sabato 21 settembre 2013

L'ATLANTE DI MISTER NO. "F": DA "FANTASMA DELL'OPERA" A "FORD, SCERIFFO".

di Massimo Capalbo

Dopo le prime cinque puntate (pubblicate sui Quaderni Bonelliani dall'8 giugno 2013 in poi) l'Atlante di Mister No prosegue - continuando a ricevere ottimi riscontri di pubblico e di critica. Ricordiamo che questo grande progetto di Dime Web ha l'onore di essere ospitato in permanenza, sotto forma di link alla prima parte, nella Home Page di Jerry Drake sul sito Internet ufficiale della Sergio Bonelli Editore. Vi segnaliamo poi le ficcanti discussioni sull'imperdibile forum Spirito con la Scure. Si fa un riferimento anche alle cover di Sukur che ultimamente abbiamo scelto in fase di montaggio per il loro impatto grafico... ed è proprio vero, come ha sostenuto un partecipante, che possono ricordare (soprattutto per il look "duro" dei personaggi e per il fascino suscitato dalle armi e dalle auto in corsa) i film "poliziotteschi" italiani di 40 anni fa! Infine, merita recarsi su Comic Blog e anche su Fumettando per leggere interessant recensioni dell'Atlante. Buona - e veloce - lettura (solo tre voci, stavolta)! (S.C. & F.M.)


Un evocativo Mister No del copertinista turco Aslan Sukur. L'originale è visibile sul bel sito The Figure Collector del collezionista Louis Gara.
 

Legenda


  • I nomi in stampatello e grassetto rimandano a una voce dell’Atlante.
  • I nomi dei personaggi cui è dedicata una voce sono indicati per cognome - ovviamente se questo è conosciuto (per esempio: AMARAL, STELIO; REMY, ANOUK). In alcuni casi, però, abbiamo optato per il soprannome (per es.: ESSE-ESSE invece che KRUGER, OTTO). Riguardo poi a personaggi come O BISPO ed EL LOCO, le voci a loro dedicate sono state inserite sotto l’iniziale del nome, invece che sotto l’iniziale dell’articolo: per es., EL LOCO, si trova alla lettera L di LOCO e non alla lettera E di EL (che in spagnolo è appunto un articolo e corrisponde al nostro IL).
  • I personaggi dalla doppia identità sono stati indicati con il nome della loro identità fittizia piuttosto che con il nome vero (ad es.: DEMONE ETRUSCO, GIUSTIZIERE DI BONAMPAK).
  • Quando i personaggi vengono citati in una voce che non è a loro dedicata, solo il cognome è scritto in neretto e stampatello, in modo da rimandare immediatamente alla lettera sotto la quale sono stati inseriti (per es.: nel testo della voce ANACONDA, il personaggio Daniel Murdock è citato come Daniel MURDOCK). L’unica eccezione a questa regola riguarda il protagonista della serie, il cui nome - attenzione: non il nome proprio Jerry Drake, ma appunto il soprannome MISTER NO - è sempre scritto in neretto e stampatello, tranne ovviamente quando è inserito nel titolo di un fumetto o di un libro (per es.: Mister No Index Illustrato, Mister No Riedizione If).
  • Per quanto riguarda la serie regolare, il titolo attribuito a ciascuna storia è tratto da uno degli albi che la compongono ed è quello, a nostro avviso, più rappresentativo, quello che meglio sintetizza la trama o che, rispetto ai titoli degli altri albi, richiama la storia alla memoria dei lettori in modo più efficace. Per esempio, la storia dei nn. 17-20 viene indicata con il titolo del n. 19, "Operazione Poseidon" perché esso è più rappresentativo, più calzante rispetto ad Agente segreto Zeta 3 e Tragica palude, che sono i titoli rispettivamente del n. 17 e del n. 19 (del tutto avulso poi il titolo del n. 20, Evasione!, visto che si riferisce alla storia successiva). 


Per le Note sui collegamenti ipertestuali e le Note sulle illustrazioni vedi la prima parte.


 
In un'atmosfera alla Indiana Jones, ancora il bravissimo artista turco Aslan Sukur (che ricorda nello stile le copertine del fumetto popolare italiano degli anni '60 e '70) dall'affascinante sito The Figure Collector.


F
FANTASMA DELL’OPERA
FENNER, HARVEY
FORD, Sceriffo


FANTASMA DELL’OPERA

Compare nella storia omonima (T. Sclavi [sog.&scen.] – R. Diso [dis.], nn. 97-98), ispirata al celebre romanzo di Gaston Leroux (1905). L’Opera in questione non è però quella di Parigi, bensì quella di MANAUS, che riapre dopo quindici anni (la storia è ambientata precisamente nel 1953). Erik Maelstrom, questo il nome del fantasma, è una figura tragica quanto l’Erik di Leroux, se non di più. Ex baritono ed ex marito della famosa soprano Maria Arghidas (ma il loro matrimonio era stato tenuto segreto per volontà di quest’ultima), Maelstrom era scomparso misteriosamente a MANAUS proprio quindici anni prima, nel 1938, nei giorni in cui la compagnia di cui faceva parte assieme a Maria rappresentava all’Opera il Rigoletto di Giuseppe Verdi. Pugnalato dal tenore Martino Lizardo, Maelstrom era stato da questi trascinato, attraverso un passaggio segreto, nei sotterranei del teatro, dove Lizardo, credendolo morto, gli aveva poi dato fuoco.


Copertina di Mister No n. 97, giugno 1983. Disegno di Ferri.



Sebbene divorato dalle fiamme, Erik aveva avuto la forza di gettarsi nel canale che collegava i sotterranei al fiume, la cui corrente lo aveva portato lontano, nella giungla, dove era stato soccorso e curato da un vecchio indio, Kojo. Rimasto orrendamente sfigurato, Erik aveva trascorso molti anni assieme a Kojo in una capanna nella foresta; finchè, desideroso di riunirsi alla sua amata Maria e di vendicarsi di Lizardo (i due, nel frattempo, si erano sposati), aveva costretto il direttore del teatro – poi ucciso - a ingaggiare la soprano. Celandosi il volto con una maschera (che riproduce le sue fattezze prima che venissero devastate dal fuoco) e indossando un ampio mantello, Maelstrom dà il via alla sua vendetta, uccidendo Lizardo durante la rappresentazione del Rigoletto. Poi, sempre durante la messa in scena dell’opera verdiana, rapisce Maria e, aiutato da Kojo, fugge nei sotterranei, inseguito da MISTER NO. Giunto nel suo rifugio, Erik mostra a Maria il suo volto sfigurato e rievoca le drammatiche circostanze della sua scomparsa. Il pilota interviene per salvare la soprano ed Erik si avventa contro di lui perché pensa che voglia portargli via Maria. Nella colluttazione, i due fanno cadere una lampada a petrolio, provocando l’incendio della capanna. Proprio in quel momento, Maria s’impossessa della pistola del pilota e rivela a entrambi che fu lei a ordinare a Lizardo di uccidere Maelstrom, allo scopo di ereditarne il cospicuo patrimonio. Maria intende uccidere sia Erik che MISTER NO, sicura che la polizia crederà alla sua versione dei fatti: quindi, spara per primo a Erik, ma questi, incurante dei proiettili, afferra la donna, la bacia e, tenendola in braccio, la trascina con sé nel fuoco (Non temere, amore, ora più niente ci separerà… staremo sempre insieme… …sempre). Il pilota, che ha assistito impotente all’atto finale della tragedia, esce dalla capanna in fiamme e alla domanda del commissario de Andrade (arrivato sul posto con i suoi agenti) – Che significa? Cos’è che sta bruciando? – risponde: Il passato…E’ il passato che sta bruciando… “….e il sipario si è chiuso…per sempre.”.


Erik Maelstrom si accinge a uccidere Martino Lizardo – MNO 97, p. 84


 
Tanto la drammatica fine di Erik e Maria quanto le suggestive parole conclusive pronunciate da MISTER NO, rendono assolutamente indimenticabile l’epilogo de Il fantasma dell’Opera. Bisogna dire, però, che nella storia i momenti da ricordare sono davvero numerosi. Tra i tanti, vale la pena di citare: l’allucinazione di Maria nel cimitero di MANAUS, con Erik che risorge in forma di Rigoletto zombi; la scena, che ha luogo durante una notte tempestosa, in cui Erik, aiutato dal fedele Kojo, si prepara a raggiungere l’Opera di MANAUS per uccidere Lizardo; l’omicidio di Lizardo, colpito al collo con una freccia incendiaria durante l’atto terzo del Rigoletto; il rapimento di Maria, con il fantasma che piomba sul palco aggrappato a una delle corde del sipario, scatenando il panico tra il pubblico; la morte del direttore d’orchestra Hauser, ucciso da Erik con un pugnale mentre tenta di impedire che questi rapisca Maria (di cui Hauser è segretamente innamorato). Eccezionale, poi, il modo in cui lo sceneggiatore combina le immagini – realizzate da un Diso in splendida forma - con i brani del Rigoletto, che fanno da efficace commento all’azione.


L'attore e trasformista Lon Chaney nel film The Phantom of the Opera (Rupert Julian, 1925)



L’abilità di Sclavi è tale che, durante la lettura, ci sembra di ascoltare veramente le note di Ella mi fu rapita!, Sì, vendetta, tremenda vendetta, Bella figlia dell’amore, La donna è mobile ecc. . Interessante, infine, il ribaltamento operato da Sclavi rispetto al romanzo di Leroux: sebbene sia un assassino (ben quattro i suoi omicidi: ai tre già citati va aggiunto, infatti, quello del segretario del direttore del teatro), il vero mostro della storia non è lo sfigurato e folle Erik, ma la bella e famosa Maria, una Christine Daeé perfida e diabolicamente cinica, la quale - oltre ad aver pianificato, in combutta con Lizardo, l’omicidio di Maelstrom – non esita a uccidere personalmente il giornalista Caetano Limões (altra scena memorabile), il quale ha scoperto, negli archivi del teatro, un documento molto compromettente per lei: il certificato del suo matrimonio con Erik. Prima di quello stupido giornalista – dice Maria a Erik e a MISTER NO nel finale – non avevo mai ucciso nessuno… Personalmente, intendo dire… E’ stata un’esperienza elettrizzante, fantastica…e ora la ripeterò… . La disumanità della soprano – testimoniata anche dalle parole rivolte al cadavere di Lizardo (che l’aveva costretta a sposarlo in cambio del suo silenzio): Addio, mio sposo. Non ti ho mai amato, eri troppo stupido, e anche un pessimo tenore…ma in fondo mi ero quasi affezionata a te…addio… - rende ancora più malinconica la vicenda di Erik: la sua vendetta, covata per quindici lunghi anni, è stata inutile, così come inutile è stato l’amore per Maria, la donna che gli ha distrutto la vita e che l’ha fatto diventare un fantasma.


Mister No n. 98, luglio 1983. Disegno di Ferri.



Maria Arghidas scopre il volto sfigurato di Erik – MNO 98, p. 49


Curiosità: Attraverso il cognome di Erik, Sclavi cita chiaramente Edgar Allan Poe: Una discesa nel Maelstrom s’intitola infatti uno dei suoi più famosi racconti, pubblicato nel 1841. Il nome di Maria Arghidas richiama invece quello di Maria Callas; non a caso, l’Arghidas ha lo stesso appellativo di quest’ultima: Divina. Trattandosi di una storia di Sclavi, non potevano mancare delle citazioni cinematografiche: la scena in cui Maria toglie la maschera ad Erik, scoprendo il suo mostruoso volto, cita una scena analoga de Il fantasma dell’Opera (Rupert Julian, 1925), la più celebre trasposizione del romanzo di Leroux, con un fenomenale Lon Chaney senior nel ruolo di Erik. L’abbigliamento di Maria Arghidas nella scena in cui uccide Caetano Limões richiama quello degli assassini dei thriller di Dario Argento; non solo, ma le parole che rivolge al giornalista prima di colpirlo con il rasoio – Maledetto… Maledetto! – sono identiche a quelle che, in Profondo rosso, l’assassina interpretata da Clara Calamai rivolge al protagonista Mark Daly (David Hemmings). Lo stesso Argento, peraltro, figura tra i numerosi registi che hanno portato sul grande schermo l’immortale romanzo di Leroux: tuttavia, la sua versione – datata 1997 - è assai deludente. 


Mister No assiste all’ultimo atto della tragedia di Erik e Maria – MNO 98, p. 58
 


FENNER, HARVEY

Il simpatico barman del Killarney Rose, il pub di proprietà di Max CULVER. Compare per la prima volta in Notte di morte (S. Marzorati [sog.&scen.] – O. Suarez [dis.], n. 261) ed è uno dei comprimari fissi della trasferta newyorkese di MISTER NO. Di origini irlandesi, Harvey Fenner è un reduce di guerra come il pilota, con il quale fa subito amicizia. I due amano raccontarsi a vicenda delle storie: ad esempio, nella succitata Notte di morte, Harvey racconta a MISTER NO la triste vicenda del vecchio alcolizzato O’Brien (cliente abituale del Killarney Rose), mentre in C’era una volta a New York (M. Colombo [sog.&scen.] – G. Bruzzo [dis.], Mister No Maxi n. 2), è il pilota a raccontare all’amico irlandese una pagina importante, nonché dolorosa, della sua adolescenza. 


Copertina di Mister No n. 261, febbraio 1997. Disegno di Diso


Harvey Fenner e Mister No al Killarney Rose Pub – MNO 261, p. 33


 
Il ruolo di maggior rilievo, Harvey ce l’ha nell'episodio Agli ordini della Cia (M. Masiero e S. Marzorati [sog.&scen.] – F. Valdambrini/R. Diso/O. Surarez [dis.], nn. 268-273), in cui la donna da lui amata, la prostituta Mercedes, viene strangolata da un pezzo grosso dell’esercito americano, il generale Terrel. Harvey, convinto che l’assassino sia il suo ex commilitone Myrtle Evans il quale, al contrario, ha eliminato Terrel subito dopo che questi ha ucciso Mercedes, e lo ha fatto su ordine di mister Candyman, capo di una sezione deviata della CIA -, racconta a CULVER la storia della loro amicizia; un'amicizia nata a Okinawa (dove Evans gli aveva salvato la vita), suggellata dal drago che entrambi si erano fatti tatuare sull’avambraccio, e finita a Kyoto, a causa di un violento litigio. Harvey aveva poi saputo da un suo commilitone che Evans era morto in uno scontro a fuoco con una banda di gangster di Kyoto; pertanto, una volta ritornato in patria, il nostro barman si era recato in Louisiana e aveva visitato la tomba dell’amico (il quale, ma ciò Harvey lo ignorava, era entrato nei servizi segreti, che lo avevano fatto dichiarare ufficialmente morto e gli avevano assegnato una nuova identità). Deciso a vendicare Mercedes, Harvey cerca di rintracciare il redivivo Evans con l’aiuto dell’avvocato Rizzo e del detective Phil MULLIGAN, ma quando lo ritrova, l’ex compagno d’armi gli spiega come sono andate veramente le cose. Evans, inoltre, gli rivela che ha scelto di diventare un killer dei servizi segreti per uno scopo ben preciso: avvicinare il misterioso Candyman e ucciderlo, per vendicare la morte della sua ragazza, una collaboratrice della CIA che operava nella Berlino dell’immediato dopoguerra. Alexandra, questo il suo nome, era stata sacrificata da Candyman per non far cadere in mano ai sovietici importanti informazioni. Evans, che ha scoperto di avere pochi mesi di vita a causa di un tumore, non ha ormai nulla da perdere e chiede a Fenner di lasciargli compiere la sua vendetta. Harvey, pur provando disprezzo per ciò che il suo vecchio amico è diventato, comprende le sue ragioni (tutt’e due hanno perso in maniera tragica la donna che amavano) e gli salva pure la vita, uccidendo uno dei killer mandati dalla direzione della CIA, che ha deciso di eliminare tutti gli uomini al servizio di Candyman. In questo modo, Harvey, oltre a saldare il suo debito con l’ex commilitone (il quale riuscirà infine a uccidere l’odiato Candyman), fa capire a Evans che lo considera ancora un amico e che non ha dimenticato i tempi in cui loro due erano inseparabili. La storia di quest’amicizia, perduta e poi ritrovata, rappresenta senza dubbio una delle cose migliori di Agli ordini della CIA, avventura particolarmente ricca di personaggi e di sottotrame. 


Copertina di Mister No n. 272, gennaio 1998. Disegno di Diso.


 
Curiosità: Harvey Fenner – leggiamo sul sito uBC Fumetti - si fa prestare nome e volto dal grande Harvey Keitel, interprete-totem di registi come Scorsese e Tarantino. In particolare, però, il carattere e il ruolo di Fenner citano il personaggio che Keitel interpreta nei due film […] "Smoke" (diretto da Wayne Wang, e tratto da un racconto del bravissimo romanziere americano Paul Auster) e "Blue in the face" (regia di Wang e dello stesso Auster): qui Keitel è il gioviale, un po' burbero ma altruista, tabaccaio Auggie. Il carattere di Fenner è modellato sulle stesse virtù, ma l'elemento principale di collegamento sono "le storie": le storie che Auggie/Fenner ama raccontare e sentir raccontare, quelle storie che creano il passato e l'anima di un quartiere (Hell’s Kitchen, il vecchio quartiere irlandese di NEW YORK, nda) e permettono di superare la miserie della vita quotidiana.


Harvey Keitel in Smoke (Wayne Wang, 1995)



Harvey con l’ex commilitone Myrtle Evans – MNO 272, p. 55



FORD, Sceriffo

Uno dei personaggi più significativi e divertenti di Ombre rosse (T. Sclavi [sogg.&scen.] – R. Diso [dis.], nn. 105-107). Anziano e guercio, lo sceriffo Ford si comporta come un uomo del vecchio West e pertanto si trova a poco agio con l’epoca in cui vive (siamo nel secondo dopoguerra). Ford, infatti, si sposta a cavallo e non sa guidare l’auto, mangia sempre fagioli come i cowboy, usa come arma un fucile winchester, ha modi rudi e spicci. Pur non essendo folle come il possidente John TREVOR e i membri della sua bizzarra famiglia, anche Ford non scherza in quanto a stranezze, come dimostrano certi suoi comportamenti contraddittori. Ad esempio, in un primo tempo lo sceriffo pare un nemico dei pellerossa, uno di quei bianchi secondo cui, per citare un famigerato proverbio del West, l’unico indiano buono è l’indiano morto.


Copertina di Mister No n. 106, marzo 1984. Disegno di Ferri.



Infatti, quando mister TREVOR gli dice che intende pagare i funerali a Billy Jack – il giovane APACHE assassinato durante uno spettacolo western organizzato da TREVOR medesimo - e pretende che questi si svolgano con gli onori militari, Ford risponde stizzito: Sono nato un anno prima di Wounded Knee (l’ultima battaglia delle Guerre Indiane, avvenuta il 29 dicembre 1890 e conclusasi con l’uccisione, da parte dell’esercito americano, di circa trecento indiani Sioux, nda) I rossi fecero in tempo a uccidere mio padre, prima di essere annientati… ….e per questo quello che avete detto è per me un insulto! Nella scena successiva, però, Ford dice al vicesceriffo Johnson che anche lui è d’accordo con la proposta di TREVOR e vuole addirittura che il funerale sia a spese sue; non solo, ma poco dopo, scopriamo che è legato da una solida amicizia a Sam Hokahei, l’anziano capo APACHE. Infrangendo la legge, lo sceriffo irrompe con lui nell’obitorio, lasciandogli portare via il cadavere del figlio Billy Jack (tutti i figli del sakem – particolare curioso - si chiamano così) per fargli i funerali alla maniera indiana.


Lo sceriffo Ford entra in scena – MNO 105, p. 59



Un’altra stranezza di Ford riguarda la sua età effettiva: nella prima scena citata, egli dice a TREVOR di avere quasi 80 anni, ma subito dopo afferma di essere nato, come si legge sopra, un anno prima di Wounded Knee, quindi nel 1889. Poiché la storia è ambientata precisamente nel 1950, Ford dovrebbe avere invece 61 anni; ma, visto il personaggio, nulla ci vieta di pensare che quella di Wounded Knee sia una balla, raccontata apposta per rafforzare la sua immagine di uomo della Frontiera. E’ possibile pure che lo sceriffo, svanito com’è, non ricordi la sua vera età o non conosca la data della suddetta battaglia. Le bizzarrie di Ford non si fermano qui, come dimostra il modo a dir poco singolare in cui arriva a scoprire i colpevoli dell’omicidio di Billy Jack. Inizialmente, egli crede che l’unico colpevole sia lo straniero MISTER NO, che ha partecipato allo spettacolo western (organizzato proprio in suo onore da TREVOR); poi, quando il suo vice Johnson lo informa che il proiettile che ha ucciso il giovane indiano è partito dal winchester di Dustin Crabb, arresta quest’ultimo. Crabb però evade e Ford lo ritrova cadavere nella ghost town fatta ricostruire da John TREVOR nella sua immensa proprietà. Il caso si complica e Ford confessa a MISTER NO di non capirci niente, un accidenti di niente!.


Ford crede che il colpevole Mister No voglia scappare – MNO 105, p. 66


Il massacro di Wounded Knee.



Ad ogni modo, il giorno successivo, Ford si presenta al ranch di TREVOR per arrestare la figlia Louise, le cui impronte sono state trovate sul pugnale con cui è stato ucciso Crabb. I famigliari, però, forniscono un alibi alla ragazza e Ford, arrabbiato e deluso, ritorna in paese e si reca nel locale dove, da trentasette anni - tutti i mezzogiorno e tutte le sere e sempre allo stesso tavolo - va a mangiare i suoi amati fagioli. Stavolta, tuttavia, rifiuta i fagioli - che, come sempre, la proprietaria gli ha preparato in anticipo – e chiede un caffè. Al diavolo! Stanno proprio diventando tutti matti, qui!, esclama la donna, esasperata dal comportamento di Ford, che tre giorni prima è arrivato in ritardo e i due giorni successivi addirittura non si è presentato. Questa frase, precisamente la parola tutti, accende una lampadina nel cervello di Ford (Tutti?! Tutti!... Ma sì, tutti!), facendogli intuire la verità sull’intricato caso di Billy Jack, e cioè che nell’omicidio dell’indiano e in quello di Crabb sono coinvolti tutti i famigliari di John TREVOR. A questo punto, Ford si mette al volante dell’auto del suo vice e si dirige verso la ghost town, dove sta per consumarsi la resa dei conti tra MISTER NO (che ha scoperto la verità prima dello sceriffo) e i sette colpevoli. Non sapendo guidare l’auto, Ford non solo arriva quando lo scontro si è già concluso, ma, senza volerlo, investe e uccide il vecchio Walter, l’unico colpevole rimasto (fino a quel momento) in vita.


Ford e il suo vice Jedson…anzi Johnson – MNO 107, p. 4



Per finire, va a sbattere contro una delle case della ghost town, fratturandosi le gambe. Mentre Ford sta per essere caricato sull’ambulanza, arriva il suo vice Johnson, che gli chiede: Sceriffo, state bene?, e lo sceriffo risponde: Ti sembra che stia bene, Jedson? Credi che portino in barella quelli che scoppiano di salute?. Come testimonia l’ironica risposta di Ford, il rapporto tra questi e il giovane vice sceriffo costituisce uno degli elementi più gustosi della storia, una versione caricaturale del rapporto, tipico del western classico, tra anziano maestro e giovane allievo. Per tutto l’episodio, Ford chiama il suo vice nel modo sbagliato, cioè Jedson, nonostante ogni volta Johnson lo corregga; le rare volte in cui lo sceriffo chiamerà Johnson nel modo giusto, sarà MISTER NO a chiamare quest’ultimo Jedson. Insomma, non c’è pace per il povero vice sceriffo. E’ grazie soprattutto a queste perle di umorismo se Ombre rosse viene ricordata dai lettori misternoiani come un autentico capolavoro. 


Tre miti immortali della cinematografia western. Il regista John Ford (al centro) con James Stewart (a sinistra) e John Wayne (a destra) sul set del film The Man Who Shot Liberty Valance (1962).


Il finale di High Noon (Fred Zinnemann, 1952): Gary Cooper si toglie la stella di latta!



Curiosità: Lo sceriffo Ford è palesemente ispirato - nel nome e nelle fattezze (benda sull’occhio sinistro compresa) - al grande regista John Ford. Le parole con cui si presenta a MISTER NO - Mi chiamo Ford, e faccio lo sceriffo. – parafrasano l’autopresentazione del regista medesimo - My name is John Ford, I make westerns. - nella famosa intervista che gli fece il collega e ammiratore Peter Bogdanovich nel suo documentario Directed by John Ford (1971). Sempre in tema di citazioni, nella scena in cui Ford - dopo aver lasciato il ranch di John TREVOR e aver accusato la figlia Louise dell’omicidio di Dustin Crabb - si toglie la stella dal petto e la butta per terra, Sclavi cita il celebre finale di Mezzogiorno di fuoco (Fred Zinnemann, 1952), dove Gary Cooper, nel ruolo dello sceriffo Will Kane, compie un’azione simile.


Massimo Capalbo

N.B. Trovate tutti i collegamenti alle altre lettere dell'Atlante nella pagina della Bussola!  

2 commenti:

  1. Piuttosto stramba "Il fantasma dell' opera" con il personaggio femminile che fa da prototipo ad alcuni dylandoghiani XD! Non mi ha convinto troppo! Devo rileggerla.
    Altra storia sopra le righe "Ombre rosse" che ancora devo capire se mi è piaciuta effettivamente o meno. XD
    Sclavi su Mister No alternava racconti di stampo classico, sebbene permeati dal suo stile, come "Ananga", "Giungla" ed "Alien" ad altri più personali come le due sopracitate e "La casa di satana". Quest' ultima non avrebbe affatto stonato in DD. XD

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  2. Amo tutte le storie misternoiane di Sclavi.

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