi a scendere furono gli Indiani, una coppia di Kiowa, un uomo e una donna che, passeggiando, ammiravano le meraviglie del Creato. Incontrarono il bisonte ed ecco che il Grande Spirito apparve e disse loro: “Questi sono i bisonti. Essi saranno il vostro cibo e vi procureranno di che vestirvi, ma attenzione: quando li vedrete sparire dalla faccia della Terra, saprete che per voi, i Kiowa, la fine sarà vicina e che per tutti tramonterà il Sole, per sempre”.
Una profezia che si sarebbe avverata, forse? L’esistenza del bisonte fu in effetti questione di vita o di morte per gli Indiani.






La scomparsa di questi animali, stoltamente massacrati dai bianchi che li cacciavano, sí per la loro carne e la loro pelle, ma che li abbattevano anche senza ragione, stupidamente - per farsi ritrarre o per dimostrare a un amico dalla piattaforma di un carro di essere un migliore tiratore di lui - segnò il destino dei pellerossa, come era stato profettizzato dalla leggenda Kiowa.
Gli Indiani ricavavano dal bisonte il loro cibo principale - una carne sana che tagliavano in striscioline sottili e facevano seccare al sole appena l’animale era stato abbattuto e tagliato a pezzi. Una parte di tali strisce veniva poi ridotta in polvere dalle donne in mortai di pietra. Questa polvere dava il pemmikan, che poteva essere conservato per molti mesi. Niente veniva sprecato. Tutto veniva accuratamente conservato: la carne ovviamente, ma anche le pelli, il pelo, le corna, le viscere, il cuore, il fegato, il cervello, i nervi e i tendini. Usavano persino il contenuto del ventre e i calcoli trovati nei reni o nella vescica che servivano per confezionare una tintura magica. A seconda dell’uso a cui veniva destinata, la pelle subiva trattamenti diversi. Il mantello era usato per confezionare vestiti e, nella stagione fredda, il pelo serviva da giaciglio, mentre la pelle serviva da coperta.





Anche il cuoio aveva usi e processi di lavorazione differenti. Ammorbidito veniva usato per confezionare mocassini, gambali per gli uomini e vestiti femminili. La pelli servivano anche per costruire i teepee (o wigwam) e, in questo caso, venivano riunite e cucite, sebbene vi fosse un inconveniente e cioè che i cani le laceravano.
Il pelo staccato dalla pelle serviva per imbottire la parte interna delle selle o cuscini, mentre i peli della barba del bisonte, molto ambiti, erano usati per fare dei pennacchi e guarnire gli scudi dei guerrieri. Il pelo intrecciato formava solide corde che si potevano ottenere anche con sottilissime striscioline di cuoio. Col cuoio si costruivano anche recipienti che venivano posti sul fuoco e servivano alla cottura dei cibi. I Mandan del Dakota facevano col cuoio delle piccole imbarcazioni rotonde, facilmente trasportabili, le bull-boat, che permettevano loro di attraversare piccoli corsi d’acqua. Col cuoio ricavato dal collo dei tori giovani si fabbricavano scudi abbastanza solidi da resistere a una pallottola di moschetto. Il cuoio piú largamente utilizzato dagli Indiani era il rawhide. La pelle tolta dall’animale veniva messa per terra e tesa con dei tenditori; allora le donne toglievano con raschietti quel che ancora rimaneva della carne e la pelle restava esposta al Sole per parecchi giorni. Una volta essiccata veniva messa, per quattro o cinque giorni, nel letto di un ruscello impetuoso o seppellita nel terreno dopo esser stata cosparsa di cenere di legna dalla parte del pelo, che, in questo modo, finalmente spariva. Questo cuoio era chiamato shaganappi o "acciaio indiano". Gli Indiani lo usavano per le impugnature delle armi da guerra, per le casse dei tamburi e per tutti gli oggetti che esigevano una certa solidità. La pelle grezza, una volta tolto il pelo e la lanuggine, serviva per confezionare una specie di scatola pieghevole o di sacco, chiamato parflèche, nel quale i pellerossa conservavano il pemmikan, mettevano i loro vestiti, i gioielli e altri piccoli oggetti.


Tex n. 315, giugno 1990. Disegno di Galep.



Le costole dei bisonti diventavano delle canne - delle specie di mazze da golf o piú esattamente da hockey - con le quali gli Indiani, d’estate sull’erba delle praterie e d’inverno sulle acque ghiacciate, si dedicavano a interminabili partite di lacrosse, il gioco piú in voga presso le tribú. Le costole piú piccole servivano per fare i pattini degli slittini usati durante l’inverno trainati da cani.
Gli zoccoli dei bisonti fornivano una spessa sostanza collosa, con la quale venivano fissate alle frecce, da una parte, le penne e, dall’altra, le punte affilate tagliate nella pietra o nel metallo. Il ventre veniva utilizzato per fare dei sacchi. Gli intestini, come i tendini della schiena, fornivano il filo per i lavori di cucito e le corde per gli archi. Arrotolati fra le dita, essi formavano delle corregge estremamente resistenti. Le corna di colore nero venivano trasformate in bicchieri e cucchiai: le piú belle servivano per decorare i copricapi dei capitribú e dei medicine-man. Certe corna di grandissime dimensioni potevano essere trasformate in archi; questa operazione richiedeva un’accurata preparazione.

Magico Vento n. 91, gennaio 2005. Copertina di Mastantuono.


Mescolato a un pezzo di fegato, il cervello dava una mistura molto utile per la conciatura delle pelli. Il sego era usato come burro per cuocere o come pomata per le malattie. Un oggetto abbastanza curioso veniva fabbricato con una parte della scapola: quando lo si faceva roteare velocemente, riproduceva in modo molto fedele il lugubre muggito del bisonte. Questo strumento musicale era usato quando gli Indiani eseguivano nelle cerimonie la Danza del Bisonte, accompagnati da flauti o da tamburi.
Come è naturale il bisonte aveva una parte importante anche nella religione dei popoli della Prateria; ai loro occhi il grande animale da cui dipendeva la vita della tribú rappresentava un sacro mistero. Spesso un accampamento veniva circondato da migliaia e migliaia di bisonti che poche ore dopo erano scomparsi: ci doveva essere qualcosa di soprannaturale in tutto ciò. E allora gli Indiani credevano in un grande Bisonte Invisibile che governava le mandrie, aveva pietà dei pellerossa quando morivano di fame o li puniva quando avevano commesso qualche colpa, facendo scomparire i branchi di animali. A questo unico, mitico bisonte - dal cui volere dipendevano la carestia e la prosperità - gli Indiani dedicavano preghiere e cerimonie. 



Sino all’ultimo bisonte...
Una fra le più tristi conseguenze delle grandi migrazioni verso l’Ovest è lo sterminio dei bisonti. Mandrie sconfinate, che a volte raggiungono 1.000.000 di capi, capaci di bloccare un treno per intere giornate, percorrono l’enorme territorio che si estende dal Great Slave Lake, in Canada, sino al Messico; dall’Oregon sino alla Pennsylvania. Nel loro spostamenti le tribú seguono le vie dei bisonti, che sono anche le più agevoli. All’inizio molti trattati regolavano il passaggio sia delle carovane di pionieri, sia degli eserciti di operai delle ferrovie.
Il colonnello William Frederick Cody (1846 – 1917) verso il 1865 ha l'incarico di uccidere 12 bisonti al giorno per nutrire gli operai della ferrovia Kansas-Pacific. Uccide migliaia di animali, per 50 dollari al mese, e si guadagna proprio lì il soprannome maledetto di Buffalo Bill. Il vero sterminio sistematico vdei bisonti ha però inizio nel 1870: in tre anni 5.000.000 di capi vengono uccisi dai cacciatori bianchi. Questa frenetica caccia all’animale durò dal 1868 al 1878. E verso il 1895, vittime assurdi massacri, erano praticamente scomparsi dal novero degli animali viventi.





Per il cowboy, il bisonte era solo una bestia che mangiava erba delle sue mandrie e atirava animali da preda: per forza ogni tanto li ammazzavano...

Gli Indiani delle Praterie, a loro volta, vedevano nel cowboy l’unico tipo di Americano degno di stima e lo chiamavano “fratello tra la sella e le nuvole”. A dire il vero, il cowboy americano, conosceva solo tre specie di Indiani e su questa base egli formulava le sue concezioni più o meno ingenue su di loro.
Conosceva le tribú nomadi delle regioni desertiche a Sud-Ovest (Sud-Ovest e Nord-Ovest del Texas), nel New Mexico, nello Utah, nel Nevada e in Arizona - e precisamente gli Apache, i Kiowa, i Mohave, i Navajo e gli Yuma. Poi c'erano le tribú civilizzate delle cinque grandi Nazioni del Territorio Indiano dell’Oklahoma, e cioè i Cherokee, i Chickasaw, i Choctaw, i Creeks e i Seminole - che abitavano in città e si erano dati una Costituzione sul tipo di quella americana. E infine le tribú nomadi a cavallo, cioè gli Arapaho, i Cheyenne e i Sioux, nonché quelle dei Comanche e dei Kiowa (che erano Apaches), distribuite tra i confini Canadesi e Messicani.
Raramente nascevano contese e ben poca era l’animosità tra le due parti, dal momento che tutto era perfettamente regolato. Perciò finchè un uomo, conscio delle sue prestazioni e della sua dignità interiore, si presentava come parte tra le parti non nascevano problemi di differenza di razza. 



Nel 1875 le pelli di bisonte hanno ormai invaso il mercato in quantità tale che il loro prezxo cala a un dollaro l’una. Una tonnellata di ossi viene venduta per 12 dollari. Fra 1868 e il 1881 se ne vendono 210.000 tonnellate. Per fare soltanto una tonnellata di ossi ci vogliano circa 100 bisonti. Il Governo non si oppone allo sterminio. Tra l’altro, come afferma nel 1878 il Segretario di Stato, si pensa che tutte le tribú potranno essere chiuse nelle riserve solamente quando l’ultimo bisonte sarà ucciso.

Lo scontro tra le due civiltà, quella degli Indiani e quella dei bianchi, è inevitabile e provoca vere e proprie, sanguinosissime guerre. La resistenza dei pellerossa venne spezzata soltanto quando dei 60.000.000 di bisonti che pascolavano un tempo nella Prateria, non ne rimasero che poche migliaia; quando le ferrovie, le strade e soprattuto il telegrafo, permisero una maggiore mobilità alle truppe, che poterono così intrappolare e affrontare in campo aperto le varie tribú. Gli Indiani difendono la loro libertà e il loro stesso diritto alla vita, minacciato dalla penetrazione Bianca nei loro territori, e per cent’anni, quasi tutte le tribú disseppellirono l'ascia di guerra - coalizzandosi in un estremo quanto vano tentativo d’arrestare l’Uomo Bianco, la sua avidità e le sue forze militari distruttive. Gli Indiani, però, non furono ammazzatti ferocemente soltanto dai soldati americani, ma anche dai cacciatori bianchi, che, sterminando i bisonti, ridussero alla fame quelle tribú che dal bisonte traevano ogni sussistenza. 





Si calcola che nel 1492 gli Indiani abitanti nel territorio destinato a diventare gli Stati Uniti d’America fossero 846.000. Nel 1865, secondo un censimento, gli Indiani si erano ridotti a 249.574...

Un rapporto ufficiale dell’Esercito Americano annuncia:
Perdite totali in tutte le guerre con gli Indiani dal 1790 al 1891: dal 1790 al 1795 nel Nord-Est - 896 morti; dal 1817 al 1818 nella Guerra contro i Seminole - 46 morti; nel 1831/1832 nella Guerra contro la Sac & Fox Nation - 26 morti; dal 1835 al 1842, nella Guerra contro i Seminole - 383 morti; dal 1858 al 1891 in tutto il West - 932 morti. Totale perdite dell'esercito – 2.283 morti. Totale perdite Indiane – 400.000 morti.
I numeri parlano da sè su questa sporca e lurida faccenda dell’essere umano, incapace di porsi limiti. Bisonti e Indiani esattamente uguali, uniti per sempre da un destino così atroce e crudele. 



Wilson Vieira 

P.S. Trovate i link alle altre parti della Storia del West di W. Vieira andando sulla pagina delle Cronologie!

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